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Autore Discussione: MATTEO RENZI  (Letto 142054 volte)
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« Risposta #60 inserito:: Luglio 13, 2014, 10:41:04 am »

Lettera di Renzi al M5S - IL TESTO INTEGRALE
01 luglio 2014

Gentili onorevoli Di Maio, Toninelli, Brescia e Buccarella,

vi ringraziamo innanzitutto per la disponibilità al confronto sulla legge elettorale e sulle riforme. E anche per la civiltà del confronto dello scorso 26 giugno. Si possono avere idee diverse ma riuscire a parlarsi ed ascoltarsi serve. Serve sempre.

Come forse ricorderete la nuova segreteria del Pd  -  eletta da un processo democratico che ha coinvolto circa tre milioni di persone  -  ha immediatamente tentato di aprire un canale di collegamento con voi. L'esito non è stato fortunatissimo, all'inizio. Ma non abbiamo mollato come potete vedere (intervista al "Fatto", lettera ai partiti).

Le vostre posizioni sulla legge elettorale sono state nei mesi molto diverse. Dalla mozione Giachetti in cui avete votato a favore del Mattarellum, al post di Beppe Grillo che si schierava per il voto con il Porcellum, all'altro post in cui il vostro fondatore proponeva di votare con il Consultellum. Il tutto intervallato da due progetti di legge con primo firmatario l'onorevole Toninelli.

Ci pare di aver capito che fa fede l'ultimo Toninelli e che siate disponibili a riflettere insieme anche sulle riforme costituzionali e istituzionali. Proviamo a entrare nel merito.

Se siamo d'accordo, vediamo quattro limiti invalicabili al Toninelli-Bis:

1) Non c'è la certezza di avere un vincitore. Con il vostro sistema non c'è governabilità.
2) Le alleanze si fanno dopo le elezioni, non prima. Con il vostro sistema si istituzionalizza l'inciucio ex post.
3) Il sistema della preferenza negativa attraverso l'eliminazione di un nome è molto complicato. Con il vostro sistema si rende più difficile il voto.
4) Ci sono collegi in cui sulla scheda i nomi scritti sarebbero oltre 40. Con il vostro sistema in alcuni collegi la scheda elettorale diventa un lenzuolo

Avete correttivi per questi quattro punti? Ritenete sbagliate le nostre osservazioni? Diteci con franchezza le vostre. Siamo pronti a confrontarci insieme. Per questo vi poniamo dieci ulteriori elementi di riflessione.

1. Per noi un vincitore ci vuole sempre. L'unico modello che assicura questo oggi in Italia è la legge elettorale che assegna un premio di maggioranza al primo turno o al secondo turno. Il Movimento 5 Stelle, per esempio, ha vinto a Parma, Livorno e Civitavecchia nonostante che al primo turno abbia preso meno del 20% dei voti. Però poi al ballottaggio ha ottenuto la metà più uno dei votanti. Vi chiediamo: siete disponibili a prevedere un ballottaggio, così da avere sempre la certezza di un vincitore? Noi sì.
2. Siete disponibili a assicurare un premio di maggioranza per chi vince, al primo o al secondo turno, non superiore al 15%, per assicurare a chi ha vinto di avere un minimo margine di governabilità? Noi sì.
3. Siete disponibili a ridurre l'estensione dei collegi? Noi sì.
4. Siete disponibile a far verificare preventivamente la legge elettorale alla Corte Costituzionale, così da evitare lo stucchevole dibattito "è incostituzionale, è costituzionale"? Noi sì.
5. Siete disponibili a ridurre il potere delle Regioni modificando il titolo V e riportando in capo allo Stato funzioni come le grandi infrastrutture, l'energia, la promozione turistica? Noi sì.
6. Siete disponibili ad abbassare l'indennità del consigliere regionale a quella del sindaco del comune capoluogo ed eliminare ogni forma di rimborso ai gruppi consiliari delle Regioni? Noi sì.
7. Siete disponibili ad abolire il CNEL? Noi sì.
8. Siete disponibili a superare il bicameralismo perfetto impostando il Senato come assemblea che non si esprime sulla fiducia e non vota il bilancio? Noi sì.
9. Siete disponibili a che il ruolo del Senatore non sia più un incarico a tempo pieno e retribuito ma il Senato sia semplicemente espressione delle autonomie territoriali? Noi sì.
10. Siete disponibili a trovare insieme una soluzione sul punto delle guarentigie costituzionali per i membri di Camera e Senato, individuando una risposta al tema immunità che non diventi occasione di impunità? Noi sì.

Su questi temi, se volete, noi ci siamo. Anche su altri temi, se vi va. Avete molti parlamentari europei, ad esempio: sarebbe bello riuscire a dimostrare all'Europa che tragiche vicende come quelle che si verificano nel Mediterraneo debbono essere affrontate tutti insieme. Si possono voltare le spalle all'Inno, non si possono voltare le spalle ai problemi. Ma non vogliamo mettere troppa carne al fuoco. Noi su legge elettorale e riforme costituzionali siamo pronti a vederci. Se prima ci rispondete, il dialogo sarà ancora più utile.

Noi ci siamo. Senza la pretesa di aver ragione. Senza l'arroganza di fare da soli. Ma anche senza alibi e senza paura. Un mese fa, oltre il quaranta per cento degli italiani ci ha chiesto di cambiare l'Italia per cambiare l'Europa. Non possiamo tradire quella speranza. Ci piacerebbe che potessimo farlo anche assieme a voi perché pensiamo che i nostri connazionali che hanno votato per il Movimento Cinque Stelle chiedano, come tutti, un Paese più semplice ed efficace.

Attendiamo le Vostre considerazioni.
Un saluto cordiale,
Per il Pd
Alessandra, Debora, Matteo, Roberto

© Riproduzione riservata 01 luglio 2014

DA - http://www.repubblica.it/politica/2014/07/01/news/lettera_di_renzi_al_m5s_-_il_testo_integrale-90465681/?ref=HREA-1
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« Risposta #61 inserito:: Luglio 13, 2014, 11:14:24 am »

Quanti elettori porta Renzi al Pd?

Di FABIO BORDIGNON
11 luglio 2014

Che quel 40,8% ottenuto dal Pd, alle recenti Europee, sia da ricondurre alla rivoluzione renziana è un fatto persino scontato. Ma è possibile quantificare la frazione di voti portata in dote dal premier-segretario al proprio partito?

L'interrogativo era circolato al momento della presentazione dei simboli, quando era stata ventilata la possibilità di sfruttare il brand personale sulla scheda elettorale. Il nome del leader, alla fine, non è stato inserito nel simbolo Pd. Se ne riparlerà quasi sicuramente alle prossime Politiche, ma è indubbio che il traino dell'uomo arrivato da Firenze abbia contato - e non poco - nel voto europeo. Consentendo al Pd di rompere gli argini del passato: conquistando segmenti di elettorato in precedenza ostili (su tutti, degli imprenditori), uscendo dal recinto della zona rossa (le regioni dell'Italia centrale dove i partiti di sinistra hanno sempre fatto il pieno).



Da qualche anno, i sondaggi Demos rilevano alcuni indicatori di personalizzazione della scelta elettorale. Lo loro evoluzione nel tempo segnala un evidente cambio di stagione.

Un anno e mezzo fa, alla vigilia delle Politiche, solo un terzo degli elettori democratici indicava Renzi come proprio leader preferito. I mesi successivi sono caratterizzati da una crescita continua del consenso. Il dato sale al 49% già all'indomani della non-vittoria del 24-25 febbraio 2013. E arriva presto a superare la maggioranza assoluta: 56%, al momento dell'ingresso a Palazzo Chigi; 62%, prima delle Europee; 70% in seguito all'exploit del 25 maggio.  Si tratta di un evidente segnale di personalizzazione delle preferenze interne, ma che dice poco circa l'effettiva capacità di attrarre un voto personale. Lo stesso Bersani, da candidato-premier, concentrava su di sé i due terzi delle preferenze democratiche.

Più interessante, in questo senso, è un altro indicatore che cerca di isolare la frazione di voto leader-oriented, chiedendo direttamente agli intervistati di auto-definirsi come elettori "del partito" oppure "del leader". A definirsi "bersaniani" prima ancora che "elettori del Pd" erano circa il 20% degli elettori democratici, tra il 2012 e il 2013: un dato inferiore alla media dei principali partiti, poco sotto il 30%. Con l'avvento di Renzi alla segreteria, la componente orientata al leader raddoppia: sono il 41% coloro che "votano Renzi" piuttosto che sulla base dell'appartenenza al partito. Con l'effetto di trascinare verso l'alto la media generale (33%).

È l'ennesimo muro a cadere: l'ennesimo tabù - forse il principale - mandato in soffitta dalla cavalcata del leader-rottamatore. Anche a sinistra, no leader no party.

Fabio Bordignon @fabord
© Riproduzione riservata 11 luglio 2014

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/07/11/news/quanti_elettori_porta_renzi_al_pd_-91267703/?ref=HREC1-5
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« Risposta #62 inserito:: Luglio 26, 2014, 10:43:53 am »

La sfida di Matteo: non contano i tempi, ma se non passano le riforme si torna a votare
"Si va avanti, io non vado in ferie e ogni giorno di ostruzionismo è un punto in più nei sondaggi".
Il premier prima apre al rinvio su Galan poi, dopo le minacce di Brunetta, ci ripensa: "Niente ricatti"


Di GOFFREDO DE MARCHIS
23 luglio 2014
   
ROMA - Nessuna mediazione è possibile. Anche perché "a ogni giorno di ostruzionismo corrisponde, per me, un punto guadagnato nei sondaggi", spiega Matteo Renzi ai suoi fedelissimi. Per il momento va bene così. "Siamo alla prova di forza finale. Vogliono andare fino al 15 agosto? Ok, tanto io non vado in ferie". Il punto semmai è un altro: "Questo Parlamento è a un bivio: o dimostra di essere capace di cambiare facendo le riforme o si condanna da solo e si torna a votare". La trattativa non è un'ipotesi sul campo. Il premier la snobba senza mezzi termini: "Figuriamoci". Ieri ha sbattuto la porta in faccia persino all'alleato principale, Forza Italia.

La nuova giornata di totale impazzimento, conclusa con zero voti sulla legge costituzionale, Renzi la racconta ai suoi collaboratori offrendo una versione che disegna un triangolo tra Camera, Senato e Palazzo Chigi. È il voto sull'arresto di Giancarlo Galan a rallentare i lavori di Palazzo Madama. Di prima mattina il sottosegretario Luca Lotti, braccio destro del premier, riceve la telefonata di un dirigente di Forza Italia. La richiesta è molto semplice: rinviamo il voto sul carcere per l'ex governatore veneto di una settimana. Galan è in ospedale, diamogli la possibilità di difendersi in aula. Lotti riferisce a Renzi, il quale non si formalizza: "Si può fare". Ma alla conferenza dei capigruppo Renato Brunetta, che rema contro il patto del Nazareno, la mette giù dura: "O votiamo il rinvio o saltano le riforme". Il capogruppo del Pd alla Camera Roberto Speranza informa Palazzo Chigi dell'ultimatum. "Se la mettono così, niente rinvio. Non accetto ricatti da nessuno, nemmeno da loro", risponde Renzi. E la trattativa, come dire, "umanitaria" fallisce. Infatti alla Camera l'arresto viene votato, Galan si trasferisce al carcere di Opera e al Senato Forza Italia si vendica votando contro le tappe forzate del nuovo calendario dei lavori. Calendario che passa con appena 5 voti di scarto. "Sapete che c'è - dice Renzi nei suoi colloqui -, gli abbiamo dato una lezione. Posso dimostrare che le riforme si fanno anche senza Berlusconi e senza la Lega".

