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Autore Discussione: SESSO E COCAINA CON UN PARLAMENTARE IN HOTEL DI VIA VENETO  (Letto 5158 volte)
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« inserito:: Luglio 29, 2007, 12:01:28 pm »

2007-07-29 09:00

SESSO E COCAINA CON UN PARLAMENTARE IN HOTEL DI VIA VENETO

 ROMA - Un parlamentare, due squillo d'alto bordo, cocaina e alcol, una stanza in uno dei più famosi hotel della Dolce vita, il Flora, a via Veneto. Una delle ragazze si sente male e fa chiamare il 118. Portata all'ospedale si riprende in fretta e tutto finisce lì.

Forse non è stata la coca all'atropina, ma solo qualche 'striscia' e qualche bicchiere di troppo, a far finire questa mattina una ragazza al pronto soccorso dell'ospedale San Giacomo di Roma.

La ragazza però è agitata e parla di qualcuno che l'ha costretta a prendere qualcosa, così scattano le indagini e si parte dal luogo dove l'ambulanza l'ha raccolta: l'hotel Flora.

Alla polizia non si può tener nascosto chi ha pagato la camera, e così finisce nella storia il parlamentare. Dopo qualche ora la ragazza sta meglio e spiega che nessuno l'ha costretta a fare nulla, anzi 'il cliente' ha pagato il prezzo concordato per una notte in compagnia. "Non c'é reato, nessuna denuncia", si scherniscono gli investigatori. Non risulta che l'altra ragazza sia stata sentita, né che sia stato interpellato il parlamentare. Nessuno ne avrebbe probabilmente saputo nulla se i giornalisti non fossero stati messi in guardia da un anonimo. 

da ansa.it
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« Risposta #1 inserito:: Luglio 31, 2007, 06:22:30 pm »

CRONACA

La moglie in attesa del secondo figlio: "Mamma che vergogna"

"Sono un uomo distrutto". Con lui l'Udc a Carovigno ha fatto il pieno dei voti

Casinò e guai giudiziari Mimmo sull'ottovolante

dal nostro inviato LELLO PARISE
 

OSTUNI - "Mamma mia, che vergogna" confessa alle amiche da una casa al mare, con le lacrime agli occhi. Aspetta un bambino e questa emozione forte è come se le togliesse il fiato. "Non lo perdona, ma neppure lo lascia" assicurano un po' tutti nella Città bianca travolta dalla cronaca rosa. "Sapete perché? Adele è giovane e la nascita del secondogenito rimetterà a posto le cose col marito".

La signora Adele, 37 anni, avvocato, erede di un ristoratore che da queste parti conoscevano tutti - "si mangiava alla grande da Chez Elio" - è "la moglie di Mimmo". Al secolo Cosimo Mele, 50 anni, al secondo matrimonio, due figli dal primo e uno con la nuova compagna. Deputato ormai ex Udc originario di Carovigno, un paese a meno di dieci chilometri dalle calette sabbiose di Ostuni, dove i vecchi in piazza e i segretari dell'Unione gridano: "Deve dimettersi, perché ci ha infangati".

Mele protagonista del festino romano a base di squillo e droga. Anche se l'onorevole ripete di non averla mai presa, la cocaina. Con quelli che gli telefonano ha soltanto la forza di confessare: "Sono un uomo distrutto". Rifiuta gli inviti di chi vorrebbe sbatterlo davanti ad una telecamera perché racconti "l'avventuretta", come la chiama lui, a luci rosse.

E' fatto così, lu Mimmo. Tutto politica e sregolatezza. Come quando era finito in gattabuia a gennaio del 1999 da vicesindaco di Carovigno perché insieme col primo cittadino andavano a giocare al casinò coi soldi delle tangenti. Centinaia di milioni, tra il 1995 e il 1998, per assegnare appalti pubblici o fare assunzioni. Poi la partenza alla volta di Montecarlo per accomodarsi al tavolo verde. Una passione sfrenata, quella per il gioco, che gli costa l'arresto con le accuse di concussione e corruzione. Il processo va avanti.

