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Autore Discussione: VENDOLA  (Letto 10216 volte)
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« inserito:: Luglio 26, 2007, 10:50:04 pm »

Vendola: leggi contro i criminali dell´ambiente

Gargano, il disastro in cifre


Un attacco senza se e senza ma, alla «tenaglia criminale» che aveva deciso di soffocare la Puglia; l´ostinazione nel volere resuscitare la stagione turistica lassù sulla "montagna del sole" devastata dalle fiamme; la commozione per la telefonata ricevuta dal capo dello Stato perché «in certi momenti le parole di incoraggiamento sono molto più utili delle polemiche sterili». Il governatore racconta la strage delle vacanze in consiglio regionale, che nella tarda serata dà il via libera ad un contributo straordinario di 1 milione di euro per Peschici, la città più colpita.

Ma la «giornata del fuoco», come la definisce Nichi Vendola, non può fare dimenticare che c´è la necessità di strillare all´orecchio del governo: i reati ambientali sono depenalizzati, invece si tratta di «delitti insultanti» ed è la ragione per cui «dobbiamo chiedere al legislatore di difenderci» attraverso la repressione dei piromani e la somministrazione di pene severe.

Una piromania, spiega Vendola, che non è il frutto della sciatteria di chi lancia inavvertitamente nei boschi il mozzicone di sigaretta. Piuttosto siamo davanti a gentaglia che materializza «disegni speculativi sul territorio». Ad indagare è la procura di Lucera. Le ipotesi di reato sono tre: incendio doloso, duplice omicidio, presunti ritardi nei soccorsi. Il governatore cita come prova la versione dei fatti fornita dagli elicotteristi impegnati a domare l´incendio: i soliti ignoti avevano messo in pratica un accerchiamento «geometrico» dell´area finita nel mirino fino a disegnare un quadrato, quello tra Peschici, Vieste, Lesina e Mattinata. «E´ una ricostruzione impressionante. E disperata, di chi nel momento in cui era concentrato a spegnere un fuoco veniva avvisato che se ne stava sviluppando un altro. Una situazione davvero drammatica che è andata avanti per tutta la notte».

Vendola elenca puntigliosamente le cifre dell´inferno sul Gargano: due morti, tre feriti di cui uno grave, 3 mila 500 turisti sfollati, sette velivoli usati per tenere a bada le fiamme con lanci di precisione dove al posto della polvere da sparo ogni "proiettile" era caricato con 9 mila litri d´acqua, settecento uomini chiamati alle armi fra volontari, carabinieri, pompieri, militari dell´esercito, polizia stradale, Anas, capitaneria di porto, guardie forestali, finanzieri, e poi quattordici ambulanze, venticinque barche, centonove mezzi meccanici, diciotto antincendio scesi in campo con l´obiettivo di salvare e assistere abitanti della zona nonché vacanzieri. «Operazioni di soccorso particolarmente difficili» ammette il governatore. Come non è facile organizzare il rientro a casa dei villeggianti: la Protezione civile ha allestito treni speciali, l´amministrazione regionale vuole mettere su un ponte aereo. Guido Bertolaso fa sapere che dei 1.400 sfollati da Peschici, 400 sono ripartiti, ma 1.000 rientreranno negli alberghi, di cui tre sono stati distrutti.

Vendola fa riferimento, sempre per quanto riguarda Peschici, ad un rapporto dei vigili del fuoco e precisa che risultano «inagibili» solo sei dei ventisette fra campeggi, hotel, residence. Il governatore non ha dubbi: «Il Gargano è una perla sfregiata, ma resta una perla». Sì, insomma, la stagione turistica «non è finita» sotto le ceneri: «Rimetteremo in piedi sia Peschici, sia Vieste». Agosto è alle porte e le immagini terribili che hanno fatto il giro del mondo l´assessore al Turismo Massimo Ostillio vuole esorcizzarle prima di subito «con una massiccia campagna di comunicazione» perché anche le prenotazioni dei nuovi villeggianti non vadano in fumo. «Il danno vero è la natura violentata» avverte un altro assessore, quello all´Ambiente: Michele Losappio. Vendola appare fiducioso: «Il presidente Napolitano mi ha manifestato la sua disponibilità a dare concretamente un aiuto». Intanto propone una seduta monotematica giacché «abbiamo bisogno di poter ragionare del corpo della Puglia, di come curarlo, proteggerlo, valorizzarlo».

Da Roma il deputato dell´Ulivo Michele Bordo chiama in causa il ministero Prodi: «Ha il dovere di programmare azioni destinate a favorire la ripresa delle attività economiche. A partire da misure che alleggeriscano il peso del prelievo fiscale». Stasera a San Giovanni Rotondo l´assessore alla Trasparenza Guglielmo Minervini incontrerà una delegazione del Sib, il sindacato italiano balneatori: si va verso la sospensione per i prossimi due anni della tassa di concessione a carico degli stabilimenti balneari. Piero Pepe, presidente dell´assemblea regionale, assicura: «La Puglia non abbandonerà il Gargano».

(26 luglio 2007)

da espresso.repubblica.it
« Ultima modifica: Luglio 09, 2010, 04:45:37 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Agosto 26, 2008, 06:50:02 pm »

Vendola: «Sì, il Sud rischia. Ma basta con i complessi e le paure»

Simone Collini


«Il Sud rischia molto, ma se fugge di fronte alla sfida rischia di più». Nichi Vendola definisce la bozza Calderoli sul federalismo una «premessa accettabile». Premessa, perché «rappresenta un terreno di discussione, non una minestra scodellata per una cena obbligatoria». E accettabile, perché «si è tenuto conto di alcune obiezioni sollevate nei confronti della bozza precedente, quella del governo Prodi». Al presidente della Regione Puglia non sfuggono i rischi che corre il Mezzogiorno di fronte a un federalismo fiscale come quello prospettato nel progetto del ministro per la Semplificazione. Ma dice: «Il Sud deve evitare la politica della riduzione del danno. Deve accettare la sfida e andare a vedere le carte, rilanciare. Deve essere parte dirigente di un processo di rinnovamento. E vivere l´appuntamento con il federalismo per ritematizzare la questione meridionale».

Perché evoca la questione meridionale?
«Perché i temi sollevati riguardano la fondazione di uno Stato, a cominciare dal rapporto tra tributi versati e servizi ricevuti, e toccano la storia della cattiva unificazione del Paese. La questione settentrionale è un´ideologia che contempla la fuga dall´unità nazionale, il contrario della questione meridionale, che è sempre stato il tema dell´unità del Paese. Da questo punto di vista si è agitato prima lo spettro della secessione e poi il tema federalista. Il Mezzogiorno non deve arrivare a questo appuntamento sul federalismo, che vorrei ricordare è di rango costituzionale, obtorto collo, o con una discussione di bassa cucina. Non possiamo essere stretti tra la paura che prenda una brutta piega e i conti della massaia».

Una brutta piega sarebbe la rottura dell´unità nazionale, i conti sono stati fatti e dicono che col federalismo fiscale molti comuni del Sud rischiano il collasso: sostiene che non si deve tener conto di questo?
«No, dico che il rischio della rottura dell´unità nazionale non può diventare un alibi per giocare al rinvio permanente o per sabotare il processo di realizzazione di un impegno costituzionale. Il Sud deve alzare lo sguardo, essere orgoglioso, lanciare un´offensiva politico-culturale. Questo, ovviamente, tenendo fermi dei punti che per quanto mi riguarda rappresentano dei tabù: l´unitarietà del sistema formativo, del sistema dei diritti sociali e di cittadinanza, del diritto alla mobilità con le politiche sul trasporto pubblico locale. Ci sono questioni che non solo non sono oggetto di discussione, nel senso che non se ne può prefigurare una frammentazione in modelli regionali perché significherebbe che non c´è più l´Italia, ma che viceversa meritano una discussione per poter essere ottimizzati».

Restano i "conti della massaia": la Cgia di Mestre ha evidenziato che il federalismo fiscale prospettato da Calderoli avrebbe un impatto devastante sulle casse dei comuni del Sud.
«È bene che questi rischi vengano evocati ed è bene che nessuno pensi di poter imbrogliare sulle cifre o di portare a una strozzatura dei tempi. Detto questo, il fisco è ingrediente cruciale, ma nel bilancio complessivo bisogna tener conto di molte altre voci».

Che cosa vuole dire?
«Per esempio, andrò all´appuntamento con il federalismo ricordando che la Regione Puglia ha la più bassa spesa pro capite per la sanità, perché c´è un riparto del fondo sanitario nazionale che penalizza le regioni del Sud in quanto non incorpora come parametro gli indici di povertà. Oppure ricordando che l´82 per cento dell´energia prodotta in Puglia la diamo al sistema-paese. E che non solo non siamo remunerati per questo, ma siamo anche penalizzati perché una parte di questa energia deriva da procedimenti industriali ad altissimo impatto ambientale. E quindi con gravi conseguenze sanitarie, penso al mostro della centrale a carbone di Cerano, per la popolazione locale. È chiaro che ci dovranno essere forme di compensazione. Il Sud deve andare a vedere le carte, non deve nascondersi, non deve avere complessi o paura».

Il Sud, dice. Il governo può andare avanti cercando l´accordo soltanto col governatore della Sicilia Lombardo, non crede?
«Nessuno può pensare che il tema Nord e Sud si chiuda dentro i pranzi e le cene di Calderoli con Lombardo. E il Sud non può appaltare a nessun notabile la rappresentanza dei propri interessi. Né a Lombardo né a Fitto. Gli interessi del Sud devono emergere dentro questo processo, attraverso la discussione pubblica, la presa di parola degli enti locali, delle Regioni, dell´intellettualità meridionale».

Pubblicato il: 26.08.08
Modificato il: 26.08.08 alle ore 17.55   
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« Risposta #2 inserito:: Maggio 23, 2009, 04:03:15 pm »

22 maggio 2009, 21:49

Uniti, per la democrazia

Politica


La lettera di Nichi Vendola a tutte le forze di opposizione (parlamentari e non) su emergenza democratica


da Nichi Vendola SINISTRA E LIBERTA' a:

- Pierferdinando Casini - Leader nazionale UDC
- Lorenzo Cesa - Segretario nazionale UDC
- Antonio Di Pietro - Presidente Italia dei Valori
- Dario Franceschini - Segretario nazionale PD
- Flavia D'Angeli - Portavoce nazionale Sinistra Critica
- Oliviero Diliberto - Segretario nazionale PdCI
- Marco Ferrando - Portavoce nazionale PCdL
- Paolo Ferrero - Segretario nazionale PRC
- Marco Pannella - Leader nazionale Radicali Italiani
- Luciana Sbarbati - Segretaria naz. Mov. Repubblicani Europei


Carissima, Carissimo

vi sono molti, troppi, inquietanti segnali che indicano che il nostro paese sta attraversando una fase particolare, e per molti versi originale, nella quale il sistema democratico che tutti noi abbiamo conosciuto e nel quale abbiamo vissuto e operato è messo a serio rischio.
Sta crescendo nel nostro paese una vera e propria emergenza democratica rispetto alla quale tutti noi abbiamo il dovere e la necessità di reagire in modo adeguato e tempestivo.
Per questa ragione mi assumo la responsabilità di scrivere a te a ai segretari di tutte le forze dell'opposizione e di proporvi un incontro a brevissimo termine per assumere assieme le iniziative adeguate, come compete ad un'opposizione parlamentare ed extraparlamentare, come è la forza politica cui appartengo, non certo per sua scelta.