Renzi è dunque nella versione "guerra contro tutti". Ad eccezione degli elettori: effettivamente i sondaggi continuano a dare il Pd in crescita. Quella del premier è una sfida a tutto campo: sui tempi, sulle mediazioni negate, sul dialogo con i partiti. Alla domanda di qualche suo collaboratore "perché non vai in Senato" la risposta è secca: "Io sto lavorando". Ma a Palazzo Chigi sono consapevoli che le trappole sono ovunque. La questione del calendario non è affatto secondaria. Chi conosce bene i meccanismi parlamentari esclude che i senatori saranno al loro posto nella settimana di Ferragosto. "Non succederà mai", dicono i tecnici. Ed è una previsione che si ritorce tutta contro la maggioranza delle riforme perché è Renzi a dover portare a casa il risultato. Agli altri basta uno scivolone, un rinvio. Il pericolo si annida anche nell'orario no stop deciso ieri da Piero Grasso e dalla conferenza dei capigruppo. Tenere i parlamentari inchiodati al loro banco dalla 9 alle 24, farli lavorare sabato e domenica, non sarà affatto un'impresa semplice. Significa che quando si comincerà finalmente a votare, il rischio se lo prende tutto Renzi. La maggioranza dovrà essere presente in massa a tutte le votazioni, non sbagliare una mossa, controllare uno per uno i senatori e i loro movimenti, persino quelli verso la toilette. Alle opposizioni, agli ostruzionisti o secondo la terminologia renziana "ai gufi e rosiconi", basterà invece un solo piccolo successo, con l'esecutivo che va sotto e un loro emendamento approvato, per cantare vittoria.

È uno scenario davvero da Vietnam, secondo alcuni sostenitori della riforma "ingestibile e incontrollabile". Tanto è vero che ieri al Senato persino qualche renziano si domandava: "Matteo vuole davvero approvare la riforma prima della pausa?". Renzi continua a ripetere che "non si impicca a una data". Attende i prossimi sviluppi per immaginare altre accelerazioni, come la ghigliottina ossia il contingentamento dei tempi. Decisione delicata, che farebbe la gioia di chi urla alla svolta autoritaria e che comunque è in capo al presidente del Senato. Anche il Quirinale, dopo l'intervento chiarissimo di ieri, guarda con attenzione alle scelte di Grasso: punta a tempi veloci, compatibilmente con il regolamento. Ma più che la minaccia di un conclave chiuso a chiave anche a Ferragosto, diventa ogni giorno più concreta, più vera, persino più plausibile proprio per lo scenario complicato del voto ad oltranza, l'altra minaccia: quella del voto anticipato. Usato finora come ballon d'essai, come strumento per ammansire parlamentari e frenatori fuori e dentro il Pd che con le elezioni andrebbero a casa, si sta trasformando in una prospettiva che ritorna nelle discussioni tra i fedelissimi renziani. Andare alle urne con la legge proporzionale uscita dalla Consulta e contare sul consenso del presidente del Consiglio. Roberto Giachetti è tornato ieri a indicare questa strada. E Giachetti conosce a menadito le insidie dei lavori parlamentari. Ma a sorpresa l'opzione è stata rilanciata dal presidente del Pd Matteo Orfini, esponente della minoranza lealista, dirigente che ormai si confronta ogni giorno con il premier. "Tutti devono sapere che comunque si vota - ha detto Orfini a In Onda su La7 - O le riforme o alle elezioni anticipate. Sappiamo che questa legislatura è legata alle materie istituzionali. Se non vanno in porto, la legislatura finisce". Se i sondaggi dicono la verità, il Pd può puntare alla maggioranza assoluta in entrambi i rami del Parlamento. Certo, senza premio e con le preferenze. Ma anche con le soglie di sbarramento lasciate intatte dalla Corte costituzionale che eliminerebbero i partitini, spesso citati come un male da Renzi.

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/07/23/news/la_sfida_di_matteo_non_contano_i_tempi_ma_se_non_passano_le_riforme_si_torna_a_votare-92178316/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_23-07-2014
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« Risposta #63 inserito:: Agosto 04, 2014, 08:54:02 am »

Le indiscrezioni SU UN ADDIO A OTTOBRE
Renzi: «Cottarelli? Spending review avanti anche senza di lui»
Il commissario per la revisione della spesa: «Il lavoro continua, niente da segnalare»

Di Redazione Online

«Rispetto e stimo Cottarelli: farà quello che crede. Ma non è Cottarelli il punto fondamentale: la spending review la facciamo anche se va via, dicendo con chiarezza che i numeri sono quelli». Così il premier Matteo Renzi interviene sull’ipotesi, circolata sulla stampa, che Carlo Cottarelli lasci l’incarico di commissario straordinario per la Revisione della spesa pubblica. «Il lavoro continua, non ho niente da segnalare» aveva commentato nella mattinata, prima che il premier parlasse, lo stesso Cottarelli.

Il governo
Più in dettaglio, ha spiegato Renzi, «la revisione della spesa c’è, chiunque ci sia come commissario, questo o un altro. Il punto è che revisione faremo». In precedenza era intervenuto sulla questione anche il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Graziano Del Rio: «Non esiste alcun caso Cottarelli - aveva detto -. Continueremo l’impegno del governo. La spending review non dipende dalle persone che la conducono, è una scelta politica. Dietro la vicenda di Cottarelli ci sono vicende di vario tipo, anche personali sue. La finanziaria si farà ad ottobre, ma la spending review va avanti».

La preoccupazione delle banche estere
Cottarelli ha sempre sostenuto la politica dei tagli come ricetta per salvare i bilanci. Sul suo blog, il 30 luglio, il commissario aveva stigmatizzato la prassi parlamentare di autorizzare nuove spese indicando, come copertura finanziaria, «future operazioni di revisione della spesa o, in assenza di queste, tagli lineari delle spese ministeriali». Le indiscrezioni circolate sulle sue dimissioni hanno preoccupato le banche estere che operano in Italia, attente alla tenuta della fiducia sul sistema Italia da parte degli investitori internazionali. In una nota l’Aibe, l’associazione delle banche estere presieduta da Guido Rosa, ha espresso «forte preoccupazione per il rischio di un contraccolpo, che determini un abbandono degli operatori internazionali nella sottoscrizione dei titoli di stato, anche in conseguenza di turbative sui mercati internazionali derivanti dal possibile default argentino». In particolare, spiega la nota, «le difficoltà che riscontra il commissario Cottarelli nel portare avanti la decisiva questione della riduzione della spesa pubblica, e il probabile accantonamento dell’ennesimo tentativo di un severo controllo del debito pubblico - vera palla al piede per la competitività economica - sono una autentica gelata agostana che rischia di peggiorare notevolmente le potenzialità del sistema Italia».

La Lega: «Renzi guida verso il baratro»
Le reazioni politiche non si sono fatte attendere. Le voci circolate delle presunte dimissioni di «un professionista serio come Carlo Cottarelli» dimostrano «il clamoroso fallimento della politica economica del governo Renzi» attacca il senatore di Forza Italia, Pierantonio Zanettin. Aggiungendo che «i conti pubblici sono fuori controllo, nessun taglio alle tasse potrà essere attuato nei prossimi mesi ed anzi sarà inevitabile una nuova manovra di lacrime e sangue». Il capogruppo leghista alla Camera, Massimiliano Fedriga, avverte che: «Renzi sta guidando a 100 all’ora verso il baratro» e invia una lettera alla presidente della Camera Boldrini, «affinché interessi l’ufficio parlamentare di bilancio per smascherare le balle contabili di Renzi». Altrettanto duro il parere del capogruppo di Fratelli d’Italia-Alleanza nazionale Fabio Rampelli: «Chi tocca la revisione della spesa è destinato alla rottamazione. Cottarelli non è certo un simpaticone, ma ha il pregio del rigore e dell’autonomia. Non abbiamo motivi di dubitare delle sue analisi anche se non condividiamo in toto le ricette. Ma se quello che propone il commissario è impopolare, quello che fa Renzi, ci porta dritti al default».

31 luglio 2014 | 13:46
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/politica/14_luglio_31/cottarelli-il-lavoro-continua-niente-segnalare-655c9694-18a6-11e4-a9c7-0cafd9bb784c.shtml
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« Risposta #64 inserito:: Agosto 23, 2014, 06:05:09 pm »

Scelta Civica propone a Renzi il "Disbosca-Italia": tagliare subito 1.500 partecipate locali
Presentato il progetto di un disegno di legge in sei punti, da affrontare già nel Consiglio dei ministri di fine agosto.
Già con l'obbligo per gli enti di vendere le partecipazioni in micro-aziende ci sarebbe una netta sforbiciata.
Prevista anche la sostituzione dei cda con gli amministratori unici



MILANO - Il commissario della spending review, Carlo Cottarelli, aveva denunciato in un post di inizio estate la situazione delle partecipate degli enti pubblici italiani, contro la quale la Corte dei Conti già da tempo punta il dito: "Non riesco a trovare un termine migliore di 'giungla' per descrivere il mondo delle partecipate locali", ha detto l'uomo dei tagli sul suo blog. Tanto che lui stesso, riconoscendo che la stima di 7.726 aziende censite dal Mef è probabilmente impropria, ha poi svelato il caos che le circonda riconoscendo che potrebbero essere più di 10mila, ma non c'è neppure un censimento affidabile. In questa giungla, propone ora Scelta Civica, devono affondare le forbici del governo, al più presto.

Di qui il suggerimento di un "Disbosca-Italia", un decreto da portare già al Consiglio dei ministri del 29 agosto prossimo insieme allo "Sblocca-Italia" sui cantieri, che contenga una cura dimagrante fortissima per gli enti locali.

Partecipate, se lo Stato è al 100% i buchi si ampliano
"Quello delle partecipate pubbliche è stato definito recentemente un mondo oscuro dal procuratore generale della Corte dei Conti che, nel sottolineare che costano allo Stato 26 miliardi, ha invocato un riordino complessivo. Il rapporto del Commissario Cottarelli pubblicato il 7 agosto 2014 e intitolato "Programma di razionalizzazione delle partecipate locali" contiene dati impressionanti", attacca Scelta Civica nella proposta pubblicata sul suo sito web. "Delle 7.726 partecipate censite dal Mef, quasi 2.000 (1.869) hanno un attivo inferiore a 2 milioni e 1.300 hanno un fatturato sotto i 100.000 euro. Oltre 3.000 società hanno meno di 6 addetti e 2.123 non ne hanno neppure uno! E in almeno 1.900 di esse la partecipazione pubblica è inferiore al 10%", aggiunge il partito.

"I posti in cda sono oltre 37.000, 27.000 dei quali in società comunali. Oltre 15.000 posti nei consigli sono stati assegnati in società dove il numero dei membri degli organi supera il numero degli addetti. La dimensione media dei cda supera i 6 consiglieri e in sole 1.198 società a partecipazione comunale esiste un amministratore unico (dati Cerved)", spiega ancora SC per mostrare l'inefficienza del comparto. A questo si potrebbe aggiungere ancora - dai dati di Cottarelli - che ci sono oltre 1.200 società che hanno un cda ma non hanno dipendenti. Gli interventi di risparmio proposti sono stati quantificati in circa 3 miliardi di euro.

