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Autore Discussione: Indios da tutto il mondo. A Belem.  (Letto 5168 volte)
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« inserito:: Gennaio 25, 2009, 04:40:31 pm »

25/1/2009 (8:48)


Bolivia, la riforma degli indigeni
 
Oggi il voto sulla nuova Costituzione che concede più poteri alle comunità degli aymara e dei quechua.

Morales: «Così metteremo fine al colonialismo»

LA PAZ (BOLIVIA)


La Bolivia è di fronte ad una svolta. Oggi quattro milioni di elettori sono chiamati a pronunciarsi sul progetto di una nuova Costituzione che dà spazio al mondo indigeno aymara e quechua e rafforza i poteri dello stato, in particolare riguardo alle risorse naturali. La vittoria del sì potrebbe far rimanere al potere fino al 2014 Evo Morales, ex sindacalista dei "cocaleros" e primo presidente indio della storia del paese.

La nuova carta fondamentale, ha dichiarato alla vigilia del voto Morales, intende «decolonizzare» la Bolivia, aiutandola a emanciparsi dall’influenza degli ex coloni spagnoli. In base a questo progetto lo stato boliviano si separerà dalla Chiesa cattolica, diventando indipendente da qualsiasi religione. «Questa costituzione darà a tutti le stesse opportunità, diritti e responsabilità» ha spiegato Morales, incontrando i giornalisti a La Paz. «Gli indigeni tradizionali, che sono poveri ma numerosi, si uniranno finalmente agli indigeni contemporanei, che sono pochi ma ricchi».

Proprio per questo, d’altronde, gli «indigeni contemporanei» - come Morales ama definire i meticci e l’opposizione bianca - temono che la proposta del presidente non tenga il dovuto conto della crescente popolazione urbana che mescola la tradizione con la nuova identità occidentale globale. «L’idea della Costituzione è quella di far sì che gli indios non siano più invisibili» spiega lo storico Fernando Cajias. «Il problema - aggiunge - è che creerà tutto un nuovo mondo di invisibili», quello dei boliviani meticci. La carta, che dovrebbe essere approvata con facilità dal referendum di oggi, prevede la convocazione, il prossimo dicembre, di nuove elezioni generali in cui Morales potrebbe candidarsi per un secondo mandato da cinque anni.

La riforma garantirà poi una notevole autonomia a 36 «nazioni» indigene, oltre che a diversi Stati orientali governati dall’opposizione. A entrambi verrà attribuito un generico «uguale rango» che non riuscirà a favorire una soluzione dell’eterna lotta per lo sfruttamento delle fertili pianure orientali. Nel tentativo di redistribuire il territorio, la costituzione limiterà altresì le proprietà terriere a 5mila o 10mila ettari, scelta che spetterà agli elettori. Se la nuova carta passerà, il futuro Congresso avrà seggi riservati per le minoranze indigene, che dovranno così spartirsi il potere con le autonomie degli Stati orientali. Alle operazioni di voto saranno presenti osservatori internazionali, in particolare dell’Oea (Organizzazione degli Stati americani) e dell’Unione europea.

da lastampa.it
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« Risposta #1 inserito:: Gennaio 26, 2009, 09:57:26 pm »

Il cattolicesimo non è più ufficialmente la religione di Stato

Bolivia, nasce il «socialismo indio»

Trionfo per il presidente Morales

Approvata la Costituzione che mette il potere in mano agli indigeni.

Riconoscimento anche per la foglia di coca


LA PAZ — Tre anni fa il primo presidente indio delle Americhe aveva promesso la fine dell'era coloniale e una rivoluzione sociale e pacifica in Bolivia. Da ieri Evo Morales ha in mano l'arma principale per realizzare il suo obiettivo, una nuova Costituzione fondata sulle autonomie dei popoli indigeni e lo Stato come motore dell'economia, in linea con l'onda rossa che percorre il Sudamerica da anni. Il governo di Morales ha agevolmente vinto il referendum che si è tenuto ieri. Secondo le prime proiezioni i «sì» avrebbero toccato il 60 per cento. Come nelle previsioni, il risultato esprime una Bolivia divisa. Nelle regioni dell'Est, più ricche e inclini al liberalismo, Morales resta in minoranza, anche se il clima è decisamente più tranquillo rispetto ai mesi scorsi, quando il dissenso concentrato a Santa Cruz de la Sierra aveva portato a rivolte contro il governo centrale, statuti unilaterali di autonomia e scontri con morti e feriti. Sugli altopiani andini, l'approvazione al governo resta invece alta. I programmi di aiuto ai poveri e agli anziani, finanziati con l'aumento delle royalties sul gas, hanno beneficiato soprattutto queste regioni, dove si toccano i livelli di miseria più alti dell'America del Sud.

