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Autore Discussione: Gianni Marsilli Sale la protesta in Europa. Sarkozy non fa più battute  (Letto 2080 volte)
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« inserito:: Febbraio 14, 2009, 12:16:10 pm »

Sale la protesta in Europa. Sarkozy non fa più battute

di Gianni Marsilli


La Francia è spazzata da un’ondata di scioperi e proteste che non si ricordava da anni. Anche Sarkozy ha dovuto cambiare idea. I sindacati si ritrovano sull’emergenza economica e sociale in Europa.

Solo sei mesi fa Nicolas Sarkozy diceva gongolante degli scioperi : «Nessuno se ne accorge più». Lo dicesse oggi, sarebbe da ricoverare. Attualmente sono in sciopero, citando a caso, i ricercatori universitari, sempre più appoggiati da insegnanti e studenti, contro la riforma del loro statuto. È in sciopero l’intera isola di Guadalupa, contro il carovita, e la stanno seguendo Martinica e Guyana, territori d’Oltremare ma francesi come Parigi. Il Paese è inoltre reduce dallo sciopero generale del 29 gennaio, verso il quale due terzi dei francesi hanno dimostrato simpatia, mentre i sindacati si preparano a replicare il 19 marzo.
Nel frattempo, due giorni fa, è arrivata la tegola di PSA, Peugeot e Citroën: 343 milioni di perdite, 12mila posti di lavoro in meno nel 2009, dei quali almeno settemila in Francia. Acciaierie, cantieri, edilizia minacciano anch’essi tagli all’occupazione.
alta tensione

Nelle fabbriche si affilano i coltelli. Il governo teme il coagularsi dei diversi movimenti di protesta, come spesso è accaduto in passato. In questo caso, marzo potrebbe essere un mese bollente per Sarkozy e per il suo esecutivo. Tanto più che si è pericolosamente aperto un altro fronte, quello europeo. La Commissione si è detta “preoccupata” per il piano di aiuti al settore automobilistico francese: sei miliardi e mezzo di euro a Renault e PSA a condizione di non delocalizzare. C’è odor di protezio
nismo, e il primo a denunciarlo è stato il governo céco, che presiede l’Unione europea. Il ben più pesante Peer Steinbruck, ministro delle finanze di Angela Merkel, gli ha dato ragione, seguito a rotta di collo dalla Confindustria tedesca. Il momento è delicato: la crisi si aggrava e si allarga, mentre i lavoratori europei, dalla Grecia alla Gran Bretagna, incrociano le braccia.
La crisi è mondiale, ma le sue declinazioni sono nazionali. Uno come Sarkozy si ritrova tra l’incudine e il martello: lealismo europeista e liberoscambista da una parte, intervento nazionale e statalista dall’altra. E le cose per lui non sembrano destinate a migliorare. Christine Lagarde, ministro dell’Economia, ha parlato chiaro: negli ultimi tre mesi del 2008 il Pil francese è andato giù dell’1,2: “Abbiamo la produzione industriale che crolla, il blocco della produzione in un certo numero di fabbriche, i consumi che ristagnano e probabilmente un calo dell’export”.

Le priorità. I 26 miliardi annunciati da Sarkozy per far fronte alla crisi non sono dunque serviti a tranquillizzare gli animi.
I sindacati (tutti insieme, per una volta) esigono che si dia priorità all’occupazione e ai salari. Detto in soldoni, chiedono che si tutelino i lavoratori almeno quanto si sono stampellati i banchieri. Di Sarkozy denunciano l’inconcludente attivismo. Vero è che dall’inizio dell’anno il presidente ha annunciato una miriade di riforme e provvedimenti, suscitando più ansia che altro. Solo la scorsa settimana aveva detto in tv che i licenziamenti nel settore auto andavano evitati, anche se aveva prudentemente aggiunto “per quanto possibile”. Come si è visto, la risposta di PSA è stata crudele, per quanto motivata da uno stock d’invenduto che oltrepassa le seicentomila unità.

I sindacati non nascondono il loro problema: “Dobbiamo stringere sugli obiettivi, non possiamo scendere in piazza in marzo ancora genericamente contro la crisi”, dice François Chereque, leader della Cfdt, una delle tre grandi centrali. Il 18 febbraio hanno appuntamento all’Eliseo, per una tavola rotonda con il capo dello Stato. Verificheranno se in quella sede ci sono ancora orecchie disposte ad ascoltare, dopo le grandi promesse di “concertazione” agli esordi della presidenza Sarkozy, quando la sua frenesia sembrava un segno di forza più che di debolezza.

C’è, infine, una considerazione politica: manca in Francia, come in Europa, la percezione di una nuova direzione di marcia, quella che, per capirci, ha fornito Obama agli americani. I sindacati francesi, loro malgrado, riempiono un vuoto politico, reso tale anche dalla pallida presenza dell’opposizione socialista.

economia@unita.it

13 febbraio 2009
da unita.it
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