Tornando a Scelta Civica, le proposte si articolano in sei punti: 1) divieto per le amministrazioni di avere partecipazioni in società non quotate che vedano la quota in mano a enti pubblici inferiore al 10% (al 20% se si tratta di nuove acquisizioni); 2) obbligo di dismettere le partecipazioni sotto quella soglia in sei mesi; 3) chiudere o dismettere le società con meno di 10 addetti o 100mila euro di fatturato, in sei mesi; 4) i comuni sotto 30mila abitanti sostituiscano i cda delle partecipate in perdita con amministratori unici; 5) riduzione dei trasferimenti statali del 10% per gli enti che non si adeguano; 6) sanzioni ad amministratori e membri degli enti locali che non si adeguano fino al 20% dello stipendio lordo.

"In questo modo", chiosa Scelta Civica, "si potrà ridurre drasticamente il numero delle partecipate ben prima della scadenza del termine di tre anni che il Presidente del Consiglio si è proposto per ridurle da 8.000 a 1.000. La sola misura relativa alla dismissione delle micro partecipazioni e delle scatole vuote consentirebbe, infatti, di ridurre il numero delle partecipate di 1.500 unità in sei mesi", secondo la stima dello stesso Cottarelli, "con impatti modesti dal punto di vista occupazionale. E oltre ai vantaggi economici, con questo provvedimento si darebbe un forte segnale in senso moralizzatore, attraverso la drastica riduzione del numero dei posti nei consigli di amministrazione e dei relativi costi".

(22 agosto 2014) © Riproduzione riservata

Da - http://www.repubblica.it/economia/2014/08/22/news/partecipate_scelta_civica_disbosca_italia-94257226/?ref=HREC1-7
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« Risposta #65 inserito:: Agosto 30, 2014, 09:08:53 am »

Giustizia, Renzi: "Il processo civile durerà la metà. Delega al Parlamento per intercettazioni"
Fuoriprogramma dopo il Cdm con il premier che, prima di esporre la riforma, offre il gelato in risposta all'Economist.

Responsabilità civile per i magistrati: "Chi sbaglia paga". Stop prescrizione dopo il primo grado.
Anm: "Riforma punitiva e poco coraggio". Tornano falso in bilancio e autoriciclaggio. Orlando: "Raggiunto punto di equilibrio"


29 agosto 2014
   
ROMA - "Offesi da Economist? Non esageriamo. Non ci offendiamo perché facciamo un lavoro serio". Carrellino con gelataio al seguito, nel cortile di Palazzo Chigi, Matteo Renzi sceglie l'ironia per replicare alla copertina del settimanale inglese. "Se volete assaggiare un po' di vero gelato italiano, ve lo offro volentieri - ha detto sorridendo a giornalisti e operatori - potete rompere gli argini"
Renzi risponde all'Economist: mangia e offre gelati a Palazzo Chigi

E' il fuori programma che chiude il consiglio dei ministri durato due ore e mezza, con all'ordine del giorno due piatti forti: il cosiddetto decreto sblocca-Italia e la riforma della Giustizia. E' il secondo fronte quello più delicato e dove si sono registrate le tensioni maggiori all'interno della maggioranza, tra Pd e Ncd. Ma già prima dell'inizio dei lavori era stato il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, a rassicurare sui contenuti: ci sono sia il pacchetto civile che quello penale.

Attese confermate nella conferenza di presentazione del premier. Una vera e propria "rivoluzione", - la definisce Renzi - che passa dal dimezzamento dell'arretrato della giustizia civile, dalle nuove norme sul falso in bilancio e sulla prescrizione, alle norme sulle responsabilità civile dei magistrati secondo il principio di "chi sbaglia paga", fino alla delega sulle intercettazioni e al dimezzamento della pausa estiva per i tribunali. E' questo, in sintesi, il pacchetto giustizia varato dal consiglio dei ministri.

Si parte dal decreto legge "per il dimezzamento dell'arretrato del processo civile" e la riduzione tempi (un anno in primo grado). Poi appunto "falso in bilancio, prescrizione, responsabilità civile, delega al Parlamento per le intercettazioni". Il principio - sottolinea il presidente del Consiglio - è che "è consentita l'intercettazione al magistrato, ma ciò che non riguarda l'oggetto del reato deve essere pubblicato con grande attenzione. Non immaginiamo sanzioni penali. Non vogliamo mettere il bavaglio, ma non si deve ledere la privacy delle persone". E sul punto Renzi conferma un confronto con i direttori dei giornali.

Ridurre i contenziosi. Al ministro Orlando il compito di spiegare nel dettaglio i provvedimenti. Sulla giustizia civile l'obiettivo annunciato è "degiurisdizionalizzare la domanda di giustizia, cioè togliere ciò che non è strettamente necessario davanti al giudice". Dunque, divorzi e separazioni davanti ad altra autorità laddove siano consensuali. Agevolare l'attività di negoziazione tra parti con incentivi sempre senza passare davanti al giudice. Disincentivare le cause temerarie, così da garantire processi più rapidi. Rinforzare il tribunale delle imprese e delle famiglie.

Stop alla prescrizione. Interrompere la prescrizione al primo grado di giudizio: questo - spiega Orlando - disincentiverà le condotte dilatorie. Ma ci dovrà essere una grande capacità di guardare a che si giunga all'appello entro due anni". "Sul processo penale, invece, - continua il ministro - abbiamo scelto di intervenire per snellire l'iter che porta al giudizio finale attraverso interventi sull'udienza preliminare e sui passaggi processuali, e con processi che mirano a razionalizzare il ricorso in appello su cui c'è una delega". In serata è arrivata la risposta dell'Associazione Nazionale Magistrati: "Il grosso neo della riforma della giustizia è non aver affrontato con il coraggio necessario il nodo spinoso della prescrizione. Ci aspettavano un intervento più massiccio e radicale che mettesse in discussione l'intero assetto della ex Cirielli, che ha dato cattiva prova di sé".

Responsabilità civile delle toghe. "Non c'è più un filtro" che si era trasformato "in un tappo" impedendo una valutazione di merito. Così Orlando presenta la principale novità della responsabilità civile dei magistrati. La responsabilità resta "indiretta", ha spiegato. "Si rafforza l'automatismo della rivalsa nel momento in cui c'è una condanna nei confronti dello Stato" e c'è "un aumento della rivalsa sul magistrato dal 30 al 50 per cento" dello stipendio. Anche qui critica l'Anm: "Resta l'impressione" che la riforma sulla responsabilità civile sia "punitiva": "Si lancia il messaggio che la giustizia funziona male perché i magistrati fanno errori", ha detto il segretario Maurizio Carbone, "e si dà il via libera ad azioni strumentali contro i giudici"

Contrasto alla criminalità economica. Torna anche il falso in bilancio. "In una fase come questa di crisi, aumenta il rischio di infiltrazione di capitale illeciti. Per questo - sottolinea Orlando - nella riforma abbiamo pensato alla introduzione e reintroduzione di autoriciclaggio e falso in bilancio".

Punto di equilibrio. Manca, come noto, la parte relativa al Csm. "Non è stata abbandonata, ma è solo in attesa di un'interlocuzione con il nuovo Consiglio", chiarisce Orlando. Che in conclusione sottolinea "Abbiamo raggiunto un punto di equilibrio su un tema importante, sul quale nel passato abbiamo vissuto una storia assai diversa".

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/08/29/news/consiglio_dei_ministri_riforma_giustizia_sbloccaitalia-94654096/?ref=HREA-1
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« Risposta #66 inserito:: Agosto 30, 2014, 09:54:45 am »

L’intervista
Renzi: «Togliamo l’Italia ai soliti noti che vanno nei salotti buoni»
Il premier al settimanale Tempi: «Basta con capitalismo di relazione trito e ritrito. Torneremo a guidare l’Europa»

Di Redazione online

Togliamo «il paese dalle mani dei soliti noti, quelli che vanno in tutti i salotti buoni a concludere gli affari di un capitalismo di relazione ormai trito e ritrito. Questa è la rivoluzione culturale che serve all’Italia: spalancare le finestre e fare entrare aria nuova». Matteo Renzi, in un’intervista al settimanale Tempi, parla di quanto fatto dal suo governo fino a oggi e spiega quello che ha in mente per il futuro. «Io vedo l’Italia che ci sarà tra dieci anni e sono certo che torneremo ad essere la guida in Europa» spiega il presidente del Consiglio al direttore, Luigi Amicone. Nell’intervista, che uscirà sul numero della prossima settimana, Renzi aggiunge: «Ci vuole lo spirito del maratoneta. Chiarezza sull’obiettivo finale e passo dopo passo si va avanti a viso aperto. Alla fine di questo percorso sono certo che l’Italia, grazie alle straordinarie qualità dei suoi cittadini, tornerà ad essere la guida, non il problema, dell’Europa» dice il premier che parla a tutto campo dell’azione del governo, di Europa, scuola, persecuzioni in Medio Oriente e disegno di legge sull’omofobia.

«Passare dal piagnisteo alla proposta»
Renzi spiega di essere soddisfatto di quanto fatto dal suo governo fino a oggi e replica ancora alle critiche sugli 80 euro. «Vedo che ancora c’è chi ritiene che gli 80 euro mensili e per sempre a 11 milioni di persone non siano utili. Così come chi dice che tagliare l’Irap del 10 per cento alle imprese è troppo poco - dice il presidente del Consiglio - il solito vizio italiano. Certo, si può sempre fare di più, ma noi siamo i primi ad aver fatto il più imponente taglio strutturale delle tasse e la più grande operazione di redistribuzione della ricchezza da decenni e che sarà confermata anche nei prossimi anni. E spero allargata». Per Renzi bisogna «passare dalla logica del piagnisteo a quella della proposta».

«Noi stiamo aiutando l’Europa»
Sui conti dell’Italia e il rapporto con l’Europa il premier assicura: «Noi manteniamo l’obiettivo del 3 per cento. E ciò accadrà anche se altri fossero costretti ad allontanarvisi. Tutto il resto mi pare forzato e prematuro. Quando poi sento parlare di aiuto esterno mi scappa da ridere. L’Italia dà all’Europa più soldi di quelli che l’Europa dà all’Italia - aggiunge - e nel Fondo Salvastati noi abbiamo messo soldi che altri hanno preso. Solo l’atavica volontà di parte della classe dirigente italiana impedisce di prendere atto di una realtà: noi stiamo aiutando l’Europa, non è l’Europa che aiuta noi».

«È il momento di essere seri»
Al tempo stesso, Renzi ammette che «se abbiamo accumulato un debito pubblico enorme che fa da zavorra alla nostra capacità di sviluppo, non è colpa dell’Europa. Se non spendiamo o spendiamo male i fondi europei, non è colpa dell’Europa. Se da noi un processo civile dura decenni, - continua il premier - non è colpa dell’Europa. Sappiamo bene che il fiscal compact è un accordo impegnativo, così come l’equilibrio di bilancio è un esercizio faticoso. Ma sappiamo anche che è venuto il momento di essere seri e di capire che non possiamo scaricare sui nostri figli gli effetti di politiche dissennate come accaduto in passato».

Riforma della scuola
In arrivo, assicura il premier, una importante riforma della scuola che stupirà. «Stiamo lavorando, e seriamente, con il ministro Giannini e con la sua squadra - dice il premier - e il 29 agosto presenteremo una riforma complessiva che, a differenza di altre occasioni, intende andare in direzione dei ragazzi, delle famiglie e del personale docente che è la negletta spina dorsale del nostro sistema educativo. Che non è affatto vero sia un problema, ma un asset strategico del nostro Paese, che va valorizzato e messo in sicurezza. In ogni caso la sfida educativa è la mia priorità. Tra dieci anni l’Italia non sarà come l’avranno fatta i funzionari degli uffici studi delle banche o i politici di Montecitorio; l’Italia sarà come l’avranno fatta le maestre, i maestri, gli insegnanti».