Conviene evitare paragoni con il passato, sempre difficilmente proponibili, ma certamente abbiamo avuto modo, e con noi le italiane e gli italiani, di cogliere nei recenti comportamenti della maggioranza, del governo e segnatamente del Presidente del Consiglio, atteggiamenti, comportamenti, dichiarazioni e atti che entrano in collisione con le regole più elementari di una repubblica democratica e parlamentare.
Non credo sia sfuggito a nessuno il carattere ricattatorio del discorso pronunciato da Silvio Berlusconi di fronte all'assemblea di Confindustria. Un Presidente del Consiglio che controlla direttamente o indirettamente quasi l'intero sistema mediatico minaccia di rivolgersi direttamente al popolo per sovvertire gli assetti costituzionali aggirando o, peggio, ignorando con esplicito disprezzo il Parlamento.
Questo atteggiamento arrogante e, temo, non privo di venature eversive era già evidente nella vicenda apertasi con la sentenza sul caso Mills. Siamo di fronte ad un assurdo: chi è stato destinatario di un atto di corruzione viene condannato dalla Magistratura, mentre il suo eventuale corruttore è protetto da una legge vigente, contro la quale l'opposizione si è fortemente battuta, che lo sottrae a qualunque tipo di giudizio. Non compete a noi entrare nel merito della vicenda giudiziaria. Così come il Presidente del Consiglio non dovrebbe abbandonarsi ad una pubblica sequela di insulti rivolti alla Magistratura giudicante in ragione di una sua presunta intenzione persecutoria motivata addirittura da una altrettanto presunta collocazione politica dei singoli magistrati.
Ma noi non possiamo assistere impassibili ad una nuova recrudescenza di dichiarazioni e atti che mirano a sottoporre la Magistratura sotto il controllo politico dell'Esecutivo, stravolgendo l'equilibrio dei poteri di uno stato democratico e la sua Costituzione.
E' da notare come tali comportamenti costituiscano di per sé un motivo di uno scontro ora strisciante, ora esplosivo con le più alte cariche dello stato, a cominciare dal Presidente della Repubblica, i cui ripetuti, ponderati e preziosi interventi a tutela degli equilibri istituzionali e della nostra Costituzione sono stati disattesi e persino svillaneggiati dal Presidente del Consiglio.
La stessa vicenda della oscura relazione tra il presidente del consiglio e la famiglia Letizia non può essere confinata nella sfera del privato, il confine tra pubblico e privato essendo, come segnalano tutti i migliori studiosi delle moderne democrazie, diverso per chi ricopre cariche istituzionali e per il comune cittadino. E di fronte a denunce che partono dagli stessi famigliari del Presidente del Consiglio, non credo si possa tacciare di indebita invasione nel privato la richiesta formale di pubblici chiarimenti da parte di chi un ruolo pubblico riveste.
La mia elencazione potrebbe continuare ma sarebbe superflua poiché già così la misura appare colma. Ad un'emergenza democratica si deve rispondere con un'eccezionale sussulto democratico nel paese e nelle istituzioni. Non credo che il Parlamento possa limitarsi ad attendere che il Presidente del Consiglio decida, a seconda dei suoi desideri e delle sue convenienze, se presentarsi di fronte ad esso o meno. L'opposizione parlamentare è in possesso di precisi strumenti regolamentari per giungere, nel modo e nelle forme opportune, a un dibattito parlamentare la cui urgenza mi sembra ormai massima.

Per questo mi rivolgo a Voi, pur in un momento come l'attuale che ci vede in competizione nella campagna elettorale per le elezioni dei Parlamento Europeo e di molti Consigli provinciali e comunali. L'imminente confronto elettorale non può fare venire meno, neppure per un attimo, il nostro senso di responsabilità verso la Costituzione italiana e l'ordinamento democratico del nostro paese.
Mi auguro quindi che vogliate concordare con la necessità di un'immediata riunione di tutte le forze dell'opposizione, presenti o no nell'attuale Parlamento, per concordare e assumere tutte le iniziative unitarie, nel Parlamento italiano e in quello europeo, nelle Istituzioni locali, nella società civile per fare uscire il nostro Paese indenne dall'attuale emergenza democratica che lo investe.
In attesa di un Vostro tempestivo cenno di riscontro, Vi saluto augurando a tutti noi un presente e un futuro di democrazia e libertà.

Nichi Vendola
Sinistra e Libertà

Roma, 22 maggio 2009
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« Risposta #3 inserito:: Maggio 23, 2009, 04:25:10 pm »

Istituzioni umiliate

di NADIA URBINATI


Cento deputati piacciono più di seicento al nostro presidente del Consiglio. Non c'è da stupirsi, perché corromperli o assoldarli o semplicemente metterli d'accordo con i suoi propri interessi sarebbe certamente meno costoso e più semplice. La relazione tra assemblee numerose e sicurezza della libertà l'avevano ben capita gli ateniesi di 2.500 anni fa, i quali proprio per evitare le scorciatoie nel nome della celerità di decisione istituirono giurie popolari numerosissime. Il loro intento principale era quello di impedire che nessun cittadino potente potesse condizionare le decisioni a suo piacimento.

pensavano che nessuno disponesse di tanti soldi quanti ne sarebbero stati necessari per corrompere seicento giudici (tanti erano i giudici che siedevano nelle loro giurie). E qui siamo di nuovo: il capo dell'esecutivo, abituato a comandare sottoposti e stipendiati, non ama né tollera assemblee larghe di rappresentanti che sono chiamati a rendere conto a nessun individuo o gruppo di individui ma solo alla nazione, la quale non è un padrone ma la fonte della loro autorità.

Ma per il capo dell'esecutivo le assemblee larghe sono pletoriche e poi dannose agli interessi di chi decide - ovvero del suo esecutivo.

La logica del capo della maggioranza non è democratica ma è esattamente opposta a quella dei saggi democratici. Le assemblee deliberative devono essere non troppo piccole né troppo grandi, pensavano i Padri fondatori della democrazia americana. Se troppo piccole non possono più svolgere la loro funzione rappresentativa degli interessi più numerosi e diversi e inoltre possono facilmente dar luogo a unanimismi pericolosi o a "cabale" di fazioni. Se troppo grandi non possono svolgere efficacemente la funzione deliberativa, allungando i tempi di decisione e impedendo maggioranze stabili.

Ma in nessun caso una manciata di rappresentanti è una cosa buona per la democrazia. La politica non va per nulla d'accordo con la semplificazione, una qualità degli apparati burocratici e di chi è chiamato a eseguire ordini e applicare pedissequamente regole che non fa; non è una qualità dei rappresentanti e dei cittadini che contribuiscono a determinare le scelte politiche con la loro diversa e complessa partecipazione. Semplificazione è una qualità per la "governance" ma non per il "government" - la prima è organizzazione di funzioni che mirano a risolvere problemi specifici; ma il secondo è azione politica che solleva problemi, crea agende di discussione e di proposte, mobilita idee e interessi, e infine decide facendo leggi che tutti, non solo chi siede in Parlamento e non solo chi è parte della maggioranza, deve ubbidire.

L'Italia si trova vicinissima a una svolta anti-democratica. L'attacco al Parlamento è un attacco alla divisione dei poteri e per affermare la centralità, anzi, il dominio di un potere sopra tutti: quello dell'esecutivo, che non ama eseguire o dover rendere conto e vuole fare quel che vuol fare senza impedimenti; che vuole fare tutto, legiferare e eseguire e, magari, anche determinare la giustizia. Semplificazione è l'equivalente di potere incontrastato.
Nel 1924, Gaetano Mosca, un conservatore di tutto rispetto, tenne un discorso memorabile nel Parlamento del Regno. Lui, che aveva sviluppato la teoria forse più corrosiva della democrazia sostenendo, con il soccorso della storia, che quale che sia la forma di governo, tutti i governi hanno come scopo evidente quello di formare e selezionare la classe politica. Che siano le guerre o le elezioni dipende dal tipo di organizzazione sociale, dalle forme di espansione e arricchimento, forme che possono essere violente e dirette oppure pacifiche e per vie di commercio.

Nella moderna società di mercato, sosteneva Mosca, l'elezione e l'opinione sono forme più funzionali alla selezione della classe dirigente. Ebbene, questo critico dell'ideologia democratica e parlamentaristica, alla vigilia della fine delle libertà politiche e del parlamentarismo liberale, si schierò in Parlamento in difesa di quella istituzione, di quella forma democratica di selezione della classe politica e di governo. Non luogo in cui si perdeva tempo a chiacchierare o un "bivacco" come Benito Mussolini lo chiamava, ma istituzione di controllo e di monitoraggio senza la quale nessun cittadino poteva più sentirsi sicuro. Tra i conservatori di oggi, tra i moderati (se ancora ce ne sono) chi avrà la stessa saggezza o lo stesso coraggio del conservatore liberale Mosca? La difesa del sistema parlamentare non è una questione che interessa o deve interessare solo l'opposizione. Tutti, tutti indistintamente dovrebbero comprendere il rischio che una società corre quando chi è stato eletto per governare con il sostegno del Parlamento cerca di governare con la connivenza di una assemblea amica.


(23 maggio 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #4 inserito:: Maggio 25, 2010, 11:35:41 pm »

Vendola attacca la manovra "Grande opera di macelleria sociale"

Il governatore pugliese e leader di Sinistra e libertà risponde alle domande dei navigatori.

"Con il taglio agli Enti locali tolgono ai cittadini senza prendersi responsabilità".

Polemico con Bersani: "Non si risolvono problemi con le parolacce"

di ANNALISA CUZZOCREA
 
ROMA - Una manovra economica che fa macelleria sociale, e contro cui bisogna organizzare una grande rivolta popolare. Un centrosinistra che non sa più parlare al Paese, che cerca la modernità nelle parolacce, e che nonostante questo continua ad apparire antico. Un'alternativa alle destre da costruire facendo una rivoluzione culturale, abbandonando l'ottica spartitoria del potere, riconnettendosi con l'Italia vera e smarrita. Nel videoforum di Repubblica Tv 1  -  380 messaggi in tempo reale  -  il leader di Sinistra ecologia e libertà e governatore della Puglia Nichi Vendola non fa sconti a nessuno: né al governo, né ai suoi alleati. Non perdona a Bersani la parolaccia contro il ministro dell'Istruzione Gelmini. Non perdona a Tremonti una manovra che colpisce sempre gli stessi, i deboli, i non colpevoli.

Cosa pensa di questa manovra?

"Giungono rumori di guerra da Palazzo Chigi. Hanno giocato a nascondino per due anni, hanno avuto paura di confrontarsi con quello che accadeva nel resto del mondo: l'esplosione di una bolla speculativa che riassumeva la follia di un ventennio di ubriacatura liberista. Hanno giocato a nascondere la crisi, l'Europa si è occupata prevalentemente di risarcire quei soggetti che ne erano stati i protagonisti, coloro che hanno portato il mondo sull'orlo di un precipizio. E oggi questa decisione determina i propri effetti. I giovanotti delle agenzie di rating bocciano la Grecia, la Grecia comincia a tremare, dopo la Grecia è il turno del Portogallo, della Spagna, e ora appaiono nuvole nere anche sul cielo d'Italia. Ma cos'è questa crisi? E' qualcosa che ha a che fare con le viscere della terra e del creato, l'ha portata la cicogna? E' la crisi di un mondo che è stato imprigionato da gruppi sofisticati di rapinatori, da un ceto mondiale di rapinatori travestiti da procacciatori finanziari, da acrobati della finanza internazionale. Ma come si può immaginare di proporre a un lavoratore o a un pensionato il sacrificio - fosse pure di un euro - se prima non si spiega come si intende cambiare questa logica perversa? Se non si pone fine all'allegra finanza degli speculatori e degli squali che attraversano gli oceani dell'economia mondiale producendo questo disastri? Se non si chiede scusa al lavoro che è stato umiliato, offeso e marginalizzato e non si ricostruiscono le regole del gioco a livello planetario?"

