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Autore Discussione: La fatwa contro Magdi Allam: un commento di Pietro De Marco  (Letto 6316 volte)
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« inserito:: Luglio 27, 2007, 10:34:53 pm »

«Il suo libro, ”Viva Israele”, nega i diritti dei palestinesi ed è intriso di ideologia antislamica»

Allam? Inguaribile fazioso

Riccardo Gasperina


Prima apparizione in regione per Magdi Allam che presenta il suo libro «viva Israele». L’appuntamento è per domani al Palalevico, alle 21, in una serata organizzata dal Centro Studi sulla Storia dell’Europa Orientale. Allam sarà quindi il 2 agosto, alle ore 18, presso la Casa Micheal Pacher di Brunico, nell’ambito degli Incontri con l’Autore organizzati dall’associazione culturale «Il Telaio»; il 3 agosto, alle 18, al Cinema Bucaneve di San Martino di Castrozza, e infine il 4 agosto, alle 17, presso il Palazzo delle Terme a Comano, nell’ambito della rassegna «Trentino d’autore». Magdi Allam, vicedirettore ad personam del Corriere della Sera, è stato più volte minacciato di morte per le sue sparate contro i musulmani, che lo hanno costretto ad avere sette guardie del corpo sempre con sé. Egiziano di origine, Allam ripercorre nel libro la gioventù passata in Egitto, sotto il regime di Nasser, nel quale anche lui credeva fortemente come il resto degli egiziani. Appoggiava la causa dei palestinesi e sfilava contro gli israeliani per una Palestina libera e a favore della resistenza palestinese. Da allora Allam ha modificato moltissimo quella posizione, fino quasi a ripudiarla. Oggi, a detta dell’autore, nel mondo islamico si è insidiata quella civiltà di morte che trova in Israele il principale Nemico da eliminare e da distruggere. Secondo Allam, con la guerra dei 6 giorni del 1967 - quando l’esercito degli egiziani e dei siriani viene distrutto in una notte da Israele, militarmente all’avanguardia grazie alle armi americane - il panarabismo inizia a coincidere con il panislamismo, con una netta prevalenza della componente religiosa su quella storico-culturale che fino ad allora era stato il vero collante del mondo arabo. Ciò comporta la spinta ad annientare il nemico comune, i filoccidentali israeliani, portatori di ciò che l’autore definisce - in contrapposizione con la civilà della morte del radicalismo islamico - la «civiltà della vita». Il mondo raccontato da Allam è dunque un mondo pieno di fanatici religiosi, di nichilisti, di ideologi della morte, di anti israeliani, di antiebrei e di antisionisti. Il suo libro si configura, quindi, come una battaglia senza dialogo contro il fondamentalismo islamico a favore di Israele, perché «oggi più che mai tutti coloro che hanno a cuore una comune civiltà dell’uomo dove trionfi il valore della sacralità della vita di tutti devono sostenere senza se e senza ma il diritto di Israele all’esistenza».

Moni Ovadia, cantore del mondo ebraico, intellettuale raffinato, non condivide affatto le posizioni radicali di Magdi Allam. Gli abbiamo chiesto di spiegare perchè.
 
Senta, Ovadia, cosa le dice il titolo del nuovo libro di Allam?
«Mi sembra uno slogan dedicato ad una squadra di calcio. Uno slogan da presa di posizione e non scaturito da una riflessione critica, qualcosa di fazioso».

Quindi di poco adeguato...
«Non parliamo di una squadra di calcio o di un partito politico. Parliamo naturalmente di un Paese, di una nazione. Se con il titolo si intende che Israele ha diritto all’esistenza, alla stabilità e alla sicurezza, sono d’accordissimo. Ma cosa vuol dire “Viva Israele”? Vuol dire”Abbasso i Palestinesi?”»

Così sembrerebbe...
«Allora non sono d’accordo. Non ho una relazione ad escludendum, viva uno e abbasso l’altro. Io non avrei sicuramente scritto un libro con quel titolo. E non l’avrei scritto men che meno adesso. Fatto salvo il diritto di Israele a vivere e a prosperare in pace e sicurezza».