«Preoccupato per Libia e Medio Oriente»
Renzi parla anche di politica estera e si dice «molto preoccupato per la situazione in Libia» e in Medio Oriente: «Queste sono sfide che o l’Europa è in grado di affrontare o l’Europa non è. Dai fenomeni migratori, all’esodo di profughi e rifugiati, alle persecuzioni per motivi religiosi, qui si parrà la nobilitate dell’Europa, il suo essere protagonista nel mondo globale».

Il Ddl omofobia
Nell’intervista spazio anche a una battuta per difendere il disegno di legge sull’omofobia presentato dal deputato Pd Ivan Scalfarotto: «Il ddl Scalfarotto non minaccia la libertà di parola - dice Renzi - Ivan è stato duramente contestato anche da parte del suo mondo proprio per questo».

23 agosto 2014 | 11:19
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_agosto_23/renzi-togliamo-l-italia-soliti-noti-che-vanno-salotti-buoni-cff537e6-2aa2-11e4-9f31-ce6c8510794f.shtml
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« Risposta #67 inserito:: Settembre 09, 2014, 11:08:38 pm »

Renzi chiude Festa dem: "Con il Pd nuova Europa. No a lezioni da tecnici della prima Repubblica"
Comizio conclusivo del premier a Bologna: "Noi visti come una speranza in tutto il continente. Non mollo di mezzo centimetro".
Giovedì la nuova segreteria: "Gruppo unitario, stop a veti a rivincite. Chi la cerca aspetti il 2017".
Sul bonus da 80 euro: "Un'idea di civiltà e di giustizia sociale".
Omaggio a Napolitano: "Contro di lui campagna indecente"

07 settembre 2014

BOLOGNA - Un Pd visto come "una speranza in tutta Europa". Che sia capace di capitalizzare un risultato elettorale "da brividi" per imprimere una svolta nel "segno della crescita a tutto il Continente". Matteo Renzi sceglie la dimensione europea per chiudere la Festa nazionale dell'Unità. E manda un avvertimento anche sul fronte interno: "Non mollo di mezzo centimetro. Non accettiamo lezioni da tecnici della prima Repubblica". E' questa la nota politica nella giornata del premier a Bologna. Quella cromatica è il bianco delle camicie dei quattro leader della sinistra europea che accompagnano il presidente del Consiglio e lo precedono sul palco in un dibattito sull'Europa con la nuova lady Pesc, Federica Mogherini. In ordine di apparizione: Achim Post (segretario del Partito socialdemocratico tedesco), Diederik Samsom (capo del Partito laburista olandese), Pedro Sanchez (nuova stella del Partito socialista spagnolo) e Manuel Valls, premier francese. Con loro scherza Renzi - prima del pranzo negli stand della festa - sigliamo il "patto del tortellino. Asse programmatico e generazionale, con battute e sfottò sul calcio. E protocollo poco ingessato, con Sanchez e Valls che parlano anche in italiano.

Orgoglio democratico. Il momento clou quando sale sul palco il premier, poco dopo le cinque. Il presidente del Consiglio apre il suo comizio con la consueta dose di "orgoglio democratico", rivendicando - con una dedica al suo predecessore Pierluigi Bersani, in piedi tra il pubblico - il carattere pluralista del Pd e lo "straordinario" successo elettorale raccolto alle ultime elezioni europee. "Siamo un partito che è visto come una speranza in tutta Europa, è un risultato che deve lasciarci i brividi e darci responsabilità", ha detto. Poi, entrando nel vivo del suo intervento, Renzi si è occupato innanzitutto di Europa. "Insieme dobbiamo cambiare l'Europa e costruire un'Europa più legata alla crescita e meno al rigore, più al lavoro, alle famiglie e meno alle banche", ha affermato.

Appello all'Europa. Rivolto ancora a Bruxelles, il premier ha insistito: "Stanotte nel canale di Sicilia è nata una bimba salvata dall'impegno italiano come tante altre vite. Oggi c'è una grande richiesta di politica. Dire che c'è spazio per la politica vuol dire che l'Europa non è solo regolamenti e vincoli di bilancio e poi dimenticare cosa accade nei nostri mari. Vuol dire che ci vuole la politica, fare alleanze in Ue perchè l'Ue si occupi di immigrazione".

Governo vigile. "Ora - ha continuato Renzi - dobbiamo chiedere conto della promessa di Juncker sul piano di 300 mld e noi chiederemo di essere molto puntuale. Noi i soldi sappiamo dove metterli: nell' edilizia scolastica, nella banda larga e nelle opere contro il dissesto. Noi sappiamo dove metterli ma devono essere investimenti slegati dalla cultura del rigore del patto di stabilità". Allo stesso modo, ha aggiunto, il governo "verificherà" anche che i soldi dati dalla Bce alla banche "agevoli veramente le imprese". "La salvezza è nelle nostre mani non in quelle europee, iniziamo a spendere bene i fondi europei", ha affermato.

Attacco a M5s su Is. Sul fronte internazionale anche una stoccata al M5s. "Razzi e Salvini sono andati in Corea del Nord, Salvini ha visto Nord sulla cartina e ci è andato. Quello che mi sconvolge è quello che Salvini ha detto rientrando. Non sorridiamo più invece quando Di Battista dice che bisogna dialogare con i terroristi dell'Isil. Con il Pd e Bersani non dialogano, ma con i terroristi sì".

No a lezioni. Entrando poi nel vivo delle vicende italiane, Renzi è tornato a difendere la scelta del bonus da 80 euro in busta paga. "Finora i tecnici ci hanno detto che è finita la luna di miele. A noi ci porta bene - ha spiegato - ma c'è una parte di esperti del Paese, cresciuta all'ombra della Prima Repubblica incapace per 20 anni di leggere Berlusconi, non ha anticipato la crisi e ora ci spiega che gli 80 euro sono un errore. Ma non accettiamo lezioni". "Gli 80 euro - ha detto ancora - sono un'idea di civiltà: l'idea che chi ha sempre pagato si vede restituito qualcosa. E' un atto di giustizia sociale più che una misura economica".

Questione salari. Sempre sul tema del potere d'acquisto, il segretario del Pd ha ribadito: "C'è chi dice che l'Italia è un grande paese ma che non ce la fa più, che ora deve cambiare i modelli, ridurre i salari e competere con quei paesi che fanno prodotti a costi minore: per me è un modello sbagliato perché schiaccia l'Italia su un livello che non è il suo. La globalizzazione porta 800 milioni di nuovi consumatori che chiedono più Italia, bellezza, qualità".

Non mollo mezzo centimetro. "Sulle riforme - ha avvisato ancora il presidente del Consiglio - io non mollo di mezzo centimetro e noi la cambieremo l'Italia, ma non a testa bassa bensì a testa alta, perché abbiamo preso il 41%, perché noi cambiamo l'Italia e li guardiamo negli occhi" quelli che criticano e ostacolano "perché questa volta non ce ne è per nessuno, questa volta le facciamo le riforme basta con i gufi". La riforme, ha insistito, non sono, "come ha sostenuto qualcuno, inutili, insignificanti, anzi uno scandalo, noi portiamo avanti, sia pure con modifiche, la legge elettorale e la riforma costituzionale, dimostriamo che la politica sa decidere". Sul sistema di voto Renzi aggiunge: "Ci vuole una legge dove si sa chi vince e dove si fa il ballottaggio se serve", quanto al ridare il diritto di scegliere ai cittadini "vediamo se il collegio uninominale o le preferenze, anche se noi già facciamo le primarie e un sistema che garantisca a tutti rappresentanza ma non dia poteri di ricatto".

Omaggio a Napolitano. Toccando il tema delle riforme, Renzi ha rivolto anche un omaggio al presidente della Repubblica. "Chiedo un applauso per Giorgio Napolitano - ha detto - che ha sopportato contro di lui una campagna indecente e indecorosa semplicemente per essere stato costretto a rimanere lì per aiutare gli italiani". "Senza Napolitano - ha aggiunto - non si possono fare le riforme".


Scuola e merito. Sulla scuola, altro argomento caldo dell'agenda politica, il segretario democratico ha affermato: "Abbiamo detto mai più precari e supplenti ma anche che gli scatti non siano solo sull'anzianità ma sulla base della qualità del lavoro. Il merito è di sinistra, la qualità è di sinistra, il talento è di sinistra. Io voglio stare dalla parte dell'uguaglianza non dell'egualitarismo".

Segreteria unitaria. Il segretario ha annunciato infine l'intenzione di comunicare giovedì la nuova segreteria del partito, auspicando che possa essere unitaria. "Ci sono due paletti - ha precisato - io da solo non ce la faccio e l'altra condizione è che i veti non sono accettabili. Non possiamo passare tempo a litigare. Propongo una segreteria unitaria, dove la responsabilità è in capo a tutti. Ma deve essere chiaro che se nel Pd qualcuno vuole la rivincita l'avrà nel novembre del 2017, quando ci sarà il prossimo congresso". "Io sono sempre stato unitario - replica a stretto giro Bersani -, la parola "unitaria" mi piace da matti, poi bisogna vedere cosa significa".

La giornata del premier. Renzi era arrivato alla Festa verso le 11.30, con diverse ore di anticipo sull'orario del suo intervento conclusivo. Bagno di folla e foto con i tanti militanti assiepati che aspettavano il suo arrivo, quindi l'incontro con i leader socialisti europei e il pranzo in un ristorante della Festa prima dei loro interventi. "Oggi portiamo tutti a mangiare i tortellini, oggi facciamo il patto del tortellino con i leader della sinistra europea", ha scherzato Renzi.

I leader europei. Sintonia ribadita anche sul palco. "Fermiamo la destra prima che non ci sia più l'Europa di tutti: contate su di me per tutto questo, ne vale la pena", ha detto il nuovo segretario del Psoe, Pedro Sanchez. "Quando sento parlare di austerità - ha proseguito - a voi verrà da pensare: ma perché lo dicono a me che austero lo sono sempre stato? Ne abbiamo abbastanza di sentire dire di fare più sforzi quando ne abbiamo fatti per tutta la vita, abbiamo bisogno di un nuovo patto europeo per lo sviluppo ed il lavoro".

Dopo il leader spagnolo a prendere la parola è stato il premier socialista francese Valls. "Per risollevare l'Europa la sinistra ha bisogno di unità, orgoglio, ideali, lotte comuni - ha detto - la sinistra è tornata a riunirsi per rilanciare l'Europa, il lavoro, per far sentire la propria voce. La nostra azione sta cominciando a dare i suoi frutti e questo è stato possibile grazie alla vittoria di Matteo Renzi. Se vogliamo essere ascoltati dobbiamo essere uniti, non lo siamo stati abbastanza in passato".

Le primarie in Emilia. La dimensione europea del Festival non ha impedito comunque al segretario democratico di entrare nel merito delle vicende locali del partito. "Ora ci sono le primarie - ha detto Renzi riferendosi alla corsa per la successione (nella quale spicca il duello Bonaccini-Richetti) alla guida della Regione Emilia Romagna dopo le dimissioni di Vasco Errani - Sono tutti bravi ragazzi, l'importante è che non litighino tra di loro". Un appello al fair play, insomma, dopo le indiscrezioni di questi giorni sull'arrivo di un "briscolone" - la possibile candidatura all'ultim'ora di un big del partito - a rimescolare le carte. "L'importante - ha concluso - è che dopo le primarie siano tutti uniti in vista delle elezioni".

