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« inserito:: Dicembre 31, 2008, 12:19:00 pm » |
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22/12/2008 (7:24) - IL PERSONAGGIO
La signora delle fotografie Grazia Neri lascia l'agenzia fondata 42 anni fa "Tocca a mio figlio, ora tutto dipende dal web"
MARIA GIULIA MINETTI MILANO
Il congedo è regale come il personaggio (non come la persona, invece, che è rimasta sottile, monellesca, arruffata). A 73 anni, quarantadue passati a dirigere l’impresa che ha fondato e portato al massimo livello in Italia e alla massima considerazione all’estero, la signora della fotografia lascia il ponte di comando. «A partire dall’inizio del nuovo anno Grazia Neri si allontanerà dalla presenza quotidiana in Agenzia, restando il più formidabile dei collaboratori in occasione di eventi e progetti fotografici speciali…», scrive in terza persona in un documento indirizzato agli amici, ai fotografi, ai sodali. «Con l’inizio del 2009 la direzione passerà interamente nelle mani di Michele Neri. La decisione è stata presa per permettere a Grazia Neri di occuparsi, dopo tantissimi anni di lavoro instancabile, della propria salute e della famiglia, dello studio della fotografia e dei progetti personali . La scelta di nominare Michele Neri amministratore unico della Società è un fatto naturale».
Certo, la «naturalità» del fatto dipende, come spiega il comunicato, dall’ormai decennale affiancamento del figlio alla madre nella gestione quotidiana, ma il gesto dinastico rimane, e Michele Neri, più fortunato del principe Carlo, lo scettro lo riceve da una genitrice contenta di darglielo. «Fortunato?! Ma io lascio a mio figlio una patata bollente, gli consegno l’agenzia in un momento cruciale per il nostro mondo, un momento su cui incombe una svolta tanto grande quanto difficile da capire, prevedere, anticipare», ribatte lei con il consueto, appassionato fervore. Poi, come sempre accade con questa donna, che potrebbe essere sintetizzata col nome di un celebre rossetto della Revlon, Fire and Ice, Fuoco e ghiaccio, subentra la lucidità imprenditoriale: «Lui comunque - medita - ha l’occhio più avanti del mio, su internet…». Internet!
È lì, nello spazio virtuale, che si gioca il futuro dell’informazione, e dunque anche della foto-informazione, del reportage, la linfa e la materia stessa di un’agenzia fotografica come quella che Grazia Neri fondò a Milano nel 1966 e consolidò due anni dopo a Parigi, alleandosi a Hubert Henrotte, il creatore di Sygma, un’altra agenzia che avrebbe fatto storia. In quell’epoca, raccontò qualche anno fa, «il mondo cambiava, la richiesta di informazione fotografica cresceva a dismisura, gli editori non potevano avere fotografi dappertutto». Toccò alle agenzie incaricarsi del problema, «costruire» fotografi e reportage a getto continuo, e venderli ovunque. «Con Henrotte avevamo preso l’abitudine di chiamarci la domenica mattina: “Da che parte li mandiamo? Tra le proposte che ci fanno, quali ti sembrano buone?”».
Ce lo siamo dimenticati perfino noi del mestiere, quanto tempo ci mettevano, quelle foto, ad arrivare sui giornali. «Mi ricordo nel ‘67, avevo Gilles Caron sulla Guerra dei Sei Giorni, ma per vedere le prime immagini ce ne sono voluti quattro o cinque. Allora uno faceva le foto, spediva i rulli con l’aereo, bisognava mandarli al laboratorio per lo sviluppo, poi dovevi fare arrivare le diapositive nelle redazioni… Sì, c’erano già le telefoto, ma il grosso del lavoro si faceva così». E andò avanti così fino agli Anni Novanta, pare incredibile. Finché arrivò il digitale, e nulla fu più come era stato fino a quel momento. «Prima i fotografi spedivano i rulli e alla sera se ne andavano al bar. Adesso alla sera si mettono al computer e lavorano fino a tardi per spedire le foto», sintetizza Grazia Neri. Tutto più semplice, più immediato, più abbondante. Non è detto, però, che l’informazione ci guadagni. «La foto è fragile - avverte lei -. Si offre, se hai voglia la guardi bene, se non hai voglia la guardi appena; senza una didascalia corretta che la spieghi, rischia di essere fraintesa. Attraverso il web la foto viaggia in fretta, il rischio aumenta». Ma il web fa di peggio: alleato con la tv - e micro-tv lui stesso - fagocita i tempi dell’informazione, accelerandoli al massimo. I grandi reportage hanno bisogno di tempi lunghi, invece, di riflessione. Non solo di chi scatta, ma anche di chi guarda.
Nel futuro che è già incominciato, che fine farà il fotogiornalismo, signora Neri? «Nei settimanali ha già perso spazio. Ma - giusto quello che lei dice sulla necessità di riflessione, di approfondimento - ne ha guadagnato nelle mostre, nei documentari, nei libri, nelle conferenze, nei convegni, nei festival… Spuntano committenti nuovi anche se tutt’altro che imprevedibili. Le Organizzazioni non governative, per esempio, sono interessate a commissionare reportage che mostrino le situazioni dove intervengono, piaghe e miserie, ma anche risultati, prospettive. Anche i costruttori di macchine fotografiche promuovono i giovani reporter e mostrano i loro lavori. Il perché non c’è bisogno di spiegarlo».
Articolatissima è l’attività di un’agenzia fotografica come quella che Grazia Neri consegna oggi nelle mani del figlio Michele. Ci vogliono quaranta dipendenti per tenere dietro a tutti gli aspetti del lavoro, e il reportage d’attualità è solo uno dei molti, ma per chi, come la fondatrice, vi ha imperniato l’orgoglio del suo mestiere, resta un emblema araldico, lo stemma dov’è iscritto il motto dell’impresa (di «moralità della fotografia» si parla nella lettera di congedo, e per certo non significa adesione a una campagna contro gli scatti erotici). E dunque non le può bastare il lungo elenco di possibilità alternative al giornalismo «cartaceo» che il fotoreporter degli anni Duemila ha davanti. «Tutto - sostiene - dipenderà dalle edizioni in rete. Se gli approfondimenti verranno o no offerti in abbonamento. Se accadrà, e credo che accadrà, il fotogiornalismo continuerà a esistere anche nella sua sede naturale: i giornali».
da lastampa.it
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