Ed anche dei palestinesi, ovviamente...
«Beninteso. Al di là della propaganda, delle prese di posizione, delle retoriche di chi come Ahmadinejad, presidente tirannico dell’Iran, trova un ottimo modo di far propaganda con le sue sparate, Israele è uno stato accettato dalla comunità internazionale e anche da molti Paesi arabi. Scrivere però questo libro con un titolo così evidenzia che la condizione dei palestinesi viene messa in subordine. Al diritto di Israele coincide paritariamente il diritto dei palestinesi ad avere un proprio stato con altrettanta sicurezza e dignità».

Allam scrive: «È evidente che il fulcro del male comune all’umanità è il relativismo cognitivo, valoriale e politico, che, non distinguendo tra il vero e il falso, non ci permette di scegliere tra il bene e il male e, quindi, di agire per favorire il nostro interesse anziché per danneggiarci». Che ne pensa?
«Innanzitutto, il dominio assoluto del bene e del male è stato una delle cause delle peggiori catastrofi della storia dell’uomo. Prendiamo, ad esempio, il Cristianesimo. Quando venne proclamato bene assoluto e chiunque non vi avesse voluto aderire era il male, si verificarono massacri spaventosi. E la stessa cosa avviene ora in Islam. C’è chi si sente in diritto di massacrare gli altri, perché sono considerati il «male». Che cosa vuol dire relativismo cognitivo? Esistono aspetti di bene e di male in qualsiasi posizione».

E nella questione israelo -palestinese?
«In questo caso ritengo che sia bene l’identificazione di Israele con un proprio Stato, entro confini sicuri, senza essere colpito dal terrorismo; ma ritengo male che Israele occupi i palestinesi con un esercito e delle colonie a macchia di leopardo. Quindi ritengo sbagliata la colonizzazione dei palestinesi, invece bisognerebbe trovare un’altra soluzione più adeguata per quest’ultimi. Trovo l’affermazione di Allam per lo meno bizzarra, per non dire altro».

Allam sostiene, nel suo libro, che il panarabismo si trasforma in panislamismo durante la guerra dei 6 giorni del’67. Secondo lei è un’affermazione storicamente corretta?
«Premetto di non essere uno storico. A mio avviso, ci sono molti fattori da considerare, come il cambiamento geopolitico in Medio Oriente, la guerra fredda e il trionfo di un’unica potenza (l’America, ndr). Non si può sostenere che tutti i Paesi arabi abbiano sposato la causa antiisraeliana durante la guerra dei 6 giorni. Mi sembra che Allam lavori con l’accetta, dando giudizi troppo perentori».

Insomma Allam vuole essere più realista del re?
«Mah, per Allam tutto ciò che riguarda Israele è buono e giusto. Ciò che riguarda gli arabi è cattivo e sbagliato. Egli considera la politica solo in chiave prettamente ideologica, non considerando nel suo complesso tutte le componenti storiche, intervenute in quel periodo difficile e denso di avvenimentii».

Fassino e D’Alema propongono il dialogo con Hamas, lei è d’accordo?
«Assolutamente d’accordo. È una proposta molto sensata, nonostante gli starnazzamenti che l’hanno circondata. Si può essere d’accordo o dissentire, ma sempre in modo civile. Bisogna intavolare una trattativa di pace, anche con i capi degli estremisti, in modo tale che tutti siano d’accordo, e trovare un accordo, su base ragionevole, di pace che duri molti anni. Ad un tavolo di pace la comunità europea può spingere, insieme ad alcuni paesi arabi, Hamas a mollare e a riconoscere totalmente lo Stato di Israele. Bisogna smetterla con la guerra e trovare la pace. Durante la pace si dovrebbe individuare una soluzione definitiva. Secondo me, le probabilità ci sono perché, democraticamente, tra i palestinesi, in un clima di pace e di prosperità, che la pace potrebbe garantire, potrebbe essere eletta quella parte di palestinesi democratici e laici, intenzionata a trovare una soluzione definitiva con il pieno riconoscimento di Israele, e viceversa con il pieno riconoscimento di uno stato palestinese».

Creare, dunque, una pace duratura.
 «Certo, perché nulla crea la pace come la pace stessa. Prendiamo la Francia e la Germania. Si sono scannati per secoli ed oggi sono paesi con relazioni fruttuose. I governi collaborano attivamente. Continuare a mantenere alta il livello di belligeranza non porterà a niente se non ad altra belligeranza. Bisogna prosciugare la palude dell’odio».

