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Autore Discussione: Candido Cannavo' intervistato da Sabelli Fioretti...  (Letto 3293 volte)
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« inserito:: Febbraio 25, 2009, 10:02:20 am »

25/2/2009
 
Cannavò, l'ultimo cantastorie
 
 
 
 
 
ALFIO CARUSO
 
Una folla da stadio tributa l’estremo saluto all’ultimo cantastorie. Sulla scia dei grandi menestrelli siciliani Candido Cannavò ha trasportato la fantasmagorica tradizione dell’opera dei pupi nel giornalismo sportivo. Pelè al posto di Orlando, Berruti al posto di Rinaldo, Ferrari al posto di Carlo Magno, dopati e imbroglioni nei ruoli che furono di Gano da Magonza e del feroce Saladino. Commozione e buoni sentimenti, sogni e idealità, che la concretezza di Candido sapeva maneggiare con destrezza e bloccare l’attimo prima di precipitare nella retorica. Alle soglie degli ottant’anni aveva saputo conservare la freschezza di un bambino, aveva ancora voglia di stupirsi e di entusiasmarsi. Nello sport ha vissuto da quando diciassettenne fu invitato a partecipare a una corsa campestre. Dallo sport ha tratto la linfa vitale per scrivere un inesauribile romanzo popolare che andava ogni giorno in edicola. Con lo sport ha conosciuto il dolore e lo spaesamento.

Era il 5 maggio 1949. La Freccia del Sud partita da Siracusa incontrò l'alba nella stanzioncina al confine fra la Calabria e la Campania. Il grido del venditore di giornali e il volto tristissimo del controllore comunicarono la gelida notizia - «Sulla collina di Superga è morto il grande Torino» - agli universitari catanesi diretti ai campionati di categoria a Firenze. Fu il primo spartiacque della sua vita, benché avesse perduto il padre a cinque anni, si fosse salvato per miracolo nel micidiale bombardamento che sbriciolò Catania il giorno prima dello sbarco alleato, fosse stato costretto a vendere in via Etnea cartoline natalizie ai soldati alleati per aiutare la madre a mantenere sei figli. La sciagura di Superga costituì per Cannavò la scoperta che nel giro di pochi secondi possiamo perdere quanto di più caro. E quel Torino rappresentava per molti italiani, soprattutto per i ragazzi, la promessa di un riscatto, la certezza che la Storia avesse voltato pagina. Candido mai si è stancato di ricordare quel brusco risveglio, anzi lo ha trasformato nella spinta ad avvicinarsi con gioia all'esistenza quotidiana. Così la partecipazione ai mondiali di calcio, alle Olimpiadi divenne una festa da condividere con i lettori. Il cantastorie montava in cattedra per raccontare la mirabolante avventura dell’eroe moderno impegnato sulla pista di atletica, sul ring, dentro la piscina, nella pedana. E se indossava la maglia azzurra meglio ancora. I suoi articoli, anche i più coloriti, odoravano di bucato, di genuino trasporto. Appassionavano perché Candido era il primo ad appassionarsi.

Era un innamorato perso della Juve, Boniperti aveva costituito il mito della giovinezza assieme alla Lollobrigida (per la Loren, spiegava, sarebbe servito lo sgabello). Ma i suoi milioni di lettori non se ne sono accorti nemmeno una volta. Perché c’era la passione personale e c’erano le regole da rispettare; c'erano le simpatie e c'era il dovere, da direttore della Gazzetta, dell’assoluta imparzialità. Scherzava sul suo insolito nome, proveniente da un nonno sconosciuto, ma dell'altro Candide aveva ereditato la purezza dello sguardo poggiato sul mondo alla ricerca di un personaggio da amare, di una vicenda nella quale immedesimarsi. Dopo quarant'anni è impossibile dimenticare l'urlo di gioia al telefono per aver estratto assieme a un vigile del fuoco un bimbetto ancora vivo dalle rovine del Belice terremotato. Una foto immortalò lo straordinario salvataggio: Candido estasiato stringeva al petto quel batuffolo impaurito e annerito. Nel ’78 Enzo Tortora ci costruì sopra un'intera puntata di Portobello. Al momento di entrare in scena Cannavò cedette il passo e l'applauso dello studio al vigile del fuoco: senza di loro, sussurrò, a Gibellina, a Sala Paruta, a Poggioreale avremmo pianto molto di più.
 
