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Autore Discussione: Ignazio MARINO. -  (Letto 14137 volte)
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« inserito:: Luglio 29, 2007, 06:53:02 pm »

Largo ai giovani

Ignazio Marino *


Un passo avanti concreto, che va nella giusta direzione. Quella di favorire le giovani intelligenze, frenare l´esodo dei nostri cervelli migliori verso l´estero, puntare sul merito e, una volta tanto, non solo sulle amicizie.

Con questo spirito nella scorsa finanziaria sono riuscito ad introdurre un emendamento che destinava il 5% dei fondi pubblici per la ricerca biomedica, ai progetti presentati da giovani scienziati al di sotto dei quarant´anni. Ma la novità più importante è quella che prevede un sistema di valutazione dei progetti e di assegnazione dei fondi davvero trasparente, messo nelle mani di una commissione costituita da dieci membri, anch´essi tutti al di sotto dei quarant´anni, per la metà appartenenti a centri di ricerca stranieri.

L´obiettivo è evidente, ed è quello di spezzare il circolo vizioso che assicura il controllo dei fondi ai baroni universitari che spesso hanno la cattiva abitudine di distribuirli non pensando al merito o cercando di promuovere le idee migliori ma sulla base di cordate, di favori trasversali, di nepotismo, insomma nel solito modo.

Proviamo ad immaginare un ragazzo di trent´anni senza un posto di lavoro stabile, uno dei tre milioni di giovani precari italiani, che abbia un´idea brillante per sperimentare un nuovo metodo per la cura del diabete. Per sviluppare la usa intuizione avrà bisogno di un laboratorio, di attrezzature per studiare le cellule e di due tecnici che lo aiutino nei suoi esprimenti di biologia molecolare. Complessivamente gli serviranno all´incirca cinquecentomila euro per due anni. Se quel giovane motivato ed appassionato alle sue ricerche si presentasse oggi in una facoltà di biologia o medicina per illustrare il suo piano di lavoro ben congegnato che cosa accadrebbe? Probabilmente non riuscirebbe nemmeno ad avere l´appuntamento con il preside o con il professore della materia. A meno che non sia un amico di famiglia, un vicino di ombrellone, o non abbia un cognome noto all´interno dell´ateneo.

E allora che potrà fare? Se sarà veramente motivato cercherà di proporre il suo studio a un´università straniera e, se il progetto è effettivamente valido, con ogni probabilità sarà contattato via e-mail per un colloquio e in poco tempo potrà fare le valigie portando con se, a Parigi, a Cambridge o a Philadelphia, il suo bagaglio di conoscenze acquisito in vent´anni di formazione scolastica a spese dello stato italiano.

È l´assurda normalità del nostro mondo della ricerca. Ma non è una realtà ineluttabile, l´inversione di tendenza è obbligatoria e può iniziare oggi.

Venerdì scorso il consiglio dei ministri ha firmato il decreto che rende esecutivo il mio emendamento sulla ricerca e tra poco sarà pubblicato il bando di concorso per l´assegnazione dei finanziamenti. Con questa norma, quel ragazzo potrà presentare il suo progetto: se sarà selezionato avrà la certezza di poterlo condurre a termine e il successo o l´insuccesso dipenderà solo da lui, dal suo impegno, dalla sua capacità di trasformare un´idea in una realtà innovativa, e magari anche in un brevetto economicamente produttivo. E inoltre sarà lui stesso a decidere dove svolgere le sue indagini, in una università come in una azienda privata, perché il finanziamento è assegnato al ricercatore e non all´ente di ricerca. Sarà così nell´interesse dell´università o dell´istituto scientifico accogliere i cervelli che, in questo caso, sono anche portatori di fondi.

Ma soprattutto quel ragazzo potrà cominciare a credere in un sistema che premia i migliori e non solo i più appoggiati.

Va da sé che, escludendo da tutto questo processo le persone che hanno superato i quarant´anni, verrà meno l´influenza della componente più conservatrice della nostra università, basti pensare che negli atenei italiani, su 18.651 docenti di ruolo, solo lo 0,05% ha meno di trentacinque anni, vale a dire nove persone in tutto. Un numero esiguo se paragonato con quello di un paese come l´Inghilterra dove i professori al di sotto dei 35 anni sono il 16%.

I risultati di questo nuovo metodo di attribuzione dei fondi per la ricerca saranno facilmente verificabili e, se positivi, diventerà più semplice introdurre le stesse regole per una percentuale più ampia delle risorse. Si potrebbe immaginare anche di estendere questo metodo al di là del settore della bio-medicina a tutti gli ambiti della ricerca, scientifica e non.

Sono convinto che sia questa la strada da percorrere e che l´inversione di tendenza possa avvenire solo cambiando radicalmente il paradigma: dal barone che sceglie il proprio famulo sulla base della fedeltà o della convenienza, al giovane capace che si procura e si assicura i fondi in maniera indipendente, potendo scegliere in piena libertà il centro di ricerca dove utilizzarli. Ciò che verrà giudicato saranno solo la sua intelligenza ed i suoi risultati.

* Professore di chirurgia" Jefferson Medical College" Presidente della commissione Sanità del Senato

Pubblicato il: 29.07.07
Modificato il: 29.07.07 alle ore 14.52   
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« Risposta #1 inserito:: Febbraio 26, 2008, 02:45:12 pm »

Ignazio Marino: «L’esperienza di Veronesi, contributo fondamentale per il Pd»

Maria Zegarelli


Ignazio Marino è uno scienziato, che vola tra l’Italia e gli Stati Uniti, dove insegna; è un cattolico; è un politico del Partito democratico: è l’attuale presidente della Commissione Igiene e Sanità a Palazzo Madama. Quando tutti fanno un passo avanti per rilanciare la propria posizione, Marino ne fa uno indietro. «Preferisco studiare e approfondire gli argomenti sui quali come scienziato e come politico devo pronunciarmi», spiega quando viene chiamato in causa.

Presidente, Famiglia Cristiana parla di un «pasticcio veltroniano in salsa pannelliana».
I Cattolici del Pd temono la deriva laicista: timori infondati?
«Sui temi importanti, sui quali il progresso scientifico ci impone degli interrogativi nuovi, si deve partire proprio dalla scienza e dalla conoscenza. La conoscenza deve essere la base dalla quale si deve sviluppare la discussione e l’approfondimento per dare al Paese delle leggi sulla base del sapere scientifico e sulla sensibilità della maggioranza dei cittadini. Ecco perché i contributi di persone che hanno dedicato la vita alla conoscenza, come il professor Veronesi, o di persone che appartenendo all’Associazione Luca Coscioni hanno approfondito la conoscenza su alcuni temi, sono assolutamente auspicabili in un dibattito di questo tipo».

Castagnetti, Binetti e Bindi chiedono garanzie, Veltroni assicura che l’accordo si fonda sul programma. Se le cose stanno così, perché la polemica non si placa?
«Veltroni ha condotto più incontri con i radicali e ha ripetuto più volte che l’accordo è sul programma. Anche il professor Veronesi è stato chiaro: ha detto che vuole essere un consulente qualificato in tema di sanità e non vedo come si possa sostenere il contrario. Devo dire di essere stato molto colpito da alcune dichiarazioni che ho letto: c’è chi si dice preoccupato perché ci sarebbero persone portatrici della cultura della morte. Il professor Veronesi ha salvato direttamente e indirettamente decine di migliaia di vite: se è portatore di qualcosa è portatore di una cultura di vita».