(27 luglio 2007)

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #1 inserito:: Luglio 29, 2007, 06:42:07 pm »

IL CASO ALLAM E IL MACCARTISMO ALL'ITALIANA
28/7/07

La nostra Paola Caridi dice la sua sulla polemica nata dall'appello promosso da Paolo Branca dopo la lettura di "Evviva Israele" di Magdi Allam in cui si accusano molti accademici italiani di essere di fatto fiancheggiatori dell'islam radicale

Paola Caridi

Sabato 28 Luglio 2007


Ci sono volte in cui si spera che l’oblio copra per sempre pagine poco edificanti della Storia. Pagine dai torni scuri, dai sapori amari, dagli esiti tristi. Poi, come una frusta, i sapori e i toni di quelle pagine salgono di nuovo in gola, negli occhi. Sono segnali proustiani, cellule-sentinella pronte a ricordarci di stare attenti. Che il pericolo di ritonfare dentro periodi bui è alle porte.

È il maccartismo in versione italiota a bussare alla porta. Un maccartismo, certo, ancora meno evidente di quello che segnò gli Stati Uniti esattamente mezzo secolo fa. Ma non meno pericoloso. È per contrastare questo maccartismo ormai neanche più tanto strisciante – che colpisce da anni gli arabisti, gli islamologi, gli studiosi più stimati dentro le università italiane e che giunge ad accusarli di fiancheggiare i terroristi – che ho firmato l’appello voluto da Paolo Branca e ospitato da Giancarlo Bosetti su Reset. L’ho firmato per adempiere prima di tutto a un dovere morale, quello di rammentare – per quanto mi era possibile – all’intellighentsjia italiana quali sono i compiti primi di un ceto che dovrebbe usare la testa e l’etica. Mai l’una senza l’altra.

Compiti semplici, anacronistici sembra. Tenere alto, se non altissimo, il livello della discussione libera. Rispettare il valore dell’incontro e del confronto delle idee – fuori e oltre, recitava l’appello che ha suscitato tanto scandalo, da ogni “tifo calcistico”. Ricordare il ruolo determinante che gli intellettuali debbono avere nella formazione di un pubblico attento e maturo.

Sono nata nell’anno del Muro di Berlino, l’ormai lontano 1961. Sono stata formata da un giovane maestro elementare, con un altissimo senso del dovere e dell’abnegazione, al rispetto della sostanza di una bellissima Costituzione, sintesi dell’incontro di uomini provenienti da storie molto diverse. Sono cresciuta alla scuola di Paolo Spriano, singolare prodotto di cultura gobettiana e comunista, che mi ha insegnato il mestiere di storica e giornalista insieme. Dalle lezioni “anagrafiche” a quelle che Spriano teneva alla Sapienza di Roma, ciò che rimane solido dentro la mia etica individuale è il rispetto dell’uomo e – se possibile – della verità complessa. È per questo rispetto che ho firmato l’appello di Paolo Branca. E lo firmerei cento volte ancora, se e quando necessario.

Il maccartismo odierno vuole che, nell’Italia di transizione in cui ora ci è dato di vivere, ci debba essere solo una vulgata, di quello che succede a sud e a est del Mediterraneo, in mezzo a oltre duecento milioni di persone che sono prima persone, poi arabe, e magari musulmane. Ci deve essere una sola vulgata della vita, cronaca, storia di un miliardo e trecento milioni di persone che, assieme e oltre il mondo arabo, sono musulmane. La vulgata è: sono un pericolo, sono un tutto indistinto che fa paura. Guai, dunque, a chi – da intellettuale e uomo di pensiero – rimarchi la complessità d un mondo di cui emerge solo l’infima percentuale oscura e (quasi) mai la grande civiltà e vivacità. Guai, soprattutto, a chi ricorda con il proprio lavoro quotidiano che si sta parlando di uomini, di società, di civiltà.

L’appello di Paolo Branca non mette all’indice un libro. Tanto meno una persona. Solo chi non ha letto l’appello, scritto in un italiano piano e semplice, può affermarlo. L’appello di Branca chiedeva a tutti di rispettare i doveri propri di un intellettuale fedele a un preciso (seppure non scritto) codice etico: libertà di pensiero, rispetto per gli altri, uso della ragione, studio attento dei fatti, rifiuto del populismo e del pressappochismo. In fondo, non ci sarebbe stato neanche bisogno di un appello del genere, in un paese normale. Ma noi non siamo in un paese normale, ed è questo il motivo per cui un appello così tanto moderato ha suscitato reazioni scomposte.

