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Autore Discussione: L’Italia ha bisogno di Sinistra  (Letto 3174 volte)
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« inserito:: Gennaio 12, 2009, 01:18:44 am »

Crisi, questione morale, vuoto di opposizione.

L’Italia ha bisogno di Sinistra


La crisi finanziaria esplosa in questi mesi nelle borse di tutto il mondo, oggi sparisce dai titoli dei giornali per rivelare la sua reale dimensione di crisi economica e più ancora di crisi sociale. Entra ogni giorno di più nella vita materiale di ogni singola persona, di ogni famiglia, divora il bisogno di speranza e lo stesso senso di futuro di ogni giovane che guarda alla propria formazione come allo strumento primario per costruirsi una vita degna.
Esposto più di tutti è il mondo del lavoro che ha visto perdere via via dentro il ciclo capitalistico di questa lunga fase oggi rivelatosi fallimentare, dignità e diritti, sicurezza e salario e ha visto invece crescere a dismisura precarietà e sfruttamento.
Mentre in America, epicentro della crisi, Barak Obama si appresta a dare inizio alla propria presidenza con un progetto economico e sociale che può segnare, se applicato,  una discontinuità e un’alternativa per la realtà di quel paese, mentre i governi dei più importanti stati  europei tentano di mettere in atto una risposta capace di contrastare la fase recessiva che si è aperta, l’Italia corre il serio rischio di essere l’unico tra i grandi paesi a non avere, dinanzi alla crisi, un piano d’azione che indichi come uscirne. La destra che oggi  governa non dice parole di verità e indulge all’incoraggiamento di un ottimismo consumistico che suona offesa a quei milioni di donne e uomini che ogni giorno vedono eroso il proprio tenore di vita, messo a rischio il proprio lavoro, crescere le difficoltà di trovarlo quando manca. Come cresce di giorno in giorno la lista di fabbriche, aziende, imprese che già attuano o annunciano chiusure, ricorsi a cassa integrazione, ridimensionamenti produttivi e occupazionali che già investono lavoratrici, lavoratori, famiglie, territori colpiti nella loro dimensione economica e  coesione sociale.

Di fronte ad una crisi di tale portata e complessità il dovere istituzionale di qualsiasi governo democratico dovrebbe essere quello di chiamare ogni parte sociale, economica, politica – ciascuna  nel rispetto della propria autonomia di scelta – ad un confronto serio, negli interessi del paese e della sua intera comunità. Sotto attacco è invece quella forza sindacale – la CGIL – che nel corso di questi decenni  e principalmente nei momenti di più acuta crisi economica, sociale, democratica ha rappresentato una delle principali risorse negli interessi generali non solo del mondo del lavoro ma dell’intero paese. Il tentativo di isolare e ridimensionare questo sindacato, messo in atto in primo luogo dal governo, è la principale riprova di come la destra intenda uscire dalla crisi spostandone ancora di più il peso dei costi da pagare sul mondo del lavoro e sui ceti più esposti.
Il partito democratico non mette in campo, né nella sede istituzionale, né nella realtà del paese una capacità di opposizione. Dopo aver voluto “correre da solo” ora misura il peso della propria solitudine e  impotenza politica. Manca, in ogni aspetto della vita del paese – sia essa la questione economica come quella della laicità dello Stato, la questione ambientale come la politica estera – un reale, efficace punto di vista alternativo di questo partito. Si sommano invece posizioni confuse e contrastanti al proprio interno, che non producono scelte, non indicano prospettiva, non mobilitano energie e partecipazione.  Misura invece ogni giorno davanti a sé il grande vuoto da cui è nato. Oggi esso è l’epicentro di una “questione morale” che tocca tante realtà amministrative locali e che segna per questo partito la più acuta questione politica davanti all’Italia. Tutto questo mentre si approssimano elezioni amministrative che dovrebbero costituire – anche di fronte alla crisi economica e sociale – la risposta che il governo locale può e deve dare verso la difesa e il rispetto del territorio, l’espansione dell’welfare locale, lo sviluppo di una politica partecipata che avvicini i cittadini alle loro istituzioni.