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/09/07/news/renzi_festa_unit-95186732/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_08-09-2014
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« Risposta #68 inserito:: Settembre 09, 2014, 11:14:53 pm »

Il premier convince quasi due italiani su tre: ma non sulla crescita
I consensi salgono dal 61 al 64 per cento Sulle misure prevalgono i giudizi negativi

Di Nando Pagnoncelli

Il primo sondaggio realizzato dopo la pausa estiva fa registrare un consenso stabile per l’operato del governo: il 58% degli intervistati esprime complessivamente valutazioni positive (rispetto al 59% di fine luglio), con un incremento del 3% di quelle «molto positive». E il sostegno a Renzi cresce: quasi due su tre (64%) esprimono un giudizio positivo con un aumento del 3% rispetto a luglio.

Peraltro le opinioni su alcuni interventi presentati o attuati dall’esecutivo risultano controverse: la riforma della pubblica amministrazione risulta apprezzata dal 42% dei cittadini e non gradita dal 40%; la riforma della scuola ottiene un buon livello di consenso (48% i giudizi positivi, 35% quelli negativi) mentre i provvedimenti a sostegno della crescita economica sono giudicati più negativamente (46%) che positivamente (42%). La decisione che incontra il favore più elevato è stata la nomina del ministro degli esteri Federica Mogherini alla guida della diplomazia europea: 49% contro 28% di giudizi negativi. Va sottolineato che una parte non trascurabile dei cittadini (dal 12% nel caso degli interventi per la crescita al 23% per la nomina del commissario Pesc) non si esprime, ignorando il tema o dichiarando di avere poche informazioni per giudicare.

In generale si conferma il grande sostegno per il governo e per il premier da parte degli elettori del Pd (il 40% dei quali, lo ricordiamo, rappresenta elettorato nuovo, proveniente da partiti diversi) e di quelli centristi e un consenso inusuale, sebbene più contenuto, presso gli dei partiti di opposizione (FI e M5S).

Tra i segmenti sociali risultano più critici con l’esecutivo quelli più esposti alle conseguenze della crisi: artigiani, commercianti, partite Iva e piccoli imprenditori penalizzati da una domanda interna che non decolla; disoccupati, sempre più preoccupati di rimanere ai margini della società, e casalinghe, quotidianamente alle prese con la quadratura del bilancio familiare.

Il perdurante consenso della maggioranza dei cittadini per il governo risulta davvero sorprendente, tenuto conto di tre aspetti: gli indicatori economici che rimangono negativi (o addirittura peggiorano); l’abituale pessimismo che caratterizza l’opinione pubblica al rientro dalle ferie; l’atteggiamento decisamente critico nei confronti dell’esecutivo espresso da molti media nel mese di agosto. A questo proposito sembra che la «luna di miele» di Renzi con la stampa sia terminata, quella con l’establishment (imprenditori, realtà associative, sindacati e, in generale, corpi intermedi) attraversi una fase delicata, mentre quella con i cittadini continua senza cedimenti.

In realtà l’indice della fiducia dei consumatori rilevato dall’Istat nel mese di agosto evidenzia una flessione (da 104,4 a 101,9): si tratta del terzo calo consecutivo, dopo un periodo di costante crescita registrato dal dicembre 2013 fino allo scorso maggio.

Questo dato sembrerebbe in contraddizione con i risultati del sondaggio odierno, ma non lo è: un’analisi più approfondita dei dati Istat, infatti, evidenzia che il calo riguarda soprattutto il clima economico (-6,6 punti) e molto meno la situazione personale il cui indice si riduce solo leggermente (-1,1). Semplificando, si osserva che aumenta la divaricazione tra i giudizi sulla situazione economica del Paese, sempre più negativi, e quelli sulla condizione personale che non è certamente rosea ma almeno non è peggiorata. Come dire: l’Italia va male ma io me la cavo.

E se lo scenario generale non migliora, la colpa è di chi resiste al cambiamento, dei conservatori, di chi non vuole rinunciare a rendite di posizione o privilegi... ma certamente non di Renzi. Così la pensano i suoi numerosi sostenitori.

In questa fase, quindi, sembrano venir meno sia la tradizionale relazione tra l’andamento economico del Paese e il consenso sia la capacità dei media di influenzare significativamente l’opinione pubblica che, al contrario, in larga misura giudica il premier alle prese con una battaglia molto dura, solo contro tutti, per «fare uscire il paese dalla palude». E questa «solitudine» lo rafforza agli occhi dei cittadini.

7 settembre 2014 | 08:15
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_settembre_07/premier-convince-quasi-due-italiani-tre-ma-non-crescita-8d3203c6-3655-11e4-b5da-50af8bd37951.shtml
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« Risposta #69 inserito:: Settembre 16, 2014, 05:53:29 pm »

"Matteo Renzi, ora più coraggio".
Parlano gli invitati alla cena organizzata dal finanziere Davide Serra due anni fa a Milano

Claudio Lindner, L'Huffington Post
Pubblicato: 15/09/2014 18:41 CEST Aggiornato: 4 ore fa

Nella City milanese i renziani della prima ora, quelli invitati dal finanziere Davide Serra all'incontro del 17 ottobre 2012 che tanto fece scalpore scatenando le dure critiche di Pierluigi Bersani, oggi chiedono al premier di rischiare di più. Non hanno perso la fiducia in lui, tutt'altro, "anche se la fiducia si conquista giorno per giorno – dice Franco Moscetti, amministratore delegato di Amplifon - e la si può perdere in qualsiasi momento", ma lo spingono a cambiare più velocemente le cose sfruttando il fatto che la popolarità sia pur in calo resti molto elevata.

"Dovrebbe avere un po' più di coraggio e accelerare sulle riforme – sostiene Guido Roberto Vitale, presidente di Vitale e associati – con il seguente ordine: Senato, legge elettorale, lavoro e partiti, che devono diventare persone giuridiche e quindi con bilanci certificati". Lui sostiene il premier, capace e intellettualmente onesto ("se non esistesse bisognerebbe inventarlo"), ma dà ragione a Ernesto Galli della Loggia (sul Corriere di lunedì 15 settembre), sottolineando che "Renzi dovrebbe fare nomi e cognomi di chi blocca le riforme".

Sono passati due anni. L'ex sindaco di Firenze non è più un emergente, oggi è a Palazzo Chigi. Governa dal 22 febbraio, 207 giorni, e martedì interviene a Montecitorio nel suo primo discorso dopo le vacanze e dopo le polemiche scaturite dalla sua assenza prima al Meeting ciellino di Rimini e poi al tradizionale appuntamento di Cernobbio. Alla vigilia dell'atteso discorso alla Camera, l'Ocse ha diffuso le nuove previsioni sul prodotto interno lordo italiano 2014: -0,4 per cento, recessione piena. Non c'è che darsi una mossa, lasciano intendere tutti. Serra, numero uno del fondo Algebris, ha spiegato la sua linea sullo “sblocca Renzi” in un'intervista al “Foglio”. In sintesi, oltre a intervenire energicamente sugli sprechi della spesa pubblica con tagli possibili per 32 miliardi di euro, bisogna rompere certi tabù. Da un lato con i sindacati sui temi del lavoro e dall'altro con gli imprenditori sui 100 miliardi di aiuti statali che ricevono senza colpo ferire.

Secondo Moscetti la priorità numero uno, l'unica, è il lavoro, e bisogna trovare tutte quelle modifiche e quelle innovazioni che possano creare occupazione. "Privilegiare tutte quelle attività che sono people-intensive. Non ho visto ancora nulla né sull'Irap, né sul cuneo fiscale. Se non si aumentano i consumi non andiamo più da nessuna parte. E l'articolo 18 è sicuramente importante, ma non decisivo". Più dirompente, sempre sulla priorità lavoro, il suggerimento di Vincenzo Manes, presidente di Kme (tra i principali produttori mondiali di rame) e promotore di un fondo da 500 milioni per lo sviluppo dell'impresa sociale di cui lo stesso Renzi ha fatto cenno nella conferenza stampa di esordio. "La prima cosa da fare è introdurre una tassa sulla ricchezza dell'1 per cento attraverso cui finanziare imprese miste pubblico-privato creando così occupazione nel settore sociale, nel welfare allargato". Una patrimoniale finalizzata che avrebbe effetti immediati, ma sulla quale il premier non sembra esprimersi con particolare afflato.

Vitale si sofferma invece sul tema degli appalti, visto che ora dovrebbero ripartire i lavori pubblici. "Una condizione essenziale – precisa - sarebbero bilanci certificati, requisiti di onorabilità, un capitale sociale minimo elevato per le imprese che partecipano. Per ora non se ne è parlato ed è un male. Oggi la Corte dei Conti fa controlli a posteriori e spostati nel tempo, mentre bisognerebbe avere da subito il nullaosta e il parere sulla congruità delle opere messe all'asta evitando la consueta e assurda lievitazione dei prezzi".

Alessandra Manuli, amministratore delegato di Hedge Invest e una delle poche donne presenti all'incontro di due anni fa, racconta che ci andò più che altro "per curiosità" e oggi si augura che il governo "riesca a portare a compimento riforme efficaci per traghettare il paese verso lidi più sicuri". Insomma, tra sponsor, fedelissimi e curiosi, nel mondo economico Renzi può ancora contare su una platea attenta e fiduciosa. Ma d'ora in poi, meno annunci e più coraggio.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2014/09/15/renzi-ora-piu-coraggio-invitati-cena-serra-2-anni-fa_n_5822972.html?utm_hp_ref=italy
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« Risposta #70 inserito:: Settembre 16, 2014, 06:10:54 pm »

Su Matteo Renzi piombano i dati negativi Ocse.
Domani il premier in Parlamento. E Visco sale al Colle...

Pubblicato: 15/09/2014 21:33 CEST Aggiornato: 2 ore fa

Tutta l’Eurozona è in crisi ma l’Italia è l’unico paese del G7 in recessione con una crescita in negativo pari a meno 0,4 per cento. Lo dice l’Ocse ed è questo il dato più negativo che piomba sul Belpaese alla vigilia dell’intervento di Matteo Renzi alle Camere sul programma dei ‘millegiorni’. Ancora più negativo se accoppiato a quello di Standard & Poor’s, che pure taglia le stime di crescita del nostro paese. Una doppia doccia gelata, roba grave, della quale infatti il governatore di Bankitalia Ignazio Visco discute subito con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano prima al telefono e poi a tu per tu al Colle. Il presidente del Consiglio risponderà domani, ma il sottosegretario Graziano Delrio mette subito in chiaro che non ci sarà “una manovra aggiuntiva”. Il premier tornerà sullo stesso concetto domani, prima a Montecitorio e poi a Palazzo Madama, con un discorso che rivendica i risultati ottenuti ma soprattutto rilancia. Renzi ora chiede al Parlamento uno sprint sulle riforme: lavoro, riforme istituzionali, fisco, giustizia. Anche se, facendo i conti con il calendario, i suoi parlamentari ritengono realistica l’approvazione del Jobs Act entro la sessione di bilancio sulla legge di stabilità (fine ottobre) e magari della legge elettorale entro l’anno (entrambi all’esame del Senato). Anche perché l’altra cattiva notizia della serata è che anche domani il Parlamento sarà occupato dalle votazioni sui membri della Corte Costituzionale e del Consiglio Superiore della Magistratura, dopo la fumata nera di oggi (sono stati eletti solo tre membri del Csm). Si rivoterà domani, dopo l’informativa del capo del governo e mentre sarà in corso la direzione del Pd, quella in cui il premier-segretario annuncerà la nuova squadra del Nazareno.