I cattolici dicono di essere circa la metà del Pd. Se è così, perché dovrebbero sentirsi minacciati dalla presenza di alcuni radicali nelle liste?
«Sono un cattolico e non mi sento affatto minacciato, perché ho la forza della ragione e dei miei ragionamenti. Sento di poter affrontare discussioni e approfondimenti su questi temi anche con i radicali, i quali tra l’altro, da tempo su molti argomenti hanno accettato di non insistere, come è avvenuto sull’eutanasia. Hanno riconosciuto che in questo Paese è possibile trovare una sintesi sul testamento biologico che nulla a che fare con l’eutanasia. Io stesso sono contrario fermamente all’eutanasia, ma sono assolutamente favorevole all'autodeterminazione degli individui. Credo che su questo terreno si possa arrivare a un’intesa molto chiara sulla base del programma così come è stato presentato oggi (ieri, ndr) da Veltroni. Un partito ha il dovere di fare delle scelte, scelte che vengono fatte democraticamente a maggioranza, che poi tutti devono rispettare. Lo stesso discorso vale per chi decide di candidarsi nelle liste di questo partito. I radicali sono persone integre, intelligenti e leali: nel momento in cui accetteranno di candidarsi nel Pd rispetteranno le nostre regole».

Avvenire si è scagliato contro il rapporto dell’ordine dei medici sulla 194, sui cui il dibattito è ancora molto aspro..
«Purtroppo in questo momento questi temi vengono usati come clave per attaccare il possibile avversario. Spesso ci pronuncia senza neanche la consapevolezza piena di quello di cui si sta parlando. L’Ordine dei medici si è pronunciato su una legge laica di uno Stato laico basandosi su dati precisi. Ho trovato grande conforto da quanto mi disse il cardinal Martini: ”Professore, uno Stato laico dove avere una legge sull’aborto”».


Pubblicato il: 26.02.08
Modificato il: 26.02.08 alle ore 12.03   
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« Risposta #2 inserito:: Febbraio 12, 2009, 11:14:32 am »

L'intervista.

Sbagliate certe reazioni in stile vecchio Pci.

Al Senato non ho votato da cattolico ma da parlamentare che deve trovare la sintesi

Rutelli: "No alla bioetica di partito sto nel Pd, ma da uomo libero"

di LUIGI CONTU

 
ROMA - Onorevole Rutelli, Eluana è morta dopo 17 anni di agonia e tanti, troppi, anni di battaglie giudiziarie e politiche combattute sulla sua sorte. Si poteva immaginare un epilogo diverso?
"E' stato un percorso doloroso, lunghissimo, che non si riassume solo nei suoi ultimi giorni. Per Eluana, mancando una norma di legge, è stata applicata una sentenza. Il padre Beppino ha fatto una scelta precisa, che va rispettata: ha portato nello spazio pubblico, anziché tenerlo nella riservatezza della famiglia, dei medici e delle strutture sanitarie, la soluzione della continuazione della degenza di sua figlia, oppure della conclusione di quel percorso. Migliaia di famiglie compiono una scelta diversa, ma di quella degli Englaro va apprezzata la dignità civile".

Urla, minacce e insulti hanno spesso prevalso sul confronto approfondito e sereno che una simile vicenda avrebbe richiesto. La politica non è proprio sembrata all'altezza del suo compito.
"Non nelle risse, nelle strumentalizzazioni, nella propaganda. Anche se la passione, su questa vicenda, è positiva. Molto peggio l'indifferenza. Se ne scaturirà una legge dignitosa sul "fine vita", sarà bene. Non dimentichiamo che se una legge non fu approvata prima, non è stato per pigrizia, ma per l'impossibilità di formare una maggioranza in Parlamento".

In un'intervista a Repubblica, Gustavo Zagrebelsky ha sostenuto che il dibattito sui temi etici è dominato dal dogmatismo di una parte del mondo cattolico e di una parte di quello laico. E afferma che soluzioni equilibrate e condivise su argomenti così complessi sono possibili soltanto se tutti abbandonano preconcetti e rigidità. Condivide questa analisi?
"Si. Anche se, depurate dall'intolleranza e le faziosità, sono inevitabili le differenze biopolitiche: è finita in pochi anni un'esperienza plurisecolare, antropologica, di una certa "naturalità" della vita e della morte, e ci sorprendiamo che questo ci sorprenda? Che ci colpisca, in certo senso, e crei divisioni? Chi non ha letto di scienziati, di filosofi che hanno conosciuto ripensamenti anche profondi, di fronte all'incessante evoluzione delle questioni bioetiche? Ricordiamo, ad esempio, che fino a pochi anni fa sembrava che il solo filone di ricerca promettente sulle cellule staminali scaturisse dalla manipolazione degli embrioni; oggi i risultati più rivoluzionari emergono dalle cosiddette "adulte". E quel dibattito è cambiato".

Lei si era detto pronto ad approvare il disegno di legge presentato dal governo e ritirato dopo che la notizia della morte di Eluana ha scatenato la gazzarra al Senato. Poi ha votato una parte della mozione presentata dalla maggioranza assumendo una decisione fortemente minoritaria all'interno del gruppo parlamentare del Pd nel quale anche molti esponenti cattolici continuano a riconoscersi. Si sente ancora a suo agio in questo partito che lei stesso ha fortemente voluto e contribuito a fondare da leader della Margherita?
"Non ho votato in quanto cattolico. E' evidente che un cristiano dovrebbe avere una sensibilità speciale se si tratta della "vita imperfetta". Così come del rispetto verso chi ha una pelle diversa, o è povero. Ma il parlamentare deve puntare a una sintesi. Questo ho cercato di fare martedì: ho votato a favore della mozione del Pd (una quindicina di punti). Il punto, importante, che non condividevo - quello che non distingue le cure dalla alimentazione e idratazione - era invece condivisibile in quella del centrodestra".

Dopo quanto è accaduto si sente ancora a suo agio nel Pd?
"Non abbiamo fatto questo partito per decidere a maggioranza sulle questioni bioetiche. Peggio: per definire trascurabili o sorprendenti, o "strappi", le posizioni diverse. Se stabiliamo che c'è piena dignità per chi - attraverso un suo difficile percorso - abbia formato un convincimento diverso, ma questa promessa non viene mantenuta, è grave. Penso che alcuni momenti alti, nella Margherita, li abbiamo avuti proprio quando ci siamo divisi - con onestà e rispetto reciproco - sulle questioni bioetiche. Altrettanto alta dev'essere la capacità del Pd di ricercare una sintesi e comunque di valorizzare diversità che corrispondono a opinioni profonde nella società italiana".

Berlusconi e il Pdl hanno fatto della vicenda Eluana una vera e propria battaglia identitaria. Il Pd, invece, ha scelto la via della libertà di coscienza soffrendo divisioni interne e tensioni che già avevano attraversato il campo del centrosinistra quando si è votato per il referendum sulla procreazione assistita ed i Pacs. Pensa che questa soluzione "liberale" possa essere all'altezza della domanda di guida che viene dalla società italiana?
"E' una novità, la posizione di Berlusconi: finora aveva imposto al suo partito il silenzio, se non l'indifferenza, sulle materie eticamente sensibili. Ma non dobbiamo sempre agire specularmente a Berlusconi. Io sono insoddisfatto della qualità del pluralismo nel Pd sulle grandi questioni che possiamo chiamare umanistiche. Non mi occupo del Pdl, ma del mio partito, che dev'essere, esattamente, liberale. E penso che guidare la società non significhi imporre una bioetica di partito, ma orientare la legislazione accompagnando le grandi tendenze scientifiche".

Ciò non vi espone continuamente al rischio di trovarvi in conflitto, di apparire senza una direzione precisa e credibile per il vostro elettorato e per quello che vorreste convincere?
"Prendiamo ad esempio le manipolazioni "industriali" sul Dna. Su molte materie possiamo guidare, uniti, i cambiamenti. Su altre ci divideremo. Non è un dramma. A meno che si pensi di forgiare proprio su queste materie intimamente problematiche l'identità prevalente del Pd. Qui invece dovrebbe vivere il pluralismo, che consente la crescita comune tra maggioranze e minoranze che vivono in un partito come nella società".