Il governo ripete che non metterà le mani nelle tasche degli italiani.

"Mettono le dita negli occhi degli italiani. Siamo a un livello di dramma sociale che viene occultato e nascosto dalla propaganda. Bloccare per anni i contratti dei lavoratori del pubblico impiego, 1100-1200 euro al mese,  significa produrre un effetto depressivo sull'economia nazionale, ridurre la platea dei consumi e dei consumatori, stare dentro l'onda della recessione. Pensare di poter bloccare l'andata in pensione di chi l'aveva programmata, pensare di togliere agli enti locali un numero impressionante di risorse, è assurdo. Loro non mettono le mani nelle tasche degli italiani, ma io non avrò più un euro per pagare i servizi sociali o per pagare la viabilità. Quello che fanno è un'operazione di trasferimento a qualcun altro della responsabilità della più grande opera di macelleria sociale della storia italiana."

Chiarissima l'analisi, questa crisi è costretto a pagarla chi non l'ha causata. Ma ora cosa bisogna fare? Napolitano ha auspicato che l'opposizione in Parlamento condivida la manovra.

"Se le misure fossero eque, ma per essere eque bisogna riesumare una parola che è stata maledetta e proibita in Italia: la parola tasse. Al primo punto bisognerebbe mettere la possibilità di colpire i grandi patrimoni, la rendita parassitaria, le transazioni finanziarie. Colpire quegli evasori che avevano portato milioni di euro all'estero. Ma si possono scaricare 24 miliardi di euro per intero sul lavoro dipendente, sui pensionati, sulla povertà, sulla fragilità? Si parla molto dello scandalo dei falsi invalidi, si parla poco dello scandalo dei veri invalidi che devono scalare le alpi della burocrazia per veder riconosciuto il loro diritto all'accompagnamento. Questo è diventato un paese feroce, e con questa manovra finanziaria la ferocia si fa stato. Tremonti ci chiama a condividere cosa? Il suicidio degli enti locali, il suicidio delle regioni, delle province, dei comuni? No io non mi assumo questa responsabilità."

Uno spettatore le chiede la sua opinione sulle ricette di " flexsecurity" del Pd sul  lavoro, ricette su cui peraltro il Pd all'ultima assemblea non è riuscito a trovare un accordo.

"La flessibilità è un obiettivo straordinario in una società che realizza la piena occupazione. In un Paese in cui la disoccupazione in gran parte del territorio è a due cifre la flessibilità è un trucco semantico, è soltanto la mafia delle parole che consente di chiamare flessibilità ciò che è precarietà. E la precarietà oggi non è solo una condanna per chi ha contratti atipici, l'intero mondo del lavoro è turbato da questo sentimento di precarietà.  Il lavoro è scomparso dalla scena pubblica. I media parlano del lavoro solo nelle rubriche di cronaca nera. Abbiamo di fronte a noi la prima giovane generazione che è compiutamente al di fuori dell'idea del lavoro come prospettiva, come futuro. Una generazione compiutamente precarizzata non solo nella sua proiezione produttiva, ma nella sua immagine di futuro. Questa è una tragedia. Qui c'è il vero problema della sinistra: per contestare questa roba qui bisogna rimettere il lavoro al centro della scena sociale. Ll'economia non c'è se non c'è il lavoro, se non c'è la produzione di beni e servizi c'è un'economia cartacea, quella delle agenzia di rating, dei piccoli gangster travestiti da manager esterofili. Questo è un punto culturale, sociologico e politico che chiama in causa il mestiere della sinistra. La sinistra da troppo tempo non ha un mestiere perché non si occupa più sul serio di questo tema."

Come risponde a chi le chiede di lanciare la sfida al centrodestra, al governo e alle vecchie classi dirigenti del centrosinistra?

"A sinistra non è possibile immaginare ricette taumaturgiche. A sinistra si è consumata una gravissima sconfitta che non è solo quella elettorale, ma è una crisi di cultura, di prospettiva, di narrazione, di egemonia. Berlusconi non ha vinto mica perché è stato un bravo amministratore, ma perché ha dato forza a un racconto strabiliante assolutamente manipolatorio nei confronti della psicologia di massa. La sinistra cosa gli ha contrapposto? Berlusconi è stato la proiezione in politica di quello che è avvenuto nei lunghi pomeriggi televisivi, quando la formazione culturale di un  paese è stata surrogata dalle Isole dei famosi, dai Grandi fratelli, da un'ideologia e da un'idea della vita e della società miserabile, meschina, mercantile. Non può pensare la sinistra che basti una parolaccia per recuperare un codice di  comunicazione con la realtà, per recuperare l'alfabeto perduto, il vocabolario perduto. La sinistra non sa più parlare alla gente e non sa più capire la gente. Oggi potremmo usare l'occasione drammatica della crisi economica e sociale per provare a recuperare un rapporto di verità con il paese, con le sue sofferenze e le sue aspettative. Lì c'è il cantiere dell'alternativa, l'alternativa non può nascere dalle alchimie di palazzo, sperando che un pezzettino dell'altra parte si possa staccare e venire in soccorso. Di lì non nasce niente. Dobbiamo soprattutto parlare alla società italiana e alle giovani generazioni, essere la sinistra che dà speranza perché organizza le lotte. Una sinistra che fa un mestiere antico ma nelle forme più moderne e più flessibili. Invece riusciamo a usare il peggio della modernità  -  la parolaccia  -  continuando a sembrare conservatori. C'è bisogno che tutte le forze del centrosinistra si accorgano della propria inadeguatezza e si lascino aiutare nel rapporto forte con la società civile, con i movimenti e con le associazioni. Provino a costruire un cantiere di autorigenerazione."

E da cosa si parte?

"Ad esempio, l'immigrazione. Noi non possiamo immaginare sull'immigrazione un discorso di contenimento dei danni delle leggi razziali e del razzismo che è insito in questa classe dominante. L'Italia dei roghi di Ponticelli, l'Italia di Rosarno, della mensa negata a un bambino, del bianco Natale cantato perché bisogna fare il Natale dei bianchi, l'Italia di una sommessa e ordinaria pulizia etnica è un'Italia schifosa, melmosa, putrescente. Contro di essa bisogna far vivere l'altra Italia, quella che ha memoria della sua storia, storia di migranti. Non si può essere sceriffi di sinistra, non si può essere un po' meno razzisti perché non vincano i razzisti. Su questo tema il centrosinistra ha bisogno di riscostruire una politica, un racconto di verità."

Lei la questione morale l'ha guardata in faccia cambiando la sua giunta quando sono arrivate le inchieste sulla gestione clientelare della sanità in Puglia. Pensa che il Pd non stia facendo abbastanza?

"Secondo me c'è un'idea così diffusa di politica come cinismo e affarismo e c'è una tale soggezione della politica al mercato che la realtà è questa. Perché la politica è corrotta, perché è debole. Ha ceduto il passo ad altri poteri che prendono decisioni sulla vita di tutti e non in sedi democratiche, non in modo trasparente. La politica -  per combattere la corruzione  -  deve innanzi tutto riprendersi sovranità sulle scelte di un Paese. L'Italia sta uscendo dalla chimica di base: l'ha deciso il parlamento, l'ha deciso il governo,  l'ha deciso qualcuno? E dov'è un tavolo su questo. Mentre poi sul versante del nucleare io non ho capito:  ho l'impressione che abbiamo fatto due patti, uno con Sarkozy e uno con Putin. La partita la stiamo giocando in due casinò differenti, e questo potrebbe costarci caro anche in tema di relazioni internazionali."

Lei ha definito i partiti ossi di seppia, non è ingeneroso da chi viene da una lunga storia di partito? Cosa sono e cos'hanno le sue fabbriche in più di un partito?

"I partiti sono diventati molto simili a quella metafora che il presidente del Censis De Rita usa per definire l'Italia: mucillagine. Sono la rappresentazione di un'Italia frammentata per interessi di corporazioni, di caste, di lobby o di campanili. Il partito come luogo di costruzione dell'interesse generale, di protezione dei beni comuni, dov'è? Le fabbriche cui ho offerto il mio nome, le fabbriche di Nichi, sono luoghi in cui è abolita la cosa fondamentale che ci ha berlusconizzati tutti: la vita politica fondata sulla competizione. Lì c'è la cooperazione, non si viene eletti a niente. Sono un tentativo di connessione tra la rete e la piazza, e hanno assunto l'idea che si può coniugare la politica alla bellezza.  Sono l'idea che la politica dev'essere un principio di ricostruzione della comunità. Per me sono state un osservatorio su quanto è grande la speranza di cambiamento. Nella mia testa il partito è stato sempre un mezzo, non un fine. Io mi sento innamorato dell'idea che si può ancora contribuire a cambiare la vita e a cambiare il mondo. Vediamo gli strumenti utili per il cambiamento."

 La sua vittoria è stata percepita come una minaccia, ora si parla di Vendola come colui che sta dando la scalata al Pd, si agita il fantasma di un ticket con Veltroni. Hanno paura di lei?

"Tutto questo è vero ed è molto triste. Per me è triste sentirmi percepito come l'altro gallo che entra nel pollaio, come un uomo in carriera, mi dà molto fastidio. Io mi percepisco come una persona che si sente profondamente sconfitta rispetto alle cose che pensa e che ha sognato tutta la vita, e che si ritrova a gestire un laboratorio importante e controcorrente - come quello pugliese - ma in un Paese che ha smarrito i propri codici civili. Mi sento disperato per le cose che accadono nel mio Paese e vorrei fare qualcosa perché si determinasse non la carriera di qualcuno, o la sostituzione di ceti dirigenti ad altri ceti dirigenti, ma la riforma intellettuale e morale  -  per dirla alla Gramsci - di questo Paese. E' un paese smarrito, è possibile che la discussione sia su di me, su quello che voglio fare domani o dopodomani? Io voglio dare un contributo nel modo che so offrire, che è quello della mia comunicazione con la gente e della voglia di sparigliare i giochi degli alchimisti del centrosinistra, degli strateghi della tattica che dominano la scena del centrosinistra."

Ma l'alternativa la possono costruire insieme Pd, Sel, Italia dei Valori, magari anche l'Udc o comunque si chiami?

"E' sufficiente la buona volontà o c'è un problema politico? Siamo davanti a elezioni importanti come le comunali di Napoli. Il fatto che il candidato del centrosinistra sia subito diventato assessore nella giunta Caldoro ci dice qualcosa? Il fatto che la contesa non sia sul profilo di una città ma sulla spartizione di posti di potere ci dice qualcosa? Dov'è più la discussione sul governo del territorio, sul risanamento delle aree periferiche, sulla sfida energetica, sulle nuove povertà, sull'inclusione dei bambini, sulle politiche per i migranti? Nel campo nazionale l'alternativa può cominciare subito, a condizione che sappiamo leggere tra le carte di Tremonti, se ci liberiamo dall'illusione di un Tremonti che si presenta come un neutro risanatore delle finanze pubbliche. Tremonti è la copertura migliore di un mondo, di una classe, di una politica e di un'economia che hanno fallito e che hanno fatto male al Paese. Bisogna combatterlo frontalmente."

Il Pd quindi questa manovra non la deve votare?

"Il Pd - insieme al resto del centrosinistra, ai sindacati, al tribunale per i diritti del malato -  deve organizzare una grande rivolta popolare contro la manovra economica della destra. Per potersi sedere a quel tavolo e poter dire: " Facciamo una manovra condivisa" le prime carte che bisogna vedere sono quelle che parlano di tasse ai ricchi, altrimenti a quel tavolo non ci si può sedere."