da lastampa.it
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« Risposta #1 inserito:: Febbraio 27, 2009, 06:33:20 pm »

Claudio Sabelli Fioretti

intervista:


Candido Cannavo' - Sette

(Pubblicata il 12/12/2002 - letta 811 volte**)


Da qualche mese, da quando ha lasciato la direzione della Gazzetta dello Sport, ha fatto dipingere le pareti di una stanza tutte di rosa e si è installato nell’austera ala dirigenziale del gruppo Rcs, in via Solferino. Candido Cannavò, 72 anni, giornalista da più di mezzo secolo, ha diretto la Gazzetta dello Sport per 19 anni, fino al 1° marzo di quest’anno, quando ha lasciato la poltrona di direttore a Pietro Calabrese. E subito si è messo a scrivere il libro della sua esistenza, “Una vita in rosa, 50 anni di personaggi, avvenimenti, incontri, storie”. Una vita durante la quale ha fatto diventare la Gazzetta il quotidiano sportivo più venduto in Europa e, per un periodo di tempo, anche il quotidiano più venduto in Italia. Come è stato possibile? La televisione non doveva uccidere la stampa sportiva? “I miei colleghi alla fine degli anni Cinquanta dicevano: “Cambio mestiere, non ci sarà più spazio per noi””, spiega Cannavò. “E invece…”

Bravo tu, o condizioni favorevoli?

“Essendoci il monopolio della Rai, per i giornali era una pacchia. La televisione si limitava alla pura cronaca. Retroscena, interviste erano solo sui giornali”.

Adesso non è più così.

“La concorrenza tra Rai e Mediaset ha divorato lo sport. Abbiamo dovuto ripensare i giornali. Oggi devi dare per scontato che la gente sa già che cosa è successo quando compra il giornale. E devi costruire delle storie”.

Però, sinceramente, di sport in tv ce n’è troppo.

“Certo. L’inflazione deteriora il prodotto. Però ancora oggi nei palinsesti televisivi una partita di calcio, anche di basso livello, rende più di una trasmissione di altro genere. E siccome comanda lo share…”

Tra tutte le trasmissioni sportive, quali ti piacciono?

“Quelle che mi fanno vedere ciò che non vedrei. Le dirette. I primi goal, come fanno Maffei, Tosatti e Longhi a “Novantesimo minuto”. Il resto non mi interessa”.

Chiacchiere della domenica.

“Per me potrebbero cancellarle. Odio soprattutto le moviole, un esercizio immorale”.

La trasmissione che proprio non ti piace?

“Esiste un mercato del cattivo gusto e il trionfatore è Aldo Biscardi. Imbattibile. I più casinisti, i presidenti peggiori li trova sempre lui. Ha fiuto. Siamo amici, ma la sua è una televisione che non mi piace. Come quella che fa Maurizio Mosca. Io gli voglio bene. E’ un ragazzo umanamente tenero. Ma non amo quello che fa in televisione”.

Ci sono pressioni su un direttore di giornale sportivo?

“Non come per un quotidiano politico”.

Una volta ti telefonò Galliani.

“Mi disse: “A nome del presidente le chiedo di sostituire Alberto Cerruti, il giornalista della Gazzetta che si occupa del Milan”.”

Cerruti aveva scritto cose sgradite.

“Esatto. Io risposi: “L’unico favore che le posso fare è scordarmi questa telefonata”. “

Nel libro lo tratti malissimo. Hai scritto che “le troppe vittorie, l’approdo alla ricchezza e il tuffo un po’ tardivo in certi piaceri della mondanità l’hanno un po’ appannato”.

“È la pura verità. Ho una grande stima di lui, ma è vero che è diventato ricchissimo. Avrà cento miliardi Galliani. E ha scoperto certe piacevolezze che farebbero piacere a tutti, va per spiagge con la bandana. E’ la sua vita. Ma siccome il Milan negli ultimi tempi qualche colpo a vuoto l’ha avuto, io ipotizzo che Galliani sia un po’ appannato”.