Accetta dunque di condurre una battaglia minoritaria che rischia di restare testimonianza?
"Certo: in democrazia si può convincere, o trovarsi minoranza. Nelle questioni sensibili, però, quelle che toccano l'inizio, la fine e la dignità della vita umana, dobbiamo concorrere sempre a creare consensi più larghi, e trasversali. Chi guida il Pd ha anche un preciso compito: stroncare le interpretazioni secondo cui chi ha un'opinione diversa sia al servizio di altre strategie. Sono riflessi che non si sono ancora dispersi dai lontani tempi del Pci, ma noi abbiamo creato un partito radicalmente nuovo".

Nei prossimi giorni sarete impegnati nel tentativo di varare un provvedimento complessivo sul testamento biologico. Qual è la sua posizione?
"Coincide per il 90 per cento con quella espressa dai gruppi parlamentari del Pd. Su alcuni aspetti ho opinioni diverse, le confronteremo ancora".

In questi mesi anche dal suo partito si sono levate forti proteste per gli interventi delle gerarchie cattoliche. Come giudica il ruolo svolto dalla Chiesa nella vicenda?
"Secondo alcuni, c'è la Chiesa buona nei giorni pari: quella che si batte contro la "tassa sugli immigrati", quella contro la guerra in Iraq o in Palestina, quella di Famiglia Cristiana o della difesa dei medici che vogliono curare tutti i malati, anche i clandestini. E quella cattiva dei giorni dispari: che s'impiccia sui temi della vita, mentre pretende che anche gli asili nido cattolici siano finanziati per il servizio che rendono e così via. Io sono per uno Stato laico, in cui sono distinte le responsabilità, in cui si critica apertamente, ad esempio, una realtà religiosa lenta nello sconfessare i vescovi negazionisti. Ma anche dove vale quel che ha detto Obama: "Ha torto chi chiede ai credenti di appendere la loro religione all'uscio prima di presentarsi sulla pubblica piazza"".

(12 febbraio 2009)
da repubblica.it
« Ultima modifica: Marzo 27, 2009, 11:54:53 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #3 inserito:: Febbraio 15, 2009, 12:17:13 am »

 2009-02-14 16:16

TESTAMENTO BIOLOGICO: MARINO, REFERENDUM SE PASSA DDL


 ROMA - Se passa il Disegno di legge della maggioranza sul testamento biologico così com'é "sarà necessario lanciare un referendum abrogativo". Lo ha detto il senatore del Pd Ignazio Marino nel suo intervento al convegno organizzato da Radio radicale sul caso di Eluana Englaro.

Marino ha spiegato che se quel testo diventasse legge i tribunali sarebbero sommersi da centinaia di ricorsi e arriverebbero a interessare la Corte costituzionale che però non ha tempi brevi. "Ma sul tema dei nostri diritti civili che sono messi in discussione - ha chiarito - sarà necessario lanciare il referendum così si vedrà se valgono di più le parole di 400 parlamentari o del 90% degli italiani. Credo che per molti sarà un brusco risveglio".

CALABRO', ITALIANI BOCCERANNO REFERENDUM - "Anche se ci fosse un referendum abrogativo, gli italiani saprebbero rispondere negativamente approvando i principi del disegno di legge sul testamento biologico attualmente in discussione, che ricalcano i valori più profondi della nostra civiltà". Così Raffaele Calabrò (Pdl), relatore in commissione Sanità al Senato del ddl di maggioranza sul testamento biologico, risponde alle affermazioni del senatore Ignazio Marino (Pd), il quale ha sostenuto la necessità di un referendum abrogativo se il ddl della maggioranza "passasse così com'é".

"Sono convinto che il ddl sul testamento biologico - ha detto Calabrò - abbia tutti i crismi della costituzionalità, poiché risponde agli articoli della Carta costituzionale e rispetta pienamete i principi su cui si basa il sistema civile del nostro paese". Calabrò ha inoltre sottolineato che "la condivisione di larga parte anche delle aree di centro e di parte del centro sinistra al ddl presentato, è espressione della validità del ddl stesso e della correttezza delle regole della democrazia parlamentare". "L'opinione pubblica, se interrogata - ha concluso Calabrò - sicuramente saprà rispondere secondo quelli che sono i principi di fondo su cui si basa la nostra civiltà, senza temere mistificazioni". Il ddl della maggioranza esclude la possibilità per il cittadino, nell'ambito della futura legge sul testamento biologico, di potersi esprimere in merito ai trattamenti di nutrizione e idratazione artificiale. 

da ansa.it
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« Risposta #4 inserito:: Febbraio 21, 2009, 06:35:29 pm »

Ignazio Marino: «Un partito serio decide a maggioranza Anche sull’etica»

di Concita De Gregorio


Ignazio Marino, 54 anni, è tornato in Italia da tre anni. Viveva a Pittsburgh, poi a Philadeplhia. Dirigeva il centro trapianti di una delle più antiche università americane, il Jefferson medical college. Trapianti di fegato. «Ho scelto di occuparmi del fegato perché è l'intervento ancora oggi tecnicamente più difficile. Ero attratto, da ragazzo, dall'idea di poter fare qualcosa che non tutti sono in grado di fare». Opera ancora, la domenica e il lunedì, a Verona. E' nato a Genova, ha una figlia adolescente, ha studiato alla Cattolica. E' cattolico, cresciuto con gli scout. A chi entra nel suo ufficio - una mansarda a Sant'Ivo alla Sapienza - mostra una lettera indirizzata da Paolo VI ai medici cattolici nel 1970. «Legga, io non avrei saputo dire parole così». Scriveva il Papa: nella fase terminale di una malattia incurabile dovere del medico è «alleviare la sofferenza e non prolungare con qualunque mezzo una vita che non è più pienamente umana». Non pienamente umana.

Parliamo della legge sul testamento biologico proprio oggi che in commissione il gruppo del Pd si è diviso: 6 senatori tra cui Marino hanno votato contro la proposta Calabrò, il ddl del governo, 3 si sono astenuti. Tra questi Dorina Bianchi, teo-dem che da pochi giorni ha preso il suo posto alla guida del gruppo Pd in commissione Sanità. Tra ex Ds ed ex Margherita si è consumato ieri uno scontro aspro che a molti è parso il prologo di quel che potrebbe accadere da domani nel Partito democratico. Anche di questo, delle sorti del partito, parliamo con Marino: pensa che si debba arrivare al più presto a «delle primarie vere, non di corrente». Di sé dice: «Non sono la persona più adatta, ma i candidati non si autocandidano. Quando c'è un'indicazione collettiva sono chiamati al confronto. Non è affatto una mia aspirazione ma se fosse utile ad un cammino comune, certo».

Senatore, lei ha detto che se passasse questa legge bisognerebbe sottoporla a referendum. Marini ha commentato che le sue sono 'fantasie da scienziato'. Gasparri, dopo il voto di ieri, che 'la linea Marino è stata sconfitta'. Si sente sconfitto?
«Siamo in un pasticcio, si dovrebbe ripartire dall'esame della realtà. Non c'è bisogno di essere scienziati per contare fino a dieci: se su 9 persone 6 esprimono un parere questa è la maggioranza. Ho osservato ieri che si dovrebbe tener conto dell'opinione della maggioranza, rappresentarla. Non vorrei che si arrivasse alla decisione di non decidere, tutto qui. Quel disegno di legge è incostituzionale e antiscientifico. Il centrodestra ha mostrato finora assoluta indisponibilità alle modifiche. Se passasse così com'è avremmo migliaia di ricorsi alla Corte costituzionale».