Ci doveva essere una convention a Firenze per lanciare la sua  candidatura alle primarie per la guida del centrosinistra nel 2012, oggi non sappiamo neanche se ci saranno quelle primarie. Se ci fossero lei si candiderebbe?

"Io mi batterò fino allo stremo perché ci siano le primarie. La convention a Firenze è saltata perché invece che essere l'inizio di una ricerca sulle parole che ci mancano era diventata una danza della morte dei partiti su questo oggetto misterioso. Per quello che mi riguardava era meglio fermarsi lì, mentre fuori dai partiti ci sono domande, esperienze, un sapere che noi faremmo bene ad accogliere. Le primarie sono il minimo per sopravvivere. L'idea di mettere in discussione l'unica forma che è stata inventata di dissequestro delle scelte politiche fondamentali sequestrate in segreterie di partiti che sono diventati la roba di cui ho parlato è un'idea folle. La sinistra non può vincere se va in un laboratorio di chirurgia estetica a trovare una maschera di Berlusconi di sinistra da mettere in faccia a qualcuno. La sinistra vince se contro Berlusconi è capace di convocare un popolo che si appassiona a un'idea di futuro."

(25 maggio 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/05/25/news/vendola_attacca_la_manovra_grande_opera_di_macelleria_sociale-4329471/
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« Risposta #5 inserito:: Giugno 13, 2010, 08:48:50 am »

Sel scende in piazza contro manovra e legge bavaglio.

Vendola: «Siamo un Paese putrescente»

di Luciana Cimino


«Siamo un paese putrescente», lo dice senza mezzi termini Nichi Vendola al suo popolo che lo ascolta in una piazza del Pantheon gremita, a Roma, per una manifestazione indetta da Sinistra Ecologia e Libertà contro la manovra finanziaria. Attorno al piccolo palco allestito su un lato della monumentale piazzola, precari, ricercatori (anche quelli dell’Insean con un grosso cartello), insegnanti, impiegati pubblici.

Tutto un mondo che si sente «massacrato da questa finanziaria», «obbligati a pagare mentre si guardano i ricchi impuniti», come spiega Mariangela, ricercatrice precaria al Cnr. E’ una manifestazione che tiene insieme tutto, manovra e legge sulle intercettazioni, perché come dice Vendola «il dovere di indagare il malaffare dovrebbe essere un dovere assoluto, siamo invece a un governo che vara una Finanziaria “modello Briatore”, che criminalizza la povertà e dice che la ricchezza, anche quella malavitosa, per decreto, diventa ora e sempre innocente».

Non si scindono questi due temi, c’è un filo rosso che li lega. «Ha ragione Nichi - dice Luca, analista finanziario (precario) – la legge bavaglio è un appendice alla manovra che è una delle più classiste che si siano mai viste negli ultimi trent’anni». Sul palco esponenti di Legambiente, dell’Ente Teatrale Italiano, dell’associazionismo, parlano di un paese alla deriva. Interviene Emilio Solfrizzi, «sono solo un comico», si schermisce «ma ho voluto portare la mia testimonianza di cittadino che ha paura perché vede un pese che si sta impoverendo, che taglia la cultura. Ho paura per mio figlio di 13 anni che vive in un mondo di “Grande Fratello” che tramortiscono le coscienze. Io sono pugliese e ho visto negli ultimi 5 anni che con la cultura si possono creare posti di lavoro: giovani che prima erano disoccupati ora fanno gli operatori video».

Lascia la parola a Fabio Mussi che si dice vicino a quanti faranno la disubbidienza civile contro la legge bavaglio. E poi arriva il presidente della Puglia, appena uscito da un incontro con Tremonti e Bonaiuti, «è difficile raccontare il viso dei potenti quando commettono i loro delitti – dice a proposito Vendola – mi veniva da dire a Bonaiuti: ma che te ridi?». Lo scenario che dipinge il leader di SeL al suo pubblico è fosco: «in Europa ci sono attualmente 80 milioni di poveri, domani, quando tutti i paesi avranno approvato le loro Finanziarie, ce ne saranno 130 milioni, significa che non sarà più l’Europa che immaginavano i padri fondatori». E per spiegare meglio il concetto usa le tristi immagini dell’Oliver Twist di Dickens, «siamo in un dagherrotipo illividito».

Poi cita Enrico Berlinguer, nei giorni in cui cade il 26esimo anniversario dalla morte, e dalla piazza sale un boato. «Unità per battere il caimano», dicono gli striscioni in piazza e lo chiedono a gran voce anche Giuseppe e Marino, pensionati: «spetta ai giovani ribellarsi, a tutti i giovani, quelli del Pd come quelli dell’associazionismo, insieme con un progetto»; lo chiede Loretta, 56 anni, mediatrice culturale disoccupata: «la manovra e la legge bavaglio hanno reso l’Italia la bidonville d’Europa, solo unendo tutte le forze d’opposizione possiamo battere il berlusconismo». E Vendola non si sottrae a questo richiamo. Che fare? Nichi la prende da lontano. «Nel ’45, davanti alle macerie di un Italia distrutta dalla guerra alcune persone misero in campo un’idea di mondo nuova, restituire dignità e diritti alle persone era il senso della loro lotta politica».

Dunque bisogna «cominciare una storia nuova, non ci sono scorciatoie». La sua ricetta Vendola la va ripentendo da un po’ e la ribadisce ancora una volta davanti al suo pubblico: «le forze di opposizione si devono mettere insieme ma non devono solo interloquire in maniera mediatica, bisogna trovare una connessione sentimentale tra la sinistra e il popolo, il problema è il popolo». E poi un ultimo affondo a Enrico Letta: «lo dico con affetto, a forza di cercare il partito sexy viene fuori al limite il partito pornografico».

10 giugno 2010
http://www.unita.it/news/italia/99848/sel_scende_in_piazza_contro_manovra_e_legge_bavaglio_vendola_siamo_un_paese_putrescente
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« Risposta #6 inserito:: Agosto 16, 2010, 09:21:53 am »

Vendola: transizione? "Non per continuare la macelleria sociale"

di Concita De Gregorio

È un lungo monologo, questo di Nichi Vendola. Possiamo parlare, per prima cosa, del clima di veleni del livello dello scontro? avevo chiesto. Non si è interrotto più. Ha detto di Tremonti e di Prodi, di elezioni anticipate e di Cln, di governi tecnici, di istituzioni a rischio e coalizioni possibili, di sinistra soprattutto, citando - al principio - le parole scritte da Alfredo Reichlin per l’Unità . Di come «liberare il castello dalla presenza di un sovrano ingombrante senza colpi di palazzo o di teatro, misurandosi piuttosto col guasto morale che infetta tutto il regno». Ascoltiamo.

«C’è un clima pazzesco, un’aria irrespirabile. Non pongo la premessa come clausola di stile, ma come problema di cultura politica. Non solo a destra, anche a sinistra quando si manifestano posizioni forse discutibili, magari eccentriche rispetto alla realpolitik si scatena l’intolleranza. Da quando ho posto il tema – ho accettato di assumere su di me la proposta che correva di bocca in bocca, di sguardo in sguardo – parlo della mia candidatura alle primarie, sono stato oggetto di attacchi con risvolti psicanalitici, psichiatrici, sociologici, molti si sono improvvisati miei biografi in un coro tutto sopra le righe, fuori asse. È un problema generale, di tutta la politica, e riguarda il modello di relazioni umane che abbiamo in mente. Discutiamo politicamente delle nostre idee senza dedicare tempo al gioco al massacro, alla brutalizzazione.

Capisco che un gruppo di cattolici integralisti faccia tiro a segno nei miei confronti ma capisco meno una parte della sinistra che si comporta così. Chiedo: chi ha paura del popolo democratico? Il mio invito a non mollare le primarie significa questo: investire sul popolo di centrosinistra del quale i militanti del Pd sono la parte più importante e generosa. Non propongo furbate o giochi d’azzardo. In fondo ogni volta che il ceto politico ha deciso di cedere una quota del proprio potere in favore del processo democratico è stato un fatto straordinario e sorprendente, anche quando l’esito sembrava predefinito. Capisco che ci sia chi preferisce mantenere le rendite di posizione. Due sono le paure che mi pare di scorgere: quella della detronizzazione, e il fatto che la costruzione dei programmi esca così dai circuiti ristretti e diventi collettiva. In parte questo è già accaduto con la Fabbrica del Programma di Romano Prodi. Il politicismo è asfissiante. Se potessimo invece dare parola ai saperi, ai talenti per far parlare la realtà della vita: che modello di ricostruzione si è applicato all’Aquila dopo il terremoto; che intendiamo fare delle risorse idriche; i processi di desertificazione dei bacini del mediterraneo; mettere a confronto modelli formativi... parlare di tv non solo come lotto politico da occupare ma come veicolo della costruzione delle coscienze e dell’immaginario collettivo. Vedo invece un balletto di formule ereditate pari pari dalla prima Repubblica.

Siamo di fronte ad una crisi mondiale, europea e alla dissoluzione del nostro paese. Abbiamo il dovere di alzare lo sguardo, di fare una discussione non legata al culto della contingenza. Se anche un grande realista come Alfredo Reichlin invita a un nuovo, più alto orizzonte, a una nuova antropologia e ci domanda se interessi ancora la sinistra come nicchia e bottega o se non di debba piuttosto riprendere in mano la missione per il destino di un paese... E invece qual è la discussione oggi: chi tra i protagonisti della politica sia vecchio e chi nuovo? La domanda è un’altra: come si fa a liberare il castello dalla presenza ingombrante del sovrano senza misurarsi col guasto morale che infetta tutto il regno? E come si chiude il ciclo del berlusconismo: con un colpo di palazzo o di teatro, o piuttosto con un rendiconto, anche aspro, su ciò che è accaduto nella società? La diatriba su voto subito o governo tecnico, certo. Io non sono in Parlamento, non ho deputati e senatori, faccio un ragionamento politico: se ci fossero le forze e il coraggio per mettere in campo una transizione capace di liberarci di un’ipoteca come la legge elettorale non potrei che brindare e compiacermi del pentimento di chi diceva che il proporzionale è la panacea di tutti i mali.

Ma non accetto l’idea di un governo di transizione che prosegua nel solco di chi ha operato la macelleria sociale di Tremonti. Un patto col diavolo? Il problema è intenderci sulla missione. Bisogna anche considerare il livello del danno, per dirla con Josephine Hart: “Ci si vergogna solo la prima volta”. Questo è un regime che non si vergogna più di niente, bisogna opporsi a questa guerra civile a bassa intensità combattuta dentro i palazzi del potere a colpi di dossier, di violenza verbale, di menzogne. È il sintomo di una decadenza gravissima: deposita nel Paese uova di serpente. Dunque, il diavolo. Parliamo dell’ipotesi di una grande aggregazione in funzione antiberlusconiana, dunque anche di un cartello elettorale? È in corso lo squagliamento del centrodestra come lo abbiamo conosciuto. Fini è pure espressione di una destra: democratica, sì, europea. Il Cln mi pare un’elucubrazione estiva. Di fonte allo spettacolo del dissolvimento del fronte avverso cosa fa la sinistra intesa come luogo del nesso lavoro-libertà-conoscenza? Lo chiedo con affetto a Bersani. Abbiamo interesse a mettere in campo, dentro questa sinistra, un’agenda di temi e di processi che lasci da parte i giochi delle belle statuine delle tante sinistre, i riformisti e i radicali, gli antagonisti e i moderati? Un gioco che avvantaggia certo le rendite di posizione ma produce paralisi del sistema: è il male che ha già divorato l’Ulivo, non ripetiamolo. La grande alleanza non deve essere l’Arca di Noè che consenta a ciascuno di salvarsi: non lavoriamo per il ceto politico ma per il Paese.

