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Autore Discussione: MATTEO RENZI  (Letto 141669 volte)
Arlecchino
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« Risposta #165 inserito:: Ottobre 25, 2016, 05:40:55 pm »

Enews 448

1. Emozioni americane

Mi risulta molto difficile contenere le emozioni della visita di Stato della settimana scorsa negli Stati Uniti. A livello personale, innanzitutto, perché considero quella di Barack Obama una storia incredibile e la sua presidenza un passaggio cruciale nella storia americana. La scelta di dedicare all'Italia e al suo governo l'ultima cerimonia ufficiale della sua presidenza è figlia di una stima verso il nostro Paese di cui dovremmo essere molto orgogliosi. Tutti, nessuno escluso, indipendentemente dal colore politico.
E dovremmo essere molto orgogliosi anche delle persone che hanno composto la nostra delegazione a cominciare dal meraviglioso quartetto al femminile con la più grande scienziata italiana, Fabiola Gianotti, la curatrice del Moma di New York Paola Antonelli, il sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini e l'atleta paralimpica Bebe Vio.
Sulla mia pagina facebook trovate alcune immagini di questa missione.
Qui il mio saluto al presidente Obama all'inizio della cerimonia ufficiale al mattino.

2. Giù le tasse, più soldi per i malati
Meno emozioni, forse, arrivano dalla Legge di Bilancio 2017. Ma si tratta di un passaggio importante per il nostro Paese, sottovalutato nella discussione di queste ore. Non a caso ho deciso di dedicare alcune uscite televisive originariamente previste per il referendum all'approfondimento del Bilancio: oggi sarò in diretta al Tg5, domani con i ministri Calenda e Madia a Porta a Porta (dopo la bellissima fiction sui Medici). Perché mi sono accorto che anche i punti principali della Legge di Bilancio non sono stati illustrati a dovere.

    L'eliminazione di Equitalia e la possibilità di pagare le multe senza le supersanzioni e gli interessi di mora.
    I due miliardi di euro in più sulla sanità a cominciare dai farmaci oncologici innovativi.
    I soldi di Industria 4.0 con un pacchetto di misure per la competitività che non ha eguali nel recente passato.
    L'abbassamento delle tasse, ulteriore: dall'Ires al 24% alle partite Iva, all'Iri, al canone RAI che scende da 100€ a 90€, fino alle tasse agricole.
    L'aumento delle pensioni per chi prende meno di mille euro: avranno una quattordicesima. E la possibilità di andare in pensione con qualche anno di anticipo con la formula "Ape".
    E la possibilità di sbloccare alcune partite ferme da tempo sul pubblico impiego, a cominciare dal comparto sicurezza, dai contratti e da nuove assunzioni nei settori di prima necessità (come infermieri e agenti di pubblica sicurezza).

Potrei continuare a lungo. Ma la sintesi è semplice: in questa stabilità ci sono diverse buone notizie (e non ho citato quelle per gli enti locali, per gli studenti e i ricercatori, per la scuola, per gli abbonamenti ai pendolari: l'elenco potrebbe continuare). Queste buone notizie sono state possibili nonostante un lavoro incredibile di abbassamento del deficit visto che siamo a 2,3%, il livello più basso degli ultimi dieci anni. Passo dopo passo, stiamo restituendo ai cittadini dignità e servizi.
A me piacerebbe che sui temi della legge di stabilità anche chi fa sempre polemica trovasse un minuto di onestà intellettuale per discutere nel merito. Erano tutti a favore di un aumento dei fondi alla sanità, perché fare polemica adesso? Erano tutti per chiudere Equitalia, perché fare polemica adesso? Aspetto le vostre mail: matteo@governo.it

3. Viaggio in Italia
Prosegue il mio viaggio dentro il cuore profondo del Paese (qui il video sintesi della settimana). A Pistoia abbiamo visitato la Hitachi, ex Breda, che ha fatto nuovi investimenti nelle fabbriche e si accinge a produrre per Ferrovie dello Stato 300 nuovi treni pendolari. Non pensiamo solo all'alta velocità insomma. Al Sant'Anna di Pisa ho sfidato gli studenti e i ricercatori a sommergerci di idee, proposte, suggerimenti e critiche in una sorta di gara di idee per il Paese. A Taormina abbiamo presentato il logo del G7. A Messina abbiamo firmato il Patto per la città: nelle prossime ore faremo lo stesso a Napoli. A Palermo abbiamo inaugurato l'anno accademico, cosa che faremo alla fine di questa settimana anche a Padova. E dal profondo sud ovest di Trapani fino al nord est di Vicenza (giovedì prossimo, pomeriggio), passando per Avellino, continuano gli appuntamenti di Basta un Sì. A proposito: mentre Massimo D'Alema non trova di meglio che insultare gli elettori anziani, io continuo a fare confronti - credo civili e pacati - con il mondo del NO. Dopo Travaglio e Zagrebelsky, è la volta di Ciriaco De Mita che sosterrà le ragioni del NO in un confronto da Enrico Mentana su la7 venerdì prossimo alle 22.30 Chi vuole darci una mano per sostenere le ragioni del Sì, smentire le "Bufale del No", fare un comitato o aiutarci a livello economico (stiamo per raggiungere quota mezzo milione) può digitare l'indirizzo www.bastaunsi.it. Mancano 41 giorni al voto e noi abbiamo bisogno dell'aiuto di tutti i cittadini che credono che sia arrivato il momento di cambiare. Perché - come ci spiega qui in modo inappuntabile la nonnina - se voti no, non cambia niente.
Ah, ultima considerazione. Ricordate la polemica sulla scheda? Bene. Dopo giorni di discussione il Tar del Lazio ha respinto il ricorso dei professori del NO. Questa è la scheda che troverete in cabina elettorale, dunque.
La domanda è chiara, la risposta adesso è nelle mani del popolo italiano.
Ci sarebbero molti altri argomenti: la legge sul caporalato, il rapporto Green Economy, i dati del lavoro (nonostante il minor aumento siamo a più 588.000), il rapporto Export, ma ci torneremo in una delle prossime enews. Per adesso tutti al lavoro e a quelli che vogliono bene al PD l'invito a partecipare alla manifestazione sabato 29 ottobre a ROMA in PIAZZA DEL POPOLO nel primo pomeriggio. Il weekend successivo, da venerdì 4 a domenica 6 novembre, invece ci sarà la Leopolda.

Un sorriso, Matteo
www.bastaunsi.it

Pensierino della Sera. Da padre, dico che la frase di oggi del Presidente Mattarella sui vaccini è quantomai importante: "Occorre contrastare con decisione gravi involuzioni, come accade, ad esempio, quando vengono messe in discussione, sulla base di sconsiderate affermazioni, prive di fondamento, vaccinazioni essenziali per estirpare malattie pericolose e per evitare il ritorno di altre, debellate negli anni passati." Si perdono voti a dirlo? Forse. Ma è giusto e doveroso pensare ai nostri bambini. Voi che dite? matteo@governo.it

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« Risposta #166 inserito:: Novembre 08, 2016, 11:16:37 pm »

“Non dipende più da me, ma da noi.
Proviamoci”, Matteo Renzi chiude la Leopolda 2016   
La cronaca della giornata conclusiva della settima edizione della Leopolda

INVIATO A FIRENZE – Si conclude la tre giorni della Leopolda e si conclude come sempre con il discorso che tutti attendevano, quello di Matteo Renzi. L’aveva detto, voleva levarsi dei sassolini dalle scarpe e qualcuno, in effetti, se l’è tolto. Non ha affondato il colpo, ma ha voluto prendere le distanze da quei leader del No, compresi quelli del suo partito. Una compagine molto eterogenea che va da D’Alema a Salvini e che se “messi nella stessa sala per trovare un’idea comune non escono più”. I convitati di pietra di questa Leopolda sono stati D’Alema e Bersani, il primo spesso nominato, e anche fischiato, il secondo invisibile. Di Bersani non si è parlato direttamente alla stazione fiorentina, il suo nome non si è ascoltato, ma i messaggi rivolti a lui sono stati molti.

A prevalere è stato comunque il messaggio del cambiamento, l’idea che il referendum del 4 dicembre è uno snodo cruciale per scegliere tra una generazione che vuole guardare al futuro e una che “vuole solo tornare in pista”. Con due passaggi chiave: la Leopolda non finisce qui, comunque vada il referendum, anzi Renzi ha già annunciato le date del prossimo anno; i sondaggi contano poco e, come successe alle Europee del 2014, possono essere capovolti.

LIVEBLOG

“Cosa dobbiamo fare lo sanno perfettamente gli italiani: cambiare per affrontare le sfide globali. Adesso non dipende più da me, ma da noi”.

“Dalla Leopolda io vi dico proviamoci, non lasciamo il futuro nelle mani di chi vuole frenare. Quando ci dicono voi siete l’Italia proviamolo un moto d’orgoglio”.

“Quando abbiamo incontrato Barack Obama e sua moglie c’è una cosa che mi ha colpito del suo pensiero: ‘L’Europa è a un bivio e voi siete importanti perché siete l’Italia’, il presidente Obama nell’ultima sua cena di stato che ha deciso di fare con il nostro Paese, non con me, ci ha voluto dire voi siete l’Italia”

“Abbiamo 28 giorni potenzialmente meravigliosi: a voi la scelta se essere spettatori, leoni da tastiera che poi non riescono a guardarti negli occhi, ogni riferimento a Marco Travaglio è puramente casuale, o protagonisti. Se pensare che fare politica sia fare zapping, fatelo, io non voglio cambiare canale, voglio cambiare il Paese”.