La razionalità, la moderazione di questi tempi fanno paura. Soprattutto se provengono anche da nomi importanti del cattolicesimo lombardo, che non si riconoscono nella linea neo-teocon che vorrebbe far piazza pulita di un’altra ricchissima storia culturale ancora vigorosa. L’appello, ed è questo il motivo di attacchi così virulenti, ha portato in superficie che la linea dell’islamofobia e della caccia alle streghe non appartiene – per fortuna – a una parte consistente dell’intellighentsjia italiana, che si voleva appiattita su di una linea semplice, tetragona. Maccartista, appunto.

Un vecchio amico, una delle personalità di rilievo del mondo cattolico di questo ultimo mezzo secolo, mi ha confessato – qualche mese fa – che “non si riconosceva più” in questi tempi fatti di populismo, sentenze già emesse, frasi ad effetto e attacchi facili e a botte di dossier precotti. Io, che vengo da una storia diversa, rimpiango l’assenza di Pier Paolo Pasolini. Vorrei leggere ancora, ai tempi d’oggi, quel suo decalogo etico che segnava la prima pagina del Corriere della Sera. Rimpiango i richiami pasoliniani, spesso duri e controcorrente, che nascevano da un’attenzione all’uomo, all’immigrato, al diverso (al musulmano?) e all’uguale, che ora viene considerata eversiva. O eretica, appunto.

da lettera22.it
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« Risposta #2 inserito:: Agosto 02, 2007, 12:07:18 am »

La fatwa contro Magdi Allam: un commento di Pietro De Marco

31 luglio 2007, 17.11.46 |

Sandro Magister

In appena pochi mesi, quest’anno, siamo già alla seconda lapidazione pubblica di un libro e del suo autore.

La prima si è abbattuta su Ariel Toaff e le sue “Pasque di sangue”. Vedi in questo blog: “Pasque di sangue: chi sono i veri colpevoli“.

E ora è la volta di Magdi Allam e del suo “Viva Israele”.

Sul numero di luglio della rivista “Reset” è comparso un veemente appello con tanto di firme, circa duecento, contro Allam e il suo ultimo libro.

Da quello che poi s’è saputo, i prodromi del pronunciamento hanno avuto come teatro l’Università Cattolica di Milano. Un suo professore di letteratura araba, Paolo Branca, vistosi criticato da Allam, aveva chiesto la solidarietà dei colleghi non tanto a sé ma alle istituzioni da lui simbolicamente rappresentate: l’Università e la diocesi di Milano della quale egli è consulente per il dialogo interreligioso. Le firme ricevute da alcuni, pochi, professori della Cattolica avrebbero fatto da traino alle successive adesioni a largo raggio. Che “Reset” avrebbe poi messo in pubblico.

Tra le firme, compaiono quelle di esponenti cattolici di diversa tendenza, con qualche sorpresa. Ad esempio, c’è Camille Eid, giornalista libanese che è collaboratore di spicco di “Avvenire”, oltre che autore, assieme all’altro giornalista di “Avvenire” Giorgio Paolucci, di un libro sull’oppressione dei cristiani nei paesi islamici. Il giornale della CEI ha quindi denotato un certo disagio nel dar conto della polemica: disagio alla fine risolto con un editoriale dello stesso Paolucci, molto fermo nel criticare il manifesto dei duecento: “una sorta di fatwa collettiva, secondo una strategia che contribuisce ad avvelenare ulteriormente un clima già velenoso”.

Meno sorprendente è, tra i duecento, la presenza di altre due firme di spicco di “Avvenire”: Franco Cardini, il cui antioccidentalismo e filoislamismo sono risaputi, ed Enzo Bianchi, il priore di Bose, eponimo del cattolicesimo del dialogo. Ancora tra i cattolici, hanno sottoscritto l’appello gli storici Alberto Melloni e Gianluca Potestà, Guido Formigoni e Fulvio De Giorgi, Agostino Giovagnoli, della comunità di Sant’Egidio, e sua moglie Milena Santerini. Più i biblisti ed ebraisti Piero Stefani e Brunetto Salvarani, che gravitano attorno alla rivista “il Regno”. Più Pippo Ranci, già authority per l’energia.