Ho grande affetto per Prodi, temo che in politica non si diano mai secche repliche del passato ma le suggestioni del prodismo, pur con tutti gli errori commessi, ha portato una politica con grandi potenzialità espansive. Se Berlusconi è stato il responsabile della narcotizzazione televisiva, della deresponsabilizzazione di massa il rovesciamento del sistema che ha creato deve partire da un nuovo grande protagonismo democratico. Sono mortalmente stufo delle diatribe simbolico-ideologiche all’interno della sinistra: non hanno più tempo né luogo. Io non mi batto per una sinistra minoritaria, mi batto per vincere. Non bisogna avere paura della nostra gente, allora. È con la nostra gente che vinceremo, insieme a loro e grazie a loro».

15 agosto 2010
http://www.unita.it/news/italia/102422/vendola_transizione_non_per_continuare_la_macelleria_sociale
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« Risposta #7 inserito:: Ottobre 19, 2010, 05:23:01 pm »

IL VIDEOFORUM

Vendola: "Con il Centro bisogna discutere" E lancia la "modernità" dello sciopero

E dichiara che l'Italia è "un paese smidollato e disossato dal berlusconismo".

Tra i temi toccati, la manifestazione della Fiom, lo stato del Paese e le proposte per un'alleanza tra la sinistra e il centro per un salto di qualità della politica.

DI TIZIANO TONIUTTI


ROMA - La manifestazione dei metalmeccanici? "Insieme a un possibile sciopero generale è una risposta moderna, come stanno dimostrando anche in Francia". I veti di Casini a un accordo? "Mi addolorano, perché lo stimo molto e così non si riesce nemmeno a iniziare a discutere".
La macchina del fango? "E' da tempo che opera, e io ne so qualcosa". Non si sottrae Nichi Vendola alle migliaia di domande dei lettori di RepubblicaTv, ospite in studio di Massimo Giannini. I temi  vanno dalle condizioni del Paese alla modernità di una manifestazione come quella della Fiom, vista come piattaforma per ripensare il centrosinistra. E poi il welfare come idea dell'Europa, lo sciopero generale, i precari della scuola, la tv tra Santoro e Masi, Ghedini e Gabanelli.

L'Italia smidollata di oggi. "Siamo di fronte a un guasto non solo del vertice, ma dell'intero paese" attacca Vendola,"Un virus che corrode lo spirito pubblico. Il problema non è solo Berlusconi e il berlusconismo, ma appartiene alla cultura e all'immaginario, non c'è reazione adeguata a quello che accade". E il fango travolge l'Italia, come "artiglieria per colpire gli avversari che tracima dal palazzo del regime". Ma come sta il Paese? "Se il premier considera Putin un dono di Dio e interloquisce con Gheddafi, la fotografia che ne viene è un paese a rischio, smidollato, disossato. Che meriterebbe un'alternativa seria". Il pericolo viene "Non solo da Berlusconi, che è solo un pezzo del meccanismo, su cui peraltro i giornali devono fare il loro lavoro": il cuore del problema secondo Vendola è "la macchina del berlusconismo, che produce modelli culturali".

La manifestazione della Fiom. Violenze alla manifestazione del 16 ottobre non ce ne sono state. E su questo Vendola risponde ampliando il discorso: "Quelli di Maroni sulle possibili violenza non erano allarmi, erano desideri. Si costruisce un'immagine per cui il dissenso sociale manifestato pacificamente rappresenta automaticamente un problema di ordine pubblico. E si costruisce una campagna per cui le posizioni della Fiom diventano eversive a prescindere". ma un allarme violenza ha comunque un peso. "I 'cattivi' ci sono ma non sono in quella piazza", argomenta vendola spostando il riflettore su luoghi diversi: "I cattivi sono nei palazzi in cui si pensa che il lavoro sia un principio arcaico, e che vada liberato da una serie di tutele e diritti conquistati negli anni, come la legge 626. E domani probabilmente il parlamento voterà quello che potremmo chiamare un 'processo breve' per i lavoratori: i licenziati non avranno più diritto a un giudice, ma entreranno nel campo dell'arbitrato. L'italia non è più una Repubblica basata sul lavoro: diventa una Repubblica televisiva basata sul licenziamento".

Gli attacchi alla Cisl. "E' difficile per mondi complessi irregimentare chi vuole esprimere le proprie idee. Ma attaccare e aggredire una sede sindacale è comunque deprecabile, non ci può essere esitazione nel condannare un atto di violenza". Questa la posizione del Governatore sui recenti attacchi a sedi e manifestazioni del sindacato di Bonanni. "Quando si pensa che altri interlocutori sindacali stiano sbagliando bisogna rilanciare il dialogo. Siamo di fronte a una partita decisiva per la storia democratica del paese. E' ora, in questo momento, che dobbiamo parlare con lavoratori e lavoratrici, guai se rinunciassimo all'idea di un'unità sindacale". Ma le posizioni della Cisl nella vicenda di Fiat e degli operai di Pomigliano è materia diversa. "La solidarietà alle sedi Cisl non può essere una convergenza su quello che dice Bonanni della manifestazione Fiom: non era solo un atto politico. Se un sindacato non difende i diritti di base, se non guarda lo stato del lavoro in Italia, se non rilancia sull'innovazione ma pensa di ridurre solo tutele e diritti, rischia di diventare un pezzo di parastato". La piazza di sabato 16 ottobre a Roma è insomma una piattaforma: "La Fiom e quella piazza sono il momento di ora, mente gli altri che propongono? Il futuro o il passato?" Vendola dice che il Paese ha bisogno di modernità, ma quale? "La modernità significa rimettere in fila la connessione tra lavoro, sapere e libertà. Questo era il messaggio di quella piazza".

La tv e il paese La politica secondo Vendola "E' silente, un silenzio che rimbomba. La destra pensa che solo l'impresa privata possa fare l'industria, e di fronte ai problemi del paese Berlusconi pensa alla televisione, a Santoro, a Report". E poi si scivola sempre verso altri temi,che non sono quelli chiave: "Dovremmo sapere che rapporti ha Berlusconi con le banche e le società off shore, queste sono le domande a cui dobbiamo ottenere risposta. Non per farci i fatti suoi, violando una privacy che io rispetto, ma perchè l'uomo più ricco d'Italia, il premier, deve delle spiegazioni al popolo" se viene accusato di rapporti opachi con il mondo dell'economia.

Masi. "Il dg non ne sbaglia una. Stasera va a Porta a Porta per attaccare AnnoZero, che dovrebbe esse un fiore all'occhiello del servizio pubblico. Nello stesso giorno scopre che bisogna avere cautela in tv, dopo due mesi di costruzione del turismo dell'orrore sui fatti di Avetrana, con la lente d'ingrandimento televisiva su personaggi e scenari". Conclude Vendola: "Credo che il direttore generale stia facendo male il proprio mestiere e non difenda le ragioni del servizio pubblico".

Il Pd in piazza. "In questi giorni non ho voluto rispondere alle domande sul Pd in piazza con la Fiom perché mi da fastidio che la politica con le sue dinamiche riesca sempre a sovrapporsi al merito delle questioni, che in questo caso erano redditi, contratti, tutele".
"A Pomigliano interessa perchè non hanno i primi 3 giorni di malattia, volevano parlare del quotidiano, della difficoltà di campare.
Rosi Bindi dice che  ha sbagliato chi c'era. Di Pietro dice che ha sbagliato chi non c'era". E allora? "Io con Bersani voglio discutere sulla piattaforma di quella piazza, che è la modernità. E' l'apertura del cantiere contro il berlusconismo".

Lo sciopero generale. Prosegue Vendola, sull'eventualità di uno sciopero nazionale di tutte le categorie. "Guardiamo cosa succede in Francia, cosa è moderno, la caccia agli zingari o gli scioperi che in nome del welfare bloccano quel paese? Arcaica è la caccia al rom, arcaico è quando la vita non vale niente. Ma l'idea che guida le proteste popolari in Francia è moderna perchè fondativa di un'altra idea di Europa. L'Europa è la rivoluzione francese e il movimento operaio: due cose che hanno messo in piedi il welfare. Se L'Europa nel nome della crisi e della recessione si indebita per salvare le banche,  e poi presenta il conto ai ceti popolari chiedendo che sia il welfare a caricarsi il peso della ripresa, stiamo andando in un altro continente rispetto a quello che abbiamo conosciuto".

I 150mila precari della scuola. "L'anno scorso e quest'anno ho messo 25 milioni di Euro e ho impiegato 25mila precari licenziati dalla Gelmini,  su un progetto mirato alle scuole più povere nei quartieri a rischio, nelle aree periferiche. Una struttura che ha lavorato come un esercito sul tema dell'apprendimento dei bambini". Vendola sottolinea l'arretratezza di alcune zone del Paese: "Il problema oggi non è solo il Digital Divide, ma anche che in alcune parti d'Italia che i bambini non leggono e non scrivono". "E' un progetto della Puglia che altre regioni stanno seguendo: Il berlusconismo ha iniziato a vincere quando la scuola ha iniziato a perdere. Per sconfiggere il berlusconismo bisogna rimettere al centro la scuola pubblica, l'Università, la ricerca e l'innovazione. E i precari sono quelli che l'istruzione pubblica l'hanno tenuta in piedi, patendo ogni giorno la condizione della scuola. I precari sembrano i colpevoli della precarietà, ma in realtà sono le vittime, come i poveri sono vittime della povertà".

Il mondo politico e le compatibilità. Sulle alleanze, Vendola è chiaro: "Il centro e la sinistra si devono alleare. Il berlusconismo è una forma di oltranzismo di destra. E l'egemonia culturale di un nuovo centrosinistra può venire dal rimettere al centro il lavoratore e non farlo sentire come merce. Questo è tutto". Ma cosa dice il centro? Pierferdinando Casini, presidente dell'Udc, ha dichiarato che Vendola è persona stimabilissima ma in netto contrasto con le possibilità di un'alleanza. Risponde Vendola: "Mi addolora il modo di interloqure di Casini, che stimo, ma non entra mai nel merito delle questioni. Mi sono posto il problema su come è oggi la vita di chi ha manifestato per il family day, e con quelli dobbiamo interloquire. Dobbiamo iterlloquire con il popolo delle partite Iva, illuso e ingannnato da Berlusconi. Il popolo della Fiom parla della vita, di un debito economico che precipita sulle giovani generazioni. L'ergastolo è "fine pena mai", la condizione dei giovani oggi un sociologo la descriverebbe con le parole "lavoro mai". Discutiamo dell'Italia, dei soggetti che emergono da questa buia notte del paese, per offrire delle soluzioni. Discutiamone e tiriamo fuori un disegno vincente". Ma il centrosinistra non può vincere senza rivendicare un elemento di qualità a partire dal linguaggio: la destra l'ha avvitato sulla barbarie anche comunicativa".

Le primarie. C'è chi chiede a Vendola di farsi sponsor di Bersani, chi invece dice di sbaragliare tutto. "Ho letto di tutto, ho subito un bombardamento mediatico incredibile quando mi dicevano che avrei fatto vincere la destra in Puglia", risponde il Governatore, "ma io Fitto, che è un'estensione di Berlusconi, l'ho battuto, in una regione che è un vero e proprio laboratorio per la destra. Dicono che si vince al centro, ma cos'è il centro? Io sento solo un'incredibile domanda di cambiamento, non pretendo di incarnarla, ma so anche che il centro sinistra viene percepito come un agglomerato di cose vecchie. Le primarie sono uno strumento per ritrovare un popolo, rudimentale e rozzo, per recuperare un popolo e una politica.