Ma già nel 2000 l'eclettico Mimmo voleva diventare consigliere regionale: l'ex democristiano bussa alla porta di An, però gliela sbattono in faccia. Riesce ad accasarsi nell'Udc e trionfa. "Dalle sue parti è sempre stato temuto e rispettato". Tant'è che proprio l'Udc a Carovigno ha una delle percentuali più alte in Italia.
Non si perde mai d'animo, Mele. E' il 2003 e l'assemblea pugliese discute a proposito dell'Iraq invaso dagli americani. Il capogruppo del partito all'epoca guidato da Marco Follini deve partecipare al dibattito, però non sa aprire bocca.

E allora, che fa? Rilegge parola per parola l'intervento di Follini alla Camera fatto quindici giorni prima: era una disquisizione sulla concessione agli Usa delle basi militari tricolore, ma col tacco d'Italia aveva poco a che fare. Tutti ascoltavano Mele, ma non riuscivano a capire. Non ci volle molto per scoprire l'arte di copiare il capo. Forse in queste ore può andare bene quello che Mele predicava quattro anni fa. Avevano arrestato un assessore della giunta Fitto: Andrea Silvestri, pure Udc. E Mele avvertiva: "La spettacolarizzazione della giustizia non rende un servizio ai cittadini".

(31 luglio 2007) 

da repubblica.it
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« Risposta #2 inserito:: Luglio 31, 2007, 06:23:23 pm »

Poco onorevole davvero

Roberto Cotroneo


C’è qualcosa che non si capisce bene di questo strano Paese. E non è il fatto che esistano una morale pubblica e una morale privata. Una vita di facciata, e le scappatelle private. Un predicare bene e razzolare male. Questo fa parte della storia, può indignare o lasciare indifferenti. Quello che è decisamente nuovo è il modo di certi politici di raccontare ai propri elettori, e ai cittadini, storie che non crederebbe neppure un bambino piccolo.

Intanto se è vero che nella vicenda di Cosimo Mele non esistono per ora estremi di reato (per ora, perché l’inchiesta è ancora in corso), esiste una colpevolezza in politica, che va ben oltre, ed è assai più severa per certi aspetti, di quella stabilita dal codice penale. Perché qui non si tratta di fare i moralisti. Qui si tratta di chiarire come deve sentirsi un signore che ha il mandato dei cittadini a legiferare in Parlamento. Non è un privilegio essere deputati, è molto di più: è un vincolo e una responsabilità. Allora trovarsi nella suite di un grande albergo romano in compagnia di una prostituta di trent’anni, imbottita di droga, che finisce per sentirsi male e deve essere portata d’urgenza al pronto soccorso, è qualcosa che va al di là della gravità del fatto in sé. E molto al di là. Essere scoperti in questa situazione se poi si è deputati eletti nelle liste di un partito come l’Udc, che da sempre fa battaglie fortemente antiproibizioniste, è decisamente grottesco. Se ancora di più si viene scoperti in una situazione del genere e si è firmatari di una legge sul test antidroga per i parlamentari, è francamente da teatro dell’assurdo.

Fin qui, appare tutto evidente e chiaro. Ma purtroppo ci sono due dettagli che spiegano come questa storia sia il simbolo di un malcostume ideologico ed etico, che paradossalmente ha ben poco a che fare con l’episodio della squillo e del suo malore. L’onorevole Mele, che va detto, ha avvertito il 118, e si è dimesso prontamente, rilascia un’intervista al Corriere della Sera, e dice fondamentalmente due cose.

La prima è che lui non sapeva che quella ragazza era una prostituta. Però la paga. Curioso davvero che un uomo abbia l’abitudine di pagare una bella ragazza per l’avventura di una sera. Ma aggiunge: «Pagata... non proprio, una somma di denaro, ma niente di esagerato». Con tutta la comprensione che si può avere per il dramma personale di questo signore, ovvero quello di essersi ritrovato su tutte le prime pagine dei giornali per un fatto di questo genere, non riesci a capire se questa affermazione è ridicola, ingenua, o invece è un tentativo maldestro di arrampicarsi sugli specchi. Se l’avesse detto un playboy della riviera romagnola, pazienza. Se lo dice un legislatore, membro del Parlamento italiano, rappresentante dei cittadini che lo hanno «eletto», nel senso doppio che ha questa parola, beh, per usare un eufemismo, fa un po’ girare la scatole. «Pagata... non proprio, una somma di denaro».