La risposta che occorre dare è prima di tutto nei comportamenti reali di chi governa e fa politica, nella convinzione che o essa si fonda su un’etica pubblica condivisa ed estesa, dei singoli come dei partiti, oppure diventa pura conquista, difesa, conservazione  del potere ad ogni costo,  commistione tra politica e affari. Per questo il primo atto che Sinistra Democratica intende compiere di fronte alla prossima scadenza amministrativa, già nei prossimi giorni, preliminare a qualsiasi programma e alleanza locale sarà quello di chiedere nel maggior numero di città, comuni, paesi la convocazione di consigli comunali aperti, con diritto di parola dei cittadini, per discutere e approvare un protocollo di etica pubblica prioritario per l’azione del governo locale.
La crisi economica e sociale, le pesanti ripercussioni che essa avrà nel nostro paese, l’incapacità del partito democratico di assumere ruolo e funzione alternativa reale all’azione del governo, non fa che riproporre nella sua oggettività il bisogno per l’Italia che si lavori e si faccia nascere un nuovo soggetto politico della sinistra nel nostro paese. Questo è lo scopo per il quale siamo nati e ci siamo costituiti in movimento, questo è il percorso che abbiamo tracciato e seguito duranti questi difficili mesi, riflettendo in profondità sulle ragioni della sconfitta politica ed elettorale dell’anno scorso, riprendendo con forza il perseguimento di questo obiettivo dopo la stagione congressuale delle varie forze della sinistra che l’avevano messo da parte. Ora  il percorso è davvero avviato, si estende in tante realtà territoriali, la costruzione di un partito politico della sinistra, praticando il metodo partecipativo più largo ed esteso possibile senza decisionismi verticistici,  è nelle cose.  Per questo noi ci apprestiamo ad affrontare sia la prossima scadenza elettorale amministrativa sia quella europea del 7 giugno prossimo tenendo fermo il rapporto politico di coerenza tra questo processo già in atto e la lista che ci dovrà rappresentare. Ciò vorrà dire liste della sinistra alle elezioni amministrative, nel rispetto delle singole realtà territoriali. E liste della sinistra nella contesa europea, nel contesto  dato dalla legge elettorale con cui si andrà al voto. La lista non è un ancora un partito, né un partito nasce semplicemente da una lista. Ma le liste della sinistra cui lavoreremo daranno coerenza, forza, senso al partito politica della sinistra di cui l’Italia ha bisogno.

da sinistra-democratica.it
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« Risposta #1 inserito:: Gennaio 12, 2009, 09:30:43 am »

11/1/2009 (15:24) - OGGI IL CAMBIO AL TIMONE DEL QUOTIDIANO DI RIFONDAZIONE COMUNISTA

Sansonetti, addio al veleno: cacciato per lesa maestà
 
Piero Sansonetti, 57 anni, direttore di Liberazione dal 2004

Il direttore di Liberazione all'attacco

ROMA


Il direttore di Liberazione Piero Sansonetti saluta i lettori con un numero speciale che ripercorre la storia del quotidiano attraverso copertine storiche e contributi firmati da diversi esponenti di Rifondazione comunista (tra i quali Franco Giordano, Rina Gagliardi, Gennaro Migliore e Vladimir Luxuria).

"Lo abbiamo fatto strano" è il titolo di prima pagina con il quale Sansonetti lascia il giornale: «È la conclusione di un ciclo perchè la maggioranza del Prc - scrive Sansonetti - ha deciso di mettere la parola fine alla storia dell’autonomia e di nominare un commissario politico che garantisca la sottomissione del giornale alla linea del partito e alle sue esigenze. Davvero un peccato. Mi hanno detto i dirigenti di Rifondazione - continua Sansonetti - che devo andarmene perchè non rispetto la linea del partito. Mi sono chiesto: ma qual è la linea del partito?».

«Mi pare di avere capito - afferma ancora il direttore di Liberazione - che mi si imputa di violare la linea perchè varie volte ho sostenuto che la sinistra non dovrebbe restare rinchiusa dentro le gabbie di piccoli partiti, ma dovrebbe allargarsi, aprirsi, unirsi. È questo il reato di lesa maesta».

Ne ho dedotto che la linea consiste non in un progetto di società ma semplicemente nella propria dichiarazione di esistenza. La linea che oggi ha Rifondazione, mi pare, può essere riassunta così: "Rifondazione esiste, punto e basta". È se è così, è vero: Liberazione è stata fuori linea».

da lastampa.it
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