(18 ottobre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/10/18/news/repubblica_domanda_incontro_con_vendola-8198567/?ref=HREC1-7
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« Risposta #8 inserito:: Ottobre 23, 2010, 06:36:27 pm »

Vendola, l'Italia si rifondi sul lavoro.

Dal palco di Sel anche Epifani e Landini

di Stefano Miliani


Accolto da applausi e salutato con ovazione, Guglielmo Epifani ha parlato al primo Congresso di Sinistra Ecologia e Libertà al teatro Saschall di Firenze. Il segretario della Cgil ha concluso citando tre date come valori fondanti della Repubblica italiana: «Il 25 aprile, perchè è la data della nostra libertà e della nostra democrazia. Il Primo maggio, e lo voglio dire qui a Firenze e al suo sindaco, perchè questo valore implica delle scelte come tenere i negozi del commercio chiusi perchè è giusto così non perchè siamo “antichi”. E infine il 2 giugno, perchè è la data della nascita  nostra Republica fondata sul lavoro è questa è la nostra democrazia e per questo ha senso il nostro impegno».

VERITA' ROVESCIATE
Epifani si è concentrato su quelle che ha chiamato le “verità rovesciate” - un chiaro riferimento al governo. «Hanno detto che il paese usciva meglio dalla crisi: è una bugia e lo dimostra la Germania che nel 2011-12 sarà tornata al punto del Pil di prima della crisi. Noi se va bene raggiungeremo lo stesso obiettivo tra 6-7 anni e questa differenza la pagherà chi non potrà difendere la sua occupazione». Il concetto che la crisi la pagano i lavoratori, i precari, i disoccupati, la scuola, la sanità, mentre non la pagano i responsabili Epifani l’ha ribadito con decisione. «C’è una sproporzione al di là di ogni razionalità per i molti che pagano senza colpa la velocità dei mercati finanziari» - ha sottolineato il leader della Cgil . 

«In Spagna e in Francia la gente normale si accorge di questa ingiustizia e non si rassegna a pagare per la responsabilità di altri. La crisi ci è costata 800mila posti di lavoro persi, 650mila in cassa integrazione, 250mila precari senza più un posto. Il governo ha gestito la crisi con modalità sbagliate, gallegiando». ha puntalizzato il leader della Cgil. Al che Epifani cita due casi concreti: «La vicenda delle quote latte: una parte del paese paga per altri. E poi il condono fiscale: al di là di tutto, perchè farlo pagare così poco? Perchè non usare quelle risorse per non tagliare la scuola e la sanità? E’ due volte una ingiustizia».

Epifani ha usato spesso la parola “fatica” per descrivere il lavoro costante della Cgil. La “fatica” di rovesciare le verità non vere del governo. Cita la situazione drammatica degli  impinati di Termini Imerese, dei lavoratori dell’Asinara e rivendica due cose per il suo sindacato e per la Fiom: «Non è vero che non firmiamo accordi. Abbiamo firmato dieci-docimila contratti ma a Pomigliano non si voleva non colpire l’assenteismo». Epifani, rivendica anche che «in due anni e mezzo di lotte, di scioperi, di salite sui tetti per difendere il lavoro, alle manifestazioni della Cgil non è mai successo il minimo atto di violenza, neanche una vetrina rotta. E’ questo anche per le nostre capacità di organizzarci», ha sottolineato. «Ora vediamo le immagini di Terzigno, dei pastori sardi, di Parigi: si vorrà riconoscere alla Cgil questa foza di lottare senza violenza».

OVAZIONE PER OCCHETTO
Prima di Epifani, al congresso Sel ha parlato Achille Occhetto che ha invocato il “disarmo generale” anche per gli Stati Uniti, l’Iraq e Israele. «La guerra va considerata un tabù - ha detto Occhetto - come l’incesto e lo schiavismo». Ed è chiaro il rifermimento a qualsiasi guerra e all’Afghanistan. Anche Occhetto ha concluso dicendo che «bisogna sconfiggere Berlusconi e le sue ville». I delegati del Congresso si sono alzati in piedi per una ovazione simile o quasi al quella di Epifani.

«SCIOPERO GENERALE»
 «Dopo la manifestazione della Cgil del 27 novembre dobbiamo arrivare allo sciopero generale, non ci sarà un secondo tempo per cambiare». Maurizio Landini, segretario nazionale della Fiom, dal palco di Sel rilancia la proposta fatta sabato scorso a piazza San Giovanni a Roma. E mentre Epifani ha fatto una strenua difesa dell’organizzazione dagli attacchi, Landini smarca il suo sindacato dai partiti: «A loro chiedo se le lavoratrici e i lavoratori hanno diritto o no di votare gli accordi che li riguardano. Quello che Fiat e Confindustria non vogliono affrontare è il tema della democrazia». Poi Landini aggiunge: «Se non c’è unità sindacale è perchè nel 1970 Pci, Psi, Dc e Pri non l’hanno voluta perchè non piace un sindacato che non risponde a questo o quel partito. Noi rappresentiamo i lavoratori - sottolinea Landini -, noi discutiamo nel merito, non con chi stare. Tutto il resto sono balle».

23 ottobre 2010
http://www.unita.it/news/italia/104953/vendola_litalia_si_rifondi_sul_lavoro_dal_palco_di_sel_anche_epifani_e_landini
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« Risposta #9 inserito:: Ottobre 23, 2010, 06:37:33 pm »

Vendola, il discorso: sinistra, primarie, Tremonti

IL DISCORSO DI VENDOLA: I PUNTI SALIENTI

Al primo congresso di Sinistra ecologia e libertà – a Firenze al Teatro Saschall in riva all'Arno – Nichi Vendola tocca corde che trovano la sintonia con i delegati. Riportiamo alcuni passi nel suo intervento al congresso di Sel, una tre giorni che si conclude domenica 24. La giornata di sabato è sul lavoro, ospiti il segretario della Cgil Guglielmo Epifani e il leader della Fiom Maurizio Landini. Ma Sel non vuole divisioni e il suo leader condanna i fischi di alcuni militanti ai rappresentanti della Uil e ai socialisti ospiti del congresso.

Lavoro, Marchionne bolla mediatica. «Melfi e Pomigliano sono i cartelli stradali necessari per capovolgere la destra in Italia. Da lì parte la lotta al berlusconismo». La politica della Fiat di Marchionne è solo «una bolla mediatica e politica».

Tremonti, le parti in commedia. Tremonti, «iperliberista», svolge due, tre o più «parti della commedia: è sia fustigatore dei banchieri, che affamatore del popolo, nonchè un critico no-global del sistema economico».

Berlusconi autobiografia dell'Italia. «Berlusconi non è l'anomalia ma l'autobiografia della nazione. Abbiamo considerato Berlusconi come qualcosa che aveva a che fare più con il Bagaglino che con la società italiana ma Berlusconi aveva iniziato a vincere già vent'anni prima. «L'Italia del frammento, delle mille corporazione e delle mille issues è un paradigma emergenziale. La narrazione populistica del leader copre l'Italia ferita, polverizzata. In questa Italia si capisce che quel paradigma emergenziale deve avvolgersi attorno a un potere opaco che è quello del governo e del premier».

La sinistra: è il futuro, vincere si può. A forza di aver paura di perdere «ci siamo persi». E dobbiamo smettere «di perdere bene per iniziare a vincere bene. Voglio chiedere una cosa: la sinistra è davvero un impedimento a vincere oppure questo paese ha bisogno di più sinistra per uscire dal suo smarrimento?. La sinistra non è una nicchia ideologica, non è una rendita di posizione, è il futuro del paese».

Fare i conti con le sconfitte. Per «riaprire la partita» e rilanciare la sinistra bisogna, sottolinea Vendola, «fare i conti con tutte le nostre sconfitte e con tutta la nostra sconfitta». «Guai se assumessimo un atteggiamento meramente difensivo», guai a chiudersi, a guardare il mondo «con il paraocchi». Ed è a partire da una visione d'insieme, dal mondo, dalla politica estera, dalla difesa dei diritti umani «che valgono sempre e non solo sulle bancarelle degli stand elettorali» che Vendola inizia la sua riflessione politica.

Primarie: non un gioco di società. «Non un gioco di società» ma uno strumento prezioso per «dissequestrare la politica», per renderla di nuovo un «bene pubblico», una cosa di tutti.

Parlare con tutti, anche l'Udc. Per un'alternativa parlare con il Pd, certo, è fondamentale, ma è «anche con il centro». Vendola saluta dal palco «l'amico Enzo Carra» (Udc). Vuole parlare con Di Pietro ma condanna il «giustizialismo», con i Verdi, i socialisti (e rampogna alcuni militanti: «avete sbagliato a fischiare»). «Dobbiamo unirci - profetizza - con l'alleanza più larga possibile, ma per avanzare».

A Grillo. Bisogna parlare con i grillini. Ma «a Grillo voglio dire che l'ansia di cambiamento non può vivere nell'estetica della bestemmia».

Ripensare produzione, consumi, ambiente. E' «crisi di un modo di produrre, di consumare, di rapporto con l'ambiente, ambientale». Né bisogna tralasciare il «turbo-capitalismo che si mangia il lavoro. È una vera e propria crisi di sistema».

Sbagliati fischi a Cisl, Uil e socialisti. «Non ho apprezzato quei compagni che hanno fischiato, quando abbiamo nominato le delegazioni della Cisl e della Uil. Con Cisl e Uil voglio discutere libero da quei cartelli pieni di contumelie che ho visto alla manifestazione della Fiom. Le contumelie non fanno discutere». Vendola ha anche criticato i fischi alla delegazione del Partito socialista: «Io considero la cultura del socialismo italiano non solo una nobile storia del passato, ma una grande bussola per il futuro».


22 ottobre 2010
http://www.unita.it/news/italia/104917/vendola_il_discorso_sinistra_primarie_tremonti
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« Risposta #10 inserito:: Ottobre 24, 2010, 03:41:47 pm »

 22/10/2010 (17:26)

Vendola: "La sinistra torni a vincere"

Il governatore della Puglia apre il congresso fondativo della Sel.

Appello al Pd, niente veti all'Udc

FIRENZE
«Abbiamo il dovere di riconoscere tutte le nostre sconfitte, ma guai a chiuderci a riccio. Dobbiamo tornare a vincere».
Nichi Vendola, nell’intervento di apertura del congresso fondativo di Sinistra, ecologia e libertà, fa una severa autocritica e, allo stesso tempo, rivendica con orgoglio la missione della sinistra, che non è «una rendita di posizione» ma «è il futuro del Paese».

La sinistra «è veramente un impedimento a vincere oppure questo Paese ha un disperato bisogno di sinistra per ritrovarsi?», si chiede il governatore della Puglia, rivolgendosi in primo luogo ai democratici, ma riconoscendo la necessità di parlare a tutte le forze oggi all’opposizione. A partire dal Pd, dalla Federazione della sinistra, dai socialisti, ma non escludendo l’Idv, i "grillini", e neppure «l’interlocuzione con i centristi». In sostanza, Vendola, dalle assise di Firenze intitolate non a caso "Riaprire la partita", lancia la sfida per l’alternativa di governo e per una alleanza realmente innovativa, che non sia appaltata a uno stretto ceto politico.