“Nel 2014 i sondaggi dicevano Renzi e Grillo alla pari, ci si domandava che succederà al Governo visto l’imminente sorpasso. Tutti sappiamo com’è finita, noi il 40 loro al 20 e il sorpasso è rimasto solo un magnifico film”.

“Oggi per la prima volta c’è l’occasione di abbattere i privilegi della casta, se non vince il Sì non c’è il ritenta, non ci sarà una nuova occasione”

“Una parte del nostro partito, quelli che 18 anni fa hanno decretato la fine dell’Ulivo perché non erano loro al comando, gli stessi che oggi vogliono decretare la fine del Pd perché hanno perso un Congresso. Bernie Sanders ora sta facendo campagna per Hillary, questo andrebbe spiegato ai sostenitori della ditta quando comandano loro”

“Gli 80 euro sono la prima manovra di ridistribuzione del reddito e di sinistra mai fatta, ed è in vigore da due anni e mezzo. Questa idea è nata 6 anni fa alla Leopolda”.

“Chi era che diceva ‘Con la cultura non si mangia’? Uno dei leader del No, per noi con la cultura si cresce, si crea lavoro. Per noi la cultura sono i 3 milioni di visitatori a Pompei, le tante persone in coda per vedere la Reggia di Caserta”

“E’ un’Italia che guarda all’Europa o un’Italia che guarda a una classe politica che ha già fallito e che fallirà ancora”.

“Tra due giorni avremo un nuovo presidente degli Stati Uniti, io mi auguro che sia una donna”.

“Quelli del No se li chiudi in una stanza per partorire una idea comune non escono più. Cosa hanno in comune quelli che sostengono l’uscita dall’Euro e quelli che sostengono l’austerity”.

“C’è gente che ha votato 6 volte Sì, tra Aula e commissione, e ora è il capo del No nel suo partito, mi riferisco a Renato Schifani. Poi c’è lo statista della lega, non mi riferisco a quello che si mette le magliette della polizia per sembrare dalla loro parte anche se con il suo partito ha bloccato gli stipendi delle forze dell’ordine per 7 anni, mi riferisco a l’altro statista che dopo aver fatto la legge elettorale ha detto ‘E’ una porcata'”

“Massimo D’Alema dice che lui l’avrebbe fatta meglio, perché non l’hai fatta te allora? Ne hai avuto l’occasione. Silvio Berlusconi ha detto che questa riforma rischia di creare un uomo solo al comando, lui che aveva fatto una riforma che il Presidente del Consiglio poteva sciogliere le Camere, noi che non abbiamo aumentato i poteri del premier. Noi saremo quelli della dittatura, non l’ha detto Grillo che ha detto che non l’ha studiata, se l’è fatta spiegare da Di Maio che non l’ha capita”.

“I leader del No, non vogliono difendere la Costituzione ma la loro posizione, perché sanno che il 4 dicembre è l’ultima occasione per tornare in pista”.

“Quando si dice di voler difendere la Costituzione e s’incappuccia e si scaglia un cartello stradale contro le forze dell’ordine non si difende, ma s’insulta la Costituzione. Se volevate venire alla Leopolda basta mandare una mail, basta iscriversi, non c’è bisogno di lanciare sassi. Il prossimo anno sarà dal 20 al 22 ottobre segnatevi le date per tempo. Se da piazza San Marco si gira per via Cavour non si vuole venire alla Leopolda, non serve Tuttocittà per capirlo, si vuole sfasciare la città e noi questo non lo permettiamo”.

“Noi abbiamo un’unica possibilità, ed è quello di recuperare la cosa più bella della politica, andare in contro alla gente e spiegargli questa riforma, chiedergli se vogliono scegliere il futuro o il passato, l’innovazione o la conservazione”.

“Se non fai le cose non sei in grado d’incidere sul futuro delle persone. Siamo ad un punto cruciale che è un derby tra la rabbia e la proposta, tra la nostalgia e il domani”.

“Noi stiamo restituendo all’Italia ciò che merita, ma per farlo abbiamo dovuto sostituire un gruppo dirigente che ci aveva governato fino ad allora”.

“Noi alla Leopolda abbiamo sempre parlato di futuro, ma non ci siamo accorti che parte di quel futuro l’abbiamo già realizzato. Se oggi molti quarantenni amministrano le città, non solo nel nostro partito, è perché qui abbiamo detto che non ci rassegnavamo a rispettare la fila. Certo non è l’età a garantire la buona politica, alcuni giovani sindaci sanno dire solo No”.

“Noi siamo quel governo che dice ai sindaci di ricominciare a fare progettazione per l’edilizia scolastica, tornate a progettare scuole perché le spese non saranno conteggiate nel patto di stabilità che piaccia o non piaccia ai burocrati di Bruxelles, perché i nostri figli valgono più dei bilanci”.

“Quello che serve dopo questo terremoto è l’idea che le prossime generazioni potranno vivere in case più sicure, andare a scuola ed essere al sicuro, è questo il senso della buona politica, guardare al futuro. Magari non porterà voti, non ne vedremo i risultati, ma è la cosa giusta da fare. Quando va giù la chiesa di San Benedetto a Norcia è normale che va ricostruita”.

“Qualche vignettista si dovrebbe rendere conto che con quella vignetta non offende noi, ma tutti quelli che non hanno più niente”.

“Il pensiero non solo della Leopolda ma di tutti gli italiani deve andare a tutti coloro che sono stati coinvolti nel terremoto del centro Italia. Va bene dire che siamo al loro fianco, va bene dire che lo stato c’è, noi che crediamo nell’Italia non dobbiamo solo ricostruire, ma dobbiamo costruire una diversa filosofia dell’Italia”.

“Sono molto felice per questa Leopolda, è stata sorprendente non solo per il Richetti cerimoniere, ma soprattutto perché nonostante sia una manifestazione organizzata da un partito di governo è riuscita ad entusiasmare”

Ritorna la corrente e Matteo Renzi inizia il suo intervento.

 

Finiscono gli interventi, sale sul palco Matteo Renzi, ma nel momento in cui il premier deve prendere la parola un blackout fa calare la Leopolda nell’oscurità.

E’ il momento di Giulio Del Balzo, che si sofferma sull’importanza di un futuro collegato all’Unione europea per i giovani, quindi sul palco Claudia Conte, architetto e prossima mamma, e Veronique Orofino, mamma da 48 giorni. Entrambe raccontano l’esigenza del rinnovamento per i propri figli, anche grazie alla riforma costituzionale.

Sul palco Massimo Recalcati: “Il Sì non altera, non profana i principi della nostra Costituzione. Non li altera perché resta fedele a quei principi, perché solo innovandola si resta fedele ai suoi principi. Vedo nella sinistra del No 3 sintomi: 1) La paura del cambiamento: Matteo Renzi per loro è il nemico assoluto, perché rappresenta il cambiamento, per loro l’immobilismo è la condizione migliore. 2) Il fascino masochista per il No: Per loro la sinistra è di lotta, ma Berlinguer ci ha insegnato che senza il governo la sinistra è solo distruzione, mentre la sinistra dovrebbe essere costruzione. 3) Il paternalismo: dicono sono ragazzi, non sanno scrivere, è la sindrome del padre che continua a dare lezione ai figli e non li ascolta, quei padri che non vogliono che i figli progrediscano. Matteo Renzi ha avuto il merito di riportare nell’alveo democratico molti giovani, che da anni finiscono nelle mani dei populisti”.

E’ il turno di Lorenzo Musotto, volontario per il Sì a Milano: “Ho 22 anni e mi sono avvicinato alla politica da un anno con il progetto del Pd Milano di ‘Bella ciao Milano’, le magliette gialle. Poi con la campagna che ha portato Beppe Sala a Palazzo Marini. Io vengo da un quartiere periferico dove la politica non interessa molto ai giovani e molti mi chiedono ‘Ma cosa pensi di cambiare? ’ per me fare politica, buona politica è l’unico modo per cambiare le cose, e il Sì al Referendum è un passaggio fondamentale per determinare il mio futuro”.

Sale sul palco il premio Strega 2011 Edoardo Nesi: “Nella sfida del 4 dicembre da una parte c’è il progresso, dall’altra la conservazione. Non c’è niente di male ad essere conservatori, ogni tanto sono anch’io conservatore quando credo nella scienza piuttosto che alle scie chimiche. E’ molto facile dire che si vuole il cambiamento e mantenere la conservazione, vestirsi da innovatori ed essere conservatori, dire di non essere contro il cambiamento, ma contro questo cambiamento”.

Sul palco della Leopolda il presidente della regione Emilia Romagna, Stefano Bonaccini: “Io vengo da una terra che ha saputo diventare uno dei luoghi con la qualità della vita migliore d’Europa partendo da una situazione in cui si era una delle terre con una qualità della vita peggiore. L’abbiamo fatto con il coraggio, il riformismo e la visione del futuro. Ecco chi è in dubbio oggi dovrebbe guardare alla storia della mia terra. Noi per primi abbiamo diminuito le indennità dei consiglieri regionali, non siamo degli eroi abbiamo fatto in anticipo quello che c’è scritto nella riforma costituzionale fatta da questo governo. Dobbiamo votare Sì per il futuro del nostro Paese e dei nostri figli”.

E’ il momento di Oscar Farinetti: “So che vinceremo perché abbiamo voglia di vincere e la voglia di vincere ci farà vincere non per noi, ma per il Paese. Quando si fa una scelta la si fa in funzione di quello che succederà dopo: se vince il No prenderanno piede gli estremisti. Se vinceranno i Sì prevarranno i più moderati e noi potremo dialogare anche con persone che la pensano in maniera differente da noi senza dover urlare”.

Sale sul palco Silvia Del Riccio, futura mamma di Alice che legge una lettera “scritta” dalla nascitura.

