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Autore Discussione: GUIDO RUOTOLO. L'orecchio che ascoltava tutto il potere  (Letto 3314 volte)
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« inserito:: Gennaio 23, 2009, 01:18:22 pm »

Scandalo intercettazioni

Genchi, raccolti numeri di 007 coperti dal segreto

La banca dati contestata
 

 
ROMA — I numeri si accavallano, sempre nell'ordine delle migliaia: 578.000 record anagrafici, 392.000 persone fisiche controllate, 1.402 tabulati utilizzati. E così i nomi delle persone coinvolte, alcune delle quali parlamentari: oltre all'ex (senatore e ministro) Clemente Mastella, ci sarebbero anche l'ex ministro dell'Interno Beppe Pisanu, l'ex sottosegretario (oggi ministro ombra del Pd) Marco Minniti e qualche altro. Più alcune decine (un numero vicino a 100, riferisce chi ha letto gli atti) di telefoni intestati alla Camera dei deputati, al Senato e alla presidenza del Consiglio. E ancora: i numeri del procuratore nazionale antimafia Grasso e di altri magistrati. Secondo alcune indiscrezioni anche quello dell'ex capo della Polizia (oggi capo dipartimento delle informazioni per la sicurezza) Gianni De Gennaro.

Poi c'è l'esame del traffico telefonico di apparecchi in uso ad appartenenti ai servizi segreti, motivo per cui i rapporti dei carabinieri sul cosiddetto «archivio Genchi» sono approdati al comitato parlamentare per la sicurezza presieduto da Francesco Rutelli. Che commenta: «Abbiamo visto cose molto rilevanti, da esaminare con estrema accuratezza». La pietra dello «scandalo» che torna in superficie è il lavoro svolto dal consulente tecnico Gioacchino Genchi, su mandato e per conto dell'ex pubblico ministero di Catanzaro Luigi De Magistris, nei procedimenti chiamati Why not e Poseidone che hanno provocato prima l'avocazione delle inchieste e poi il trasferimento del magistrato. Il quale aveva autorizzato il perito ad accedere ai «sistemi informativi» delle aziende telefoniche, ma anche alle «banche dati del Centro elaborazione dati del ministero dell'Interno, dell'Anagrafe tributaria, delle Camere di commercio, delle anagrafi comunali» e altri servizi.

È nato così l'archivio che Genchi avrebbe accumulato negli uffici palermitani in cui lavora: una gran quantità di dati — tabulati telefonici, non intercettazioni, a parte qualcuna trasmessa dal pm per esigenze di lavoro — alla quale ha più volte fatto cenno con toni molto allarmati chi è subentrato a De Magistris nell'inchiesta catanzarese (ora trasferito anche lui dal Csm per come s'è mosso nella «guerra» con Salerno). L'ormai ex procuratore generale di Catanzaro Iannelli affermò che erano stati esaminati i contatti «perfino di utenze coperte da segreto di Stato», e lo disse sulla base dei rapporti dei carabinieri del Ros inviati a sequestrare e analizzare l'«archivio Genchi». Il riferimento nasce da alcuni telefoni trovati durante una perquisizione effettuata nel 2007 presso il centro Sismi di Padova, per i quali la persona sotto indagine (funzionario del Servizio segreto militare) aveva eccepito il segreto di Stato.

Secondo i carabinieri quell'opposizione, confermata dalla direzione del Sismi, non fermò nulla, e il traffico telefonico del funzionario fu sviluppato per verificarne i contatti; con la conseguenza di sollevare il coperchio su numeri e ulteriori contatti di altri uomini del Servizio militare, su su fino ai vertici. Di qui l'allarme, in qualche modo fatto proprio da Rutelli quando dice: «Non è possibile che chi ha responsabilità nei servizi di sicurezza veda le proprie conversazioni accessibili agli altri». Il comitato parlamentare svolgerà delle audizioni per tentare di chiarire la vicenda, ma intanto Gioacchino Genchi, poliziotto in aspettativa e per anni collaboratore delle Procure di mezza Italia, ribatte: «Non mi risulta come sia possibile escludere da un tabulato telefonico le chiamate eseguite o ricevute da utenze asseritamente coperte da segreto di Stato, di cui, invero, non ho mai sentito parlare. hanno forse un prefisso o un'intestazione particolare?».

