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Autore Discussione: Urbinati: «Partiti-azienda lontani dall'interesse pubblico»  (Letto 2079 volte)
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« inserito:: Gennaio 07, 2009, 04:48:05 pm »

Urbinati: «Partiti-azienda lontani dall'interesse pubblico»

di Claudia Fusani


Politici "imprenditori" che si occupano di costi e benefici invece che dell'interesse pubblico. Crisi dei partiti e della democrazia "rappresentativa". In questo scenario cresce un nuovo modello di corruzione chi si alimenta di "favori" e di cui i cittadini sono "spettatori mansueti".
Ecco perché, secondo Nadia Urbinati, docente di Scienze Politiche alla Columbia University e autrice di vari saggi pubblicati con Laterza, Donzelli e negli Stati Uniti con Chicago Press, oggi in Italia è più corretto denunciare una "questione politica" anziché morale.
Leggendo le intercettazioni relative alle ultime inchieste, Napoli, Firenze ma anche Pescara e Potenza , che idea s'è fatta di questa nuova corruzione?
«Ai tempi di Mani Pulite c'era il senso di una grande sistema oliato che coinvolgeva partiti e istituzioni. Adesso i partiti non sono più i ricettori. Siamo invece in presenza di rapporti personali, clan e camarille locali legate da rapporti d'affari, d'amicizia e di piccolo ceto. I partiti non ci sono\, ci sono però oligarchie affaristiche che gestiscono il potere pubblico. E' una corruzione non meno grave anche se diversa nelle forme e nello spirito».

Le procure avranno difficoltà a portare questa corruzione sul banco degli imputati. Resta la gravità di un sistema che dribbla l'interesse pubblico. Quale giudizio su questa classe politica?
«È autoreferenziale. Il punto è che la nostra è ormai una democrazia elettoralistica più che rappresentativa, dove le elezioni sono l'unico momento di partecipazione. Tra il cittadino-elettore e il politico non c'è più un rapporto di rappresentanza, ma invece di delega».
Analisi impietosa. C'è un punto di inizio?
«La fine dei partiti nazionali. Dai primi anni novanta non ci sono più le grandi strutture partito in grado di allevare e istruire una classe dirigente di politici e di amministratori. Quando si chiudono le sezioni dei partiti e non ci sono più luoghi dove far incontrare istituzioni e cittadinanza, non ci sono più i punti di riferimento né per chi è stato eletto né per gli elettori. La politica diventa così una professione in cui fare carriera, come l'imprenditore o il commerciante, la cui etica è affaristica. Si ragiona in termini di costi e benefici e non di interesse pubblico».

Uno studio dell'economista politico Tito Boeri rileva che il 25 per cento dei deputati della XVI legislatura viene da aziende e ditte private. Il record del dopoguerra.
«Difatti la nostra classe politica si forma nelle aziende private o nei grandi enti pubblici. Le intercettazioni raccontano di un corpo aziendale trasportato in consiglio comunale per cui la politica è roba loro. Ecco perché i sindaci e gli assessori indagati restano sorpresi, non capiscono di aver fatto qualcosa di eticamente inopportuno anche se forse non propriamente illegale».
È più giusto parlare di questione morale o di questione politica?
«Parlare di questione morale è riduttivo e fuorviante visto che siamo di fronte ad un vero e proprio mutamento del senso dell'agire politico. Il problema è etico, appunto, perché rileva un mutamento nel modo di intendere la pratica politica che è una pratica etica\, rileva lo smarrimento del senso della politica la quale è un agire che presume decisioni collettive prese a maggioranza. Le intercettazioni registrano anche la nascita di una mentalità naturalistica, la ricerca cioè di procedure e decisioni imparziali perché ritmate da una logica di naturalità. Oggi prevale il mito dell'impolitica, del riuscire a decidere senza che ci sia l'intervento della volontà, eliminando le scelte che in politica non sono mai fatte dal tiranno ma dalla maggioranza. La specchio di quello che dico è il nostro parlamento esautorato, che non discute, ma controfirma decreti governativi».

I cittadini-elettori però hanno scelto questo. E' quanto vogliono?
«Non è un problema solo italiano. Nelle grandi democrazie occidentali assistiamo al passaggio dalla democrazia fondata sui partiti di massa di tipo ideologico a quella fondata sui partiti-azienda. Il sindaco è quasi un amministratore delegato e il consiglio comunale diventa un peso, una zavorra».
In alcuni suoi scritti e saggi lei parla di "società docile che è l'opposto di una società libera". C'è un legame con questo nuovo tipo di corruzione?
«Quella italiana è una società docile, mansueta, con poco e scarso dissenso, in quanto spettatrice di una politica che non è più agire. Fenomeni che un tempo avrebbero riempito le piazze oggi sono tollerati. Serve una visione di prospettiva aperta al futuro e a partire da questo presente».

Fin qui analisi e diagnosi. Una cura possibile?
«Rifondare i partiti sul territorio».
Ripartire dalle primarie, come si ostina a volere il Pd?
«No, le primarie sono un grande strumento ma viene dopo la rifondazione nel territorio. Se arrivano prima, come è successo ora, diventano guerre civili, competizioni tra nemici, un sistema per consentire a qualcuno, non sempre il migliore, di fare carriera».


06 gennaio 2009
da unita.it
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