La seconda cosa è ancora più grave: ha dichiarato Mele che lui sarebbe un eroe, perché anziché darsela a gambe e scomparire ha chiamato l’ambulanza. Trattasi non di eroismo, né di gesto misericordioso, ma di dovere assoluto. Fare il contrario è un reato assai grave, punito severamente, e si chiama omissione di soccorso. Definirsi eroi perché si soccorre chiunque, e in qualunque condizione, è una seconda cosa che, per usare sempre il solito eufemismo, fa girare piuttosto le scatole.

Io non butto la croce addosso all’onorevole Mele per quello che è accaduto, forse non ci sono neppure gli estremi di reato in questa vicenda. E capisco che sia scosso, turbato, pentito, e che soprattutto deve aver maledetto quella cenetta in un noto ristorante romano a cui è andato dopo una faticosa seduta della Camera. Ma per ora non è su quello che va giudicato, semmai è su quello che ha detto dopo. Su quel modo maldestro, forse confuso, e persino un po’ arrogante, di giustificare le sue azioni con una serie di espressioni, e di considerazioni, queste sì, e non c’è ombra di dubbio, eticamente disdicevoli. Perché sono una presa in giro, perché è quel modo di certa piccola politica di applicare dei sofismi un po’ avariati e per nulla astuti, pensando di farla franca, pensando che si possa far credere ai propri elettori, ai cittadini, quello che i cittadini hanno capito benissimo da soli.

Poi certo, sappiamo di che tipi è fatta una parte del nostro Parlamento. Spesso persone ingenue, professionisti di provincia, con scarso potere, molte frustrazioni, quelli che un tempo venivano definiti peones, spesso annoiati da sedute fiume in cui non devono far altro che schiacciare i pulsanti di voto, e con questa sciagurata legge elettorale neanche più preoccupati di mantenere promesse al proprio elettorato e curare il proprio collegio, visto che sono stati tutti cooptati dalle segreterie dei partiti. Così finisce che in questo vuoto fatto di voti al computer, pranzi alla buvette, e sbadate letture dei giornali può capitare di scaraventarsi in una simil dolce vita romana, di serie B, da provinciali fuori sede: in questo caso fatta di squillo, regalini, e «che dio ce la mandi buona che nessuno ci scopra... ». Peccato che l’assunzione di droga non è come bere il Lambrusco, o l’Aglianico, e che le prostitute spesso sono sfruttate, e non è che si può far finta di non saperlo.

L’onorevole Cosimo Mele sostiene, e questa è la ciliegina sulla torta, che non c’è alcun motivo per dimettersi da deputato. Invece ce ne sono moltissimi. Si dovrebbe dimettere da deputato per ciò che ha detto, perché regalare i soldi a una donna che viene a letto con te e che non hai mai visto prima, non è pagare, è un regalino; perché si è posto anche solo il dubbio di non chiamare l’ambulanza, perché non l’ha accompagnata al pronto soccorso, perché dà interviste dicendo che si sente colpevole solo di fronte alla sua famiglia. E con tutto il rispetto per la moglie e per i figli, ma i problemi con la sua famiglia sono soltanto suoi, e privati, a noi non interessano affatto. Dovrebbe sentirsi colpevole di fronte ai suoi elettori, e a tutti i cittadini. Smettere di dare interviste, e fare un passo indietro. Possibile che non lo riesca a capire?

roberto@robertocotroneo.it




Pubblicato il: 31.07.07
Modificato il: 31.07.07 alle ore 9.17   
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« Risposta #3 inserito:: Agosto 02, 2007, 12:14:30 am »

CRONACA

Dalle donne in politica condanna bipartisan.

Il ministro: Cesa fa retromarcia sul ricongiungimento, ma Casini non sapeva?
 