Perché?
«All'articolo 2 dice che l'attività medica non può in nessun caso consentire la morte del paziente. Welby non potrebbe più decidere di sé, domani: nessuno potrebbe staccare il respiratore a chi lo voglia. L'articolo 5 parla di idratazione e alimentazione come forme finalizzate ad alleviare le sofferenze e le esclude dal testamento biologico: anche a voler banalizzare e parlare, come si fa, di pane e acqua ciascun medico sa che non è questo ad alleviare le sofferenze del paziente. Inoltre mi domando, per paradosso: e l'aria? Perché non è contemplata la respirazione forzata che, come in assenza di capacità di deglutire, è determinata da una lesione neurologica e muscolare? All'articolo 6 il testamento biologico è di fatto reso inapplicabile. Si dice che bisogna andare ogni tre anni a depositarlo dal notaio, che i notai devono accoglierlo a titolo gratuito (non sono stati sentiti! Lo farebbero?) che bisogna andarci col medico di base e col fiduciario. Immagini questo corteo di persone che ogni tre anni va dal notaio. Un medico di base, che ha in media 1500 assistiti, dovrebbe andarci 500 volte all'anno, escludendo i festivi anche 3 volte al giorno. Una ragazza di 18 anni che voglia fare oggi la dichiarazione dovrebbe tornarci col corteo circa 24 volte nella vita. Tutto questo senza che le disposizioni siano vincolanti. E allora per cosa tanta fatica? Bisognerebbe piuttosto ripartire dalla Costituzione».

Cosa intende?
«La salute è un diritto di tutti gli individui, c'è scritto. Individui, non cittadini. Pensi al dibattito di questi giorni sulle cure mediche agli immigrati. Nessuno può essere sottoposto a trattamento sanitario contro la sua volontà. Allora dov'è il problema se si fa una legge che lasci a ciascuno la scelta?»

Lei, da cattolico, non sente il bisogno di fare proselitismo per le ragioni della vita?
«I principi morali non si impongono per legge. La catechizzazione, eventualmente, si fa con l'esempio».

Non hai mai avuto difficoltà a interrompere un trattamento?
«L'ho avuta, sì, a lasciar andare un paziente. In questi casi la soluzione si trova dentro l'ospedale. Non ho mai tolto un respiratore, come spesso i parenti chiedono negli ultimi momenti per avere intimità col malato. Togliere il respiratore mi riesce difficilissimo. Ho chiesto di farlo ai miei collaboratori, se quella era la volontà espressa. Ho avuto una donna di 27 anni con un figlio di 5 colpita da un'epatite fulminante, dopo il trapianto il decorso ha avuto un esito pessimo ed eravamo oltre i protocolli: non c'era da insistere. Nonostante il parere dei colleghi ho deciso di trapiantarla di nuovo. Era il 2002, mi chiama ancora ogni tanto. Ho avuto un veterano del Vietnam colpito da epatite b, aveva un testamento biologico precisissimo: dopo due settimane di terapia intensiva il trattamento doveva essere sospeso. Suo fratello ha fatto cinque ore di volo per assicurarsi che fosse rispettato. Pensavo che ci fossero ancora possibilità, ho convocato il comitato etico dell'ospedale che ha deciso di rispettare la libera scelta del malato. Il vero umanesimo è rispettare la volontà degli uomini anche quando è difficile. Il ricorso alla tecnica finisce per essere idolatria, è una rinuncia alla carità cristiana che è ascolto. Sono credente ma il compito del legislatore è laico».

Lei si è dimesso ad ottobre da capogruppo per presiedere la commissione d’inchiesta sull'efficienza del Servizio sanitario «Vorrei studiare gli indicatori sulla qualità e l'efficienza delle nostre Asl. Per esempio. Quante fratture di femore vengono operate entro 48 ore dal ricovero? Quanti giorni prima di un intervento programmato avviene il ricovero? Se avviene 5 giorni prima si stanno usando male i soldi. Si trovano le migliori Asl e le peggiori, si interviene non in base a un criterio clientelare o politico ma in base a dei parametri di qualità».

Bisognerebbe poterlo fare anche in politica con le candidature.
«Certo. Bisognerebbe entrare in una fase in cui si candida chi lo voglia, e su questo non ci sarà carenza. Tra chi lo voglia si dovrebbe scegliere chi sia più adatto a quel ruolo. Non equilibri alchemici tra correnti: il profilo. Bisognerebbe sottoporre le persone al giudizio degli elettori».

E' soddisfatto di aver lasciato l'America per fare politica?
«Un giorno, due anni fa, ho parlato in aula a favore di un emendamento alla finanziaria che assegnava 180 milioni di euro all'anno per indennizzare i pazienti danneggiati negli ospedali col sangue infetto. Ho raccontato di quelli che avevo visto, entrati con una frattura e usciti con l'Aids. I loro occhi. Tutta l'aula ha votato. Ci sono altri modi di fare qualcosa per la salute oltre lo sala operatoria».

La chiesa non è sulle sue posizioni.
«La chiesa sono le suore di Haiti che curano i lebbrosi, non è il clero. La chiesa universale ha una straordinaria capacità di esserci. Sono stato scout negli anni '70, si discuteva di campi estivi comuni: la coeducazione di maschi e femmine. Si immagina? Paolo VI non si oppose a quel processo. Controllo, certo, ma non ostacolo».

Si candiderebbe alle primarie del Pd?
(ride) «Non sono adatto. Franceschini si assume il compito e la responsabilità. Dovrà dare un segnale forte di discontinuità nella scelta delle persone. Poi si procederà secondo le regole. Bisogna poi arrivare alle primarie, certo. Magari per aree geografiche, con una competizione nel paese».

E a quel punto lo farebbe?
«Non credo di avere il profilo giusto. Però i candidati li indicano gli elettori. Se mi toccasse fare una parte di cammino non mi tirerei indietro».

Beppino Englaro aderisce alla manifestazione di domani contro la «legge barbara». Lei sarà in piazza?
«Difficile, c’è l'Assemblea nazionale».

20 febbraio 2009
da unita.it
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« Risposta #5 inserito:: Marzo 07, 2009, 10:53:10 am »

Il senatore Pd: «Fine vita, il testo Calabrò è incostituzionale»
 
Marino: «Ripartire da Oviedo E non farò ostruzionismo»
 
Angela Mauro


In vista della discussione sul testamento biologico martedì prossimo in Senato, Ignazio Marino, medico, ex presidente del gruppo Pd in commissione Sanità, di fede cattolica e di fatto promotore instancabile di una legge laica sul "fine vita", non ha perso proprio tutte le speranze per un dialogo con il Pdl in modo da raddrizzare la linea del testo Calabrò. «Se accettano di inserire nell'articolo 1 un riferimento alla convenzione di Oviedo, allora può partire la vera discussione...».

L'esame degli emendamenti è slittato a martedì. Il weekend porterà buoni consigli?
Giovedì in commissione ho parlato chiaramente. Finora del testo Calabrò è cambiato ben poco, è stata eliminata solo la parte impraticabile che obbligava i cittadini che volevano dichiarare le proprie volontà sul fine vita a recarsi ogni tre anni dal notaio accompagnati dal medico e da un fiduciario. Una disposizione che, se attuata da un terzo degli italiani, porterebbe i notai a produrre ben 85mila atti gratuiti e ogni medico, che in Italia ha circa 1.500 assistiti, a recarsi dal notaio 500 volte l'anno, insomma andare dal notaio sarebbe diventata la sua attività principale.


07/03/2009
 da www.liberazione.it
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« Risposta #6 inserito:: Marzo 07, 2009, 09:58:25 pm »

«C’è il tentativo di cambiare la Costituzione»


di Jolanda Bufalini


Nel maggio del 2000 il chirurgo Ignazio Marino si trovò di fronte il caso di Milagros e Marta, le due sorelline siamesi unite in modo tale che l’intervento per separarle avrebbe dovuto sacrificarne una. «Mi rifiutai di fare quell’intervento. Tanto radicale è la mia contrarietà all’eutanasia: un chirurgo non ha studiato per sopprimere». È uno dei motivi, questo, del fastidio di Marino per la confusione creata da un «clima alterato: si contrappone il partito della vita a quello della morte per delegittimare l’avversario»

Lei ha detto oggi che l’unica via sarà l’ostruzionismo. Non crede alle parole di apertura?
«Vede, non mi fido. La destra ha presentato un Ddl incostituzionale e inapplicabile. Sono persone competenti eppure hanno scelto uno strumento inutilizzabile. Ridicolizzati hanno cambiato gli aspetti tecnicima non quelli sostanziali: una legge nata per la libertà di scelta diventa una norma con la quale Mario Riccio, il medico di Welby, sarebbe incriminato. Oggi in commissione c’erano per il governo i sottosegretari Fazio e Roccella. Non ho sentito da loro parole di accoglimento, sulle due questioni irrinunciabili: il consenso informato e la possibilità, in ogni momento, per il paziente di esprimere il dissenso».