Sale sul palco per parlare di futuro un papà, il sindaco di Prato Matteo Biffoni: “Nel 2010 ero qui con molta speranza e molte idee, nel corso di questi anni molti di noi hanno avuto ruoli pubblici e quelle idee sono diventate realtà. Questa riforma porterà un pezzo di futuro che chiedevamo fin dal 2010. L’Italia che ci piace è quella che porta in fondo le proprie idee con coerenza, un’Italia che ha coraggio, la stessa che salva migliaia di migranti, la stessa che ricostruirà i paesi colpiti dal terremoto, la stessa che il 4 dicembre ci consegnerà il futuro sperato”.

Alla Leopolda arriva anche il Brunelleschi della serie tv sui Medici, Alessandro Preziosi: “Interpretando Brunelleschi ho capito quanto scetticismo ha dovuto affrontare. Quando si fa qualcosa di geniale, qualcosa fuori dalla comprensione, qualcosa d’innovativo si va sempre incontro allo scetticismo, è il destino degli innovatori. L’arte riesce a rendere possibile quello che sembra impossibile, la politica dovrebbe fare lo stesso, per fare questo bisogna comprendere le ragioni dell’altro. Auguro al presidente Renzi e ai suoi ministri di comprendere sempre le ragioni degli altri per rafforzare le proprie”.

Sale sul palco Patrizia Asproni, ex presidente Fondazione Torino Musei: “Spesso sento definire la cultura come oro o come petrolio. Ma la cultura è come l’acqua della mente, è quella sostanza senza la quale non c’è la vita. E come l’acqua deve esser di tutti, sostenibile e accessibile a tutti. Io dico Sì a questa riforma e per dire Sì al futuro e alla cultura.”

E’ il momento del lavoro con il segretario della Fim Cisl, Marco Bentivogli: “Non sono del Pd, ma sono qui per dirvi che non c’è solo un sindacato ideologico, non c’è solo un sindacato che non vuole guardare al futuro, c’è anche un sindacato che vuole il cambiamento. Noi vogliamo arginare il saccheggio populista del movimento operaio, quella storia è troppo importante per cederla ai populisti. Si può fare a meno di una parte di sindacato, quella parte che ha confuso i diritti con l’abuso dei diritti, che ha confuso il diritto di sciopero con l’abuso al diritto di sciopero. Il sindacato deve fare il sindacato, non politica. Deve rappresentare i lavoratori, non gli interessi personali di futuri leader politici”. L’intervento di Bentivogli è stato molte volte interrotto dagli applausi del platea che ha dimostrato di apprezzare molto le sue parole.

Sale sul palco Veronica Catania, storica frequentatrice della Leopolda e mamma di Clio: “Ho scelto di votare Sì perché voglio un sistema sanitario equo, giusto e unico, per le mie figlie quella che porto in grembo e quella già nata”.

Il sindaco di Bari: “Se votiamo No il giorno dopo non troveremo qualcuno che farà meglio la riforma, non avremo una riforma per anni, per questo voterò Sì, per il futuro dei miei figli”.

Dopo Andrea Occhipinti è nuovamente il turno di un sindaco, il presidente dell’Anci Antonio Decaro: “I sindaci non chiedono ai cittadini chi hanno votato, i sindaci risolvono i problemi dei cittadini. Io da presidente dei sindaci non ho chiesto la provenienza politica dei sindaci di Camerino o Visso che mi chiedevano di aiutarli a ricostruire, oppure la provenienza politica del sindaco di Porto Sant’Elpidio che ora fa il doppio sindaco per i suoi cittadini e per gli sfollati che ha accolto nella sua città. Quando parliamo di accoglienza e integrazione dovremmo ispirarci al sindaco di Riace. Io i sindaci li rispetto tutti, quelli che voteranno Sì e quelli che voteranno No. Io voterò Sì per un Paese migliore, più veloce e più giusto”.

Si parla di cinema con Andrea Occhipinti: “Quando è stata approvata la legge sul cinema ero a Los Angeles e ho iniziato a raccontare agli americani questa legge e loro erano entusiasti, mi dicevano ‘L’Italia si sta muovendo, finalmente avete fatto qualcosa per l’industria cinematografica’. Ripeto ero a Los Angeles, la capitale mondiale del cinema, un’industria in attivo che produce utili e impiega numerose persone”.

Giorgio Gori: “La politica è discutere, decidere, fare. Se discuti decidi e non fai c’è un problema. L’Italia non si può permettere di impiegare 563 giorni per approvare un provvedimento. Quanto ci è costata l’anarchia delle politiche energetiche, quanto è costata la frammentazione delle politiche turistiche, è ora di avere una politica unica per tutte le regioni su alcuni temi chiave. Il 4 dicembre facciamo fare un salto nel futuro a questo Paese, facciamo vincere il Sì”.

Matteo Richetti apre la terza e ultima giornata della Leopolda e ricorda che ieri era l’anniversario della morte di Giorgio La Pira, che è stato sindaco di Firenze e chiama sul palco Giorgio Gori che farà il primo intervento della giornata.

Da - http://www.unita.tv/focus/e-adesso-il-futuro-la-terza-giornata-della-leopolda-7-diretta
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« Risposta #167 inserito:: Novembre 21, 2016, 11:38:29 am »

Renzi: “Chi vota No è un’accozzaglia? Mi scuso se ho offeso, ma non è un’alternativa”
Il premier a In Mezz’ora accusa Landini: «Siete per la casta».
La replica: «Non è vero»


Pubblicato il 20/11/2016
Ultima modifica il 20/11/2016 alle ore 16:19

«Non sto dicendo che è un’accozzaglia chi non vota come me o per me. Sto dicendo come può un’accozzaglia di persone e forze politiche totalmente diverse che non la pensano allo stesso modo, costruire un’alternativa a questo governo. Se ho offeso qualcuno mi scuso, ma io intendevo fare un complimento». Lo dice il premier Matteo Renzi a In Mezz’ora.
“Non fatevi fregare, con No non si cambia più” 

«Vi stanno cercando di fregare, i senatori saranno eletti dai cittadini. Il punto è che non prenderanno lo stipendio e i rimborsi. Nessun pericolo per la democrazia» ha aggiunto Renzi. «I cittadini devono decidere se farsi fregare da chi dice che c’è una non ben definita pecca nell’ingranaggio. Se vince il No non cambierà più niente, nessuno nella prossima legislatura ridurrà i parlamentari».

Renzi: “Siete per la Casta”. Landini: “Non è vero” 
«Ho il sospetto che la riforma non l’abbia letta, Landini. Glielo dico con rispetto. Bisogna cambiare le cose, non difendere la Casta come fate voi» spiega il premier. “Non è vero, la Cgil era per un Senato vero delle autonomie, questa cosa invece è un animale bicefalo che non si capisce se verrà eletto. Io sono contro il doppio lavoro sempre e non capisco come si possa fare il sindaco o consigliere e il senatore. Questa riforma è malfatta», ribatte Maurizio Landini. 

“Impensabile difendere il Cnel” 
Lo scontro va avanti a lungo. «Capisco la solidarietà tra colleghi sindacalisti, ma difendere il Cnel è impensabile per chiunque», attacca Renzi. «Sul Cnel non ho problemi ma la Costituzione non può essere cambiata all’ingrosso, siete voi a far votare 40 articoli insieme», replica il leader Fiom. «Non dica che la procedura legislativa è incomprensibile perché basta leggerla», afferma il premier. «Avevamo proposte perché non siamo perché le cose rimangano come adesso. I titoli sono giusti, il problema è lo svolgimento», dice Landini.

Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2016/11/20/italia/politica/renzi-chi-vota-no-unaccozzaglia-mi-scuso-se-ho-offeso-ma-non-unalternativa-ToD3AD9E5lIrQv7IyeLdvO/pagina.html
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« Risposta #168 inserito:: Dicembre 05, 2016, 10:05:48 am »

Con questi due elementi si può ragionare sul punto di oggi.

Oggi il Movimento 5Stelle si prepara a governare (d'obbligo gli scongiuri anche quelli volgari se funzionano).

La Lega pensa al come conservare il potere locale, dove può (dicendo che il CentroDestra non esiste se non come Polo).

Il PD deve ammorbidire, subito, le carni indigeste e dure del suo attuale spezzatino, per farne (dopo averlo tritato) una compatta polpetta o carne da ragù.

La stupidità di molti la si vedrà maramaldeggiare, per un poco di tempo, sopra il corpo politico del Renzi ferito.
Poi dipende da Renzi se perire (sempre politicamente) o esprimere meglio cosa ne vuol fare del consenso che ha saputo raccogliere, malgrado errori di gioventù.