Al pari di Hugo Chávez, alleato di ferro e consigliere numero uno, Evo Morales conferma la sua popolarità a colpi di chiamate alle urne e intende azzerare il suo mandato con una nuova investitura. A fine anno in Bolivia si terranno nuove elezioni presidenziali. A differenza di Chávez, però, Morales ha fatto varie concessioni all'opposizione, tra cui quella di limitare a un solo mandato in più le proprie ambizioni personali. La nuova carta boliviana è meno socialista di quanto avrebbe inizialmente voluto l'ex sindacalista di etnia aymara, ma ribadisce il monopolio statale sulle risorse energetiche e l'acqua, e un limite ai latifondi in agricoltura. Con il voto di ieri i boliviani sono stati anche chiamati a scegliere se limitare a 5.000 o 10.000 ettari l'estensione massima di terra che un privato può possedere. Le grandi aziende agricole esistenti, in gran parte forti esportatrici di soia, non verranno toccate.

Tutta da inventare e verificare, invece, è l'intenzione di ricostruire la Bolivia dopo cinque secoli di ingiustizie ridando potere alla maggioranza indigena, composta quasi interamente di poveri e miserabili. La nuova Costituzione riconosce l'esistenza di 36 «nazioni», eredi dei popoli originari che furono assoggettati e decimati con la Conquista spagnola. Tutte le autonomie avranno uguali diritti e doveri e dovranno dividere il potere con le istituzioni esistenti. Persino nella giustizia, dove si riconoscono pratiche di «diritto tradizionale e comunitario» oltre a quelle dei codici. La Carta definisce nei dettagli, dall'alto dei suoi 400 articoli, persino il ruolo della foglia di coca, ricchezza tradizionale del popolo boliviano. In religione il Dio dei cristiani e la Pachamama (madre Terra) degli Incas sono ugualmente venerati e la Chiesa cattolica perde il suo rapporto fin qui privilegiato con lo Stato. La protesta dei gruppi religiosi si è fatta sentire durante la campagna elettorale: temono tra l'altro che le nuove regole aprano la strada alla legalizzazione dell'aborto.

Per gli oppositori di Morales si tratta di utopie non realizzabili e che porteranno a seri problemi, mentre i nuovi posti garantiti alle nazioni indigene nel Parlamento servirebbero solo ad aumentare il suo potere. Allo stesso tempo le province del-l'Est, la mezzaluna boliviana, ritengono insufficiente il grado di autonomia loro concesso dalla nuova Carta. Avrebbero voluto il pieno controllo della fiscalità e delle risorse di gas e petrolio. I loro governanti hanno fatto apertamente propaganda per il no al referendum di ieri.

Moderato e abile nel confronto interno, Morales ha confermato negli ultimi giorni la linea dura verso le multinazionali straniere e gli Stati Uniti. Nell'area del gas ha annunciato una nuova nazionalizzazione a 48 ore dall'apertura delle urne, così come ha ribadito le accuse all'ambasciata di Washington di cospirare contro di lui. Ma la guerra commerciale con gli Usa — che hanno tolto da qualche mese ai prodotti boliviani uno status di esenzione dai dazi doganali — gli si è ritorta contro. Molti posti di lavoro nell'artigianato sono andati perduti. Washington ha giustificato la misura con lo scarso impegno della Bolivia nella lotta alla cocaina e al narcotraffico, accusa che Morales respinge.