Umberto Bossi ha però chiesto che si lavori a una visione condivisa.
«Ho parlato ieri con Bossi. Immagino che ci vedremo la settimana prossima. Ho trovato in lui un atteggiamento di grande disponibilità al dialogo e di grande attenzione alla sofferenza. Esco incoraggiato da quel dialogo al quale ha partecipato il senatore Rizzi (Ln), anche lui medico rianimatore, e quindi una persona che si confronta con la sofferenza».

Allora c’è la possibilità di un dialogo trasversale?
«Noi stiamo affrontando il problema di terapie che allungano l’agonia delle persone. All’origine del clima attuale, a mio avviso, c’è la strumentalizzazione fatta da Berlusconi delle ultime fasi del caso Englaro. Ma nel 2005 Antonio Tomassini, medico, presentò un disegno di legge che io sottoscriverei. Anzi, non ho difficoltà a riconoscere che in molte parti del miodisegno di legge mi sono ispirato a quello dell’attuale presidente della commissione Sanità, anche lì si riconosce il diritto del paziente di dire basta».

Sulla sospensione di idratazione e nutrizione. sin qui non c’è stata nessuna convergenza
«Non sono un testone, ho passato lunghi anni in luoghi di cura. Se per nutrire devo praticare un incisione, inserire un sondino, usare prodotti farmacologici, dare punti di sutura, consultare un gastroenterologo, sottoporre al rischio di complicanze il malato, questo è un trattamento sanitario e nessuno può esservi sottoposto senza consenso. La verità è che c’è in atto un tentativo surrettizio di cambiare la Costituzione. Ma chi è contario alla libertà di scelta prevista dalla Costituzione lo proponga a viso aperto, perché è la Costituzione che prescrive di non invadere la dignità e il corpo del cittadino senza il suo consenso».

Il sottosegretario Mantovano chiede come si fa a sapere che la volontà di una persona non è cambiata , quando non è più in grado di esprimersi.
«Insisto, è la proposta della maggioranza che crea un obbligo, noi siamo per la libertà di scelta. Si può scegliere che venga fatto ogni tentativo che la tecnologia consente. Si può scegliere, nel caso che non si sia più in grado di esprimersi, un fiduciario. Una persona che ci ama e ci conosce. E che deciderà insieme ai medici».

jbufalini@unita.it


06 marzo 2009
da unita.it
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« Risposta #7 inserito:: Marzo 27, 2009, 11:55:27 pm »

Come si uccide il testamento biologico

di Ignazio Marino*


«Mai più un tribunale emetta sentenze di condanna a morte». È con questo ossessivo slogan che il centro-destra, con prepotenza e aggressività, ha voluto approvare la legge sulle dichiarazioni anticipate di volontà. Una legge sbagliata, votata senza ascoltare nessuno, ignorando le obiezioni più ovvie. Era forse inevitabile che nella discussione pesasse la drammatica vicenda di Eluana Englaro, ma è un errore gravissimo dare al Paese una norma fondata sull’ideologia e sull’emotività, una norma che limita un diritto sancito dalla Costituzione: decidere sui trattamenti sanitari.

I cittadini chiedono una cosa sola: poter lasciare indicazioni, se un giorno perderanno coscienza, sulle terapie che si accettano e quelle che non si accettano. Chiedono la libertà di decidere. Non serve entrare nei dettagli di una norma che potrebbe, me lo auguro, essere modificata dalla Camera dei Deputati, ma è utile fare chiarezza: la legge va contro la libertà e calpesta il diritto all’autodeterminazione.

È una legge che è stata approvata senza ascoltare il Paese, senza capire che cosa accade negli ospedali quando un paziente arriva alle fasi terminali della sua vita ed è necessario prendere delle decisioni.

È una legge che non ha fatto i conti con i disastri cui andrà incontro. Cosa accadrà se una persona incosciente sarà portata, contro la sua volontà scritta e contro quella dei familiari, in sala operatoria per inserirgli un tubo nello stomaco per nutrirlo forzatamente? Che cosa faranno i familiari uscendo dall’ospedale? Io sospetto che andranno direttamente dal giudice a sporgere denuncia, senza nemmeno passare da casa.

Mi sono interrogato a lungo in queste settimane e vorrei che tutti si ponessero la mia stessa domanda: ma che Paese è un Paese che limita la libertà dei cittadini rispetto all’invasione del proprio corpo da parte della tecnologia medica? Che Paese è un Paese dove i medici sono costretti a nutrire e idratare artificialmente i pazienti perché lo prevede la legge e non un’indicazione clinica? È un Paese che ha perso il suo umanesimo e forse anche il buon senso e la carità cristiana.

C’è un’altra considerazione. In nessun altro Paese al mondo si è riusciti a scrivere in una legge che idratazione e nutrizione artificiali non sono trattamenti sanitari, perché nessuno, nemmeno i più conservatori, hanno avuto l’arroganza di affermazioni così contrarie alla conoscenza scientifica e alla logica. Purtroppo questa legge, così attesa e combattuta, potrà servire solo a creare disagi e conflitti. Fortunatamente esistono ancora i margini per modificarla, c’è la possibilità di ascoltare le società scientifiche e dialogare con i medici, con i malati che si confrontano con la sofferenza. Ma ci vuole onestà e uno spirito libero dalle ideologie.

*Presidente Commissione parlamentare d’inchiesta sul SSN

27 marzo 2009
da unita.it
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« Risposta #8 inserito:: Luglio 29, 2009, 05:02:31 pm »

Il professore candidato alle primarie annuncia querela all'università americana di Pittsburgh e ad alcuni quotidiani

Pd, Marino va al contrattacco "Ecco la lettera per farmi fuori"


di UMBERTO ROSSO


 ROMA - Ormai, è roba per aule di tribunali. Nella guerra fra Pittsburgh e il professor Ignazio Marino, che stamattina darà l'incarico all'avvocato Vittorio Angiolini di querelare l'università Usa ma anche alcuni giornali, spunta una nuova lettera. La prova, secondo la ricostruzione dei legali, che l'allora capo dell'Ismett di Palermo fu fatto fuori con un accordo fra gli americani e la Regione siciliana, perché si opponeva al rinnovo di una convenzione con troppi punti oscuri e clientele.

Dietro la storia delle note spese gonfiate, come ancora due giorni la Upmc di Pittsburgh ha voluto confermare con un comunicato ufficiale, si aprirebbe allora tutt'altro scenario. E con il sospetto forte, da parte del candidato alla segreteria del Pd, di una manina politica che sta soffiando sul caso, nove anni dopo i fatti.

La lettera, che spunta fra le carte di Palermo, porta la data del 15 maggio 2002, ovvero alcuni mesi prima delle sue dimissioni (arrivate in settembre). La spedisce il responsabile degli affari internazionali della Upmc, Thomas Detre, che scrive all'assessore regionale alla Sanità siciliano, il professor Ettore Cittadini, e riassume un incontro che i due hanno avuto da poco. "Come abbiamo convenuto il cda dell'Ismett sarà ristrutturato, con tre componenti alla Regione siciliana e due alla Umpc". Un ribaltone, con gli americani che cedono la maggioranza nell'Istituto dei trapianti, a favore della giunta guidata da Cuffaro. Ma perché e chi dovrà lasciare quel posto in consiglio di amministrazione per favorire l'ingresso del terzo uomo della Regione? Proprio Ignazio Marino.

"Siamo tutti d'accordo - scrive ancora Detre - che il professor Marino si dimetterà dalla posizione di amministratore delegato e consigliere di amministrazione, e farà solo il direttore medico". Con un ulteriore promemoria per l'assessore siciliano: "Come ho avuto modo di dirle, la revisione degli accordi si giustifica solo nella contestuale prospettiva di una estensione dei termini contrattuali". Come a dire, il rinnovo della convenzione per altri nove anni val bene un ribaltone nel cda. E magari qualche altra "attenzione" in più, come l'autorizzazione ad aprire una struttura di cardiologia che gli americani stanno chiedendo da tempo.