Noi dell'Ulivo potremmo riproporre le tesi Prodiane RIVISTE E AGGIORNATE, e mantenere la serenità di chi ha buone idee,
... che non sono state ancora comprese da chi ne avrebbe un gran bisogno, gli Italiani.

ciaooooooo 

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« Risposta #169 inserito:: Dicembre 05, 2016, 04:26:06 pm »


Hanno vinto i veri poteri forti (non quelli paventati dai nani politico-economici anti-renziani di casa nostra) che stanno da anni assaporando pezzi d’Italia economica per arrivare, grazie ai "vincitori" di oggi, a sottometterci anche politicamente (è un fardello storico il nostro essere appetiti da stranieri). Ciaooo

Da FB del 05/21 in Arlecchino
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« Risposta #170 inserito:: Dicembre 10, 2016, 11:32:17 am »

Matteo Renzi avvia le "consultazioni" a Palazzo Chigi: "Resto fuori dal governo".
Ipotesi Gentiloni premier

Pubblicato: 09/12/2016 18:51 CET Aggiornato: 23 minuti fa

E’ metà mattinata quando Paolo Gentiloni varca la soglia di Palazzo Chigi. Ad attenderlo c’è il premier dimissionario Matteo Renzi, tornato a Roma oggi dopo aver trascorso il giorno dell’Immacolata in famiglia a Pontassieve. Mentre al Quirinale Sergio Mattarella avvia il suo secondo round di consultazioni con ben 17 gruppi e gruppetti parlamentari solo nella giornata di oggi, è nel palazzo del governo che si cerca la quadra per la nascita di un nuovo esecutivo. Renzi avvia di fatto le sue ‘consultazioni’ con i leader Dem. Oltre a Gentiloni, riceve Pier Carlo Padoan. Incontra Matteo Orfini e sente al telefono Graziano Delrio. A Palazzo Chigi arriva anche Maurizio Martina. I contatti con Dario Franceschini sono continui. La giornata cancella l’ipotesi di un Renzi bis. E rafforza invece la carta di Gentiloni premier di un governo che confermerebbe Padoan all’Economia. Gentiloni potrebbe giurare già domenica. Ma Renzi vuole la garanzia che si voti a primavera e chiede di chiudere un’intesa su un sistema elettorale semi-proporzionale. Intanto si prepara a lanciare la fase congressuale già il 18 dicembre, nell'assemblea nazionale del Pd.

All’ora di pranzo la campanella che dice “sbrigatevi” la suona la Bce. L’istituto di Francoforte respinge la richiesta di Mps di aver maggior tempo per l’aumento di capitale. Tradotto: serve un intervento del governo, un decreto, serve ‘un governo’. E’ questa urgenza che nel primo pomeriggio, mentre a Palazzo Chigi continua l’andirivieni di leader e contatti, i telefoni squillano, le trattative fervono, rafforza la carta Gentiloni. Al Colle invece la storia Mps rafforza la carta Padoan. Mattarella insiste fino all'ultimo sul ministro del Tesoro. Ma Renzi è irremovibile e su Gentiloni stringe il patto con il Pd.

Così il ministro degli Esteri diventa punto di mediazione tra Renzi e Mattarella. Dopo che è caduta l’ipotesi iniziale del capo dello Stato: cioè un reincarico di Renzi. In quanto, spiegano fonti istituzionali di alto livello, a norma di Costituzione nulla obbliga il premier a dimettersi dopo la sconfitta referendaria. Ma Renzi fa un altro ragionamento.

“Io non sono disponibile”, ha spiegato a chi lo ha incontrato a Palazzo Chigi. Intorno, i primi scatoloni del trasloco. Al premier uscente non sarebbe dispiaciuta l’ipotesi disegnata dal pentastellato Luigi Di Maio: congelare tutto così com’è, Renzi resta a Palazzo Chigi dimissionario con tutto il governo fino alla sentenza della Consulta a gennaio e poi si vota. Insomma, una gestione degli affari correnti e basta. Ma la bomba a orologeria di Mps spazza via anche questo scenario, che comunque non era gradito a Mattarella. Renzi non vuole un reincarico, “perderei la faccia”, continua a dire ai suoi. E allora emerge l’ipotesi Gentiloni, frutto anche di un patto interno con Franceschini, con cui Renzi ha un chiarimento a sera: faccia a faccia a Palazzo Chigi. Della serie: “Nulla nasce contro il segretario del Pd”, ha continuato a dire in questi giorni il ministro dei Beni Culturali. Dietro, c’è la ‘last call’ del Quirinale. Della serie: ‘Se non sei tu, indica un nome, caro Matteo che resti segretario del Pd. Altrimenti facciamo noi’.

Certo ancora fino al primo pomeriggio, pure dal Pd - oltre che dal Colle - arrivavano sollecitazioni su Padoan. Più tecnico, più neutro, meno politico: contro di lui si scatenano meno invidie e gelosie. Ma per il premier la carta preferita è Gentiloni, uno dei pochi fedelissimi non toscani, punto di riferimento della cerchia del segretario Pd a Roma. Con l’esperienza maturata alla Farnesina può gestire agevolmente gli appuntamenti esteri importanti del prossimo futuro: dal Consiglio europeo della prossima settimana alla celebrazione dei 60 anni del Trattato di Roma a marzo. Ma non il G7 di Taormina.

Non per incapacità di Gentiloni, bensì perché Renzi vorrebbe aver votato per quella data di fine maggio.

Sta qui il nodo di tutto il puzzle. A sera Gentiloni torna a Palazzo Chigi per un nuovo faccia a faccia con Renzi. Con i suoi interlocutori Dem il premier uscente ragiona anche di data e sistema elettorale. Vuole garanzie che si torni al voto al più presto, approfittando magari della finestra delle amministrative di primavera. Twitta il renziano Andrea Marcucci:

Si può votare dal 15 aprile al 15 giugno, indicano dalla cerchia del premier, una tornata che interessa circa mille comuni e che per Renzi potrebbe ben estendersi alle politiche. Per avere una garanzia sulla data, Renzi vuole anche garanzie sulla legge elettorale, per seminare e raccogliere subito dopo la sentenza della Consulta sull’Italicum. Insomma, per non farsi trovare impreparato. L’Idea è un semi-proporzionale che piace anche a Silvio Berlusconi. L’ex Cavaliere salirà domani al Colle: nel Pd sono tutti in attesa di sapere cosa andrà a dire a Mattarella. L’auspicio è di poter stringere un patto di non belligeranza sulla base della legge elettorale.

La squadra Del governo Gentiloni continuerebbe a far parte Luca Lotti, braccio destro del segretario che resterebbe a Palazzo Chigi come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Padoan verrebbe riconfermato all’Economia. E in squadra resterebbero sia Orlando che Franceschini, Delrio e Martina, Poletti e anche Alfano confermato al Viminale. Ma non farebbero parte del governo i ministri bocciati dai fatti. Tre nomi: Giannini per le contestazioni alla Buona scuola, Lorenzin per alleggerire il peso di Ncd nel governo, Boschi (al suo posto si fa il nome di Giachetti) per via della sconfitta al referendum che su di lei funzionerebbe come con Renzi. Via tutt’e due dall’esecutivo. In bilico anche Madia, per via della bocciatura della sua riforma da parte della Consulta, ma il ministro della Pubblica Amministrazione potrebbe restare per i decreti attuativi ancora sul tavolo. Nella squadra di Gentiloni non entra alcun ministro verdiniano. A sostituire quello che dovrebbe essere il prossimo premier alla Farnesina si fa il nome di Carlo Calenda, attuale responsabile dello Sviluppo Economico.

Davanti a Palazzo Chigi, il fotografo di Renzi, Tiberio Barchielli, prende una boccata d’aria e per la prima volta non porta con se la macchina fotografica. Segno anche questo che il suo compito dietro al premier è terminato, magari comincerà a seguire solo il segretario. Perché nell’accordo interno al Pd che dovrebbe portare Gentiloni a giurare al Quirinale c’è anche il congresso del partito a partire da subito. Primarie aperte per la nuova segreteria. Renzi le lancerà il 18 dicembre, in occasione dell'assemblea nazionale del Pd.

Lo chiedono con forza i Giovani Turchi, lo chiede il governatore Michele Emiliano che scalpita per candidarsi, come il governatore toscano Enrico Rossi e chissà forse anche Sergio Chiamparino. Una chiamata alla sfida interna che Renzi avalla: gli serve per rilegittimarsi dopo la sconfitta pesante del 4 dicembre. E per ora sa di avere dalla sua parte i Giovani Turchi che a quanto pare non candiderebbero il ministro Andrea Orlando ma sosterrebbero l’attuale segretario. Il perché sta nei 13 milioni di sì comunque incassati al referendum, così te la spiegano. “Con primarie aperte vince lui”, ti dicono.

E Franceschini? Nell'incontro serale a Palazzo Chigi, ha avuto un chiarimento con Renzi e gli ha garantito appoggio. Anche per il congresso. “Lui sta con chi vince”, prevedeva già nel pomeriggio più di un renziano. Per loro, vince ancora Renzi. Chissà. La prossima settimana una nuova direzione nazionale – forse martedì – potrebbe portare allo scoperto le posizioni in campo tra i Dem. Un campo minato.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/12/09/matteo-renzi-palazzo-chigi_n_13531930.html?utm_hp_ref=italy
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« Risposta #171 inserito:: Dicembre 10, 2016, 09:25:59 pm »

Il Referendum, del 4 dicembre ci obbliga, ma obbliga soprattutto "il Potere", alla considerazione che gli "Ultimi" non possono seguitare a rimanere tali, ai livelli cui siamo arrivati oggi.
Siamo ad un punto in cui gli Ultimi sono cresciuti, arrivando ad una misura tale e con una estensione nei vari segmenti del sociale che paralizza la razionale ricerca delle ragioni del convivere.


Il Referendum ha battuto "l'indifferenza"! Adesso tocca al Potere discernere, "rovistando tra l'accozzaglia" dei NO, per non commettere l'errore di dare a quei NO significati nebulosi, annebbiati dalla peggiore tifoseria, o addirittura rendendolo pericoloso strumento nelle mani di incapaci o peggio.

La Democrazia è difficile da vivere ma non dobbiamo farne fare un uso distorto di corto respiro.