Ironia a parte, Genchi sostiene di aver lavorato a molte indagini nelle quali erano coinvolti appartenenti ai Servizi (compreso Bruno Contrada) senza mai incontrare «limitazioni o resistenze». In ogni caso il problema riguarderebbe gli inquirenti, dei quali lui si limiterebbe ad eseguire i provvedimenti per rispondere ai loro quesiti; «se poi un indagato appartiene ai Servizi o parla con uno dei Servizi, io non posso nascondere i dati». Stesso discorso vale per i parlamentari, «per i quali solo dopo l'analisi del traffico si può scoprire se sono deputati o senatori; un telefono intestato alla Camera può essere usato da persone non coperte da immunità». Nel caso già noto di Mastella, il consulente ritiene di aver scoperto che il numero «incriminato» era del senatore-ministro solo dopo averne esaminato i tabulati, mentre secondo i carabinieri nel suo archivio aveva già le informazioni dalle quali poteva e doveva sapere già prima che quel telefonino (in contatto con l'indagato principale dell'inchiesta, Antonio Saladino) veniva utilizzato dal Guardasigilli. Quanto ai numeri sulla sua attività Genchi afferma che «i tabulati telefonici acquisiti su disposizione di De Magistris fino al momento dell'avocazione dell'inchiesta Why Not sono un totale di 792, e riguardano solo 641 utenze, di cui 12 internazionali, e 151 apparati Imei (cioè la traccia lasciata dall'apparecchio, non dalla scheda, ndr), per lo più utilizzati con le stesse utenze, dai medesimi soggetti».

Giovanni Bianconi
23 gennaio 2009

da corriere.it
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« Risposta #1 inserito:: Gennaio 25, 2009, 11:07:21 am »

25/1/2009 (7:40) - RETROSCENA

L'orecchio che ascoltava tutto il potere

Adesso indaga anche il Comitato per la sicurezza

GUIDO RUOTOLO
ROMA


C’è anche l’ex capo del Sismi, Nicolò Pollari, nell’elenco delle «personalità» i cui tabulati telefonici sono finiti nell’inchiesta dell’allora pm di Catanzaro, Luigi De Magistris. Quell’utenza telefonica era intestata a una società e fu inserita in un decreto di acquisizione del 30 gennaio del 2007, nell’ambito della inchiesta «Poseidone» (l’altra è «Why Not»). Fu la «Stampa», il 4 ottobre del 2007, a sollevare la questione che oggi viene chiamata «archivio Genchi», e che ieri Silvio Berlusconi ha definito «il più grande scandalo della storia della Repubblica». E cioé l’impressionante mole di dati sensibili, tabulati telefonici, acquisiti dal consulente Gioacchino Genchi nell’ambito delle inchieste «Poseidone» e «Why Not». La «Stampa» fece alcuni nomi - gli stessi rilanciati nei giorni scorsi dalle agenzie di stampa - di queste personalità: Silvio Berlusconi, Romano Prodi, Clemente Mastella, Lorenzo Cesa, Pier Ferdinando Casini, Marco Minniti, Franco Marini, Nicola Mancino, l’allora vicecapo della Polizia, Luigi De Sena, il direttore del Sisde Franco Gabrielli, diversi magistrati.

Di tutti quei nomi, fonti investigative oggi non confermano soltanto quelli di Gianni De Gennaro, ex Capo della Polizia oggi direttore del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (ex Cesis), e il magistrato milanese Armando Spataro. Oggi, quei dati - 578.000 record anagrafici processati, 1.402 tabulati, oltre un milione di contatti telefonici - costituiscono la «pratica» aperta al Comitato parlamentare per la sicurezza (Copasir) che ha sollevato un vero allarme democratico. Che il presidente del Copasir, Francesco Rutelli, ha riassunto nei termini di una «questione molto rilevante per la nostra libertà e la nostra stessa democrazia». Il Copasir sentirà probabilmente il 30 gennaio proprio l’ex pm di Catanzaro oggi giudice del Tribunale del Riesame di Napoli, Luigi De Magistris, e il consulente Gioacchino Genchi. La vicenda avrà (forse) anche uno sbocco processuale, nel senso che quel materiale acquisito nell’ambito delle inchieste «Poseidone» e «Why Not» arriverà alla Procura di Roma.

L’altro giorno, infatti, si è tenuto alla Procura generale di Catanzaro, che aveva avocato le due inchieste di De Magistris, un vertice operativo con il Ros dei carabinieri, che aveva sostituito Genchi nell’attività di consulenza tecnica per portare avanti le inchieste, una volta che allo stesso Genchi furono revocate le consulenze. In questi mesi, ovviamente, Genchi si è difeso sostenendo che non è mai uscito dal seminato nel senso che il suo materiale era frutto di una delega del pubblico ministero, negando di aver mai intercettato nessuno.

Diversa la lettura dei magistrati di Catanzaro, convinti che lo stesso Genchi conoscesse perfettamente le identità di quelle personalità - come nel caso di Clemente Mastella - nei confronti delle quali avrebbe dovuto aspettare l’autorizzazione del Parlamento per poter acquisire i suoi tabulati. Di certo, ed è un dato difficilmente contestabile, nei suoi uffici palermitani, Genchi dispone di un archivio ben più imponente, frutto naturalmente del lavoro svolto come consulente di altre inchieste e delegato da altre Procure. E questo perché il Ros, quando si presentò a Palermo, acquisì soltanto il materiale di «Poseidone» e «Why Not». I critici, sostengono che quello di Genchi è «il più grande archivio privato di dati sensibili». Un problema, comunque.

da lastampa.it
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« Risposta #2 inserito:: Gennaio 25, 2009, 05:00:25 pm »

Il caso Sia Genchi sia il magistrato trasferito dalla Calabria a Napoli saranno ascoltati venerdì al Copasir

Le carte del perito alla Procura di Roma

Trasmessi da Catanzaro i tabulati raccolti dal consulente di De Magistris


Le carte sul cosiddetto «archivio Genchi», cioè i rapporti dei carabinieri del Ros sul lavoro del consulente dell’ex pubblico ministero di Catanzaro Luigi De Magistris, finiranno alla Procura di Roma. La Procura generale di Catanzaro, che aveva avocato le indagini di De Magistris e revocato gli incarichi al consulente, ha deciso di inviare alla magistratura della capitale le analisi dei carabinieri.