Il tutto avviene, ricostruisce lo stesso Marino, alle sue spalle. Il direttore dell'Ismett sarebbe rimasto completamente all'oscuro delle intenzioni degli americani di tagliarlo fuori, e la lettera del resto è intestata solo a Cittadini (e solo per vie indirette è finita fra le carte arrivate in possesso degli avvocati).
Ma perché la Umpc decide di mettere brutalmente alla porta il mago dei trapianti dopo lunga e proficua collaborazione? Per la storia delle note spese gonfiate?

"Le discrepanze fui io stesso a segnalarle - si difende Marino - ma in ballo a Palermo c'era ben altro. Un accordo molto redditizio con la Regione, al cui vertice era nel frattempo arrivato Cuffaro. Con una gestione dell'Istituto che da un certo punto in poi non potevo più condividere. E lo dissi chiaramente". Medici da assumere con un bando di concorso su misura, a prescindere dalle specifiche competenze sui trapianti. Pressioni per arruolare infermieri e portantini su input politici.

Marino denuncia l'andazzo, in una lettera all'assessore al Bilancio Alessandro Pagano nel luglio 2002 si dice "molto preoccupato per la situazione all'Ismett, dove non riesco più a gestire il personale medico sui livelli di eccellenza che la struttura richiede". Informa anche alcuni ministri del governo Berlusconi.

Silenzio.

Alla fine del braccio di ferro, nel settembre del 2002 lascia il suo posto.

"Glielo consigliai anch'io - conferma l'ex comandante dei carabinieri Roberto Jucci, all'epoca a Palermo come commissario per le acque - perché al centro trapianti stava per sbarcare personale non qualificato, e il professor Marino non poteva accettare un'imposizione del genere".

(29 luglio 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #9 inserito:: Agosto 02, 2009, 03:45:49 pm »

Marino: «Mi candido perché Franceschini e Bersani non affrontano temi cruciali»
 
     
 
 ROMA (1 agosto) - «Mi candido perché Franceschini e Bersani non rispondono sui temi fondamentali», perché nel Pd coesistono «Serracchiani e Binetti che sono su posizioni inconciliabili».

Così Ignazio Marino ha spiegato - a Sky Tg 24 - i motivi che lo hanno portato a candidarsi alla segreteria del Pd.

«Mi sono reso conto - osserva Marino - che il Pd aveva bisogno di un'identità più precisa per temi come il nucleare, i diritti civili, il lavoro, l'ambiente. Non trovavo risposte nelle mozioni di Dario Franceschini e Pierluigi Bersani, i quali hanno posizioni inconciliabili che vanno da Debora Serracchiani a Paola Binetti. Sarà molto difficile metterli d'accordo».

La prima questione che Marino porrebbe al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, nel caso in cui dovesse essere il nuovo segretario del Pd, sarebbe «il modo di affrontare la crisi economica». «Il Paese non può non investire in innovazione, ricerca e sviluppo. In un momento di crisi internazionale - spiega - tutti gli altri paesi, a cominciare da paesi anche di destra, come la Francia, hanno raddoppiato gli investimenti in quest'ambito, per trovarsi in una posizione migliore quando la crisi diminuirà. Invece, in Italia sono stati tagliati». 
 
da ilmessaggero.it
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« Risposta #10 inserito:: Ottobre 16, 2009, 11:55:20 pm »

Nel partito userò il bisturi

di Alessandro Gilioli


Bersani comunista. Franceschini bugiardo. Il medico politico all'attacco: "Io ho un mestiere,D'Alema no...".


Colloquio con Ignazio Marino
 

Ventisette euro. Per andare da Roma a Genova - dove ha incassato il sostegno di don Andrea Gallo - Ignazio Marino ha scartabellato in Rete fino a trovare un biglietto low cost. "Non ho mica i soldi di Ugo Sposetti io", ridacchia il chirurgo candidato riferendosi all'ex tesoriere dei Ds. Ed è solo il primo dei tanti colpi di bisturi rifilati ai due più quotati competitor, Bersani e Franceschini. Eppure potrebbe essere proprio Marino, l'outsider, a diventare decisivo dopo il 25 ottobre, se nessuno degli aspiranti leader raggiungesse il 51 per cento alle primarie e quindi il segretario dovesse essere scelto al ballottaggio dai mille e passa componenti dell'Assemblea nazionale Pd.

Marino, com'è la vita da terzo incomodo?
"E chi l'ha detto che arriverò terzo? Finora si è espresso l'apparato del partito, le primarie saranno tutta un'altra cosa. Anzi, l'ostacolo più grande l'abbiamo già superato".

In che senso?
"Non le nascondo che durante il voto degli iscritti ero preoccupato. In Italia ci sono ancora i capibastone che mandano la gente a votare in cambio di qualcosa. E in alcune regioni - quelle in cui le condizioni sociali sono più difficili, come Puglia, Calabria e Sicilia - è successo proprio così. Un po' strano che nel centro di Milano la mia mozione abbia superato il 30 per cento e nel centro di Catanzaro abbia preso lo zero virgola, non le pare? Ma ripeto: alle primarie sarà un'altra cosa".

Cioè?
"Se votano tre o quattro milioni di persone - e questa è la mia previsione - può cambiare tutto. Non a caso D'Alema e Bersani sperano che vadano a votare in pochi. Così vincono loro. Preferiscono un flop del Pd - perché mezzo milione di votanti sarebbe un fallimento per tutto il partito - al rischio di perdere le primarie".

Facciamo finta lo stesso che lei arrivi terzo e si vada al ballottaggio tra gli altri due. Per chi votano i suoi?

"Per chi accetterà il nostro programma. Stenderemo sette-otto punti base, per dare un'identità forte al partito. Molto semplici, chiari: dei sì e dei no sui temi più importanti. Non solo laicità, ma anche economia, merito, ambiente, ricerca. Staremo con chi li sottoscrive tutti. Pubblicamente, senza accordi di corridoio".

D'accordo, ma chi è meglio per lei: Bersani o Franceschini?
"Bersani è un comunista, in senso tattico. Ha una visione del Pd che è all'opposto della mia. Pensa a un partito che non aspira a diventare maggioranza, ma resta sempre minoritario, facendo accordi con altre forze minoritarie. Non a caso ha tre grandi sostenitori: la Lega Nord, Comunione e liberazione e Giuliano Ferrara, che rappresenta la parte dialogante del Pdl. Lo appoggiano perché sanno che con lui è facile tornare ad accordi da prima Repubblica, come quello sull'immunità parlamentare".

Fuori uno. E Franceschini?
"Franceschini è un vero democristiano, di quelli che dicono una cosa e poi ne fanno un'altra. Aveva detto che non si sarebbe ricandidato alla segreteria, ed eccolo qui. Aveva detto che gli europarlamentari dovevano lavorare solo a Strasburgo, poi ha dato incarichi sul territorio a Cofferati e Serracchiani. Nelle ultime settimane ha visto come tira il vento e si è messo a plagiare il mio programma: si è schierato contro il nucleare, mentre la sua mozione dice l'opposto; si è messo a fare il laico sulla bioetica, e nella sua mozione ci sono i Fioroni e i Rutelli. È una fotocopia che dice bugie. Quindi poco credibile".

Non mi pare che ci siano le premesse perché lei appoggi uno dei due.
"Infatti se si dovesse arrivare al ballotaggio, è probabile che trovino un accordo tra loro. Ha mai visto dei democristiani e dei comunisti che non si mettono d'accordo?". Lei non è né comunista né democristiano? "No, io sono un laico di sinistra".

Che cosa votava prima del Pd?
"In Italia votavo Berlinguer, poi Pds, tranne una volta che ho votato Lista Bonino. Negli Stati Uniti ho sempre votato democratico ".