Rocco Cotroneo
26 gennaio 2009

da corriere.it
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« Risposta #2 inserito:: Gennaio 28, 2009, 03:14:51 pm »

Pasto sacro tra indigeni e caporali

di Raffaella Bolini *


Il Forum sociale mondiale ha aperto i suoi lavori a Belem, nel cuore dell'Amazzonia con una grande marcia in cui tutti i partecipanti al World Social Forum hanno invitato la città a raccogliersi in Praca Pedro Texeira (Escadinha) per la cerimonia d'apertura dell'evento.

Sono stati i popoli indigeni a condurre la manifestazione con un rituale condiviso tra le oltre 60 differenti nazioni della terra. Nell'evento hanno accolto i popoli africani che hanno ospitato l'ultima edizione del Forum Sociale Mondile a Nairobi (Kenya).
Insieme hanno condiviso un commovente Pasto sacro e a propria volta i rappresentanti dei popoli africani hanno introdotto gli indigeni alla propria cultura, affidando loro il testimone del Forum accompagnati da tamburi e birimbau.

Alla testa del corteo gli indigeni hanno preso la testa del corteo invitando gli almeno 100mila partecipanti al Forum, e insieme ad essi tutta la città di Belem, a camminare insieme portando con sé tutte le proprie bandiere, gli striscioni e i simboli delle proprie lotte.

La «mistica», cioè la cerimonia spirituale indigena, è il filo rosso anche di questa seconda giornata di oggi, quando tutte le attività saranno dedicate completamente ai 500 anni di resistenza, conquiste e prospettive delle popolazioni indigene ed afrodiscendenti.

La Giornata Pan-Amazzonica si incentrerà intorno ai problemi e alle lotte della regione, dove i popoli e i movimenti indigeni dell'Amazzonia potranno dialogare col mondo e tessere alleanze planetarie, cercando di costruire un'altra Amazzonia. In tre palchi distribuiti tra i campus verrà intessuta da cerimonie e rituali dei popoli nativi di ogni parte del mondo una trama di testimonianze e seminari divisa in assi tematici che verteranno su: cambiamenti climatici e giustizia ambientale, diritti umani, lavoro, migrazioni, fine della criminalizzazione dei movimenti sociali, terra, territorio, identità, sovranità alimentare.

*della Delegazione Arci


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Al centro l'economia solidale

di Andrea Rigon *

Si è aperta ieri nel cuore dell'Amazzonia la nona edizione del Forum Sociale Mondiale. Nei sei giorni di attivitè si prevede la partecipazione di oltre 80.000 persone da 150 Paesi. Nel 2007 il forum si svolse a Nairobi in Africa e, dopo un anno di riflessione nel quale si sono svolte in tutto il mondo attività decentrate, è finalmente tornato in Brasile dove è nato. Ma contrariamente alle precedenti edizioni brasiliane non si svolge più nel sud, a Porto Alegre, ma nel nord, a Belem. Con l'obiettivo di costruire un mondo più giusto e democratico, avranno luogo numerose conferenze, workshop ed eventi culturali e sportivi.

Dal 2001, il Forum Sociale Mondiale è stato uno spazio aperto di dibattito e riflessione per i milioni di donne e uomini, organizzazioni, reti e movimenti che combattono il neo-liberismo, la guerra, il neocolianismo, il razzismo e il patriarcato. In particolare quest'anno, possibili risposte alla crisi globale economica, finanziaria, ambientale e alimentare verrannno elaborate da una prospettiva indigena: l'Amazzonia è quindi uno dei protagonisti del forum. A Belem, oltre 3.000 indigeni in rappresentanza dei circa 44 milioni di persone e 522 popoli indegeni presenti in America Latina cercheranno supporto internazionale nel lancio di una nuova propria campagna in difesa del pianeta.

Altro asse del forum è quello dell'economia solidale e del commercio equo: piccoli produttori, artigiani e contadini condivideranno le proprie esperienze di economia solidale come alternative per combattere la povertà e affrontare la crisi economica e ambientale. Una delle novità di questo forum sarà l'utilizzo delle nuove tecnologie di comunicazione quali video conferenze, internet e radio per permettere la partecipazione al dibattito anche a chi non è a Belem. Nel mondo si stanno svolgendo più di 100 iniziative in connessione con Belem: dal forum delle periferie nel sud del Brasile, ai forum locali in Europa che discutono gli effetti della crisi finanzi.