Bindi: "Ora chiedano scusa"

Prestigiacomo: "Udc, che gaffe"

di ALESSANDRA LONGO

 
ROMA - "Di fronte al caso Mele, l'onorevole Cesa doveva fare un'unica cosa: chiedere scusa agli elettori per aver imposto loro un personaggio come quello. Sì, perché ce l'ha messo lui nella lista". Rosy Bindi, ministro della Famiglia, se ne è stata molto in silenzio nelle ore calde delle descrizioni hard, ha ascoltato senza commentare lo sfogo del deputato Mele, entusiasta difensore pubblico dell'unione matrimoniale, per una notte irretito, a sentir lui, dalle sirene della capitale, ma di fronte alla sortita del segretario Udc, a quella sua idea di proporre indennizzi per i ricongiungimenti familiari dei parlamentari emigrati a Roma, il riserbo cade e lascia il posto all'indignazione.

Poco importa, a Rosy Bindi, ma anche ad altri interlocutori, se Cesa e Casini giurano di non aver mai pensato a lanciare il tema delle tristi serate capitoline degli onorevoli. E' uno di quei casi in cui la smentita non ferma la valanga ormai arrivata a valle. "Cesa ha fatto una gaffe", si limita a dire Stefania Prestigiacomo, già titolare delle Pari Opportunità.

"Cesa - denuncia Rosy Bindi - ha toccato aspetti importanti, delicati, come la solitudine, le famiglie divise dal lavoro, ma mi pare che non sappia maneggiare questi temi, che attengono al sentire più profondo. Riesce solo a ridicolizzarli". Colpito e affondato, lui e Casini, "perché, difficilmente, Cesa fa una cosa di questo tipo senza informarlo". Ministro, hanno smentito: "Certo, quando hanno visto le reazioni".

Nel merito, nella vicenda umana di Mele il peccatore, Bindi non entra: "Per mia dignità non commento". Lidia Menapace, senatrice, storico punto di riferimento delle battaglie femministe, invece commenta, eccome: "Questo padre della patria, di 50 anni, coniugato, con un figlio in arrivo, vada a raccontare a qualcun altro che non si è accorto di chi frequentava, che si è limitato a fare un "regalino" in denaro. E' una storia miserevole, una cosa bieca, provo un vago schifo".

Naturalmente ce n'è anche per Cesa, al netto della smentita: "Bella l'idea delle mogli dei parlamentari spostate come pacchi a Roma. Mi chiedo se anche i mariti possano usufruire del ricongiungimento. E pongo al segretario Udc il problema dei vedovi come me. Non hanno forse diritto ad un bonus per poter affogare nel whisky la loro solitudine?".

Dietro le battute, però, una preoccupazione politica. "Ognuno ha il suo stile e risponde di quel che fa - chiarisce Prestigiacomo - ma ci tengo a precisare che la maggior parte di noi parlamentari interpreta in modo serio il suo lavoro". Affonda Menapace: "Avere certi colleghi diventa imbarazzante e allarga l'immagine del parlamentare come quello che può tutto, arrogante, supponente, che si cala nella capitale a fare scorpacciate".

Giorgia Meloni, giovane vicepresidente della Camera, esibisce saggezza e imbarazzo per l'episodio Mele: "La politica darà il suo giudizio e anche la gente lo darà. Non si può solo declamare i valori. E' una sfida difficile, quotidiana, dirimente. Ci deve essere una linearità tra quel che si dice e come si vive". E di Mele? "Non dico, sarebbe sciaccallaggio, sono stata zitta anche in altri casi recenti".

Daniela Santanché sceglie di scrivere. Oggi, su "Libero", in una lettera al direttore, la deputata di An denuncia l'imperante "analisi maschilista" e affronta la faccenda dall'altro versante, quello femminile: "Le vere vittime sono le due donne protagoniste, la moglie e la prostituta. Storie ovviamente diverse come diverse sono le loro scelte di vita. A unirle, un unico dolore, perché il dolore è unico, ad umiliarle, un unico carnefice. Penso alla moglie così fragile e penso all'altra, alla puttana, sputata alla fine della storia come fosse un ossicino di pollo... ".


(1 agosto 2007) 

da repubblica.it
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