E, tornato dagli Usa, è entrato in politica come senatore Ds. Ma poi chi gliel'ha fatto fare di candidarsi alla segreteria del Pd?

"È quello che mi hanno chiesto una dozzina di maggiorenti del partito appena ho annunciato la candidatura. Ma il ?chi te l'ha fatto fare? è la filosofia più lontana dal mio modo di vedere l'esistenza e la politica. Se uno ragiona così, rinuncia a tutte le sfide che la vita gli propone".

Sì, ma me lo dica lo stesso: chi glielo ha fatto fare?
"Primavera di quest'anno, campagna elettorale per le Europee. La faccio anche se non sono candidato e incontro tanti elettori. Quando finisco di parlare, iniziano a dirmi: perché non lo fa lei il leader del Pd? All'inizio lo prendo come uno scherzo. Poi sempre meno. Quindi cominciano a chiamarmi un po' di parlamentari ed esponenti del Pd: Felice Casson, Giuseppe Civati, Sandro Gozi, Ivan Scalfarotto, Goffredo Bettini, Paola Concia e altri. Allora ci penso e telefono a Bersani e Franceschini".

Perché?
"Per capire che identità vogliono dare al partito. Vado da Franceschini, poi da Bersani, quindi di nuovo da Franceschini. Volevo solo dei sì e dei no molto chiari: sul testamento biologico, sul merito, sul nucleare, sulle energie rinnovabili, sulla ricerca, sul precariato...".

E loro?
"Franceschini molto vago. Né dei sì né dei no. Continuava a ripetere che lui era l'innovazione e Bersani il vecchio apparato. Sui contenuti zero".

Bersani?
"A modo suo fu onesto. Mi disse che sui temi che gli proponevo avrebbe deciso a maggioranza il partito. Certo, va benissimo che il partito voti, ma uno se vuol fare il segretario dovrebbe anche avere un'idea sua, non le sembra? Invece niente. Allora mi sono candidato io".

Che si occupa di trapianti e di bioetica: un po' poco per la leadership di un grande partito. "Sciocchezze. Abbiamo messo insieme una squadra di persone validissime con cui si sono elaborate idee molto approfondite su tanti temi. Pensi solo al programma economico, alle nostre proposte su precariato e pensioni: ci hanno lavorato studiosi come Ichino, Garibaldi, Tinagli e Taddei, consultandosi con economisti come Paul Krugman e Olivier Blanchard. Mentre Bersani e Franceschini sono ancora lì con le ricette del secolo scorso". E uno dei due probabilmente diventerà segretario. Dopo, che cosa succederà? "La cosa più importante è che il Pd si dia un'identità. Finora è stato un partito incerto e lacerato, in preda alle correnti. Come una squadra di calcio in cui ciascuno gioca dove e come gli pare: è difficile vincere così. Ci vuole un leader che abbia il coraggio di prendere posizioni forti".

Tipo Di Pietro nell'Idv.
"Su gran parte dei contenuti politici Di Pietro e io ci troviamo d'accordo. Poi non è un segreto che io non amo i toni aggressivi e tribunizi, preferisco il ragionamento e il confronto".

Dice D'Alema che lei perderà e tornerà a fare il chirurgo.
"Io almeno, se dovessi smettere di fare politica, un mestiere ce l'ho. Di D'Alema non si può dire altrettanto. E nemmeno di Bersani e Franceschini".

www.piovonorane.it

(15 ottobre 2009)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #11 inserito:: Gennaio 20, 2010, 05:41:21 pm »

Marino "boicottato" in ospedale per le primarie

L’attività di chirurgo di Ignazio Marino sarebbe stata ostacolata quando decise di candidarsi alla segreteria del Partito democratico in concorrenza con Pierluigi Bersani e Dario Franceschini. È quanto emerge da alcune intercettazioni telefoniche di un'inchiesta giudiziaria calabrese su tutt'altri temi rivelate oggi dal Corriere della Sera. Alcuni dirigenti del Servizio sanitario regionale dell'Emilia Romagna avrebbero montato un’azione di boicottaggio ai danni del senatore Pd, chirurgo notissimo, uno dei maestri del trapianto di fegato.

L'obiettivo (raggiunto) era sbarrargli le porte del S.Orsola-Malpighi, policlinico universitario nel cuore di Bologna con un reparto all’avanguardia nei trapianti di fegato. Con il S.Orsola, struttura pubblica, il medico aveva già raggiunto un’intesa. «Marino arriva al S.Orsola», titolavano i giornali bolognesi a fine aprile 2009. E c’era l’ok dell’assessore regionale alla Sanità, Giovanni Bissoni (Pd). Poi, a luglio, la candidatura alle primarie del Pd. A quel punto che cosa succede?

Lo raccontano le intercettazioni captate in un’inchiesta mille chilometri più a sud. Il pm Pierpaolo Bruni della Procura di Crotone indagando su presunti illeciti nella realizzazione di due centrali termoelettriche incappa nelle conversazioni «bolognesi», ritenute potenzialmente «apprezzabili» sotto il profilo penale. Dunque potrebbe essere aperta un’inchiesta specifica. «Le conversazioni mettono in risalto — scrive la procura crotonese — le azioni ostruzionistiche che alcuni dirigenti dell’Azienda sanitaria di Bologna avrebbero posto in essere nei confronti del senatore Ignazio Marino, candidato alle primarie del Pd.

In particolare non gli sarebbero stati perfezionati i contratti che lo avrebbero legato, quale chirurgo, al policlinico S. Orsola di Bologna, per essersi contrapposto all’onorevole Luigi Bersani nella corsa all’elezione di segretario del Pd». Il telefono intercettato è quello di Giuseppe Carchivi, commercialista originario di Crotone ma con studio in provincia di Siena. È un professionista molto quotato e con relazioni politiche ad alto livello, racconta il Corriere.

Il 25 agosto lo chiama un «professore» chirurgo al S.Orsola: LEGGI LE FRASI E LE INTERCETTAZIONI (su unita.it).


20 gennaio 2010
da unita.it
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« Risposta #12 inserito:: Gennaio 25, 2010, 10:11:47 am »

25/1/2010 (7:29)  - INTERVISTA

Marino: "Altroché Udc Anche Nichi entri nel nostro partito"

   
ANTONELLA RAMPINO
ROMA


Ignazio Marino, sono un record i dati per l’affluenza alle primarie in Puglia, alla fine sarà comunque larga la vittoria di Nichi Vendola su Francesco Boccia. Però il Pd pugliese è stato nel caos per un mese e, nel 2010, si sono ripetuti ostacolando Vendola gli stessi errori commessi già nel 2005. Massimo D’Alema aveva fatto di tutto per evitare la consultazione e per spingere il governatore della Puglia a ritirarsi, la vittoria di Vendola è adesso una sua sconfitta?
«Io credo che la vittoria sia della democrazia, sostengo da mesi e mesi che la via maestra nello scegliere un candidato deve essere quella delle primarie, vere e sempre. E’ stato questo il motivo per cui decisi di candidarmi alla segreteria del Pd: le primarie consentono di dimostrare col programma quali sono gli impegni con l’elettorato. E’ quanto accaduto in Puglia con Vendola per l’ambiente, l’acqua, i diritti civili».

E D’Alema?
«La visione di Massimo D’Alema è diversa dalla mia. Ma le persone non scelgono sull’emotività o secondo le indicazioni che vengono dalle segreterie dei partiti in nome delle geometrie politiche. I cittadini scelgono in base alle risposte che si propongono ai loro problemi».

Dunque quello di D’Alema è stato un errore?
«Dal mio punto di vista la scelta doveva essere quella delle primarie sin dall’inizio».