Informativa sui ‘millegiorni’, risposte sui dati negativi per l’economia, risposte all’Europa, il vero fiato sul collo di Palazzo Chigi, e poi la direzione Pd. Un groviglio di impegni che Renzi ha voluto mantenere nella stessa giornata di domani, nonostante il flop su Consulta e Csm, nonostante che anche domani deputati e senatori saranno impegnati nell’ennesima votazione per colmare i vuoi nei due organismi costituzionali. “Vorrà dire che i parlamentari faranno la spola tra la direzione del partito e il voto a Montecitorio”, spiegano dal Pd. Renzi comunque ha deciso di confermare tutti gli appuntamenti: non c’è un minuto da perdere, è l’indicazione ai suoi. Oggi, appena tornato da Palermo, dove ha inaugurato l’anno scolastico all’istituto intitolato a don Puglisi, il premier si è messo al lavoro sul discorso che terrà domani: alle 10.30 alla Camera e alle 15 al Senato. Un discorso che Renzi definisce “programmatico”, con le priorità del governo e la visione d’insieme del suo esecutivo. Renzi parlerà all’Europa, dopo i richiami del vice di Jean Claude Juncker, il rigorista Jyrki Katainen che solo pochi giorni fa ha messo in chiaro: “Non basta annunciare le riforme, serve attuarle”. E tornerà a sottolineare la ferma volontà del governo di andare avanti con le riforme “perché le chiedono i cittadini, non perché ce lo chiede l’Europa”.

Niente lezioni, niente maestrini da Bruxelles, soprattutto niente commissariamenti. E’ questa la linea del premier, certo di avere dalla sua il consenso popolare. Niente controlli sull’agenda del governo, è il succo. Renzi si divincola dalle indicazioni emerse dall’ultima riunione dell’Ecofin e dei ministri finanziari a Milano. Si libera dalla gabbia in cui le istituzioni europee vorrebbero infilare l’Italia per controllarne la buona condotta e il rispetto degli impegni assunti con gli altri partner del continente.

Ma lo fa non perché voglia far carta straccia dei vincoli, bensì perché convinto di poter portare a compimento le riforme facendo anche in modo che il Belpaese conquisti diritto di parola sulle politiche europee: in senso anti-austerity.

Tradotto: l’Italia rispetterà il vincolo del 3 per cento tra deficit e pil, ma potrebbe ‘disobbedire’ sulla riduzione del debito che potrebbe quindi anche crescere al di sopra del 2,6 per cento (sempre stando sotto il 3): per non comprimere ancor di più la crescita. E’ per questo che il premier oggi si è congratulato al telefono con il segretario dei socialdemocratici svedesi Stefan Lofven, incaricato di formare il nuovo governo dopo il successo elettorale della sinistra a Stoccolma. "Dopo Bologna”, vale a dire dopo la manifestazione insieme agli altri leader della Spd alla Festa del Pd, “un'altra tessera si aggiunge ad una Europa progressista che tiene assieme il rispetto degli impegni presi insieme e la necessità e l'urgenza di politiche di crescita, come negli impegni presi da Juncker", è il messaggio di Renzi a Lofven.

E’ Delrio a dar voce alle difficoltà. "Abbiamo ereditato una fase profonda di recessione dell'economia – dice il sottosegretario alla presidenza del Consiglio - si sperava da parte di tutti e vi erano previsioni che ci sarebbe stata una ripresa già nel 2014, ma sappiamo che per il contesto internazionale la ripresa tarderà ancora a svilupparsi. Questo è il quadro nuovo ma questo non ci costringerà a una manovra aggiuntiva. Il governo non vuole caricare di nuove fatiche gli italiani, vuole trovare i risparmi nella riorganizzazione dello Stato e quindi lavoreremo più intensamente su questo".

Le istituzioni finanziarie sono in allarme: da Visco a Mario Draghi. Anche il governatore della Bce di recente è andato a colloquio con Napolitano, punto di riferimento ancora forte per l’attività istituzionale italiana malgrado il governo Renzi non sia un ‘governo del presidente’ come quello di Monti o Letta. E’ il segno che gli occhi dell’Europa (della Trojka?) sono sempre più concentrati sull’Italia, sempre più carichi di aspettative sul percorso di riforme che abbiamo davanti. Renzi programma di parlarne domani, a suo modo e con il suo stile. I suoi considerano alla portata di mano anche l’intesa interna al Pd sul nodo dell’articolo 18, che il Jobs Act dovrebbe riformare sospendendolo nei tre anni del nuovo contratto a tutele crescenti. Oltre non si va, almeno stando a quanto dicono dalla minoranza Pd dove escludono categoricamente di poter acconsentire ad una cancellazione dell’articolo 18 (come vorrebbero gli alleati del Ncd). Renzi comincerà a trattare l’argomento domani, convinto che la nuova “segreteria unitaria” potrà aiutare anche il dibattito interno ai Democratici. Proprio oggi a Palermo ha trovato ispirazione in questa frase scritta sulla parete della sede della società Mosaicoon: "Il possibile lo possiamo fare immediatamente, per l'impossibile stiamo lavorando. Per i miracoli, per favore, dateci 48 ore".

Da - http://www.huffingtonpost.it/2014/09/15/matteo-renzi-ocse_n_5823768.html?utm_hp_ref=italy
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« Risposta #71 inserito:: Settembre 17, 2014, 05:05:59 pm »

Renzi a La Stampa: “Liberiamo la possibilità di assumere, ma meno rigidità sul lavoro”
Colloquio con il premier in visita al nostro giornale: “Maternità anche a chi ha la partita Iva o a chi non è coperto dalle casse della categorie”


17/09/2014
Marco Castelnuovo

TORINO

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi sorride quando entra in redazione a La Stampa e vede sul sito del nostro giornale i flash sull’emendamento del governo per un contratto a tutele crescenti per i neo assunti. “È lì che vogliamo andare”, dice spiegando cosa poi significhi concretamente smetterla di dividere i lavoratori di serie A e di serie B come ha detto ieri alle Camere. 

“Dobbiamo dare regole che siano sostanzialmente uguali per tutti”. Parte dall’attenzione verso le donne, ormai chiodo fisso del suo governo. “Oggi non tutte le lavoratrici hanno la maternità. Dobbiamo garantirla anche a chi ha la partita Iva o a chi non è coperto dalle casse della categorie”.

E, ovviamente, superare “l’articolo 18” significa prendersi cura del lavoratore nel momento in cui esce dal mercato del lavoro. “Il concetto di fondo è che noi dobbiamo liberare la possibilità di assumere e, per chi non ce la fa, non avere le rigidità che ha avuto il mercato del lavoro fino a oggi”.

Avere le stesse regole. “Che tu abbia lavorato in una azienda che abbia più di quindici dipendenti o meno, devi avere le stesse garanzie. Per un anno puoi fare un corso di formazione o un investimento su di te. Non c’è solo un indennizzo, ma è lo Stato che ti accompagna per un periodo”. Che costerebbe allo Stato tra 1,5 e due miliardi.

Il modello a tendere è quello già contenuto nella legge delega di marzo. Però “dobbiamo avere tempi certi”, avverte Renzi. “Entro l’anno, dobbiamo avere chiaro l’iter normativo”. Altrimenti, il messaggio è chiaro: è già pronto un decreto.

Un mercato del lavoro più flessibile e più sicuro. La Flexsecurity alla danese cui si ispira il premier. “Non certo un mercato del lavoro “alla spagnola”. Il nostro modello non può essere un Paese che ha il 25% di disoccupazione, con tutto il rispetto per gli sforzi di Rajoy”.

“Alcuni pensano che dovremmo fare come la Spagna. Ma l’Italia ha effervescenza e dinamismo. È un’altra cosa”. 

Da - http://lastampa.it/2014/09/17/italia/politica/renzi-in-redazione-a-la-stampa-sul-lavoro-regole-uguali-per-tutti-9VpaOzSRvS3cjRsX5vgtVO/pagina.html
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« Risposta #72 inserito:: Settembre 17, 2014, 05:07:48 pm »

Renzi: voto anticipato solo se il Parlamento non fa le riforme.
Jobs act: pronto a fare un decreto

16 settembre 2014

«I mille giorni sono l'ultima chance per l'Italia per recuperare il tempo perduto». L'ipotesi di un voto anticipato «potrebbe essere presa in considerazione se il Parlamento si dimostrasse incapace di fare ciò che è necessario nei prossimi anni». Così il premier Matteo Renzi nei suoi interventi alla Camera e al Senato per una informativa urgente sul programma dei mille giorni, nel corso della quale ha definito le riforme (« da fare tutte insieme») uno «strumento di crescita». Renzi si è detto sicuro del fatto che «al termine di questo percorso riusciremo non soltanto a capovolgere la storia di questa legislatura ma a rimettere in pista l'Italia». Non solo. Il presidente del consiglio si è detto anche disponibile «a perdere consenso per le riforme».

E ha indicato l'orizzonte dell'azione del governo nella scadenza naturale della legislatura a febbraio 2018. Un concetto ribadito nella replica al Senato, a patto che il Parlamento sia in grado «di cambiare marcia e di fare le riforme necessarie», anche se ha ammesso che «da un punto di vista utilitaristico potrebbe essere sarebbe una buona idea andare a elezioni anticipate». Un'opzione rifiutate perché «prima delle esigenze di un partito viene l'interesse del paese». La priorità, comunque, è l'approvazione della nuova legge elettorale. E alcuni obiettivi da realizzare nei mille giorni: «un fisco più semplice e meno caro possibile», un «diritto del lavoro che non potrà essere quello di oggi». E ancora: una «legge sui diritti civili», la «riforma della Rai per sottrarre la governance ai partiti», un miglior utilizzo dei fondi Ue, la riforma della scuola. Sul fronte lavoro, in particolare, Renzi di è detto pronto «anche a intervenire con misure di urgenza, perché non possiamo perdere anche un secondo in più». E ha assicurato: «l'abbassamento del carico fiscale sul lavoro lo continueremo a fare nel 2015».
 
Legge elettorale: stop melina, non per andare a voto
Il presidente del consiglio ha dedicato l'incipit del suo discorso all'approvazione della nuova legge elettorale, da fare subito, non «per andare a elezioni» anticipate, ma perché una «ennesima melina istituzionale sarebbe un affronto». E ha aggiunto: nell'iter dell'Italicum «siamo pronti ad ascoltare, ma alcuni punti sono immodificabili». A partire da «un premio di maggioranza sufficiente, proporzionato», che consenta di governare.

Italia ha interrotto caduta ma non basta
«Oggi siamo in momento in cui l'eurozona è ferma, l'Italia ha interrotto la caduta ma non basta, non è sufficiente. I numeri non sono più devastanti ma ci si può certo accontentare di interrompere la caduta. Noi dobbiamo ripartire e tornare a crescere partendo dagli occupati» ha detto il premier alla Camera . «Non basta passare allo zero virgola uno in più rispetto a prima, è importante, ma noi siamo qui non per aggiungere un segno, siamo qui per lasciare il segno con le riforme», ha aggiunto Renzi nella replica al Senato.





Riforme producono crescita, vanno fatte tutte insieme
Come? Attraverso un pacchetto globale di riforme. «O le riforme si fanno tutte insieme o non si porta a casa il percorso di cambiamento - ha assicurato Renzi - il benaltrismo come filosofia politica ignora il dato di fatto che o le riforme si fanno insieme o non si esce con il passo della tartaruga da 20 anni di stagnazione».