Sconfessata dal “Corriere della Sera”, di cui Magdi Allam è vicedirettore “ad personam”, l’invettiva dei duecento è stata oggetto di numerosi commenti critici, alcuni – quelli di Giulio Meotti, Luigi Amicone, Giorgio Israel – con una particolare attenzione alla parte avuta da alcuni cattolici nell’operazione.

Una riflessione complessiva è quella che il professor Pietro De Marco ha scritto per www.chiesa, in parte anticipata sul giornale on line “l’Occidentale”. Eccola: “Israele siamo noi. Per un equilibrio secondo realtà e ragione nel nostro rapporto con l’islam”.

da magister.blogautore.espresso.it
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« Risposta #3 inserito:: Agosto 02, 2007, 12:08:05 am »

"Israele siamo noi".

Per un equilibrio secondo realtà e ragione nel nostro rapporto con l'islam

A proposito dell'appello e delle duecento firme contro Magdi Allam e il suo libro "Viva Israele", pubblicati sul numero di luglio 2007 di "Reset"

di Pietro De Marco


La moschea di Ponte Felcino presso Perugia, adibita a “laboriosa e approfondita opera di istruzione e addestramento all’uso delle armi e delle tecniche di combattimento” ci chiede, ci urla, di riflettere ancora e instancabilmente sui nostri correnti criteri di discernimento del rischio islamista.

Nell’identificare l’islam come antagonista culturale e nemico geopolitico, concorrono e si contaminano tesi diverse.

A un capo estremo si assume che la conflittualità islamista, anche non terroristica, è sempre una prova di forza cui siamo sottoposti dalle formazioni musulmane anti-occidentali, un estenuante sondaggio della nostra capacità di resistenza ovvero disponibilità alla resa rispetto ad un progetto o processo di islamizzazione. Corollario: a questa sfida, in qualsiasi forma si esprima, bisogna reagire, con mezzi idonei, su tutti i terreni interni e internazionali.

Al capo opposto, si preferisce parlare non di iniziativa o progetto, ma di “reazione” dell’islam. La conflittualità islamista sarebbe il portato di una storia anche recente di aggressioni occidentali al mondo arabo e vicino orientale; la responsabilità ultima è nostra, e nostro l’onere di disinnescare (anzitutto dentro le nostre società e le politiche dell’Occidente) la bomba etno-politica islamica.

Di questa forbice intellettuale e morale è testimone la querelle che ha investito Magdi Allam per il suo ultimo libro: "Viva Israele".

Il mensile "Reset" diretto da Giancarlo Bosetti ha pubblicato sul numero di luglio-agosto 2007 una lettera contro Allam; tra i primi firmatari Paolo Branca, l’arabista dell’Università Cattolica di Milano, un prestigioso intellettuale ebreo come David Bidussa e altri nomi importanti, da Ombretta Fumagalli Carulli agli storici contemporaneisti Alberto Melloni, Agostino Giovagnoli, Angelo D’Orsi e Giovanni Miccoli, dall’ebraista Paolo Debenedetti a Enzo Bianchi, alla poetessa Patrizia Valduga. Il documento, corredato di oltre duecento firme, incluse quelle di molti universitari, denuncia “la sfrontatezza di chi [Magdi Allam] afferma che le università italiane ‘pullulano’ di docenti ‘collusi con un’ideologia di morte profondamente ostile ai valori e ai principi della civiltà occidentale'”.

Il profilo della lettera, un genere dilagante in questi mesi (e le firme talora si ripetono di lettera in lettera), è quello di una levata di scudi per la libertà accademica. Altrove le stesse firme intevengono per la libertà di critica nella Chiesa cattolica, per la laicità e il pluralismo; curiosamente la sollecitudine di Bosetti e l’economia del ricco fascicolo di "Reset" – che ospita anche una discussione sul cattolicesimo come minoranza, più auspicata che effettiva – sembrano mettere in serie queste occasioni diverse.