Di qui l’insistere sulle primarie, che non vanno considerate alla stregua di «civetterie» o «gioco di società», ma come lo strumento per «dissequestrare» la politica e restituirla ai cittadini per quel che è, cioè «un bene pubblico». Le repliche alla relazione introduttiva di Vendola appaiono incoraggianti. La capogruppo del Pd al Senato Anna Finocchiaro rileva di aver «sempre pensato che Vendola e il suo movimento fossero l’interlocutore naturale dei Democratici» ed oggi, sottolinea, ne è «ulteriormente convinta». Alcune «parole d’ordine sentite oggi», spiega, sono state pronunciate tante volte anche da lei e «da altri esponenti del Pd». Più prudente Giorgio Merlo che, pur apprezzando l’intervento del leader di Sel, in particolare la proposta di dialogo estesa ai centristi, mette in guardia la «futura alleanza di centro sinistra» dal non diventare una specie di «maionese impazzita» dove accanto alle forze moderate e di sinistra, «sempre comunque con una cultura di governo», si affianchino «giustizialisti e estremisti di varia natura, centri sociali compresi».

Nel suo intervento lungo (circa due ore) e appassionato, Nichi Vendola, non ha tralasciato le critiche al governo e, più in generale, al modello politico-sociale creato dalla globalizzazione. Un modello che permette lo svilupparsi di una «crisi economica senza che se possano discutere le vere cause», che fa apparire il ministro Giulio Tremonti, al contempo, «affamatore del popolo, fustigatore dei banchieri e pure ideologo no-global». Un sistema «distruttivo», non solo della natura, ma anche della scuola e, non ultimo del lavoro e delle sue regole.
Di qui la stoccata a Sergio Marchionne ( «Se la modernità è l’ad della Fiat, ho l’impressione che sia tutta una bolla mediatica e politica)». Di qui la convinzione che il «berlusconismo» non avrebbe mai vinto se il sistema, dopo la «vittoria delle tv», non avesse «distrutto la scuola pubblica».

La platea saluta con applausi tutti i passaggi del suo discorso, anche quando ricorda Antonio Gramsci o quando, al federalismo della Lega contrappone quello di Altiero Spinelli. Vendola incassa consensi anche nel passaggio dove, senza mezzi termini, dice che occorre «interloquire con il centro», e saluta «l’amico» Enzo Carra che rappresenta l’Udc a Firenze. Lo applaudono i delegati, lo applaude e quasi si commuove Fausto Bertinotti, seduto in prima fila, indicato come uno dei padri storici della nuova formazione di sinistra; lo applaude il primo cittadino di Firenze Matteo Renzi, che siede proprio accanto a Bertinotti, anche quando Vendola non lesina qualche critica al Pd.

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201010articoli/59718girata.asp
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« Risposta #11 inserito:: Ottobre 28, 2010, 05:20:14 pm »

Intervista a Nichi Vendola: le imprese si fidino di me.

Lo stato non deve ostacolarle

di Lina Palmerini

Questo articolo è stato pubblicato il 27 ottobre 2010 alle ore 08:13.

   

Partiamo dalla bufera Marchionne: ha detto che non fa utili per i bassi livelli di competitività. Ma non è una realtà?
Nel processo alle classi dirigenti non è Marchionne che può svolgere il ruolo della pubblica accusa. Il sistema d'impresa è stato complice di una gigantesca pigrizia culturale legata a un'idea leggera e di facili costumi della competitività da guadagnare per intero attraverso la compressione del costo del lavoro e della progressiva semplificazione delle relazioni industriali.

È la retorica del comunista nemico delle imprese?
Guardi, nella mia regione, agli imprenditori ho detto: amici miei, c'è bisogno di affrontare la globalizzazione, non abbiate paura, non fatevi incantare dalle sirene che invocano dazi. Ho fatto una legge sui finanziamenti per i distretti industriali di filiera che hanno consentito ai diversi attori di cicli produttivi omogenei di mettersi in rete accompagnando processi di internazionalizzazione. E ho creato distretti tecnologici messi al servizio di apparati produttivi. Sono fattori su cui ho costruito non una politica anti-imprenditoriale ma una nuova politica industriale che porti a un processo di responsabilizzazione del sistema produttivo.

La scarsa competitività di cui parla Marchionne è un dato.
Ma l'Italia è in affanno perché ci sono dei furbi a Pomigliano? O perché, per esempio, la Fiat ha investito pochissimo ed è stata indotta pochissimo a investire in innovazione? I problemi di cui parla Marchionne sono in molti casi oggettivi ma la causa va cercata altrove.
Nella fuga dei pubblici poteri dalle responsabilità che non sono, però, quelle di ficcare il naso nel recinto delle imprese.

La sinistra non teorizzava la presenza pubblica in economia?
Lo Stato non deve diventare imprenditore ma essere il punto di vista dell'interesse globale e su questo indirizzare i finanziamenti alle attività produttive. Non possiamo avere il 90% di microaziende che come lillipuziani faticano a competere con il Gulliver della globalizzazione.

E allora cosa propone alle imprese?
Finanziamenti che incentivino la crescita dimensionale, la crescita qualitativa e l'ambientalizzazione degli apparati produttivi, la formazione permanente. Questi sono fattori competitivi nella mia visione: mettere insieme sapere e lavoro, cercare un compromesso avanzato tra economia ed ecologia. E invece qual è la politica del governo?

Ha finanziato gli ammortizzatori: per lei non ha valore?
Ma qual è stata la politica industriale? Non c'è stato per lungo tempo nemmeno un ministro. Quello che è accaduto meritava da parte di Confindustria una reazione ben più forte rispetto a quella timidissima che c'è stata. Per non parlare del ruolo che ha avuto nelle relazioni sociali: il governo da arbitro si è trasformato in parte avversa a una squadra. Mai l'Italia ha avuto un ministro come Sacconi che è entrato nel gioco drogandolo e truccandolo.

Perché si schiera con una parte minoritaria, quella che ha detto no a Pomigliano, no all'aumento di salari a fronte di incrementi di produttività?
Perché è una frottola, una costruzione ideologica. È dire: stiamo investendo al Sud. Invece chiude Termini Imerese. Oggi Marchionne ha quote impressionanti di cassa integrazione e lavoratori in uscita. Le sue formule assomigliano a un depistaggio. Il salario si conquista con la lotta, non con una generosità unidirezionale.

E con la produttività. Perché qui è più bassa che ovunque?
Perché sono asini quelli che non hanno investito in innovazione. Non si poteva pensare che Cina e India avrebbero continuato a produrre mutande e calzini. Lo sa che il gioco più importante dei bambini indiani sono le olimpiadi di matematica? La Cina sforna mezzo milione di ingegneri all'anno e l'India 200mila mentre la maggior parte dei ragazzi italiani di terza media non ha cognizione precisa delle quattro operazioni. Siamo all'analfabetismo di ritorno e Tremonti taglia 8,5 miliardi alla scuola e 1,4 miliardi all'università mentre la competizione sui bassi costi e le scarse tutele sta finendo.

Lei vuole essere l'espressione politica della Cgil?
Non ho messo in piedi il partito della Cgil. Non voglio un partito malato di neo-collateralismo e penso che i sindacati abbiano sbagliato sempre quando l'hanno fatto. Ma il sindacato non può mai essere filogovernativo. Sono grato alla Fiom che a Pomigliano o Melfi non ha fatto battaglie minoritarie e ha continuato a chiedere un negoziato. Ma mettere in discussione il diritto alla salute o allo sciopero con l'alibi dell'assenteismo è insopportabile.

Marchionne ha investito mentre mancano i capitali esteri, l'altolà Fiom rischia di allontanarli definitivamente?
Torno da Parigi dove milioni di lavoratori sono in piazza insieme a tutti i sindacati e a tutti i partiti di opposizione. Mi sembra che la conflittualità non sia il problema italiano. Piuttosto, il sito del ministero dello Sviluppo fa sapere che in Italia per fare un'opera dai 100 milioni di euro in su ci vogliono dai 12 ai 20 anni. Cosa risponde Berlusconi che, con brevi pause, governa dal '94?

E lei cosa risponde a un mondo del lavoro che vi ha puniti alle elezioni lasciandovi fuori dal Parlamento?
La sinistra ha due limiti: una cultura compatibilista subalterna che, d'istinto, tra Marchionne e gli operai pensa di dover stare con Marchionne. Quella si è suicidata. L'altra sinistra è invece innamorata del minoritarismo, dell'estetica della sconfitta, della sociologia del dolore. Queste due sinistre, una riformista e una radicale, hanno determinato una globale sconfitta culturale.

E il velleitarismo? Quelle promesse che non fanno i conti con il debito pubblico e segnalano che abbiamo vissuto sopra i nostri mezzi?
Questa è una rappresentazione semplificata e fiabesca. Noi siamo in una condizione disatrosa a causa di politiche liberiste. Artefice è Giulio Tremonti, con qualche corresponsabilità di Padoa-Schioppa. Siamo un paese in cui la politica di contenimento del debito è stata fatta come fuga dalla crescita. Siamo di fronte al paradosso che Tremonti taglia la spesa sociale come mai mentre cresce la spesa pubblica come mai: miracoli della finanza post-creativa! Questo è un paese socialmente ridisegnato dalla destra per cui il 10% possiede il 50% della ricchezza. È un paese in cui la rendita si è mangiata la ricchezza prodotta dal lavoro. Lì bisogna andare a bussare.

C'è ancora il "rischio Unione" per il centro-sinistra?
Il rischio è un altro. Che ci si innamori dell'idea di un governo di transizione che congeli tutto fino alla scadenza naturale della legislatura. Ma un governo che mettesse insieme centro-sinistra e parti del centro-destra per fare le riforme economiche sarebbe un colpo alla democrazia.

Parla come Berlusconi...
Ma le ragioni sono opposte. Un tale governo sarebbe contro il lavoro perché sposerebbe il paradigma liberista. E offenderebbe le regole elementari della democrazia. Sarebbe un atto di assoluto degrado della vita politica.

E la "santa alleanza" per il voto fino a Casini e oltre?
La santità poco si addice alla politica. C'è la necessità di una larga alleanza tra culture riformatrici. E per metterla in piedi servono le primarie e una discussione pubblica sulle parole chiave che possano schiudere le porte a un futuro in cui vinca l'Italia migliore.

©RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2010-10-26/intervista-nichi-vendola-stato-223200.shtml?uuid=AYqEOVeC&fromSearch
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« Risposta #12 inserito:: Novembre 03, 2010, 09:58:47 pm »

Red,   02 novembre 2010, 17:01

Vendola a Berlusconi: Politica     


Il "teatro della virilità" esibito da Silvio Berlusconi, "l'avanspettacolo continuo" che va in scena "mettono tristezza".
Ma di fronte a quella "minuscola enciclopedia dell'imbecillità", di fronte "al tuo regno che smotta paurosamente nel fango e nell'immondizia" non c'è altro da fare "da parte tua che un'uscita di scena all'insegna del decoro" perché "le ragazze e i ragazzi nel nostro Paese non vogliono fuggire né prostituirsi, vogliono una finestra aperta sul proprio futuro. Le tue dimissioni possono dare coraggio all'Italia migliore". Nichi Vendola, presidente di Sinistra Ecologia Libertà, si rivolge direttamente a Silvio Berlusconi in un videomessaggio

"Il tempo delle barzellette è finito - dice Vendola - non perché noi di sinistra non sappiamo ridere, ma perché il tuo umorismo, il tuo avanspettacolo continuo, il tuo teatro della virilità, mettono tristezza, sembrano i titoli di coda di un film finito male, vengono percepiti come comportamenti insieme smodati e patetici".