La CULTURA deve avere la forza di mettersi alla testa degli Ultimi come motore di Rinascita e Nascita di una società diversa e più giusta.
I Piccoli Editori Indipendenti, anche loro tra Ultimi (perché poveri, ma non incapaci) sono l'avanguardia coraggiosa di una Dignità Nazionale da dissotterrare, liberare da chi l'ha sepolta, rilanciare nel Mondo. Ciaooo

Da FB del / dicembre 2016
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« Risposta #172 inserito:: Dicembre 11, 2016, 05:36:06 pm »

Il post di Renzi: «Torno a casa davvero»

Di Nicoletta Cottone 11 dicembre 2016

«Torno a Pontassieve, come tutti i fine settimana. Entro in casa, dormono tutti. Il gesto dolce e automatico di rimboccare le coperte ai figli, un'occhiata alla posta cartacea arrivata in settimana tanto ormai con internet sono solo bollette, il silenzio della famiglia che riposa. Tutto come sempre, insomma. Solo che stavolta è diverso. Con me arrivano scatoloni, libri, vestiti, appunti. Ho chiuso l'alloggio del terzo piano di Palazzo Chigi. Torno a casa davvero». Inizia così un lungo post pubblicato in piena notte da Matteo Renzi su Facebook e Twitter nel giorno in cui lascia palazzo Chigi. Renzi ha confermato così che l’ipotesi di un reincarico non è sul tavolo. In mattinata arriva la convocazione al Quirinale alle 12,30 per l’attuale ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni.

Ho sofferto a chiudere gli scatoloni
«Ho sofferto a chiudere gli scatoloni ieri notte, non me ne vergogno: non sono un robot. Ma so anche che l'esperienza scout ti insegna che non si arriva se non per ripartire. E che è nei momenti in cui la strada è più dura che si vedono gli amici veri, l'affetto sincero. Grazie a chi si è fatto vivo, è stato importante per me», ha proseguito Renzi. Confermando il suo impegno in politica: «Ci sentiamo presto, amici», è la promessa con cui chiude il messaggio.

Mille giorni di governo «davvero fantastici»
Ripercorre i «mille giorni davvero fantastici» di permanenza al governo, fa l'elenco «impressionante delle riforme>, ma annuncia anche che il suo non è un addio alla politica: «non ci stancheremo di riprovare e ripartire». Sono stati, scrive, «mille giorni di governo fantastici. Qualche commentatore maramaldo di queste ore finge di non vedere l'elenco impressionante delle riforme che abbiamo realizzato, dal lavoro ai diritti, dal sociale alle tasse, dall'innovazione alle infrastrutture, dalla cultura alla giustizia».

Delusione per la riforma costituzionale
«Certo - scrive ancora - c’è l’amaro in bocca per ciò che non ha funzionato. E soprattutto tanta delusione per la riforma costituzionale. Un giorno sarà chiaro che quella riforma serviva all’Italia, non al Governo e che non c'era nessuna deriva autoritaria ma solo l'occasione per risparmiare tempo e denaro evitando conflitti istituzionali. Ma quando il popolo parla, punto. Si ascolta e si prende atto. Gli italiani hanno deciso, viva l'Italia. Io però mi sono dimesso. Sul serio. Non per finta. Lo avevo detto, l'ho fatto».

L’ultima fiducia mercoledì con 170 voti
Ricorda che il suo governo ha i voti in Parlamento. «Di solito si lascia Palazzo Chigi perché il Parlamento ti toglie la fiducia - ricorda il premier dimissionario - Noi no. Noi abbiamo ottenuto l’ultima fiducia mercoledì, con oltre 170 voti al Senato. Ma la dignità, la coerenza, la faccia valgono più di tutto. In un Paese in cui le dimissioni si annunciano, io le ho date. Ho mantenuto l'impegno, come per gli 80 euro o per l'Imu. Solo che stavolta mi è piaciuto meno:-)».

Non ho il paracadute del seggio elettorale
«Torno semplice cittadino. Non ho paracadute. Non ho un seggio parlamentare, non ho uno stipendio, non ho un vitalizio, non ho l’immunità. Riparto da capo, come è giusto che sia. La politica per me è servire il Paese, non servirsene». Poi fa gli auguri a chi andrà a palazzo Chigi dopo di lui. E racconta che nei prossimi giorni sarà impegnato «in dure trattative coi miei figli per strappare l'utilizzo non esclusivo della taverna di casa: più complicato di gestire la maggioranza». E lancia un messaggio «ai milioni di italiani che vogliono un futuro di idee e speranze per il nostro Paese dico che non ci stancheremo di riprovare e ripartire. Ci sono migliaia di luci che brillano nella notte italiana. Proveremo di nuovo a riunirle. Facendo tesoro degli errori che abbiamo fatto ma senza smettere di rischiare: solo chi cambia aiuta un Paese bello e difficile come l'Italia».

© Riproduzione riservata

Da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2016-12-11/il-post-renzi-torno-casa-davvero-104730.shtml?uuid=ADwU0iBC
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« Risposta #173 inserito:: Dicembre 12, 2016, 04:17:04 pm »

Perché l’Italia si è spaccata e Matteo Renzi potrebbe invitare a cena Pier Luigi Bersani
Dopo il referendum non si parla più di riforme costituzionali: ha vinto il «No» ma quanto è sostenibile il No al cambiamento?

Pubblicato il 12/12/2016
Beniamino Pagliaro

La netta vittoria del No al referendum sembra aver convinto tutti che le riforme alla Costituzione non siano più necessarie. La classe politica ha ora altri pensieri e si è doverosamente ritirata in buon ordine, perché il popolo ha parlato. E chi siamo noi per giudicare il popolo? Vince la maggioranza ed è giusto così. Ma non dovremmo confondere la maggioranza con la verità assoluta.

Il voto «contro» ha travolto tutto e le ragioni del Sì sono state un’arma debole contro la possibilità - offerta su un piatto d’argento - di cacciare il governante in carica. Non viene in mente un premier degli ultimi vent’anni che non sarebbe stato travolto in un Paese con la disoccupazione all’11,6% e dopo anni pesanti, se al popolo fosse stata data questa possibilità.

Ora che di Costituzione non si parlerà più per un po’, però, si può dire che la gran parte delle misure era una sacrosanta semplificazione, richiesta evergreen e bipartisan, a un sistema da tutti definito troppo complicato, in cui da anni ci si lamenta dei troppi decreti e di un Parlamento inadeguato. Si poteva fare meglio, si poteva scrivere meglio il testo, si poteva trovare una maggiore condivisione (la condivisione di molti in Parlamento c’era ed è stata poi ritirata) e la poca chiarezza sull’elezione dei senatori non ha aiutato. Ma non prendiamoci in giro sulla sostanza. Per colpe varie, in primis di Matteo Renzi, il voto non è stato sulla Costituzione. Parliamo del resto.

Sono giorni senza vincitori. Il No ha vinto ma i sostenitori non possono andare al voto, chi voleva la riforma si trova davanti un governo anomalo, allo stesso tempo simile e molto diverso da quelle precedente. C’è una parte del Paese profondamente delusa dall’esito del voto, che lunedì scorso pensava di vivere il remake italiano del risveglio dopo Brexit. Quello di giugno era stato uno shock. Questo è meno forte, perché riguarda più l’Italia che tutta l’Europa, perché troveremo un modo per uscirne pure questa volta, perché gli italiani sono fatti così.

La delusione ha qualcosa a che fare con l’effimera sensazione che negli ultimi tempi l’Italia si fosse mossa un po’. Non bisogna essere renziani e nemmeno del Pd per riconoscere alcuni fatti. L’amore di polemica e i tormentoni travolgono tutto e semplificano: per esempio tanti pensano davvero che Renzi sia come Berlusconi a causa dello stile personalistico della comunicazione. Ora, sarà vero che Renzi a volte esagera, ma non è Berlusconi, né nel bene né nel male. Nel male per esempio: Renzi non è Berlusconi per conflitti di interessi e inchieste giudiziarie. Eppure quel messaggio è passato.

I fatti: alcuni indicatori economici dicono che l’economia italiana è migliorata durante il governo Renzi. La crescita è debole e alcuni fondamentali potrebbero essere migliorati anche grazie al lavoro dei governi Monti e Letta. I conti pubblici non migliorano ma le famiglie italiane stanno meglio e la disoccupazione è calata, pur restando alta.

Chi non ha lavoro e ha perso le speranze ha ragioni da vendere per andare a votare «contro». Ciascuno dei No, e forse in particolare i No maturati da sofferenze economiche, meritano rispetto. Il problema è che la somma dei singoli No, e il No gridato al Sistema, non offre in risposta alcuna garanzia di uscire dal problema stesso. È come andare a un corteo la domenica mattina: è sacrosanto manifestare se si crede in qualcosa, ma poi ugualmente il pranzo non sarà gratis, offerto dai valori di un tempo.

L’Italia è in effetti spaccata. La parte di Paese che lavora e compete nel mondo, indipendentemente da aver votato Sì o No, sa benissimo che non ha alcun senso rifiutare il Sistema. Lo sa perché ne fa parte, paga fior di tasse, e lavora tanto, perdendo a volte il tempo con burocrazie ottocentesche. Questa parte sa che non c’è welfare che possa tenere se non c’è lavoro, sa che il lavoro non c’è se non ci sono gli investimenti. Questa parte di Paese, lunedì mattina, si è sentita un po’ presa in giro ma dopo tutto si è rimessa al lavoro: è abituata a fare le cose nonostante lo Stato.

Il dramma è di chi è senza lavoro e speranze: è un’altra parte di Paese, che conterebbe sull’aiuto dello Stato e ha votato No per dire che così non va. Il dramma è che la riforma, a volerci credere anche solo parzialmente, prometteva un cambiamento. Un governo più stabile è quello che qualunque investitore vorrebbe vedere. Senza governo gli investimenti possono rallentare e così il lavoro. Non è un ricatto, non è turbocapitalismo: è semplicemente capire le regole del gioco, se si vuol giocare.