Non è puro politicismo sostenere che si doveva candidare una personalità gradita all’Udc, come se in un partito federale, quale il Pd dice di essere, le alleanze in una regione si potessero proiettare necessariamente su scala nazionale?
«Ritenevo, e la vittoria di Vendola mi dà ora ragione, che il Pd debba essere una cerniera del centrosinistra, che la linea politica debba essere un progetto, una visione che spieghi cosa si vuol fare nel Paese di qui a cinque anni. E si può fare con chiarezza solo ponendosi davanti alle questioni. Il nucleare, per esempio: il no di Vendola è anche il mio. L’acqua: Vendola vuole l’acquedotto pubblico, ed stata altrettanto chiara la sua posizione sui diritti. Se si chiariscono le posizioni, se si dice cosa si vuol fare sulle questioni concrete poi è più facile riportare all’entusiasmo il popolo di sinistra. Ed è più facile anche discutere di alleanze con altre forze politiche. Partendo dai programmi, tutto diventa più nitido, e le alleanze non sono per una poltrona o un assessorato».

Oggi si discuterà del caso Puglia nella direzione nazionale del Pd. E ci si aspetta un regolamento di conti interno.
«Nella riunione dirò che è necessario restare uniti e cercare di vincere: soprattutto nelle regioni dove c’è stata a lungo indecisione, come il Lazio e la Puglia. Adesso abbiamo Bonino e Vendola, due candidati di grande statura, e dobbiamo lavorare tutti con grande decisione perché si vinca. Io non vivo la politica come luogo di sopraffazione ma come periodo temporaneo di servizio rispetto agli obiettivi che un Paese sui pone per essere modernizzato.

Ma in Puglia, tra Vendola e Boccia, lei per chi avrebbe votato?
«Sono stato in silenzio sinora perché l’onorevole Boccia era il candidato del Pd. Ma se si confronta il mio programma e quello di Vendola sono sovrapponibili, c’è un’assoluta assonanza, anche sui diritti civili. Vendola dovrebbe stare nel Pd. Sarebbe molto utile, lo stimo molto: rafforzerebbe nel Pd la capacità di riflettere sui temi critici della modernità».

da lastampa.it
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« Risposta #13 inserito:: Maggio 25, 2010, 09:43:26 am »

Marino: «Critici su lavoro e Rai non su Bersani leader»

di Natalia Lombardo

All’indomani della ritrovata unità nell’Assemblea nazionale del Pd, Ignazio Marino distingue il ruolo della sua minoranza: una critica sui contenuti senza mettere in discussione la leadership di Bersani.

Pensa che sia unità reale?
«Mi auguro che sia una vera unità, anche se ci sono comportamenti differenti: noi di “Cambia l’Italia” siamo stati severamente critici sulle posizioni del partito su temi specifici: sul lavoro, o il fatto che nel Pd non si è mai attivato un forum sul tema dei diritti o un ufficio che si dedichi agli aspetti della scienza e tecnologie».

E non sulle primarie, sul futuro candidato premier?
«Nelle ultime settimane ci sono state dichiarazioni dell’area democratica dai toni molto diversi rispetto a quelle di unità fatte nell’Assemblea, direi quasi schizofreniche. Spero che ci sia coerenza con le parole dette da molti venerdì e sabato, e che venga considerata con rispetto la nostra posizione diversa su molti temi, il che non vuol dire non riconoscere la leadership unitaria».

Sul lavoro, soprattutto.
«Abbiamo chiesto il voto sul documento della segreteria, Fassina-Damiano, annunciando l’astensione: ha avuto 100 voti a favore e 42 astensioni. Non volevamo rotture, ma quel documento dimentica i milioni di giovani che entrano nel mondo del lavoro e non hanno diritti e garanzie. Su un tema così importante ci si deve confronti nei circoli e in un congresso tematico, fino a un referendum fra gli iscritti».

Una minoranza «costruttiva»?
«Si, ma con attenzione alle parole del segretario. Sulla Rai, per esempio, servono una riforma sostanziale e anche degli atti forti: i consiglieri Rai del Pd dovrebbero dimettersi, chiedere che sia azzerato il Cda e che si faccia una legge sulla tv pubblica che risponda al codice civile, con un amministratore delegato che si assuma le sue responsabilità e i giornalisti quelle della linea editoriale, non con i politici che stabiliscono l’organigramma delle reti e le scalette dei telegiornali».

Non ricorda il Cda dei «giapponesi» nel 2002? Rimasero in tre della maggioranza dopo le dimissioni di Donzelli e Zanda...
«È vero, ma si deve tenere alta la tensione sul drammatico stato dell’informazione. La lettera di Maria Luisa Busi è impressionante. Nella tv pubblica inglese un direttore come Minzolini sarebbe messo fuori per inciviltà».

Secondo lei nell’assemblea Bersani è stato più determinato o le minoranze si sono contenute?
«Le minoranze di area democratica, dopo le regionali, hanno trovato questa pace temporanea negoziando i posti ottenuti nelle giunte, in Liguria, in Umbria, in Puglia. Ecco, se l’unità è su questi principi, durerà solo fino alla prossima spartizione».

A chi si riferisce precisamente?
«All’area democratica e alla segreteria che in molti luoghi ha ceduto, trovando accordi sulle poltrone e non sui contenuti».

Forse si è capito che sarebbe autolesionista andare avanti con divisioni e discussioni premature sul candidato premier, no?
«Certo, questo è il momento di agire sui problemi reali: nessuno in Italia si preoccupa del candidato premier nel 2013 o del presidenzialismo. Il paese è prostrato, con la disoccupazione al 12%, la cassa integrazione cresciuta del 311% nell’ultimo anno. E c’è la totale incapacità del governo ad affrontare la crisi, dopo averla negata per due anni».

D’Alema dice: vediamo le carte della manovra, ma è scettico sulla possibilità di appoggiarla, se mai Berlusconi ammettesse la difficoltà. Che ne pensa?
«Io non credo ai buoni propositi di questo governo: tra promesse di riforme e partito dell’amore hanno prodotto il legittimo impedimento e il processo breve. Tra le parole e i fatti c’è una distanza abissale».

E ora le intercettazioni...
«Già, invece di occuparsi di come rilanciare il paese con investimenti in ricerca, innovazione e sviluppo, il Parlamento è bloccato su questo. Paesi come gli Usa molto attenti alla privacy sono preoccupati dal rischio che l’Italia non possa usare questo strumento. Senza il quale non avremmo conosciuto il caso della Clinica Santa Rita di Milano, dove chirurghi toglievano alle donne seni non malati per guadagnare duemila euro in più al mese. Continuerebbero a farlo».

24 maggio 2010
http://www.unita.it/news/italia/99095/marino_critici_su_lavoro_e_rai_non_su_bersani_leader
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« Risposta #14 inserito:: Luglio 15, 2010, 10:51:41 pm »

«A Barcellona Pozzo di Gotto le scene peggiori»

Ospedali giudiziari, Marino denuncia

"Detenuti legati e scene da Ottocento"

Il senatore Pd dopo le ispezioni in alcune strutture: letti di contenzione, lenzuola sporche, sovraffollamento


MILANO - Durante un ciclo di ispezione negli ospedali psichiatrici giudiziari «abbiamo visto scene ottocentesche»: letti di contenzione, lenzuola sporche e nove detenuti nella stessa cella. Inoltre, per tenere in fresco l'acqua, le bottiglie erano lasciate nei water«. Lo ha denunciato il senatore Ignazio Marino, presidente della commissione d'inchiesta sul servizio sanitario nazionale, durante una conferenza stampa alla Camera sul sovraffollamento carcerario. »A Barcellona Pozzo di Gotto (Messina, Ndr) ci sono le situazioni peggiori« ha sottolineato Marino. Qui i detenuti »vengono tenuti legati ai letti con un buco per la caduta degli escrementi«. L'ospedale psichiatrico messinese dipende ancora, ha spiegato il senatore, dal ministero della Giustizia, in quanto il governo siciliano non ha recepito il passaggio di competenze al ministero della Salute.


15 luglio 2010
http://www.corriere.it/cronache/10_luglio_15/carceri-denuncia-marino-detenuti-legati-ai-letti_0f0626b2-9014-11df-b54a-00144f02aabe.shtml
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