Il Milan adesso va bene.

“Da quando il mio libro è uscito, Galliani si è disappannato”.

Gli rimproveri ancora l’episodio di Marsiglia, quando ritirò la squadra perché si era rotto l’impianti di illuminazione?

“In quell’occasione fu un eroe. Ancora oggi tutta l’Europa ride di lui. Ma Galliani si era preso tutte le colpe di una decisione di Berlusconi”.

Campione di adulazione.

“No. E’ affetto, è stima, è coerenza. Uno che si puttana per difendere l’immagine del suo capo, mi turba ma lo rispetto”.

Che cos’è l’adulazione secondo te?

“Una cosa sciocca. Chi la fa è un uomo fatuo, chi ne trae gioia è un cretino”.

I campioni dello sport sono famosissimi, incensatissimi, adulatissimi…

“Spesso sono poveri ragazzi che provengono da un ambiente misero e si trovano proiettati nel lusso, in mezzo ai miliardi. Vivono in una villa, circondati da gente che risolve tutti i loro problemi, e non sanno nemmeno prendere un tram. A loro si chiede solo di giocare, non di vivere”.

Un esempio di adulatore?

“Gli adulatori nascono attorno agli uomini potenti. Attorno a Berlusconi ce ne sono tantissimi. Fa impressione vedere alla televisione questo Schifani”.

Un esempio di voltagabbana?

“L’amministratore delegato della Juventus, Antonio Giraudo, è un tifoso torinista dichiarato. Ma non è voltagabbana”.

Direi di no. E’ la sua professione.

“In passato ha fatto anche dichiarazioni a favore del Torino e contro la Juve. Oggi dice: faccio tutto per la Juventus. Non dice sono juventino nel mio cuore. Non è come Umberto Bossi che un giorno urlava: “Berluskaz mafioso” e oggi è tutto miele per il suo Silvio adorato”.

Si può cambiare squadra?

“Non lo so. Io mi sono definito uomo da marciapiede. Ho sempre fatto il tifo per chi mi conveniva di più in quel momento. Più puttanesco di così!”.

Ecco un voltagabbana allora!

“Ho tifato per il Milan, per la Juve, per l’Inter e per la Roma. Tutto purché il campionato fosse vivace, nell’interesse della mia ditta, la Gazzetta dello Sport”.

Ronaldo è un voltagabbana?

“Ha sbagliato tutto. Doveva venire a Milano, andare a casa Moratti, studiare un piano, annunciarlo insieme. Invece ha mandato due manager. Sul piano personale è un voltagabbana”.

Il calcio è fatto di giocatori che passano da una squadra all’altra.

“Ci sono alcuni adamantini, Rivera, Mazzola, Facchetti. Ma mezzo Milan di quest’anno è l’Inter dell’anno scorso. Oggi è più facile perché non ci sono più le bandiere.”

Negli altri sport si tifa per i frigoriferi, per i dentifrici…

“La pallacanestro è quella che ha sofferto di più. Il mito della pallacanestro si chiamava Simmenthal. E poi è diventata Willy, e poi è diventata Traser, e ora si chiama Pippo. Si può urlare Forza Simmenthal un giorno e Forza Pippo il giorno dopo?”

Che cosa ricordi della tua giovinezza?

“Catania, il laboratorio di sarta di mia madre”.

Che tipo eri da ragazzino?

“Sveglio, curioso, uno che si metteva davanti a tutti, anche fra i Balilla. Volevo il medaglione del Duce! Mi piacevano la divisa, le sfilate, i saggi ginnici con la maglietta bianca e la M di Mussolini sul petto”.

Quando è scoppiata la guerra avevi nove anni…

“Per noi ragazzini era un gioco. Smontavamo pallottole, andavamo appresso ai soldati, giocavamo con le bombe a mano, andavamo a caccia dei paracadute degli inglesi…”

Perché sei diventato giornalista?

“Avevo due passioni: correre e interessarmi di sport. Così cominciai a scrivere qualcosa sui giornali siciliani”.

La Sicilia ha prodotto molti giornalisti.