*della delegazione Acli



28 gennaio 2009
da unita.it


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« Risposta #3 inserito:: Gennaio 29, 2009, 06:13:52 pm »

Indios da tutto il mondo

di Raffaella Bolini


Se si percorre tutta la strada centrale del campo dell'università Upfa, è come passeggiare lungo alcune tra le battaglie cruciali per il cambiamento di questo pianeta, prima che sia troppo tardi. Si passa attraverso il centro dei media indipendenti, si attraversa il villaggio del commercio equo e delle economie solidali, si costeggia il grande palco dedicato ai 50 anni dalla rivoluzione cubana, e poi in fondo, dietro al palco centrale, il delta del Rio delle Amazzoni e il grande polmone del pianeta, la foresta e la biodiversità dei popoli nativi che la abitano e la custodiscono un po' per tutti.

Il Forum ha aperto ieri i suoi spazi di celebrazione e di dibattito ripartendo da lì: dai 500 anni di resistenza afro-indigena e popolare.

Nella Giornata Pan-Amazonica, popoli e movimenti di tutta l'Amazzonia hanno lanciato una nuova alleanza mondiale utilizzando, tra l'altro, i metodi tradizionalmente propri del Forum sociale Pan-amazzonico come la «mistica», e cioè, attività musicali, di danza e di espressione, suddivise in tre palchi di convergenza multiculturale ed ecumenica.

Questa decisione del Comitato internazionale ha materializzato il desiderio di rendere il Wsf 2009 uno spazio dove tutti i movimenti panamazzonici potessero assumere un proprio volto e una propria voce. Questa del 2009 sarà la più grande mobilitazione indigena nella storia del Forum Sociale Mondiale.

A Belem sono arrivati alla spicciolata, tra aerei e carovane via fiume e via jeep trans-frontaliere, più di 3 mila indios di tutto il mondo, che discuteranno la loro realtà quotidiana chiedendo il sostegno di tutta l'umanità per lanciare una campagna in difesa del pianeta.

Circa il 27% del Rio delle Amazzoni, condiviso da nove Paesi della regione Pan Amazonica, è occupato da territori indigeni e il 10 per cento di tutta la popolazione dell'America Latina, 44 milioni di persone, è composto da 522 popoli tradizionali di etnie diverse.


29 gennaio 2009
da unita.it
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« Risposta #4 inserito:: Gennaio 29, 2009, 06:21:08 pm »

La Vale grande accusata

di Andrea Rigon


Dai popoli del Parà e del Maranhão arriva la denuncia del silenzioso e continuo saccheggio della propria terra. La seconda più grande multinazione mineraria del mondo, la Vale, estrae qui il ferro più puro del mondo. Ogni giorno 12 treni da 330 vagoni del treno più lungo del mondo espropriano la ricchezza di questa terra esportando il 95% di questo metallo grezzo verso Cina, Europa e Usa, privando il Brasile di ogni valore aggiunto legato alla lavorazione del minerale. In Brasile restano solo le siderurgiche alimentate col carbone che ha distrutto la foresta vergine, ora sostituita dalle monocolture di eucalipto per la produzione di carbone, creando quello che è chiamato deserto verde.

Tale monocultura geneticamente modificata impoverisce la terra lasciando profonde radici che la rendono inutilizzabile per una qualsiasi altra coltura. Ad Açailândia 12 forni lavorano 365 giorni l'anno consumando ciascuno l'equivalente di 15 camion di carbone al giorno e producendo così una cappa di fumo sulle aree abitate.

Padre Dario Bossi, comboniano tra i promotori della campagna (www.justicanostrilhos.org), denuncia che, oltre al problema ambientale, «una persona al mese viene uccisa dalla ferrovia, la compagnia ha in corso 8.000 cause di lavoro, nonostante il 60% del lavoro venga subappaltato a condizioni degradanti».

La rete internazionale di sostegno alla campagna sta già lavorando col Mozambico per prevenire il ripetersi di quanto avvenuto in Amazzonia poiché la Vale ha appena acquistastato nello stato africano la più grande miniera di carbone del sud del mondo. Inoltre a Belem, le popolazioni che condividono gli effetti devastanti della Vale, tra le quali quelle del Brasile, Perù, Nuova Caledonia e Indonesia, si stanno scambiando strategie di resitenza e cambiamendo.