È tutto parte di un problema più ampio, ovviamente, e ciò è maledettamente noioso e poco sexy e non cattura l’attenzione dell’elettorato, creando un bel problema. Proprio chi poteva tifare di più per un cambiamento ha votato No e rischia di pagarne le conseguenze.

Nel 2009 negli Stati Uniti l’amministrazione Obama ha deciso di spendere 787 miliardi di dollari per rilanciare l’economia dopo la crisi finanziaria iniziata nel 2007. I risultati si sono visti perché oggi la disoccupazione è scesa sotto al 5%. Si può dire che l’America abbia creato il lavoro. Pur essendo un sistema economico diverso e molto più competitivo, con ancora meno garanzie per i lavoratori, viene da chiedersi: perché Renzi non ha fatto altrettanto? Non aveva quei soldi, perché l’Italia presenta ogni anno il proprio bilancio alla Commissione europea, che con l’obiettivo politico di tenere insieme l’Unione economica bacchetta i Paesi che spendono troppo rispetto a quanto incassano.

La reazione immediata è «al diavolo l’Europa!», e in parte anche Renzi ha chiesto di cambiare questa visione sui conti in Europa. Ma non è affatto semplice, perché l’Italia si presenta con il suo grande debito pubblico e non riesce da sola a condizionare le decisioni. Secondo molti la linea dell’Europa non è saggia, ma anche in questo caso vince la maggioranza, è democrazia: sono i risultati delle elezioni europee, che eleggono il Parlamento, la cui maggioranza pesa poi nella nomina della Commissione europea. La reazione immediata-bis, «usciamo dall’Europa», presenta grandi rischi.

Sarebbe bello avere una risposta che stia in una sola frase, ma non l’abbiamo ancora trovata.

Come è potuto succedere, insomma, che proprio i più deboli non abbiano voluto votare per cambiare? Per fortuna a questo abbiamo una risposta: è colpa della politica. È colpa di Renzi, che non ha mantenuto la promessa fatta per venire incontro alle partite Iva e ai lavoratori giovani, liberalizzando alcuni settori, temendo di essere impopolare per esempio con i tassisti. Era una scommessa a metà. Un calcolo politico comprensibile, frutto di un compromesso perché la coperta è corta, che puntava a premiare alcune fasce del Paese, dai redditi bassi con gli 80 euro ai proprietari di casa con la cancellazione dell’Imu.

Perché gli italiani che detestano la politica non hanno voluto diminuire il numero dei senatori e tagliare alcuni costi? È colpa di Renzi, che ha messo al centro se stesso e non la riforma, anche se forse non aveva grandi alternative.

Ma che facciamo ora? La sensazione di avere un premier tutto sommato normale è stata rimpiazzata dal timore di non avere più alternative. La frase «Renzi era l’ultima occasione» viene pronunciata spesso ed è probabilmente sbagliata. Ma è vero che Renzi ha fatto cose inedite in Italia, dalla riforma del lavoro, criticata ma considerata essenziale, alla legge sulle unioni civili.

La questione dell’ «ultima occasione» chiama in causa le alternative a Renzi, che fino a oggi sono state in grado di divenire molto popolari ma allo stesso tempo poco chiare. Dalla confusione personalistica del centrodestra ancora dipendente da Silvio Berlusconi e scosso dalla rincorsa della Lega, al Movimento 5 Stelle che a volte sembra impreparato, a volte ripete logiche poco trasparenti nelle sue decisioni politiche più importanti.

 
Forse Renzi, considerato da molti un abile politico, ha sottovalutato proprio la strategia politica. Forse è così che funziona quando una proposta nuova, come quella di Renzi nel Pd, deve confrontarsi con la fatica del governo. Ora molti guardano ancora a Renzi, convinti che saprà trovare una nuova via. Senza il peso del governo potrà occuparsi del partito e in primis ricomporre le fratture, anche se è faticoso ammettere di aver sbagliato.

Dopo il voto Pierluigi Bersani commentava in televisione il risultato del referendum e spiegava con la metafora della mucca nel corridoio l’esigenza di ascoltare il Paese che sta male, soprattutto perché non ha lavoro. È il Bersani delle liberalizzazioni ma anche quello della militanza orgogliosa. Pochi minuti prima di lui in tv c’era Graziano Delrio, che sembrava voler offrire una sintesi tra due mondi che non si parlano: difendeva Renzi per lo sguardo ottimista sul Paese così criticato dalla minoranza, senza però rinnegare la capacità di capire chi soffre.

Ora, se in gioco c’è il Paese sarebbe davvero incomprensibile che un leader che si è proposto come il nuovo e ha fatto già un pezzo importante di strada come Renzi non trovi il modo di chiudere questo solco, invitare a cena Bersani, parlare chiaro, mettere da parte le incomprensioni e i personalismi, i ricorsi storici della sinistra. Se così farà, che vinca o no il probabile congresso, Bersani o chi per lui non potrà tirarsi indietro. Soprattutto, se il Pd trovasse la forza di uscire da questa crisi obbligherebbe anche gli altri partiti a un cambio di passo: il centrodestra farebbe le primarie, il M5S presenterebbe un programma di governo. Così, infine, potremmo scegliere.

beniamino.pagliaro@lastampa.it  @bpagliaro 

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Da - http://www.lastampa.it/2016/12/12/italia/politica/perch-litalia-si-spaccata-e-matteo-renzi-potrebbe-invitare-a-cena-pier-luigi-bersani-oyPbkoXIoSiQL8CLf4ihtK/pagina.html
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« Risposta #174 inserito:: Dicembre 17, 2016, 01:53:42 pm »

Renziani allo sbando in parlamento, senza Matteo è dura
Con l’ex premier in esilio a Pontassieve c’è il “rischio di sbandare”

Pubblicato il 16/12/2016
Ultima modifica il 16/12/2016 alle ore 22:35
Andrea Carugati
Roma

La necessità di incontrarsi, di serrare i ranghi, perché col Capo momentaneamente fuori gioco nel suo esilio a Pontassieve c’è “il rischio di sbandare”. Mercoledì mattina, palazzo Madama. I senatori renzianissimi si incontrano guidati da Andrea Marcucci in un auletta, poco prima della fiducia a Gentiloni. Sono una ventina, quelli dell’inizio. I fedelissimi. Ci sono Rosa Maria Di Giorgi, Roberto Cociancich, Mauro Del Barba, Stefano Collina, Laura Cantini. “Senza Matteo è dura”, il sospiro di molti. Fino al 4 dicembre la linea la dava lui, senza esitazioni. E ora? “Dobbiamo capire cosa vuol fare domenica all’assemblea”. Tra i senatori di stretta osservanza non ci sono molti dubbi. “Bisogna votare al più presto”, ripete Marcucci ai suoi. “Se si passa l’estate come la reggiamo la polemica dei 5 stelle sui vitalizi? Diamo l’idea di avere paura del voto”, rincara Cociancich che ha guidato il comitato per il Sì al referendum.

Le paure, i fantasmi, non solo legati solo al fuoco delle opposizioni. Ma anche agli equilibri dentro il Pd. I renziani temono la presa di Franceschini sui gruppi parlamentari. Di perdere il controllo mano a mano che la legislatura dovesse allungarsi. E vedono tutti gli ostacoli di qui al voto in primavera: a partire dalla legge elettorale. In Senato la commissione Affari costituzionali ha perso la guida ferma di Anna Finocchiaro. “E ci sono ben tre senatori della minoranza, tra cui Gotor e Migliavacca”, spiega Marcucci. Il rischio è che senza una guida sicura la commissione si trasformi in un pantano. La soluzione per la presidenza potrebbe essere Vannino Chiti, non renziano ma considerato leale. “E adesso c’è pure la vicenda Mediaset che potrebbe spingere Berlusconi a far durare il governo il più possibile”, avverte un senatore. 

Insomma, il Piano A, quello delle primarie a marzo per il candidato premier e delle urne “entro giugno” si è già messo in salita. E anche tra i diversamente renziani c’è chi ha iniziato a suggerire al leader che è meglio” una fase di decompressione”. Evitare quindi una corsa alle primarie e al voto. Lasciare che Gentiloni faccia qualche correzione per recuperare consensi. Tra questi “prudenti” si iscrivono calibri del peso di Lorenzo Guerini e Graziano Delrio. La partita quindi non è più solo coi bersaniani che premono per evitare le urne, o con Franceschini e i Giovani turchi di Orfini e Orlando. Il “che fare?”, dopo la botta del 4 dicembre, si sta facendo strada anche tra i renziani. Suscita domande. Rischia di far sbandare. “Per il G7 serve un nuovo governo fresco di elezioni”, insiste Cociancich. Che pure, a domanda sulla tenuta dei gruppi, ammette: “E’ possibile che non tutti, nella maggioranza che guida il partita, ci seguano su questa strada”.

Ma anche dentro la riunione c’è chi vede questa road map come impraticabile. “Ho molti dubbi che l’agenda ci consenta di votare un primavera”, mette in chiaro Rosa Di Giorgi. “Prima c’è da aspettare la Consulta il 24 gennaio, poi gli impegni internazionali. Ci sono da fare decreti attuativi per molte riforme che noi abbiamo portato avanti…”. “Bisogna riflettere con molta attenzione”, avverte. “Analizzare il risultato del referendum, pensare bene alle conseguenze delle nostre decisioni, senza fare danni al Paese. A me pare che serva un momento di riflessione”. D’accordo con lei anche Lepri e altri renziani cattodem. Sullo sfondo l’avvicinarsi della pausa natalizia, che potrebbe congelare i dubbi del Pd fino a metà gennaio. Soprattutto se Renzi, come qualcuno sussurra, domenica all’assemblea dovesse decidere di non convocare le primarie per marzo. “Il tempo gioca contro Matteo”, si sfoga un fedelissimo.

