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« inserito:: Febbraio 12, 2009, 11:08:15 am » |
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12/2/2009 (7:18) - IL PERSONAGGIO
Mentana "Che senso ha fare la vittima" A 18 anni anarchico, poi socialista, croce e delizia del Cavaliere. Polemico addio del giornalista ma anche gli ex padri brindano
MATTEO FELTRI
ROMA
Il correttore di bozze si ritrovò sul tavolo l’articolo del padre. «Non c’era un errore», ricordò anni dopo Enrico Mentana. L’articolo era di Franco Mentana, grande inviato della Gazzetta dello Sport. Enrico aveva diciotto anni, voleva fare il giornalista e nel mondo ci entrò così, correggendo gli articoli altrui, quelli del padre. Era anarchico e - dice - sarebbe diventato presto socialista perché i furori ideali di ragazzo non si conciliano con la dura crosta quotidiana. Poi di padri gliene hanno attribuiti tanti. Padri o padrini. Entrò in Rai da socialista, ed Emilio Fede scrisse in un libro che fu Claudio Martelli a caldeggiargliene l’assunzione. Mentana sporse querela, perché ad assumerlo era stato Emilio Rossi, e a cedergli il posto fu un altro socialista, Pasquale Guadagnolo.
Paolo Pillitteri racconta la sera a cena che, nel ’93 al Raphael, la sera delle monetine, Bettino Craxi si lagnò con Silvio Berlusconi del Tg5, e quel teatrante di Berlusconi si alzò, allargò le braccia come un Cristo in croce, e si discolpò: «Ma di Mentana, chi mi parlò bene?». E infine, dispersi i socialisti, l’editore politico se lo ritrovò in casa, e palese, plateale: il Cavaliere. «Nei circoli di Forza Italia dicevano a Berlusconi che le nostre teste, la mia e quella di Chicco, dovevano rotolare», racconta ora Maurizio Costanzo. Lui e Mentana erano contrari alla «discesa in campo». Mentana, per capire come la prese, paragonò la decisione al tradimento di una moglie. Tutti, oggi, a Segrate, a Cologno Monzese, al Centro Palatino di Roma, spiegano che goccia a goccia il vaso s’era riempito. Lo sostengono tutti tranne i dirigenti massimi, quelli che hanno deliberato la conclusione della lunga storia di Mentana a Mediaset.
Dicono che la lettera con cui Mentana contestava la determinazione di non mandare in onda un Matrix speciale sul caso Englaro (anticipato o con finestre nel corso del Grande Fratello), e parlava di «scelte che tolgono credibilità», è stata uno sfregio intollerabile. «Per noi era un lustro avere uno come Mentana, uno che sventolava la bandiera della sua indipendenza, che non si dichiarava berlusconiano». Quella lettera è stato un ceffone nel buio, dicono. Però, quando nel 2001 Roberto Colaninno e la Telecom si presero La7, Mentana era lì lì per mollare Mediaset, e con lui Lamberto Sposini e Massimo Corcione. Chi lavorava al Tg5 sostiene che il rapporto quasi filiale fra Mentana e Fedele Confalonieri si ruppe. «Mai mettersi contro uno nato nel quartiere Isola di Milano», dicono. Poi i due ricucirono, ma non fu più come prima. Non c’è padre che tenga. Anche Emilio Fede, che al Tg1 fece esordire Mentana in video, non ha fatto altro che litigarci. Per libri scritti, pettegolezzi detti. Dai racconti di redazione, non salta nemmeno fuori che Fede, così onestamente e dichiaratamente infervorato per Berlusconi, abbia sul gozzo tutta questa pretesa di autonomia, da Mentana rivendicata con piglio quasi ossessivo.
Forse, dicono, in Fede rimane l’amarezza che l’insegna più luminosa dell’informazione Mediaset fosse dell’ex ragazzo di bottega. Di certo, Mentana è rimasto l’ultimo a coltivare a suo modo quella onirica e folle idea di Costanzo, Telesogno, in cui ci doveva essere Michele Santoro a completare il trio, il sogno di una televisione che pretendeva emancipazione, nonostante il rischio della paraculaggine. Ed è come se con Mentana, dentro Mediaset, fosse rimasto un fortino di resistenti. E non i simpatici funamboli delle Jene o di Striscia la Notizia o della Gialappa’s. Quando nel 2004, dopo dodici anni, Mentana venne esonerato dalla direzione del Tg5, e sostituito con Carlo Rossella, qualcuno in redazione si ribellò. Alcuni come Pietro Suber, Silvia Brasca, Roberto Pavone e Claudia Marchionni decisero di mollare. Sostennero che con Rossella si sarebbe fatto un tigì amico, magari tutto paillettes, come diceva Sposini, ora conduttore della Vita in Diretta. Vollero restare ancorati all’ultimo paladino della libertà di cronaca. La vicenda, così, assunse anche contorni ridicoli, andò oltre le intenzioni di Mentana. Ma quello è l’odore che si sentiva nell’aria.
Chi è rimasto, dentro Mediaset, a difendere Mentana? Mauro Crippa, direttore generale dell’informazione, tace e per lui parla la solida amicizia con Mentana, quella classica e incrollabile nata sui banchi di scuola, ma soprattutto i bruschi comunicati con cui ha dichiarato Mentana fuori dal gruppo. Nemmeno la più piagnucolosa richiesta di perdono - che peraltro Mentana non intende porgere - renderebbe recuperabile la situazione. Ci si ingarbuglia nei dettagli. Mentana specifica che non intendeva sopprimere il Grande Fratello - «sarò mica matto!» - ma incunearsi con finestre su Eluana, o ritardandone la messa in onda, o anticipandone la chiusura; e Crippa, dice, era d’accordo, e soltanto dopo... E intanto Matrix viene dichiarato fermo per tutta la prossima settimana, come già programmato a causa di Sanremo. E Berlusconi commenta: «Se l’è foera, l’è meglio». Certo, ormai la storia è un’altra. Il partito di plastica non c’è più. Mediaset ha interessi in Spagna, Germania, Cina. Il tempo delle foglio di fico, se foglie di fico erano, è finito. Mentana è «il più bravo» (come scrisse Aldo Grasso, il pontefice della critica televisiva), da direttore del Tg5 ha spesso scavalcato il Tg1, con Matrix ha spesso scavalcato Porta a Porta.
Ma quanto poteva durare la sua sfacciataggine nel levare la parola a Berlusconi durante un’intervista a Matrix (e in campagna elettorale!), nell’ammiccare col nemico numero uno, Antonio Di Pietro, nello sfruculiare la hostess del Grande Fratello sulle sue frequentazioni a Palazzo Grazioli? Forse davvero Mentana si è fatto fuori da sé, credendosi intoccabile, ma di sicuro in pochi lo rimpiangeranno. Non Piero Chiambretti, che rinnegando pagliacci e ballerini già si esercita nel talk show; non Antonio Ricci, ancora sospeso nella disputa se fosse il Tg5 a giovare a Striscia, o Striscia al Tg5. Forse soltanto Costanzo: «Con lui ho un rapporto bello». Ma non basta più. «Che senso ha farsi il sangue amaro? Somministrarsi dosi massicce di rodimenti? Fare la vittima, che senso ha?», disse una volta Mentana. Ora ripete di non volere percorrere l’alternativa del «martire politico». Scrive a Libero e conclude: «Senza vittimismi, senza avvolgermi nel tricolore, e spero senza fare troppo la primadonna...». In fondo si è sempre ragazzi, c’è sempre un padre a cui correggere le bozze, c’è sempre un po’ di spirito anarchico.
da lastampa.it
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