«Delle colpe che ho nessuno mi ha mai chiesto conto»
di Concita De Gregorio e Susanna Turco
Giulio Andreotti rilascia la quattordicesima intervista per i suoi 90 anni seduto in un trono di velluto azzurro coi bordi d’oro.
La sua stanza a palazzo Giustiniani è piena di doni: quasi tutti ritratti di papi, uno di Padre Pio. Non è affatto stanco.
Si alza prende un caffè e con l’Unità sciorina un repertorio ad hoc che va da Togliatti a Fidel Castro passando per Di Vittorio. Un accenno a Berlinguer, «conversatore piacevole». Naturalmente si aspetta domande su mafia, stragi, Moro, segreti di stato. Naturalmente non risponde. Sorride, se così si può dire, e sempre dice: «Non lo so ma se lo sapessi non lo direi».
Come per l’incontro fra Togliatti e Pio XII. Come sempre. Come quello che potrebbe essere il suo epitaffio.
Per dormire bene, si raccomanda congedandosi, occorre mangiare leggero la sera. Per vivere bene affrontare un problema alla volta e non drammatizzare, glielo ha insegnato sua madre. Inoltre bisogna leggere pochi romanzi e andare poco al cinema: Gomorra non l’ha finito, per esempio, e il Divo, non l’ha visto tutto. Solo un po’. «Non sono bello, ma nel film sembro un granchio».
Presidente, Francesco Cossiga dice che lei è l'unico a sapere se avvenne davvero l'incontro tra Palmiro Togliatti e Pio XII. Dica: ci fu?
«Anche se lo sapessi, lo terrei per me. Togliatti e Pio XII non hanno fatto, all’epoca, un comunicato stampa: significa che non volevano farlo sapere, non trova?»
Si è molto parlato in questi giorni dei suoi misteriosi archivi. Pare contengano perfino un pezzo di cioccolata smozzicata. Non è che per caso, fra i fascicoli e le buste, c'è anche il memoriale di Moro?
«No, per carità. Se l'avessi avuto, l'avrei ridato alla famiglia. Comunque nei miei archivi non c'è niente di misterioso. Come nei miei diari. Mi suggerì Longanesi di tenerli. Sono utili, ma riguardano solo me».
La sua carriera politica è sterminata. Manca solo la carica di presidente della Repubblica. Le dispiace?
«No. È un mestiere che richiede sacrificio. Dover girare sempre con la scorta, per esempio: preferisco le mie passeggiate solitarie all'alba a Villa Borghese».
Ha un rimpianto?
«Ho fatto meno di quanto avrei potuto. Per molte persone. Da ragazzo andavo a Pietralata con la Conferenza di San Vincenzo, a distribuire pane e latte. È questo che intendo».
E di rammarico? Ne ha per la sentenza di Palermo, dove l'accusa di mafia è caduta per prescrizione sui reati precedenti al 1980?
«Mi dispiace per la prescrizione. Molte volte ho dato elementi per dimostrare che l'accusa non era vera. Ma davo fastidio a molta gente, che ha avuto meno fortuna di me. Invidie».
Tutto qui?
«Ci sono tante cose che non rifarei. Ma le uniche colpe che ho non mi sono mai contestate».
E quali, presidente?
«Ma lasci perdere. (sorriso). Faccende private».
Essere dipinto come Belzebù la lusinga?
«Non mi piace. Però sopravvivo».
Si sente mai diabolico?
«Sono un uomo normale, all'ottanta per cento. Ho pregi e difetti come gli altri. Non pretendo che mi facciano un processo di beatificazione».
Quanti sono ancora vivi dei suoi amici?
«Dei compagni di classe con cui ero in contatto, nessuno».
Tra i politici?
«Chi c'è più? Emilio Colombo».
C'è Fidel Castro.
«Persona notevole, gli feci visita».
E Bush padre.
«È venuto a trovarmi quando è stato a Roma, l'ho visto con piacere».
Il politico che ha stimato di più?
«De Gasperi, senza dubbio. Somigliava ad Adenauer. La stessa tempra, la stessa serietà».
E Berlinguer?
«Un piacevole conversatore. Ho conosciuto anche suo padre, Mario. Era parlamentare anche lui».
Nessuno dei suoi figli, invece, ha fatto politica.
«Naturalmente non li ho dissuasi né incoraggiati. Ma mi ha fatto piacere che andasse così».
Il suo erede politico, invece, chi è?
«Non ce l'ho. Né lo pretendo».
E l’erede di De Gasperi? Berlusconi si paragonato più volte a lui.
«De Gasperi è stato un politico. Berlusconi fa parecchie altre cose. Non vedo l'affinità».
Un consiglio che darebbe al Pd?
« Abbandonare la politica del rione. Occuparsi dei grandi problemi, economici e internazionali.C'è da educare le nuove leve.
Ricostruire un concetto di sindacato».
Lo trova appannato?
«È meno vivace. Ai tempi di Di Vittorio era un'altra cosa. Organizzava scioperi che non ci facevano respirare, bloccava perfino il rifornimento dell'acqua per gli animali».
Lei, che è sempre stato un fautore del dialogo con i paesi arabi, parlerebbe oggi con Hamas?
«Con Hamas si deve trattare. Ma quel che si è riacceso in questi giorni è storia antica. Quando si è creato lo stato arabo non si è detto con precisione cosa fosse. La Bibbia dà una spiegazione, c'è una maledizione che rimane».
Lei sogna?
«Non molto».
Incubi che ritornano?
«Non molti. Accadeva più spesso da giovane. Cerco di dimenticare subito. Il segreto è mangiare leggero la sera».
Va sempre a messa ogni mattina?
«Non che sia un sonnifero».
Può giovare alla coscienza.
«Aiuta».
Il potere logora chi non ce l'ha. Esiste una vulgata che attribuisce la massima a Talleyrand, lo sa?
«No. Ma è mia. La dissi quasi per caso. Fece impressione. Mi è capitato di trovarla scritta anche sulle copertine dei quaderni».
La descrivono come una maschera del potere per il potere.
«Importante è valere, ma anche dare l'impressione di valere. Comunicarlo. Nessuno vive su un'isola».
Qual è la riforma, o la legge che porta il suo nome, di cui va più orgoglioso?
«Non ho fatto grandissime leggi. È meglio è applicare bene quelle che esistono. Ce ne sono anche troppe, è un modo per rispettarne meno».
L'andreottismo rischia di essere eterno?
«Non è un metodo, è l'attitudine a non drammatizzare. Le cose vanno affrontate e risolte una alla volta. L'ho imparato da mia madre».
Ha visto il Divo?
«Non tutto».
E Gomorra, l'ha letto?
«Non tutto».
Mafia e camorra governano il Paese?
«Non credo. Non siamo nemmeno in mano al terzo ordine francescano, ma non vedo motivo di esagerare».
cdegregorio@unita.itsturco@unita.it14 gennaio 2009
da unita.it