“Merlo è un fuoriclasse. E anche Riotta. Come scrittura, come fantasia. Bravissimo anche Sebastiano Messina. Sorgi e Calabrese sono dei direttori bravissimi”.

Buttafuoco?

“E’ molto bravo”.

Mughini?

“Ogni tanto fa l’Eleonora Duse. Ma dietro l’apparente folklore c’è intelligenza, saggezza”.

La politica?

“Mi affascinò il movimento unitario che si contrapponeva al separatismo. Io votavo per i socialisti, per i repubblicani. Ho votato spesso Concetto Lo Bello, l’arbitro”.

Era democristiano.

“Era una bravissima persona. Sprecato per la Democrazia Cristiana”.

Lo sport fa bene? C’è chi diceva, come Eddy Ottoz, l’ostacolista, “Mens nevrotica in corpore patologico”.

“C’è chi vive l’avventura sportiva in modo sereno e chi non ce la fa. Prendi Mennea. Ha fatto delle cose straordinarie. Poi è diventato un personaggio inquietante. Non ha retto, si è visto perseguitato, circondato da fantasmi”.

Calciatori belli, sani, famosi, ricchi, corteggiati. Perché vanno con le prostitute?

“Perché hanno paura. Sono tantissime le ragazzine che se li vogliono portare a letto, ma non si sa mai che cosa possono combinare. Una mignotta è onesta e non fa scherzi. La ragazzina lo va a raccontare in giro. Oppure si fa mettere incinta”.

Tu sei l’unico giornalista sportivo che ha girato con la scorta.

“Era arrivato un fonogramma ai carabinieri di via Moscova. C’era scritto che era partito da Catania un gruppo di tifosi per uccidermi”.

Che cosa avevi fatto?

“Il Catania era stato retrocesso per punizione in una serie infima. Io avevo scritto: è la legge. I catanesi mi considerarono un traditore. Alleanza Nazionale cavalcò la protesta. Alcuni erano amici miei, pensa. Benito Paolone, Enzo Trentin”.

Begli amici!

“Persino il mio ex giornale, la Sicilia, mi attaccò. Ricordo un articolo di Toni Zermo. Era come mio fratello. Andavamo in vacanza insieme”.

A Catania, sul Sicilia, curavi anche una famosa rubrica delle lettere…

“Una delle esperienze più belle della mia vita”.

Successe un pandemonio per una lettera.

“Mi scrisse una mamma che tornando a casa aveva trovato la propria figlia a letto con un uomo e con un’altra ragazza. Intervennero le autorità, gli intellettuali, il vescovo, gli assessori, il sindaco, si fecero inchieste, dibattiti. Si discusse per settimane”.

Era una lettera falsa.

“Era uno scherzo inventato da Francesco Merlo. Io avevo 40 anni, lui 20. Ha confessato solo quest’anno”.

Sei un tipo litigioso?

“Litigo anche con gli amici, ma poi i rapporti si ricostruiscono. Con Boniperti ho litigato per la tragedia dell’Heysel. Poi ci siamo riappacificati. Carraro è un mio amico, ma anche con lui ho litigato forte, di recente, quando nella Lega Calcio si è creato un clima di arroganza che lui non ha fronteggiato a dovere. Io scrissi del “triangolo dell’odio”, Galliani, Sensi, Giraudo. Mi ha tolto il saluto ma poi abbiamo ricucito”.

Altri litigi?

“Con il presidente della Roma”.

Perché?

“Un giorno mi telefonò per dirmi che ero il più grande galantuomo del mondo. Il giorno dopo mi attaccò accusandomi di avere organizzato un complotto ai suoi danni”.

Fatto pace?

“No, con lui no. Non me ne frega nulla di avere un rapporto con uno come Sensi. E’ sempre pieno di livori”.

Anche con Gianni Brera c’era qualche screzio.

“Brera aveva la lombardità come mito. Era un po’ razzista. Io lo stimavo ed eravamo molto amici. Per lui ero “il barone siciliano”. Fino a quando non sono arrivato a Milano”.

I terroni sono simpatici finché stanno a casa loro.

“Una volta parlai male della caccia. E Brera, alla televisione, disse: Cannavò si indigna perché si ammazzano gli animali? Lui che viene da una terra dove si scannano gli uomini?”

