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« inserito:: Ottobre 24, 2008, 10:33:16 am » |
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24/10/2008 - IL SABATO DEL PD Quelli del "perché no?" FABRIZIO RONDOLINO
I riformisti possono scendere in piazza? Alla vigilia della manifestazione del Partito democratico, convocata prima dell’estate e preceduta da quelle dell’Italia dei valori e della sinistra radicale, l’argomento di discussione sembra proprio questo: ha senso (politico) una manifestazione riformista? I riformisti fanno i cortei? A ben pensarci, però, viene da rispondere con un’altra domanda: perché no?
Bisogna fare una premessa di carattere generale, che riguarda il buon funzionamento della democrazia. Non è vero che in Italia ci sia un «regime», ma non è neanche vero che tutto vada come dovrebbe. Lasciamo pure da parte il conflitto d’interessi (sebbene sia maestoso: Mediaset ha il 40% degli ascolti televisivi, Mondadori il 29% del mercato librario e il 38% di quello dei periodici), e riflettiamo invece su un certo spirito del tempo che sembra privilegiare i divieti senza preoccuparsi troppo delle conseguenze sulla libertà di tutti. Il divieto è sempre una scorciatoia, e ogni proibizionismo è destinato a fallire. Una società matura non proibisce, ma educa responsabilmente i cittadini a scegliere. Da noi invece, forse per reazione a eccessi passati, prevale una cultura del divieto e della proibizione, a destra come a sinistra. Dalla par condicio alla marijuana, dal voto di condotta alla procreazione assistita, lo sforzo (magari in nome dei «valori») è tutto diretto a limitare il campo, a piantare paletti, a erigere divieti. In questo contesto non pienamente liberale, manifestare non soltanto è un diritto ma, da un certo punto di vista, è un dovere democratico. Dovremmo tutti ringraziare gli studenti, le maestre, i genitori, altro che mandare la polizia nelle scuole e nelle università. La democrazia infatti si nutre di differenze, di contrasti, di incontri e di scambi.
È vero che la piazza non è uno strumento sensato per misurare la forza di una posizione politica, e ancor meno di un movimento di opposizione. «Piazze piene, urne vuote» era un antico insegnamento di Pajetta, che troppo spesso le multicolori sinistre italiane hanno in questi anni dimenticato. Tanto meno oggi, in presenza di una straordinaria vittoria popolare di Berlusconi, ha senso misurarsi i muscoli con i cortei. Un’opposizione seria, moderna, riformista non deve dimostrare niente a nessuno, non ne ha bisogno.
Ma la piazza è anche, e forse soprattutto, un simbolo: e i simboli sono importanti. Uscire di casa, ritrovarsi, fare una passeggiata, essere in tanti, ascoltare il leader e applaudirlo, scambiare due chiacchiere, sventolare una bandiera, scrivere un cartello, fumarsi una sigaretta con l’amico che non pensavi di incontrare, sono altrettanti momenti di partecipazione e dunque di identità, e non possono essere eliminati dall’orizzonte della sinistra (e forse neanche della destra, che da De Gaulle al Cavaliere non ha certo esitato a ricorrere alla piazza per rafforzare la propria identità). La sinistra ha di fronte a sé un percorso molto, forse troppo lungo; né aiutano le stucchevoli polemiche fra i capicorrente o quello strampalato cupio dissolvi che la porta a individuare in se stessa il nemico principale. E tuttavia questo cammino è già cominciato, e la manifestazione di domani, con tutti i suoi limiti, i suoi anacronismi e le sue incertezze, ne è parte integrante. Così come è parte integrante della leadership di Veltroni, che idealmente replica al Circo Massimo l’investitura diretta avuta con le primarie. E anche a questo, forse, bisognerà una volta o l’altra fare l’abitudine, e farsene una ragione: è Veltroni il leader del Pd, e lo sarà ancora a lungo, tanto più dopo aver finalmente sciolto l’equivoco Di Pietro. Domani la sinistra uscirà di casa e ritroverà se stessa: per questo sarà una manifestazione grande e allegra e serena. E questo non può far male a nessuno.
da lastampa.it
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