La lettera esprime, in forma relativamente contenuta, una reazione che si intravede violenta; ma proprio per questo non sfuggono al lettore dei passaggi singolari. Che senso ha connotare Magdi Allam come portatore di “una pretesa unica verità interpretativa” che condannerebbe i sostenitori di posizioni differenti a divenire “automaticamente estranei a universali valori di civiltà o, addirittura, alieni dalla comune umanità”? Ogni attore ha nella sfera pubblica un suo genere di autorità comunicativa e ad un opinionista non appartiene rivendicare “pretese di verità unica”; né Magdi Allam lo fa. Avviene più spesso ai professori. Scorrendo queste formule, sembra di aver davanti la copiatura di una lettera di "doléances" verso Benedetto XVI o la presidenza CEI del cardinale Camillo Ruini. Chi ha paura, sempre e comunque, del responsabilizzante confronto pubblico tra tesi e, magari, tra visioni del mondo?

Giorgio Israel, su "il Foglio" del 24 luglio indica come retroterra degli atteggiamenti e delle alleanze documentate dalla lettera una “fredda ostilità [di ambienti cattolici, laici ed ebraici progressisti] nei confronti di questo papato, visto come un attacco reazionario ai valori ‘democratici’ conciliari”, nonché una concezione del dialogo tra ebrei e cattolici che aborrisce l’asse civilizzazionale ebraico-cristiano, mal sopporta l’esistenza di Israele (“meglio se non fossse mai nato”) e considera, invece, terreno qualificante un filoislamismo che io definirei “scriteriato”.

Altri ipotizzano come origine della lettera un conflitto entro la stessa Università del Sacro Cuore. Comunque sia, sarebbe stato preferibile riflettere. Magdi Allam non è isolato nell’affermare che “ciò che maggiormente preoccupa e spaventa è la resa morale, l’obnubilamento intellettuale, la collusione ideologica e la fattiva collaborazione dell’Occidente con gli estremismi islamici”. Proprio l'editrice dell’Università Cattolica, Vita e Pensiero, ha tradotto sul tema l’intelligentissimo e duro saggio di Roger Scruton, "L'Occidente e gli altri. La globalizzazione e la minaccia terroristica". Sulla eventualità e le conseguenze di un tale obnubilamento non vi è da scherzare. Se davvero Branca ha detto che le parole dell’imam Moussa di Roma sui “martiri dell’Islam” possono strappare il nostro consenso, e comunque sarebbero "di natura più religiosa che politica”, non crede di dover chiarire enunciati all’apparenza così imprudenti, anche in sede scientifica?

A sua volta il professor Massimo Campanini – che un Magdi Allam esasperato aveva preso ad esempio delle università ove “pullulano ecc.” – ha avuto, su "Reset", spazio per spiegarsi. Ma in questo spazio egli conferma la pertinenza dell’accusa di antiamericanismo e di ostilità ad Israele. Lo fa con candore, poichè mostra di pensare che la questione delle responsabilità del terrorismo internazionale e in Palestina sia “semplice da risolvere”: basterà imputarle in parte oggi a Bush, in parte ieri a Ben Gurion. Anche le notizie sui Fratelli Musulmani, che occupano oltre la metà della sua risposta su "Reset", non escludono ciò che fa infiammare Magdi Allam: i leader dei Fratelli Musulmani, descritti da Campanini così operosi sulla via di una democrazia islamica, sono o no responsabili, magari in termini da meglio circostanziare che nell’accusa di Allam, di “apologia di terrorismo, di diffusione di ideologie dell’odio, della violenza e della morte”? Se no, sarebbe stato bene vederlo affermato e argomentato.

Insomma, né Branca né Campanini hanno ritenuto di dover chiarire o smentire. Un atteggiamento inadeguato che non risulta certamente vantaggioso per loro; né dieci né duecento firme di solidarietà valgono un argomento. In verità siamo di fronte a un tipico tic autoritario da intelligencija.

Tenendo conto della difficoltà comunicativa tra i conoscitori simpatetici dell'islam (per lo più filoarabi e antiamericani) e le “cassandre”, non meno dotate di conoscenze e per questo in costante allarme, azzardiamo un ragionamento non polemico. Temono i simpatetici di perdere un contatto prezioso, politico e scientifico, con l’islam italiano, qualora prendano francamente le parti di Israele e accettino come verosimili le accuse di filoterrorismo alla nebulosa delle moschee italiane? Temono di non poter più mediare tra le culture? Chi conosce le mie posizioni (nel libro "Apparizioni quotidiane" del 2005 e in www.chiesa) sa quanto mi attenda da rigorose pratiche negoziali con l’islam, aperte al suo riconoscimento. Le comunità musulmane in Europa hanno diritto a conservare lingua, diritto e cultura propria; le donne ad indossare il velo e l’islam africano a conservare, sia pure nei limiti di una simbolizzazione incruenta, i riti dell’iniziazione femminile. Diffido anch’io, come gli islamici diffidano, del miraggio del meticciato.

