Per solidarietà, perché ciascuno faccia la sua parte»
di Laura Matteucci
«L’idea è questa: una tassa di solidarietà temporanea, della durata di due anni, perchè nei momenti di crisi ognuno faccia la sua parte. Consapevoli dei carichi di responsabilità e lavoro che hanno gli alti dirigenti, ma anche delle enormi difficoltà di chi guadagna mille euro al mese, o nemmeno quelli». Una tassa per chi guadagna oltre 150mila euro l’anno, che in due anni si tradurrebbe in un totale di circa 3 miliardi. Il segretario confederale Agostino Megale spiega la proposta della Cgil a sostegno di precari e disoccupati, nata da una ricerca dell’Ires sull’evoluzione degli stipendi, la conferma di una forbice sempre più allargata tra impiegati e manager. E avvalorata sia da un intervento analogo in Gran Bretagna, sia dalle parole del governatore di Bankitalia Draghi, che al G7 ha invitato ad «agire con efficacia per gli stipendi dei manager».
Partiamo dai dati: qual è la dinamica dei redditi?
«Tra il 2001 e il 2008 i redditi lordi di operai e impiegati, al netto dell’inflazione, sono cresciuti solo lo 0,5%, 4mila e 500 euro. Nello stesso periodo la paga dei dirigenti è aumentata dell’8,3%, oltre 25mila euro. E nella classifica dei primi 100 top manager abbiamo un aumento del 23%, oltre 830mila euro in cifra assoluta. Questa analisi giustifica e rafforza la necessità di una vera e propria tassa di solidarietà».
Come si calcola in concreto?
«Abbiamo immaginato un aumento dell’aliquota del 5%, portandola dal 43 al 48%, sulle classi di reddito sopra i 150mila euro annui (215mila contribuenti, ndr). Si potrebbero ricavare circa 3 miliardi in due anni, da destinare ai giovani precari, ai disoccupati, a chi è più colpito dalla crisi».
Sarebbero sufficienti?
«Potrebbero contribuire. Affiancherebbero la quota per gli ammortizzatori sociali stanziata attraverso il piano congiunto Regioni-governo. Che tra l’altro presenta alcuni svantaggi: distoglie risorse dal Mezzogiorno, e entrerà in vigore solo tra alcuni mesi. Un’altra misura auspicabile, poi, sarebbe di ridurre di 50 euro le tasse su lavoro e pensioni.
E, comunque, tutte le iniziative dovrebbero venire affiancate da una rigorosa lotta all’evasione fiscale, quella che Vincenzo Visco aveva impostato e che questo governo ha sostanzialmente abolito. Il punto è uno solo: per far fronte alla crisi ci vogliono soldi freschi, bisogna investire».Tremonti ha paura della lievitazione del debito.
«Se non investiremo ci ritroveremo ultimi in Europa come capacità produttive e competitività, e con un debito comunque alto. Noi stiamo investendo solo lo 0,2% del pil, gli altri paesi tra l’1 e l’1,5%».
Brunetta è favorevole a mettere un tetto agli stipendi pubblici.
«Non è la nostra proposta, però forse significa che non sarà animato da furore ideologico nei nostri confronti».
lmatteucci@unita.it16 febbraio 2009
da unita.it