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Da - http://www.lastampa.it/2016/12/16/italia/politica/renziani-allo-sbando-in-parlamento-senza-matteo-dura-x25kNDEHvdtPwXKaQdEn9H/pagina.html
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« Risposta #175 inserito:: Dicembre 20, 2016, 06:22:19 pm »


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Mario Lavia    @mariolavia
· 18 dicembre 2016

“Niente meline”, Renzi è già con la testa alle elezioni. Sul Mattarellum sfida Berlusconi
Sordina alle polemiche interne (tranne Giachetti verso la sinistra)

Un Matteo Renzi anche umanamente segnato dalla sconfitta dal referendum. Ma pronto a dare battaglia, perché “non si può scendere dicendo ‘mi sono stancato'”, anche se la tentazione di “mollare” ce l’ha avuta eccome. Quaranta minuti di analisi autocritica sul rovescio del 4 dicembre, un po’ di stilettate qua e là contro il M5S e tanto orgoglio per il suo Pd.

Ma il sentiment della lunga relazione di Renzi alla Assemblea nazionale del Pd pare soprattutto questo: la voglia, anzi l’impazienza, di giocare la prossima partita, la più importante, quella delle elezioni. “Stiamo andando verso il voto”, ha detto rivelando questa sua fretta. Per questo obiettivo, fra l’altro, il segretario ha bisogno di un clima diverso nel suo partito: ed ecco che le varie componenti della maggioranza (con Franceschini, Delrio, Orlando, Martina) si pongono sulla stessa lunghezza d’onda. Certo, Gianni Cuperlo chiede il Congresso presto. Ma è solo Roberto Giachetti a rompere quello che lui stesso chiama “clima idilliaco” scagliandosi contro Roberto Speranza con frase che rimarrà negli annali: “Hai la faccia come il culo”.

Goccia che fa traboccare il vaso della sinistra che non prende la parola (prima aveva parlato con toni dialoganti Guglielmo Epifani) e alla fine nemmeno vota la relazione del segretario, che infatti passa con 481 voti a favore, solo 2 voti contrari e 10 astensioni.

Renzi “vede” le elezioni – anche se non insiste esplicitamente, davanti al nuovo premier Gentiloni -e infatti mette fretta a tutti: “Non si faccia melina sulla legge elettorale”. E’ il punto forse più importante e nuovo della relazione. Significa un ammonimento (anche ai suoi?) a non pensare di trascinarla in lungo, oltre l’estate (ha fatto persino un fugare accenno alla questione dei vitalizi che scattano a ottobre). C’è un modo per “chiudere” relativamente presto sulla legge elettorale: riprendere il Mattarellum. Da oggi, questa è la proposta ufficiale del Pd: gli altri calino le loro carte.

E se il segretario – come ci ha poi spiegato direttamente – aveva previsto un sì di Meloni e Salvini, attende ora da Berlusconi una scelta chiara.

La lunga parte autocritica – sul Sud, sui giovani, sul web – è servita a Renzi non solo per ribadire le proprie responsabilità (e quella più enorme è “non aver visto che arrivava la politicizzazione, credevo fosse possibile parlare del referendum”) ma per cominciare a rimettere in sesto il Partito come strumento. Su questo, una serie di indicazioni di lavoro, a partire dalla insoddisfazione per come ha funzionato la segreteria – mercoledì la prima riunione operativa post-voto.

Ha dato l’impressione, Renzi, di volersi dare un nuovo profilo, meno presenzialista, più “aggregatore”, più disposto all’ascolto: ma non meno leader. Ha preferito mettere la sordina alle polemiche interne (anche per questo ha proposto di non fare subito il Congresso, “la conta”) preferendo piuttosto insistere sulla necessità di ricostruire un pensiero vincente, in vista della grande competizione elettorale di cui egli non ha indicato i tempi ma ha lasciato capire che comunque è nel vicino orizzonte. E sapendo che il corpo del partito è con lui.

Da - http://www.unita.tv/focus/niente-meline-renzi-e-gia-con-la-testa-alle-elezioni/
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« Risposta #176 inserito:: Dicembre 20, 2016, 06:31:07 pm »

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Rudy Francesco Calvo      @rudyfc
· 19 dicembre 2016

Renzi al lavoro sulla nuova squadra.
Priorità: dialogo e apertura alla società



Il segretario torna a dedicarsi a tempo pieno al partito, con in testa la road map che dovrà condurre il Pd a primarie di coalizione e al voto in primavera

Una segreteria del tutto nuova o solo poche sostituzioni chirurgiche per rilanciare l’attività del partito. È questo il primo dubbio sul quale Matteo Renzi sta riflettendo nelle sue ritrovate vesti di segretario del Pd a tempo pieno. La seconda soluzione sarebbe quella più semplice, attuabile in tempi rapidi. La tentazione di un azzeramento è però molto forte nel leader dem, che darebbe così l’idea più netta di una svolta e coglierebbe l’occasione per valorizzare quelle nuove energie provenienti dal basso di cui ha parlato in assemblea, a cominciare dai sindaci. Da qui l’idea di escludere del tutto dalla nuova squadra i parlamentari in carica.

Certo, i tempi si allungherebbero, ma probabilmente non troppo. Anche perché Renzi ha promesso di dare il via, parallelamente alla campagna d’ascolto che occuperà il mese di gennaio, a una “struttura che sia in grado sul programma di fare un lavoro puntuale”. E sui giornali comincia già a girare qualche nome delle personalità che potrebbero essere coinvolte, come il ministro Maurizio Martina, Tommaso Nannicini (già sottosegretario a palazzo Chigi) o Piero Fassino. Ma è ancora presto per il totonomi.

Mercoledì intanto si riuniranno a Roma i segretari provinciali dem proprio per iniziare a impostare il lavoro dei successivi trenta giorni, che culmineranno con la mobilitazione nazionale preannunciata per il 21 gennaio. È il tentativo di aprire finalmente all’esterno quei circoli che finora sono stati in gran parte principalmente un luogo di scontro e di conta fra le correnti e quei potentati locali, con i quali Renzi ha promesso di voler chiudere una volta per tutte. Un primo passo, almeno. Perché se lo stesso Renzi (e Gianni Cuperlo dopo di lui) hanno ben evidenziato lo scollamento tra il gruppo dirigente nazionale (tutto, di maggioranza e minoranza) e la base di iscritti ed elettori del Pd, nessuno ha ancora avanzato proposte organiche per ricucire il rapporto tra il partito e la società, a cominciare proprio dai circoli. E un mese non potrà certo bastare, senza cambiare dirigenti, regole, abitudini ormai incancrenite.

L’allontanarsi del congresso sembra congelare però questa discussione. La road map che Renzi ha in mente per il medio termine è ben diversa e vede come sbocco le elezioni politiche da tenere – nelle sue intenzioni – non più tardi della prossima primavera. Ecco allora la proposta sulla legge elettorale da condurre in porto. Ed ecco l’intenzione – mai in realtà esplicitata – di svolgere le primarie per la scelta del candidato premier del nuovo centrosinistra che, se si voterà con un Mattarellum più o meno rimaneggiato, si presenterà sotto le stesse insegne nei collegi uninominali.

Non si tratta solo di un modo per riaffermare un principio di stampo maggioritario (“la sera del voto si sa chi governa”), mentre dopo l’esito del referendum in molti hanno cercato di riportare il Paese verso le secche del proporzionale. Allargare il confronto a tutto il centrosinistra è anche un modo per chiamare a raccolta quegli elettori che non sono intenzionati a votare Pd, ma che sono a pieno titolo coinvolti in un confronto tra due linee, che ormai vanno ben al di là dei confini del partito, ma che attraversano trasversalmente anche altre forze, a cominciare dalla nascente Sinistra italiana.

Da una parte, la maggioranza dem (renziani, ma anche AreaDem, Giovani turchi e Sinistra è cambiamento di Martina) e il ‘Campo progressista’ guidato da Giuliano Pisapia, riunito proprio oggi a Bologna per l’iniziativa ‘Per un nuovo centrosinistra’ con Cuperlo e i sindaci Merola e Zedda: sono queste le forze intenzionate a dialogare per ricucire i rapporti, con la possibilità di trovare anche qualche sponda sul fronte centrista. Dall’altra, la minoranza bersaniana del Pd e i vendoliani di Sel, che con l’ex premier sembrano ormai aver chiuso i rapporti. Non si capisce ancora con quali conseguenze sul piano politico e organizzativo.

La nuova segreteria del Pd rifletterà molto probabilmente anche questa divisione: in squadra saranno chiamate personalità in grado di gettare ponti, non di alzare muri, né dentro il partito né all’esterno. Programma, comunicazione, organizzazione: tutti i settori principali dovranno avere questa impronta.

Da - http://www.unita.tv/focus/renzi-pd-segreteria-elezioni-primarie-coalizione/
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« Risposta #177 inserito:: Dicembre 20, 2016, 06:32:19 pm »

   Focus
Mario Lavia    @mariolavia
· 17 dicembre 2016

Torna Renzi e accelera, scelta del premier e elezioni presto
Domani l’Assemblea Nazionale dalle 10

La situazione italiana è su un crinale molto pericoloso, misto di debolezza della politica e grande ansia nella società: bisogna in un certo senso ricominciare a costruire un progetto all’altezza della situazione. Per questo occorre che il popolo decida, con nuove elezioni, quale sia il progetto migliore. Quello del Pd sarà in campo: è in questo quadro che Matteo Renzi torna a candidarsi per la guida del Paese.