Se delega lavoro rallenta, pronti a decreto
Uno dei passaggi più forti del suo discorso Renzi lo ha dedicato al lavoro. Lanciando un avviso preciso alle Camere. «Se saremo nelle convinzioni di avere tempi serrati di esame della delega sul lavoro rispetteremo il lavoro del Parlamento - ha detto Renzi - altrimenti siamo pronti anche a intervenire con misure di urgenza, perché sul lavoro non possiamo perdere anche un secondo in più». Un'ipotesi, quella del decreto, definita «uno strappo inaccettabile, un atto contro le parti sociali» dal segretario della Fiom, Maurizio Landini. Ma Renzi alla Camera ha tirato dritto e ha assicurato: «Al termine dei mille giorni il diritto del lavoro non potrà essere quello di oggi. Non c'è cosa più iniqua che dividere i cittadini tra quelli di serie A e quelli di serie B», sicché va superato un «mondo del lavoro basato sull'apartheid».

Servono tutele univoche e identiche
Con riferimento al dibattito in corso sulla disciplina dei licenziamenti regolamentata dall'articolo 18, il premier ha parlato alla Camera della necessità di «un messaggio di semplificazione delle regole che impediscano diversità nei tribunali». Per Renzi «il tema del reintegro dipende più dalla conformazione geografica che non dalla fattispecie giuridica». E al Senato ha spiegato nel dettaglio: «bisogna cambiare gli ammortizzatori rendendoli più semplici, semplificare le regole e garantire forme di tutela univoche e identiche. Nel 2015 dobbiamo partire con i nuovi ammortizzatori sociali». Poi ha aggiunto che «non è solo con le norme che si creano posti di lavoro» ma serve «una politica industriale vera».

Fisco meno caro possibile, serve strategia condivisa
Renzi ha rilanciato anche sulla necessità di una riduzione del carico fiscale. «Serve una strategia condivisa di riduzione fiscale, del carico delle tasse sul lavoro con la riduzione per la prima volta dell'Irap», ha detto il premier, per il quale «il fisco deve essere il meno caro possibile».

Obiettivo scadenza legislatura a febbraio 2018
Il premier ha poi fissato come obiettivo dell'azione del governo la scadenza naturale della legislatura, pur non avendo «paura di confrontarci con gli italiani» con il voto. «E' obbligo di questo governo indicare dove vogliamo portare il Paese: vi proponiamo di utilizzare come scadenza della legislatura la scadenza naturale, sapendo che è possibilità delle Camere negare in ogni momento la fiducia al governo», ha spiegato il premier Matteo Renzi parlando alla Camera, indicando come orizzonte febbraio 2018.

Riforma giustizia per cancellare scontro ideologico
Sul tema giustizia, la riforma messa in cantiere dal governo, per Renzi «deve cancellare il violento scontro ideologico del passato». Il premier ha ribadito alla Camera che l'indipendenza della magistratura «è un valore assoluto, che deve essere rispettato sia se fa comodo che se non fa comodo». Ma ha rivendicato il taglio delle ferie ai magistrati. «Nessuno in questa aula sostiene che la giustizia si semplifica con le ferie dei giudici - ha detto - ma non c'è nessuno qui fuori che pensi che sia giusto che ci siano 45 giorni» di chiusura dei tribunali «per un servizio così delicato come la giustizia». E al Senato ha aggiunto: «È finito il tempo della rendita per quei magistrati che pensano che la sospensione feriale di 45 giorni sia un tabu invalicabile».

Avviso di garanzia non può cambiare politica aziendale
Ma Renzi ha voluto rimarcare anche il nuovo corso garantista del Pd in materia di giustizia. E con riferimento all'avviso di garanzia ricevuto dall'ad di Eni Claudio Descalzi in un'indagine per presunte tangenti in Nigeria, Renzi ha detto: «Aspettiamo le indagini e rispettiamo le sentenze ma non consentiamo a uno scoop di mettere in crisi dei posti di lavoro o a un avviso di garanzia citofonato sui giornali di cambiare la politica aziendale di un Paese. Se questa è una svolta prendetevi la svolta, ma è un dato di fatto per rendere l'Italia un Paese civile».

Alle 18 la direzione per ufficializzare nuova segreteria Pd
Oggi, intanto, sarà per Renzi anche un giorno delicato anche in chiave partito. Il premier-segretario è infatti chiamato a organizzare una nuova segreteria allargata alla minoranza Dem, per una gestione collegiale del partito, così come auspicato in occasione del suo intervento di chiusura della Festa dell'Unità lo scorso 7 settembre. La riunione della direzione nel corso della quale Matteo Renzi ufficializzerà la nuova segreteria è fissata alle 18,30.

Fassina: Renzi propone lavoratori di "serie C"
Eppure le divisioni nel partito restano. «Renzi dice no a un diritto del lavoro di serie A e B. Propone tutte lavoratrici e lavoratori in serie C», scrive ad esempio il deputato Pd Stefano Fassina commentando in un tweet il discorso di Matteo Renzi alla Camera. E aggiunge durissimo: «Renzi come Monti e la destra utilizza il termine apartheid per scaricare su padri sfigati il dramma del lavoro di figli ancora più sfigati».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-09-16/renzi-presenta-camere-programma-mille-giorni-085355.shtml?uuid=ABmoWBuB&p=2
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« Risposta #73 inserito:: Settembre 23, 2014, 05:02:12 pm »

IL VIAGGIO DEL presidente del Consiglio IN AMERICA
Renzi negli Usa: «Yes we can? Da noi va di moda dire “non si pote”»
Il premier a San Francisco: «Qui c’è il futuro, da noi le capitali del passato. Ma io cambierò l’Italia, senza padrini né padroni».
Napolitano: «Basta conservatorismi»

Di ALESSANDRO SALA

Altro che «Yes we can», lo slogan con cui Barack Obama partì alla conquista della Casa Bianca ai tempi del suo primo mandato: in Italia quello che va di moda è il «No, non si pote». Lo ha detto Matteo Renzi durante un incontro con 150 tra fondatori di start up e ricercatori di origine italiana riuniti a San Francisco, nell’ambito del tour americano che lo porterà anche a New York per l’Assemblea generale delle Nazioni Unite e a Detroit per la visita allo stabilimento Fiat Chrysler. Il capo del governo ha detto di respirare, all’ombra del Golden Gate, aria da «città del futuro», mentre il rischio che si corre in Italia è quello di avere «città straordinariamente belle, ma città del passato. Per questo, ha sottolineato, «la nostra scommessa è trasformare noi stessi, dobbiamo essere gelosi del passato ma innamorati del futuro».

«Né padrini né padroni»
«Non vi chiedo di tornare perché siete cervelli in fuga - ha poi detto ai suoi interlocutori -: io cambio l’Italia, voi continuate così e cercate di cambiare il mondo». Non solo: «Se oggi l’Italia ha un premier con meno di 40 anni, che non ha padrini e padroni, non è per merito mio ma perché l’Italia ha creduto nel cambiamento». Anche se, è l’amara aggiunta, «quando dico nei talk show che l’Italia ha straordinarie capacità, passo per matto e mi prendono per stupido. Mi dicono che voglio fare terapia di gruppo». «L’Italia ha una chance straordinaria per smettere di piangersi addosso - ha poi evidenziato Renzi -. Nel nostro Paese ci sono cose da cambiare in modo quasi violento, mettendoci proprio la forza delle idee e del cervello».

«Cancelliamo i certificati»
Poi il discorso si è spostato limiti dell’Italia e sul peso della burocrazia che ne frena le potenzialità: «Serve una rivoluzione sistematica, se non la faremo non saremo mai un Paese normale». Nella culla dell’information Technologies, il premier ha preso l’impegno di cambiare la pubblica amministrazione attraverso l’informatica «per cancellare la parola certificato e avere un amministrazione come una nuvola, cambiando il rapporto tra cittadini e burocrazia». Tuttavia, ha aggiunto, «il cambiamento è impossibile con una testa striminzita e ripiegata sul passato. Servono le riforme ma anche le idee e per questo io sono qui ad ascoltarvi».



«Un progetto di riforme»
Le cose da fare per cambiare l’architettura della nazione sono parecchie e complesse. «Serve un mercato del lavoro diverso - ha subito sottolineato il leader del Pd -. Il nostro Paese ha bisogno di investire sull’immagine di una campagna anti corruzione, ha bisogno di una giustizia civile con gli stessi tempi di Francia, Germania o Regno Unito. Ma perché questo accada c’è bisogno di un grande progetto di riforme».

Napolitano: «Basta conservatorismi»
Di riforme ha parlato da Roma anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a margine della cerimonia di inaugurazione dell’anno scolastico al Quirinale: «Specialmente in Italia - ha detto il capo dello Stato - dobbiamo rinnovare decisamente le nostre istituzioni, le nostre strutture sociali, i nostri comportamenti collettivi. Non possiamo più restare prigionieri di conservatorismi, corporativismi e ingiustizie».

Da - http://www.corriere.it/politica/14_settembre_22/renzi-usa-qui-c-futuro-noi-capitali-passato-ad9aa654-4271-11e4-8cfb-eb1ef2f383c6.shtml
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« Risposta #74 inserito:: Settembre 28, 2014, 03:43:51 pm »

Matteo Renzi: "I poteri forti vogliono sostituirmi? Ci provino, ma non mollo, senza il Pd nessuno fa nulla. Via l'articolo 18, è inutile"
"Non sono massone e non lo è mio padre, siamo una famiglia di boyscout cresciuti nel mito di Zaccagnini e Tina Anselmi.
Se i voti di forzisti saranno decisivi sul lavoro, si aprirà un problema politico"

Di CLAUDIO TITO
   
"Per alcuni è un attacco studiato contro di me" e contro il governo. In ogni caso se qualcuno pensa di "volermi sostituire a Palazzo Chigi, si accomodi pure" ma "il Pd - il partito del 41% - non accetterà di farsi da parte". Matteo Renzi è in viaggio tra Firenze e Roma. Alza il telefono, risponde. È uno sfogo. "Adesso devo pensare a chiudere sulla riforma del lavoro. Quella sì che è fondamentale".

Sta tornando a Palazzo Chigi proprio per preparare la direzione del suo partito convocata per discutere le nuove norme. Eppure la sua attenzione in questi giorni è catturata da altro. Da quell'"attacco studiato" di quelli che chiama ripetutamente i "poteri forti". Ne è quasi ossessionato. E allora non si trattiene. Lancia fendenti a destra e a manca. Se che le critiche al suo esecutivo adesso hanno centri di provenienza diversi. Come ad esempio la Cei di Bagnasco. La luna di miele sembra finita. Ma lui non ci sta. "Io non sono un massone, sono un boy scout. La verità è che io non omaggio certi poteri e questa è la reazione". "E io insisto. Non mollo. Cominciamo con il cambiare lo statuto dei lavoratori". Con un'apertura alla minoranza Pd: "La reintegra può restare per i casi di discriminazione".

E quando pensa di chiudere questa partita?
"Prima possibile".

Insomma, vuole rottamare l'articolo 18?
"Va cambiato tutto lo Statuto dei Lavoratori, è stato pensato 44 anni fa. È come se uno cercasse di mettere il rullino in una macchina fotografica digitale: sono due mondi che non dialogano. Nel merito l'articolo 18 non difende tutti. Anzi, in fin dei conti non difende quasi nessuno. Nel 2013 i lavoratori reintegrati sono stati meno di tremila: considerando che i lavoratori in Italia sono oltre ventidue milioni stiamo parlando dello 0,0001%. È solo un tema strettamente ideologico. Il reintegro spaventa gli imprenditori e mette in mano ai giudici la vita delle aziende. Va tenuto solo per i casi di discriminazione. Per gli altri indennizzo e presa in carico da parte dello Stato. Perdi il lavoro? Io Stato ti aiuto a ritrovarlo, facendoti corso di formazione e almeno due proposte di lavoro".