29 gennaio 2009

da unita.it
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« Risposta #5 inserito:: Gennaio 30, 2009, 10:48:10 pm »

Se solidale l'economia va bene

di Andrea Rigon *


Economia solidale al centro del Forum Sociale Mondiale di Belem, in Amazzonia. Se si consumano prodotti di imprese che sfruttano il lavoro e degradano l'ambiente si è corresponsabili dei crimini e delle ingiustizie. Su questa constatazione si basa l'economia solidale che dimostra come sia possibile costruire un'economia del bem viver fondata su solidarietà e giustizia. La produzione nell'economia solidale è democratica, senza datori di lavoro e impiegati, ma cittadini che partecipano all'autogestione delle proprie imprese.

Oggi ci sono milioni di lavoratori e consumatori nel mondo che fanno parte dell'economia solidale e chehanno trovato nelle reti la possibilità di svilupparsi e rafforzarsi. Euclides Mance, autore di La rivoluzione delle reti e Fame zero (EMI), ci spiega che, solo in Brasile, sono oltre 22mila imprese solidali che impiegano 1,687,496 lavoratori proprietari delle aziende in cui lavorano. Al forum sono numerosissimi i rappresentanti dell'economia solidale. Innanzitutto una fiera di produttori, tra questi, Justa Trama, i cui prodotti sono interamente in una filiera produttiva solidale dai semi alla produzione e commercializzazione dell'abbigliamento che, lavorando in rete a livello internazionale, ha aiutato lo sviluppo di un' azienda in crisi del novarese e che ora sotto il marchio Made in No sta rifiorendo.

Sono presenti le reti di banche comunitarie dove il denaro rimane nelle mani della comunità che decide come investirlo attraverso il microcredito. A Belem si dibattono gli orizzonti strategici dell'economia solidale che si sviluppa a tassi altissimi. Solo il commercio equo è cresciuto tra il 2006 e il 2007 all'incredibile tasso del 47%. Questo scenario positivo per l'economia solidale è rafforzato dalla crisi globale. Nell'economia solidale i lavoratori trovano soluzioni collettive e producono in imprese solidali integrate in rete e non isolate in balia del mercato.

* delegato delle Acli


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Con l’Uisp maratona tropicale

di Franco Uda *
Si sono aperte ieri le giornate dedicate ai seminari tematici che scandiranno i lavori del Forum Socìal Mundial di Belèm.
La nutrita e variegata delegazione italiana si è incontrata unitariamente per riassumere e fare il punto per i prossimi giorni di lavoro.
Le tante organizzazioni presenti, con una pluralità persino maggiore degli anni di Porto Alegre, sono lo specchio di una grandissima articolazione di interessi e campagne: da quelle più tradizionalmente legate al mondo dell'associazionismo e del terzo settore - come Acli, Arci, Auser, Caritas, Legambiente, Uisp - a quelle che fanno riferimento al mondo sindacale confederale e di base - come Cgil, Cobas, Fiom, Lavoro e globalizzazione - fino alle associazioni e alle campagne maggiormente collegate a precise tematiche - A Sud, Forum italiano dei movimenti sull'acqua, Libera, Transform, Tribunale permanente dei popoli - oltre a ricercatori e docenti di diverse università.

Tanti i seminari promossi o partecipati dagli italiani che verteranno su: cambiamenti climatici e giustizia ambientale, diritti umani, lavoro, migrazioni, terra, territorio, identità, sovranità alimentare, mafie e legalità.
Trame di un ordito composito, tasselli di un mosaico colorato che sanno restituire la loro complessità, interdipendenza e organicità solo se si ha la voglia di osservare con attenzione. Lontano dagli angusti dibattiti nostrani, qui c'è davvero la possibilità di guardare le cose che accadono nel mondo da un punto di vista differente, che è al tempo stesso più generale e più profondo; qui c'è davvero la visione di un futuro che può stare ancora nelle nostre mani. Nelle mani ma non solo, perché non è tutto solo seminario.
Tutti in pista, quindi, non solo per riflettere e costruire prospettive nuove ma anche per partecipare alla grande maratona coraggiosamente organizzata dalla Uisp, nonostante il gran caldo e le imprevedibili piogge di questa parte del mondo.