Si tratterà, piuttosto, di definire giuridicamente la compenetrazione tra i loro statuti e gli ordinamenti occidentali. Alla base di questi ultimi vi è l’identità occidentale cristiana. In questa razionale prospettiva pattizia, devo riconoscere, trovo scarsi alleati. Conoscitori e difensori dell’islam hanno, in genere, paura delle reazioni del femminismo e coltivano anch’essi il conformismo antitradizionalista e antireligioso tipico dell’intelligencija, assieme all'attesa consolatoria di un islam riformato e moderato, come interlocutore. Un'attesa comunque inappropriata al presente, poiché il soggetto con cui si deve negoziare è quello che è e non quello che vorremmo fosse. Le polemiche, ora divergenti ora convergenti, dei laici di destra e di sinistra contro religione e consuetudini islamiche sono atti di inimicizia, inutili e tendenzialmente interminabili.

Dunque, bisogna imporre al dibattito e all’allarme una essenziale distinzione: altro è il confronto di potenza, pubblico e politico, nazionale e internazionale, altro è quello civile e culturale. Un paese musulmano può essere "hostis"; è il caso della guerra irachena, cui sono stato e resto favorevole. "Hostes", nemici pubblici, sono le forme militanti e armate che chiamiamo jihadiste. Ma esse non sono tradizione e costume islamici, sono dei modernismi neotradizionali. Quando li combattiamo senza debolezze, l’islam-tradizione non si trasforma per noi in una "acies inimica".

Ma, proprio cercando un equilibrio secondo realtà e ragione nel nostro rapporto con l'islam, dobbiamo riconoscere che non saremmo riusciti ad avere oggi, in noi stessi, un contrappeso al rischio di opacità diagnostica e all’involontaria collusione col nemico, se non si fosse levato negli anni il drammatico allarme di Oriana Fallaci, e non ci aiutassero la battente pubblicistica di Magdi Allam e del "Foglio", il coraggio di Fiamma Nirenstein, di Giorgio Israel e di altri. Dobbiamo essere grati a Magdi Allam che ci ha imposto avvertenza e discernimento costanti per il sistematico disegno di conquista che guida anche le impalpabili, mascherate, pressioni culturali esercitate dal mondo musulmano intraeuropeo.

Allam ha ragione nella drammatizzazione delle sue denunce. Il riconoscimento dell’islam civiltà, già complesso, non ha proprio niente a che fare con una lettura giustificazionista di ciò a cui dobbiamo invece opporci. La nostra cedevolezza è un pessimo sintomo perché implica, ed è forse il peggio, una vera cecità sulla intangibilità di Israele e sul suo significato per l’Occidente.

Questo è il terreno simbolico cruciale. Secondo Magdi Allam, per il professor Campanini il riconoscimento dello stato di Israele non potrebbe mai essere richiesto all’interlocutore musulmano, in una “Carta dei valori” del genere di quella elaborata da Carlo Cardia e assunta ad atto di governo da Giuliano Amato, intesa come base negoziale nelle trattative tra stato italiano e rappresentanze musulmane.

Credo si debba affermare il contrario: proprio nel difficile scambio tra il riconoscimento statale e gli obblighi contratti dalle comunità musulmane, debbono essere menzionate e vietate la propaganda antiebraica e ogni idealità terroristica. Il “martire” che uccide è un modello che il paradigma cristiano non ammette e su cui esercita non una generica critica umanitaria ma una critica teologica, di sostanza: quella critica che l’islam è capace di intendere.

Vi è una verità profonda nel titolo di un libro recente di Fiamma Nirenstein: "Israele siamo noi". Il riconoscimento del diritto all’esistenza di Israele è uno dei vincoli primi da porre alle popolazioni musulmane in Occidente. Tale vincolo coincide con la richiesta alle stesse comunità musulmane, ai loro rappresentanti e uomini di dottrina, di riconoscere il futuro diritto ad esistere di noi e di loro, come Occidente.