Però una soluzione la minoranza la sta proponendo: congelare per i primi 3 o 4 anni il diritto al reintegro?
"Scusi, ma che senso avrebbe? Sarebbe un errore: significherebbe essere un Paese in cui il futuro dell'economia e dell'industria dipende dalle valutazioni dei giudici. L'articolo 18 o c'è per tutti o non c'è per nessuno. Lasciarlo a metà non tutela i cittadini e crea incertezza alle aziende.

Oggi una delle loro preoccupazioni è che le aziende non sanno come va a finire un'eventuale causa di lavoro. È l'incertezza che ci frega. E siamo passati dal 7% di disoccupazione a quasi il 13%".

Il reintegro in caso di discriminazione assomiglia a una mediazione? Lo sosteneva anche Bersani.
"Noi non l'avevamo mai eliminato".

Sta di fatto che lei non ha tutto il Pd dalla sua parte. Domani la direzione decide. I parlamentari dovranno adeguarsi?
"In un partito normale, si discute, si vota anche dividendosi, poi si prende una decisione e la si rispetta. Sono comunque pronto a incontrare i gruppi parlamentari, la maggioranza, la minoranza, la segreteria, la direzione, l'assemblea dei circoli, il comitato dei garanti, la convention degli amministratori. Non voglio prove di forza muscolari, anche se abbiamo la certezza di avere la maggioranza. Io non ho paura del confronto. Sono certo che anche dentro la minoranza prevarranno le posizioni di saggezza. Un partito non è una caserma dove si obbedisce soltanto, né un centro anarchico dove ognuno fa come vuole. È una comunità dove ci sono idee diverse e dove  -  dopo esserci ascoltati  -  si decide. Così mi spiegavano i responsabili della ditta quando io ero all'opposizione. Così noi abbiamo sempre fatto perché è giusto".

Accetterebbe i voti di Forza Italia se fossero determinanti?
"Se accadesse non su un singolo emendamento, cosa che talvolta si verifica, ma sul voto finale del provvedimento si aprirebbe un grave problema politico. Ma io credo che non accadrà. Non so come farebbero i nostri parlamentari a spiegarlo nelle riunioni di circolo: sarebbe un gigantesco regalo sia a Berlusconi sia a Grillo. I parlamentari della minoranza sono più saggi di quello che lei crede".

Scusi, che intende per problema politico?
"Mi limito a dire che sarebbe un problema politico".

Non è che questa riforma è un prezzo da pagare all'Europa e non una esigenza reale?
"Non scherziamo. Quando hai il 43% di disoccupazione giovanile se non intervieni sul mercato del lavoro sei un vigliacco. Certo, se la riforma sarà approvata come io la propongo questo costituirà un cambio di gioco in Europa. Perché dopo aver impostato riforma costituzionale, legge elettorale, riforma della giustizia civile, pubblica amministrazione, la riforma del lavoro ci permetterà di andare in Europa senza più nulla da dimostrare. Della serie: ok, noi le riforme le abbiamo fatte. Adesso abbiamo tutte le carte in regole per dire basta a questa politica di austerità miope e sterile".

Eppure sembra una baratto con la cosiddetta flessibilità.

"No, la flessibilità non è una gentile concessione. È una possibilità prevista già adesso. Chi ha fatto le riforme ha sempre usato la flessibilità. Negli anni delle riforme la Germania  -  non la Grecia, dico la Germania  -  ha superato il 3%. Noi invece faremo le riforme mantenendoci dentro questo limite come concordato con il Ministro Padoan".

Merkel non sembra tanto d'accordo.
"Non credo. Ma in ogni caso la Merkel guida il governo tedesco, non quello italiano".

Vero ma intanto la Germania continua a dettare legge.
"I tedeschi sono i primi a sapere che in prospettiva questa politica europea di mero rigore farà male anche a loro. Alla Germania non serve una Francia in mano a Le Pen o un'Italia in recessione".

L'altro ieri è tornato a parlare di poteri forti. È un'ossessione o una scusa?
"Ho detto che mi fa più paura il pensiero debole che il potere forte. Negli ultimi giorni si sono schierati contro il Governo direttori di giornali, imprenditori, banchieri, prelati. Ai più è apparso come un attacco studiato. Io sono così beatamente ingenuo che preferisco credere alle coincidenze. Ma è normale: ho 39 anni, sono il capo del partito più grande d'Europa, alla guida del Governo del Paese più bello del mondo. Qualcuno mi critica? Mi sembra il minimo".

Parlare di poteri forti sembra un modo per nascondere le difficoltà.
"I poteri forti o presunti tali sono quelli che in questi vent'anni hanno assistito silenziosi o complici alla perdita di competitività dell'Italia. Ora vogliono chiedermi in sei mesi quello che loro non hanno fatto in vent'anni? Legittimo. Ma io governo senza di loro. Non contro di loro: semplicemente senza di loro. Senza consultarli. Senza omaggiarli. Senza accontentarli. Sono una persona senza padroni, senza padrini. Questa per loro è la mia debolezza. Per me invece è la mia salvezza. Questione di punti di vista, il tempo dirà chi aveva ragione".

Lei dice senza padrini e senza padroni. Con Marchionne, che è un padrone, però va d'accordo. E lui non è un potere forte?
"Con Marchionne ho avuto opinioni diverse e in più circostanze. Ma con buona pace dei nostalgici preferisco la Fiat di oggi che compete nel mondo a testa alta rispetto a quella di 30 anni fa che al primo problema aveva sussidi, incentivi e cassa integrazione".

Scusi, ma tra i poteri forti c'è anche la Cei? Quando i vescovi si sono mossi, persino Berlusconi è caduto.

"Da stamani ricevo telefonate di amici Vescovi che mi dicono che c'è stato un equivoco, che le parole sono personali del segretario generale della CEI, che nessuno in assemblea ha parlato di slogan. Del resto io, cattolico, rispondo ai cittadini, non ai Vescovi. Sono certo che questo sia apprezzato dai cittadini. E forse anche da molti vescovi".

Se soggetti che prima la sostenevano ora hanno cambiato idea, vuol dire che lei sta perdendo consenso nell'opinione pubblica. La luna di miele è finita?
"Lo dicono da sette mesi. So che la percentuale di consenso non resterà così elevata. So che se si mettono in fila i poteri chi mi hanno criticato, c'è da tremare. Ma a me interessano i risultati concreti".

È vero che il presidente della Cei Bagnasco è arrabbiato con lei perché gli ha detto di parlare con Lotti?
"Non lo so. So solo che io non faccio quello che facevano i miei predecessori. Forse erano abituati male".

Qualcuno sostiene che quelli che lei chiama "poteri forti" stiano puntando a sostituirla con il governatore Visco e che stiano pensando a Draghi come prossimo presidente della Repubblica.
"Se la domanda è per il Presidente del Consiglio la risposta è molto semplice: decide il Parlamento. Se pensano di avere i numeri e il candidato giusto ci provino. Se invece la domanda è per il segretario del PD, beh, sappia che sarebbe paradossale che dopo che il PD ha preso il 41% nel Paese e un'ampia maggioranza in Parlamento si chiedesse ai democratici di rinunciare a fare ciò che abbiamo promesso al Paese. Non abbiamo preso il 41% alle europee  -  risultato che non ha eguali in Europa e che in Italia non si verificava dal 1958  -  per abdicare. Chi vuole bloccare tutto ha il diritto di provarci, ma se ne farà una ragione".

E Draghi?
"Il presidente della Repubblica c'è. Ne parleremo a tempo debito. Mi limito ad osservare che il Pd è centrale in questo Parlamento".

Scusi, ha sentito cosa ha detto Della Valle? Che lei è un "sòla".
"Che vuol dire?".

In romanesco è uno che da delle fregature, un imbroglione.
"Forse lo sono per lui. Nessuna polemica personale. Tifiamo per la stessa squadra e sono certo che tifiamo per lo stesso Paese. È stato un buon imprenditore: vedremo come farà come politico. Però non posso inseguire tutte le polemiche personali che alla fine stufano le persone. Ho capito che vuole costruire un partito. Io devo cambiare il Paese. Se ci dà una mano con i suoi consigli, lo ascolto volentieri. Se vuole misurarsi in prima persona, gli auguro di cuore i successi più belli. Con affetto e senza alcuna polemica".

Pensa che ci possano essere saldature tra i cosiddetti poteri forti e la classe politica ora in minoranza come la sinistra Pd. Magari con qualche esponente della tecnocrazia europea?
"Mi sembra difficile. Non mi pare che la minoranza del PD abbia la vocazione a farsi del male. Non tutta almeno".

A proposito: in questi giorni molti si sono chiesti se lei è massone? O se lo è suo padre?
"Nel modo più categorico no. Una famiglia di boy scouts che viene improvvisamente associata alla massoneria per via di un simpatico editoriale del direttore di un quotidiano. Che parla di odore di massoneria, senza spiegare come dove e perché. A casa nostra siamo boy scout, non massoni. A me non fa né caldo né freddo. Ma mio padre cresciuto con il mito di Benigno Zaccagnini e Tina Anselmi deve ancora riprendersi".

Però ammetterà che non è possibile che lei non abbia mai avuto sospetti su qualche suo recente e frequente interlocutore.
"Ho visto logiche di interessi personali, di ambizioni, di strategie. Ma non ho mai visto  -  nemmeno da Sindaco  -  questa potente massoneria all'opera".

Che tempi prevede per la riforma elettorale?
"Prima possibile. Ormai ci siamo. Il ballottaggio è un gigantesco passo in avanti: manda in soffitta ogni tentativo di distruggere il bipolarismo in Italia. Forse è proprio questo che si vuole impedire: l'affermazione di un sistema per cui quello che vince poi governa".

E quando si vota?
"Febbraio 2018"

Cosa ne pensa di De Magistris?
"Le leggi si possono cambiare. Io trovo quella norma eccessiva perché condannare dopo una sentenza di primo grado è per me ingiusto e contro i principi costituzionali. Ma finché le leggi ci sono, vanno applicate. De Magistris ha il dovere di rispettare le leggi".

Il centrosinistra ha sbagliato qualcosa nel rapporto con le toghe? Troppo condizionato?
"No, non dalle toghe. Forse qualche volta condizionato dalla paura. Io non ho paura dei criminali, figuriamoci se posso aver paura dei magistrati. Le toghe non condizionano. Io voglio che i giudici non scelgano i candidati e per questo non do valore decisivo all'avviso di garanzia. Io voglio che i giudici non scelgano i lavoratori e per questo non credo al reintegro. Se c'è stato condizionamento non è colpa dei magistrati. Ma della mancanza di coraggio della politica. Io non ho paura".

Qualcuno, soprattutto a destra, ha parlato di giustizia a orologeria per l'inchiesta su suo padre. Teme una vendetta?
"No. Non credo alle vendette, non credo alle coincidenze. Il fatto che il primo avviso di garanzia per un membro della mia famiglia arrivi adesso è per me frutto di casualità. Come premier, stimo i giudici di Genova e auguro loro di lavorare con serenità e senza pressioni esterne. Come uomo, mio padre mi ha educato al rispetto delle istituzioni. Io ho visto come hanno reagito i miei figli: sanno di avere un nonno per bene. Sanno che del loro nonno si possono fidare. Questo, come figlio e come padre, mi è sufficiente. Come politico difendo l'indipendenza della magistratura con grande convinzione e mi affido alla presunzione d'innocenza prevista dalla Costituzione".

© Riproduzione riservata 28 settembre 2014

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/09/28/news/i_poteri_forti_vogliono_sostituirmi_ci_provino_ma_non_mollo_senza_il_pd_nessuno_fa_nulla_via_l_articolo_18_inutile-96827473/?ref=HREA-1
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