*delegato dell'Arci


30 gennaio 2009
da unita.it
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« Risposta #6 inserito:: Gennaio 31, 2009, 06:18:43 pm »

Dalla crisi una chance per cambiare

di Andrea Rigon *


Il processo del Forum Sociale Mondiale nato nel 2001 per costruire l'altro mondo possibile, l'ha creato. Che un metalmeccanico, un indio e un teologo della liberazione diventassero presidenti era impossibile, ora è realtà. Il forum tornando in Brasile ha portato a compimento l'alleanza tra movimenti sociali antiliberisti e politica che ha portato al cambiamento politico in America Latina e che ieri si è concretizzata nella proposta di un forum permanente di dialogo tra i movimenti sociali e i presidenti antiliberisti latino americani impegnati a costruire un altro modello di sviluppo, il socialismo democratico del XXI secolo.

Tre donne in rappresentanza dei sindacati, dei popoli indigeni e dei movimenti femministi hanno dialogato con i presidenti Chavez (Venezuela), Morales (Bolivia), Correa (Ecuador), Lula (Brasile) e Lupo (Paraguay) alla presenza di diecimila persone.
Dalla consapevolezza che il modello liberesta ha portato a una crisi che aumenterà fame e disoccupazione distruggendo il pianeta, e che anche il socialismo tradizionale porta anch'esso al consumismo capitalista, nasce la proposta di un nuovo modello di sviluppo che si basa sul riconoscimento dell'essere figli della terra madre, pachamama, generatrice di vita, e che quindi dobbiamo costruire la nostra economia in armonia con essa.

Questo il principio del nuovo socialismo che mira a porre l'economia al servizio di un progetto condiviso basato su beni comuni, servizi di base pubblici, il rifiuto delle privatizzazioni e politiche energetiche differenti. I cinque presidenti hanno voluto lanciare dal forum una campagna per un nuovo ordine economico, sperando che anche il nord veda la crisi come un'opportunità per intraprendere la via del cambiamento.

* delegato delle Acli


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La giornata dei 5 presidenti

di Franco Uda *

Verrà ricordata come la «giornata dei Presidenti»: non c'è precedente, nella storia mondiale dei movimenti sociali, che 5 Presidenti della Repubblica interloquiscano direttamente con questi. Che fosse una giornata particolare era chiaro sin da quando, diverse ore prima dell'incontro, una chilometrica catena umana ha cominciato a disporsi ordinatamente in fila prima dell'ingresso.

All'interno della grande e moderna struttura plurifunzionale c'era una gran folla che, al ritmo di samba e bossa nova, danzava, come in una gigantesca sala da ballo, in attesa dell'inizio. Evo Morales, Rafael Correa, Fernando Lugo, Hugo Chavez e Luis Inacio Lula da Silva, un indio, un economista, un sacerdote, un soldato, un sindacalista, oggi Presidenti delle Repubbliche di Bolivia, Ecuador, Paraguay, Venezuela e Brasile, siedono al tavolo sopra un palco e ascoltano gli interventi dei rappresentanti del Consiglio internazionale del Forum Sociale Mondiale e delle popolazioni indigene amazzoniche.
Sono richieste e rivendicazioni chiare, che non lasciano spazio a convenevoli: dagli accordi commerciali, al debito ecologico, dalla sovranità alimentare alla necessità di una integrazione basata sulle necessità degli emarginati e degli esclusi. Imponente la presenza femminile, dei giovani, del sindacato. Le repliche dei Presidenti sono puntuali, articolate ed evidenziano un intreccio efficace tra contenuti e qualità oratorie; chiude Lula, con passione, tra le ovazioni.

Tra organizzazioni sociali e politica poteva innescarsi un processo di collateralismo o di chiusura in camere stagne: si è scelta la via dell'autonomia del Social Forum dalle istituzioni e dalla politica, scelta che consente oggi questo dialogo, nel riconoscimento reciproco ma anche nella reciproca assunzione di responsabilità.

* delegato dell'Arci


31 gennaio 2009



31 gennaio 2009
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