Contro la caccia hai fatto una campagna spietata.

“Contro il fatto che esistesse una federazione della caccia nel Coni, finanziata con i soldi che dovrebbero andare ai veri sportivi”.

Roberto Baggio è buddista e pratica la caccia.

“Baggio mi piace moltissimo, ma non capisco come un buddista possa praticare la caccia. Io ho due figli buddisti. Sono vegetariani al mille per mille”.

Baggio dice che è la tradizione di suo padre, di suo nonno.

“A me sembra strano divertirsi ammazzando animali”.

Il rapporto tra politica e sport?

“Pessimo. La Melandri non ci capiva niente. Donna graziosa, siamo anche diventati amici, ci diamo del tu. Ma sport zero. Quando l’ho intervistata rispondeva alle mie domande cercando l’approvazione di un funzionario che le sedeva accanto. Il primo discorso che ha fatto al Coni era di un’arroganza spaventosa e l’abbiamo legnata a dovere”.

E adesso, con il centro destra?

“Peggio. Una vergogna. Stanno distruggendo il Coni, un ente che dal ’46 onora questo Paese. Questo Tremonti è presuntuoso, arrogante e non sa niente”.

Il ministro competente è Urbani.

“Urbani è una brava persona, ma lui e il suo sottosegretario Pescante sono scavalcati da Tremonti dal quale dipende il discorso dei soldi”.

I politici sfruttano lo sport?

“Sono le federazioni sportive che cercano la protezione dei politici. Il ciclismo, la pallavolo, la pallacanestro. Che cosa ha a che spartire Gianni De Michelis con il basket? Lo vollero solo perché garantiva, attraverso il partito socialista, un contratto televisivo di dieci miliardi l’anno”.

E Sergio D’Antoni col Palermo calcio?

“Un miliardario come Sensi, un banchiere come Geronzi, un ex-sindacalista come D’Antoni. Mi vengono i brividi a pensarci”.

Secondo te Berlusconi ha fatto bene allo sport italiano?

“Al Milan sicuramente. Lo ha salvato e gli ha dato una dimensione che durerà per 50 anni”.

Ti piace?

“E’ uno che dice una cosa e poi se la rimangia. Dichiara e poi smentisce”.

Aveva detto che non gli interessava Nesta…

“Era la parola del presidente del consiglio. Ha detto una bugia in un settore popolare come lo sport. Una gaffe enorme”.

E’ vero che ti ha chiesto l’autorizzazione prima di acquistare il Milan?”

“Non esattamente. Mandò qui Cesare Cadeo, che lavorava in alcune trasmissioni della Fininvest. Mi disse: “Il presidente avrebbe deciso di acquistare il Milan. Lei come la vede questa cosa?”.

E tu come la vedevi?

“Fu un gesto cortese che mi permise il giorno dopo di fare un giornale clamoroso, uno scoop, una bomba”.

L’hai incontrato molte volte Berlusconi?

“E’ venuto molto spesso in Gazzetta a rispondere al telefono dei lettori. Era un simpaticone, gioviale, un tipo con cui ti divertivi. Siamo stati a cena un sacco di volte. Adesso lo trovo irrigidito”.

Mai avuto questioni con lui?

“Una volta, quando il Milan perse lo scudetto dopo l’incidente ad Alemao del Napoli, colpito da una monetina, che costò la partita al Milan. Ci scontrammo duramente, a casa di un comune amico, in una villa veneta. Diceva delle cose pazzesche, deliranti. Il solito complotto”.

Hai litigato anche con Ferrari.

“Era l’anno in cui la Ferrari non andava nemmeno a spingerla. Noi sapemmo che lui aveva preso una multa per eccesso di velocità sulla Modena-Maranello. Facemmo il titolo: “C’è una Ferrari che va forte”. Me ne disse di tutti i colori. Mi insultò per un quarto d’ora al telefono. Mi urlò: “Lei non è un vero siciliano!””

E tu?

“Io mi difendevo come potevo. Tentai: “Ingegnere questi sono atti d’amore”. E lui, scandendo le parole: “La e-sen-to da questi atti d’amore””.

da www.melba.it
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