Da queste analisi si dovrà verificare se nella raccolta e sviluppo di migliaia di tabulati telefonici è stato commesso qualche ipotetico reato. Per adesso sarà un fascicolo intestato «atti relativi », cioè senza capi d’accusa, e la competenza è stata individuata sulla base del luogo dove sono stati richiesti ed elaborati i dati dei traffici; quindi Roma, città nella quale hanno sede le principali società che gestiscono telefoni e telefonini. Nel frattempo, la prossima settimana, il comitato parlamentare sulla sicurezza presieduto da Francesco Rutelli avvierà le audizioni sulla vicenda, e per venerdì potrebbero essere convocati i due principali «imputati», cioè lo stesso Gioacchino Genchi e De Magistris.

E chissà che non si comincerà a capire un po’ meglio che cosa c’è nel «caso» che ieri è stato nuovamente evocato dal presidente del Consiglio. Il quale ha parlato di «più grande scandalo della storia della Repubblica », salvo poi aggiungere: «Non so nulla di preciso». Berlusconi continua a parlare di intercettazioni, ma in questo caso non si parla di conversazioni registrate bensì di contatti telefonici segnalati: cioè quale telefono ha chiamato un altro telefono, in quale giorno e a che ora, e per quanto tempo. Il contenuto dei colloqui non c’è. Questo significa venire a conoscenza non solo dei numeri telefonici, ma delle relazioni tra le persone che li utilizzano. Su quante siano, ieri il premier ha fornito una nuova cifra: 350.000. In precedenza qualcuno aveva detto 392.000, che dovrebbero conciliarsi - non si sa bene come - con 578.000 record anagrafici acquisiti e 1.402 tabulati utilizzati. Genchi ha parlato invece di 792 tabulati acquisiti (ma solo per l’inchiesta chiamata Why Not, mentre sotto esame è anche la Poseidone): un dato che, secondo il consulente che da decenni lavora con le Procure di mezza Italia, è ben inferiore a quelle di tante altre indagini che non hanno mai destato scalpore.

In queste cifre fluttuanti ci sono anche i traffici di telefoni - acquisiti e analizzati perché in contatto diretto o mediato con persone coinvolte nelle indagini - che sono risultati in uso a parlamentari, magistrati, uomini delle forze dell’ordine e dei servizi segreti, e altre categorie. I nomi dei «controllati» continuano a circolare senza conferme e senza alcuna indicazione del contesto. E quasi mai i telefoni esaminati hanno un’intestazione diretta. I tabulati del numero utilizzato dall’ex capo del Sismi Nicolò Pollari, ad esempio - citato ieri da Berlusconi, sempre con l’improprio riferimento alle intercettazioni - sarebbero stati acquisiti da Genchi sulla base di un decreto firmato da De Magistris il 30 gennaio 2007, quando Pollari non era più alla guida del Servizio militare già da un mese e mezzo. La scheda risultava intestata a una società di copertura, come normalmente avviene per gli agenti segreti, e «usciva» da un troncone dell’indagine Poseidone. Solo dopo averlo sviluppato il consulente si sarebbe reso conto, proprio in virtù dei collegamenti, che a utilizzare quell’utenza era il capo delle spie con le stellette.

Resta il problema che - anche se quando non era più in servizio, e con l’autorizzazione del magistrato - qualcuno ha potuto studiare tutti i contatti del generale nei due anni precedenti. E’ l’aspetto che riguarda e preoccupa il comitato parlamentare di controllo, al pari della vicenda di un funzionario del Sismi in servizio a Padova, indagato nell’inchiesta Why Not, di cui pure Genchi ha elaborato i contatti; il nome l’aveva fatto la cosiddetta super- testimone dell’indagine, dicendo che quel funzionario e suo fratello «parlavano assai spesso con Saladino», cioè il principale inquisito. Di lì gli accertamenti, sempre su richiesta del magistrato, anche se nella perquisizione che ha subito il funzionario ha opposto (inutilmente, riferiscono i carabinieri nel loro rapporto) il segreto di Stato. Anche per i politici (che godono di immunità parlamentare pure per l’esame dei tabulati) c’è solitamente un’intestazione non personale delle schede, da cui sarebbe derivata l’analisi senza richiedere la necessaria autorizzazione. Ma almeno nel caso dell’ex ministro Mastella, sostengono i carabinieri, Genchi poteva sapere già da prima che quel numero corrispondeva all’allora senatore.

Giovanni Bianconi
25 gennaio 2009

da corriere.it
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