"Le tue barzellette - prosegue il leader di Sel rivolgendosi direttamente al premier - non possono far ridere un Paese che è stremato, impoverito, spaventato, precarizzato, abbandonato. Ed è imbarazzante il fatto che la contesa politica debba avere per oggetto ninfe, escort, festini a luci rosse, non perché noi stiamo violando il tuo diritto alla privacy ma perché tu da troppo tempo stai violando i limiti che la legge e il buon senso impongono a chi ricopre ruoli pubblici di primo piano".
Vendola chiarisce di non aver "mai avuto una avversione preconcetta" nei confronti di Berlusconi e di avere sempre "cercato di avere" rapporti di "correttezza istituzionale e di cordialità umana".
Ma, sottolinea, "è diventato di giorno in giorno più insopportabile lo stile con cui hai condito i tuoi mille monologhi con battute sessiste, con riferimenti umilianti ai corpi di donna considerati alla stregua di prede per le tue interminabili stagioni di caccia, con storielle che grondano antisemitismo, ora persino con battute omofobe. Ma nessuno ha messo in discussione il tuo orientamento sessuale: piuttosto sono gli abusi di potere, le menzogne, la richiesta di impunità, persino la tua ricattabilità, ecco questi sono i temi a cui non dai mai risposta".

"Caro Berlusconi - dice ancora Vendola - le battute, soprattutto quelle volgari, possono ferire. Eppure dovresti saperlo: quella che tu spacci per galanteria spesso si rivela come molestia, le barzellette razziste sono una minuscola enciclopedia dell'imbecillità. E in quanto i gay, se un tuo figlio, un tuo amico, un tuo ministro lo fosse e non avesse il coraggio di confessartelo pensa a quanta gratuita sofferenza gli staresti infliggendo. Tu - continua il leader di Sel - sei l'uomo più potente d'Italia, dovresti persino sentire l'assillo e l'onere di essere un esempio per il nostro popolo, una guida politica e morale. Hai scelto invece di vestire i panni di un Sultano d'Occidente. Ora che il tuo regno smotta paurosamente nel fango e nell'immondizia, ora che molti tuoi generali e caporali cercano di negoziare la propria personale salvezza, sarebbe bello da parte tua un'uscita di scena all'insegna del decoro. Il nostro popolo ha bisogno di pulizia, di verità, di sobrietà, di libertà, di serenità. Signor Presidente del Consiglio - conclude Vendola - le ragazze e i ragazzi nel nostro Paese non vogliono fuggire né prostituirsi, vogliono una finestra aperta sul proprio futuro. Le tue dimissioni possono dare coraggio all'Italia migliore".

http://www.paneacqua.eu/notizia.php?id=16136
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« Risposta #13 inserito:: Luglio 14, 2011, 03:36:49 pm »

SINISTRA

"Addio compagni, meglio amici"

Rivolta online di Sel contro Vendola

Il governatore della Puglia ripudia il termine con cui storicamente si identificano i militanti comunisti, socialisti e radicali.

Ma su internet i simpatizzanti del movimento non ci stanno: "Nichi, ne stai sparando troppe"

di MATTEO PUCCIARELLI


ROMA - Nei Ds che si avviavano a sciogliersi nel Pd la cosa tenne banco per mesi. Ogni volta, un putiferio. Ci si può chiamare ancora "compagni"? Oppure sa di vecchio? Adesso anche Vendola, fino a ieri rifondatore comunista, osa l'impensabile. Alla presentazione del libro di Goffredo Bettini "Oltre i partiti" ha spiegato: "Nel Pci mi dicevano che non si doveva dire 'amico', che bisognava dire 'compagno'. Ho passato tutta la vita a ripetermi questa frase. Ma ora ho capito che era una stronzata, perché è stato un alibi per molti crimini. Io preferisco stare con molti amici, che mi aiutano a crescere".

Le reazioni. Le parole del presidente pugliese hanno fatto presto a fare il giro del web. Anche perché Vendola è il politico italiano più seguito su Facebook 1. Le reazioni dei suoi fan non sono però buonissime. Anzi. Basta fare un giro sul sito ufficiale di Sinistra e Libertà 2 per capirlo. Maurizio, che ci tiene a far sapere di non essere mai stato nel Pci, scrive: "Mi sembra una discussione senza senso, tuttavia dà un po' l’idea dell’evoluzione del pensiero vendoliano degli ultimi mesi. Evoluzione tutta legata alla candidatura alla primarie, per cui se ti definisci 'compagno' sei un cattivone e potresti non prendere i voti del Pd. Un'altra sparata e mi sa che riconsegno la tessera".
Alberto: "Spero sinceramente in un dietrofront da parte tua". Secondo Gianluca "nel tentativo di piacere un po' a tutti ti stai vendendo pure la pelle, che schifo". Giuseppe invece trascrive le parole di Berlinguer: "Secondo qualcuno il nostro partito dovrebbe finire di essere diverso, dovrebbe cioè omologarsi agli altri partiti. Veti e sospetti cadrebbero, riceveremo consensi strepitosi, recidendo le nostre radici, pensando di rifiorire meglio. Ma ciò sarebbe il gesto suicida di un idiota". Tonino fa un parallelismo: "La parola 'compagno' dev'essere come il tuo amatissimo orecchino. La testimonianza concreta che, malgrado sia necessario fare dei buoni compromessi per governare, i 'signori della borghesia' la nostra anima non l'avranno mai. Ci stai?". C'è anche chi difende le parole di Vendola e invita al "coraggio", come Rosanna che dice "la parola 'compagno' bisogna meritarla prima di pronunciarla".

L'uso politico del termine. Non solo nel Pci e nelle sue dirette emanazioni (Pds-Ds, Rifondazione e PdCI) ci si chiamava "compagni". Socialisti e radicali continuano ad utilizzare il termine. Stessa cosa nella Cgil. Negli anni '70, oltre che nella sinistra extraparlamentare, anche i cattolici più progressisti della Cisl utilizzavano il 'compagni', creando malumori diffusi dentro il sindacato "bianco". Nella Dc, infatti, vigeva l'uso di "amici". La parola deriva dal latino e sta per "dividersi il pane". Dentro il Pd, attualmente, ognuno fa un po' come gli pare. Bersani, ad esempio, preferisce il "cari amici e cari compagni". D'Alema, a suo tempo, disse che non avrebbe mai rinunciato al termine. Prodi non lo disdegnava, mentre Veltroni tagliò la testa al toro con il "cari democratici". Solo un anno fa scoppiò di nuovo il caso quando l'attore Fabrizio Gifuni al Palalottomatica pronunciò il saluto classico, tra gli applausi dei militanti Pd, ma scatenando le ire degli ex Dc. Adesso la stessa discussione investe Sinistra e Libertà, nata da una scissione di Rifondazione.
Dove, messa in soffitta la falce e martello, presto potrebbe toccare anche al 'compagno'.

 

(14 luglio 2011) © Riproduzione riservata
da - http://www.repubblica.it/politica/2011/07/14/news/addio_compagni_vendola_meglio_amici_ma_sul_sito_di_sel_parte_la_rivolta-19085989/
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« Risposta #14 inserito:: Novembre 19, 2013, 05:08:48 pm »

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Ilva, Vendola si scusa per le risate. E dice: “Volevo cambiare storia di Taranto”

"L'unica cosa di cui mi vergogno davvero è di aver riso in quel modo di un giornalista che faceva il suo mestiere, e a cui chiedo scusa - fa sapere il leader di Sel -.

La confidenza nelle telefonate con il mio interlocutore ... era normale perché era una confidenza legata a raggiungere degli obiettivi: per me difendere i posti di lavoro"

di Redazione Il Fatto Quotidiano | 16 novembre 2013


“L’unica cosa di cui mi vergogno davvero è di aver riso in quel modo di un giornalista che faceva il suo mestiere, e a cui chiedo scusa”. Il giorno successivo alla diffusione della telefonata con Girolamo Archinà (e delle risate per lo “scatto felino” del pr dei Riva, ora agli arresti domiciliari), per Nichi Vendola è quello del mea culpa. Che arriva su Twitter e in un’intervista a Repubblica (non sul Fatto Quotidiano, che invece vuole querelare per diffamazione). Le scuse sono solo per aver riso del giornalista, senza considerare le domande che quel giornalista aveva rivolto a Emilio Riva: spiegazioni sui tumori che uccidono i tarantini.

Sul quotidiano di Largo Fochetti, tuttavia, il pensiero del governatore pugliese non è ‘costretto’ nei 140 caratteri del social network. E’ un’intervista articolata, in cui il leader di Sel risponde puntualmente alle questioni poste dal cronista. Dopo aver sottolineato ancora una volta che non stava ridendo dei tumori ma dell’atteggiamento di Archinà, successivamente Vendola prova a difendersi. Chiedendo scusa. “Provo un po’ di vergogna per aver riso in qualche modo di un giornalista che stava facendo il suo lavoro” ha detto il presidente pugliese, che poi, sull’accenno alla Fiom come “migliore alleato dell’Ilva”, ha provato a spiegare, sottolineando di aver invitato Archinà “ad avere relazioni industriali proprio con chi, in quel momento, loro ritenevano essere il nemico numero uno, quelli cioè con cui era in conflitto”.

Il cronista, tuttavia, gli fa notare che l’ex responsabile della comunicazione e dei rapporti istituzionali dell’Ilva è coinvolto pesantemente nell’inchiesta sul disastro ambientale. Vendola risponde così: “Ci sono a suo carico indizi molto gravi. Con il senno di poi, non posso che rammaricarmi. Sfido chiunque a ripensare a tutte le telefonate, pure quelle confidenziali, avute con le persone che successivamente rivelate essere differenti”.

“La confidenza nelle telefonate con il mio interlocutore, che era il responsabile delle relazioni istituzionali dell’Ilva, l’ambasciatore della proprietà, era normale perché era una confidenza legata a raggiungere degli obiettivi: per me difendere i posti di lavoro non è una cosa di cui debba vergognarmi” ha poi aggiunto il leader di Sel parlando con i giornalisti al termine del vertice di maggioranza a Bari. “Sono orgoglioso – ha detto il governatore – di aver difeso ogni giorno ogni singolo posto di lavoro cercando di porre tutte le aziende davanti al loro dovere di ‘ambientalizzare’ gli impianti”.

Ai giornalisti che gli chiedevano se fosse pentito di aver fatto quella telefonata, Vendola ha replicato che “ciascuno di noi fa migliaia di telefonate. Il contesto di quella telefonata è quello molto complesso di una stagione in cui dobbiamo provare a spingere l’Ilva sulla strada dell’ambientalizzazione, e il tema di cui discutiamo è il benzo(a)pirene, particolarmente importante su cui noi – ha spiegato Vendola – vogliamo guadagnare dei risultati senza ledere il diritto al lavoro, senza che venga compromessa la questione fondamentale di una città come Taranto, il lavoro. Molti dimenticano che campano dall’Ilva direttamente 20mila famiglie e quello per me è un chiodo fisso”.

Il giorno dopo le polemiche e la bufera mediatica il governatore tenta di spiegare: “Con Archinà sto cercando d’indorare la pillola, di riprendere i contatti, perché quello che mi interessa in quel momento sono le centinaia di lavoratori somministrati, a rischio di perdita del posto, e poi la legge su benzo(a)pirene. Queste sono le cose che mi interessano. Perché avrei dovuto invece vendere la mia anima a Riva? Ho avuto in cambio dei gioielli, dei diamanti, uno yacht, un grattacielo: non ho avuto niente, non c’è neanche un finanziamento lecito che mi riguardi. Quindi, quale era il mio obiettivo se non cambiare la storia di Taranto ridando speranza a quella povera città? Sono dispiaciuto – dive Vendola facendo riferimento al giornalista aggredito da Archinà – ed è del tutto evidente che il maltrattamento era strumentale a quella ‘captatio benevolentiae‘ con il mio interlocutore”.

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/11/16/ilva-ora-vendola-chiede-scusa-al-giornalista-mi-vergogno-di-aver-riso-di-lui/779892/
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