__________

31.7.2007


da chiesa.espresso.repubblica.it
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« Risposta #4 inserito:: Agosto 02, 2007, 05:48:06 pm »

Paolo Santachiara e le tesi di Magdi Allam, replica alla Lista Insieme

«Non alimentare lo scontro tra civiltà»


 NOVELLARA. Paolo Santachiara, assessore, ideatore e principale animatore del progetto del Comune di Novellara «Nessuno escluso», ha distribuito in consiglio comunale una lettera di risposta ad una lettera aperta recentemente a lui indirizzata dalla «Lista insieme». In quella lettera veniva «accusato» di aver sottoscritto (un paio di mesi fa, con altri 230 fra docenti, giornalisti, scrittori, esponenti del mondo della cultura) un documento, scrive Lista Insieme: «di mostrificazione e linciaggio morale», anzi di «umiliazione pubblica» di stampo leninista, stalinista, mussoliniano e hitleriano nei confronti di Magdi Allam, autore del libro «Viva Israele» (Ed. Mondadori).

I fatti sono questi. Allam nel suo libro accusa il noto studioso Massimo Campanini di antisemitismo e di fingere di ignorare il pericolo islamico, scrivendo fra l’altro: «Il caso del professor Campanini non è l’unico. L’Università italiana pullula di professori cresciuti all’ombra delle moschee dell’Ucoii, simpatizzanti dei Fratelli Mussulmani, incosapevolmente o irresponsabilmente collusi con la loro ideologia di morte».

Nella risposta, sottoscritta anche dall’assessore di Novellara, si legge fra l’altro: «Senza entrare nel merito delle accuse specifiche rivolte nell’ultimo libro di Magdi Allam a singoli colleghi noti a chiunque si interessi di questioni relative al Medio Oriente e all’Islam, intendiamo protestare fermamente davanti alla sfrontatezza di chi afferma che le Università italiane pullulano di docenti collusi con un’ideologia di morte profondamente ostile ai valori e ai principi della civiltà occidentale e all’essenza stessa della nostra umanità. Ci pare davvero eccessivo che quanti, in sede di dibattito scientifico e civico, esprimono posizioni differenti da una pretesa unica verità interpretativa divengano automaticamente estranei a universali valori di civiltà. Una tale impostazione non solo è lontanissima dallo spirito e dai valori di una democrazia costituzionale - e molto più in linea con ideologie totalitarie - ma si pone anche a siderale distanza dal senso critico che sta alla base della ricerca storica e scintifica e della stessa missione dell’informazione giornalistica».

Nella sua lettera Paolo Santachira ha innanzitutto riprodotto il testo del documento, perché finora «il testo non è mai comparso, ma i titoli e i contenuti degli interventi in merito sono andati in ben altra direzione, dicendo cose particolarmente pesanti che il documento non conteneva».

Quindi riassume quelle che sono le tre principali preoccupazioni sue e dei firmatari del documento: «Le pesanti accuse che il libro rivolge ad alcuni professori universitari e al corpo docente nel suo insieme, con espressioni veramente estreme ed offensive. La forte difficoltà dell’autore ad accogliere posizioni diverse dalle proprie nel contesto della ricerca scientifica e civica. Il rischio di cadere in una logica degli opposti estremismi piuttosto che una ricerca analitica e attenta alla complessità delle situazioni religiose e sociali».

Precisando quindi che il testo «è ben lontano dal lanciare anatemi nei confronti di Magdi Allam o dal criticare il suo tifo per Israele (da notare che tra i primi firmatari del documento ci sono diverse personalità del mondo ebraico), è lontano dal tentativo di fare terra bruciata attorno a lui per renderlo facile bersaglio di chi gli vuole male. L’appello, al contrario - spiega Santachiara - vuole sollecitare un maggior equilibrio e un maggior rispetto e attenzione a chi sta lavorando seriamente per favorire cammini che vedono nel pluralismo il bene indispensabile, che alimentano il rispetto reciproco e la ricerca della pace come bene supremo e che insegnano la lealtà verso lo Stato e le sue leggi». In conclusione, Santachiara apprezza «il coraggio con cui Magdi Allam esprime il suo pensiero» ma, scrive, «faccio fatica a condividere l’idea di scontro di civiltà che aleggia nelle sue posizioni, la sua propensione a vedere non vie di coesistenza, ma battaglie contro un nemico senza vederne il futuro». (v.a.)

(02 agosto 2007)

da espresso.repubblica.it
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