Da Pontassieve, dove Renzi si è rintanato in questi giorni, continua a filtrare pochissimo. Ma siamo in grado di anticipare che domani alla Assemblea Nazionale del Pd (a Roma, hotel Ergife, dalle 10, diretta streaming su Unità.tv), Renzi in estrema sintesi proporrà questa analisi e questa semplice road map: primarie del centrosinistra e poi elezioni politiche. Il tutto in primavera. E preceduto, per quello che riguarda il Pd, da un’ampia discussione a tutti i livelli, con lui stesso segretario: il Congresso che dovrà confermarlo o sostituirlo si terrà dopo le elezioni. Non è ad un resa dei conti interna che Renzi punta quanto a una “sfida finale” con un Movimento Cinque Stelle sfibrato dalla vicenda romana e una destra contraddittoria ma egemonizzata dal populismo della Lega.

Il clima della riunione di domani sarà inevitabilmente segnato dalla contrapposizione fra Renzi e la minoranza, a sua volta alle prese con un’indicazione chiara sul da farsi (prima voleva il Congresso subito, poi ha cambiato posizione, oggi ha lanciato Speranza come avversario dell’attuale segretario ma non come unico nome): ed è possibile che anche altre aree del partito spingano per un Congresso subito.

Ma in realtà il punto vero di dissenso con Renzi è la data delle elezioni. Non è detto, anzi, che esponenti di correnti diverse come AreaDem o Giovani Turchi non si spendano per un proseguimento della legislatura a dopo l’estate con un governo Gentiloni che vede ammonticchiarsi sul suo tavolo sempre nuovi dossier.

Senza contare che i bersaniani non solo insisteranno per il Congresso in vista del quale Renzi dovrebbe dimettersi ma premeranno perché si celebri il referendum della Cgil sul Jobs act, secondo round della partita tesa a demolire le politiche del governo Renzi.

Dal segretario del Pd si attendono naturalmente la lettura sulla grande sconfitta del 4 dicembre – e l’autocritica Renzi l’ha fatta sin dalla sera del referendum – e forse anche indicazioni sulla vita interna di un partito che sotto molti aspetti ha bisogno di nuove cure.

Da - http://www.unita.tv/focus/torna-renzi-e-accelera-scelta-del-premier-e-elezioni-presto/
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« Risposta #178 inserito:: Dicembre 28, 2016, 11:33:48 pm »

Rottamato dal “clima di emozione”

Luigi Di Gregorio
27 dicembre 2016

“Sulla riforma costituzionale mi gioco tutto”. Con queste parole, ripetute più volte, Matteo Renzi ha condannato il suo governo a una fine anticipata, legata all’esito del referendum del 4 dicembre.

“L’Italicum lo copieranno in tutta Europa”. Oggi quella legge elettorale attende un giudizio – per molti negativo – della Corte costituzionale ed è già stata ampiamente messa in discussione da tutte le forze politiche, anche all’interno del partito dell’ex premier.

“Il jobs act non si tocca. Non si può dire: ragazzi abbiamo scherzato”. Pare, invece, che il governo Gentiloni stia lavorando a diverse modifiche all’impianto normativo per evitare che l’eventuale referendum abrogativo faccia a pezzi la riforma e dia un altro colpo “mortale” al Pd.

Cosa è successo? Che cosa ha trasformato, in pochissimo tempo, Renzi da rottamatore “smart” e di successo in una specie di perdente seriale? Molti dicono: “è la realtà che ha condannato Renzi”. Ora però, mi chiedo: quale realtà può aver bocciato una riforma costituzionale mai partita? E una legge elettorale mai utilizzata? Sul jobs act, poi, ci sono numeri e pareri discordanti. Io ho sempre pensato che sarebbe stato condannato da un’altra realtà (la stessa che condanna qualunque leader politico oggi, in Italia e nel mondo): la realtà mediaticamente determinata che produce il clima d’opinione.

Molto semplicemente, Renzi è passato da rottamatore vincente a rottamato perdente perché la sua immagine si è logorata in 3 anni di governo. Nessuno è in grado di sopravvivere, oggi, a 3 anni di governo senza perdere fiducia, credibilità e appeal sul popolo. Perché le opposizioni hanno “carta bianca” per sintonizzarsi con i nostri desiderata e perché i media cavalcano ogni notizia sensazionalistica (anche quando notizia non è) per venderci informazioni. E, solitamente, le cose positive non fanno notizia. Il tutto condito dalla crescita costante della post-truth society e della “bolla dei filtri”: un pezzo ampio della popolazione crede ormai a ciò a cui vuole credere (va oltre il vero e il falso, siamo al “così è, se mi piace”) e continua a (dis)informarsi in una bolla mediatica “su misura”, confezionata dagli algoritmi del web che a furia di personalizzare le nostre ricerche non fanno altro che chiuderci in un mondo pseudo-informativo fatto apposta per le nostre preferenze e non per risolvere i nostri dubbi e soddisfare la nostra curiosità. Se una verità non ci piace, spesso finiamo per convincerci ancora di più del suo contrario. Si chiama “backfire effect” in psicologia cognitiva, non mi dite che non avete ampie prove di questo atteggiamento…

In questo trionfo di bias cognitivi e in questa alluvione di stimoli, anche parlare di “opinione” sembra un eufemismo. Più che clima di opinione, infatti, sarebbe il caso di parlare di “clima di emozione”. Nessuna opinione maggioritaria pro-riforme costituzionali, pro-legge elettorale majority assuring, pro-riforma del mercato del lavoro può diventare nell’arco di pochissimo tempo indiscutibilmente minoritaria. Se lo è diventata è perché più che un’opinione sulle politiche del governo è un insieme di emozioni legate a una persona, Matteo Renzi.

Se prima tutto ciò che toccava diventava oro, oggi tutto ciò che ha toccato diventa un rottame. Questo fenomeno non può essere spiegato “razionalmente”, non può, cioè, essere un’opinione su opzioni di policy. È un’emozione, una sensazione generalizzata che ha cambiato verso. Come direbbe colui il quale ha cavalcato la prima ondata per crescere ed è rimasto inabissato sotto l’onda di ritorno.

“Volete il potere attraverso l’immagine? Allora perirete di ritorno di immagine”. Così scriveva Bourdieu diversi anni fa e oggi questo fenomeno sembra ancora più evidente. Vale per Renzi, ma vale per tutti. Chiunque ambisca a governare, è bene che sappia a cosa va incontro.

Da - http://www.glistatigenerali.com/governo_partiti-politici/rottamato-dal-clima-di-emozione/
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« Risposta #179 inserito:: Dicembre 28, 2016, 11:42:37 pm »

Renzi e “l’accozzaglia”, oggi. I numeri e la politica
Il voto referendario sembra dunque aver congelato gli schieramenti in campo: e il suo risultato ha confermato nelle proprie convinzioni la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica

Il referendum del 4 dicembre ha davvero rivoluzionato il paesaggio politico italiano, rilanciando la corsa del Movimento 5 stelle verso il governo e lesionando gravemente la figura e il potenziale elettorale di Matteo Renzi? Nonostante le analisi – o gli auspici – di qualche frettoloso commentatore, sembrerebbe proprio di no.

“Sorprende un poco, anzi, non poco, questo sondaggio – scriveva Ilvo Diamanti ieri su Repubblica commentando l’ultimo sondaggio Demos –, perché, dai dati delle interviste, non sembra sia cambiato molto, nell’orientamento degli elettori. Verso il governo, verso i partiti, verso lo stesso Renzi. Nonostante le grandi polemiche e le mobilitazioni che, negli ultimi mesi, hanno opposto il ‘fronte del Sì’ e il ‘fronte del No’, le stime di voto non mostrano cambiamenti significativi rispetto alle settimane prima del referendum. Il Pd – malgrado la ‘sconfitta personale’ del leader – risulta stabile, primo partito, appena sopra il 30%. Seguito dal M5S, quasi 2 punti sotto. In calo di poco più di un punto”. Neppure il gradimento di Renzi ha subito scosse: anzi, secondo i dati raccolti da Diamanti sarebbe addirittura salito di un punto, al 44%, mentre Beppe Grillo resta lontano al 31%.

Il voto referendario sembra dunque aver congelato gli schieramenti in campo: e il suo risultato ha confermato nelle proprie convinzioni la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica. Vista da punto di vista di Renzi, la situazione è senz’altro di grande interesse. A leggere i giornali e a guardare i talk show, infatti, l’ex presidente del Consiglio appare circondato da una generale ostilità, la sua parabola politica si sarebbe già ingloriosamente conclusa, e le possibilità di ritorno sulla scena sarebbero assai limitate. Al contrario, lo studio di Diamanti dimostra che il consenso di Renzi è rimasto intatto e che il suo partito gode della fiducia di poco meno di un terzo dell’elettorato.

L’idea di abbattere il renzismo per via referendaria, accarezzata tanto da Grillo e dalla Lega quanto dalla minoranza del Pd, sembra dunque rivelarsi illusoria. Renzi ha perso consenso nel corso dell’ultimo anno e mezzo – e infatti ha perso il referendum –, ma lo “zoccolo duro” di cui dispone, probabilmente galvanizzato proprio dalla sconfitta, lo colloca tuttora al centro del paesaggio politico. In queste condizioni, e tanto più se si dovesse votare con una legge di impianto proporzionale, la prossima legislatura ricomincerebbe là dove si è interrotta: con una forza politicamente omogenea, guidata da un leader riconosciuto, che gode del consenso della maggioranza relativa dell’elettorato, e un’“accozzaglia” numericamente forte ma politicamente debolissima e strutturalmente incapace di offrire un’alternativa di governo.

Da - http://www.unita.tv/focus/renzi-e-laccozzaglia-dopo-il-referendum-numeri-alla-mano-2/
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