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« inserito:: Dicembre 23, 2008, 11:26:52 am » |
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Sanità modello san raffaele
di Daniela Minerva
Il sottosegretario spiega la sua riforma. Che punta sulla diagnosi precoce e sull'eccellenza.
Ovvero un gruppo di lavoro di 'grandi nomi' di sua fiducia.
Colloquio con Ferruccio Fazio
Ferruccio Fazio, classe 1944, dirigeva il servizio di Medicina nucleare e Radioterapia del San Raffaele di Milano quando Silvio Berlusconi lo ha chiamato a Roma. Con la promessa di fare il ministro della Salute. Gran sportivo, gran viveur, gran decisionista, Fazio ha tutte le caratteristiche per piacere al Cavaliere. Il quale, però, gli ha fatto una promessa che, per ora, non riesce a mantenere. La legge Bassanini ha unificato la salute nel ministero del Welfare e Berlusconi non ha potuto che presentare un solo ministro, Maurizio Sacconi, con tre sottosegretari delegati alla Salute, Fazio, Eugenia Roccella e Francesca Martini. Ma al momento della fiducia al Senato, il governo ha promesso che in tempi brevi la Repubblica avrebbe riavuto il suo ministro per la Salute. Poi, l'impasse: Berlusconi vuole Fazio e solo Fazio, ma gli anticorpi al professore nel governo sono tanti e pervicaci. C'è lo stesso Gianni Letta che raccoglie le preoccupazioni di tutti, del Vaticano in testa che non vuole alla Salute un non fedelissimo e ha imposto Roccella come sottosegretario, e di una parte di Forza Italia. Poi c'è la Lega che spinge la Martini, bionda e tosta, amatissima da Bossi in persona. Così, Fazio resta impantanato, e comincia a mordere il freno. Ma il suo stile è spiccio e manageriale e, in questi mesi, il professore ha rivoltato l'ex ministero: ha licenziato un direttore generale di lungo corso come Donato Greco, ha smantellato le 40 commissioni di consulenza che negli anni si erano affastellate a Lungotevere Ripa, ha stravolto l'Aifa (l'agenzia di controllo sui farmaci). E, gli contestano in molti, ha chiamato amici suoi a decidere come cambiare il sistema sanitario degli italiani. In realtà, in tema di salute, oggi chi comanda sul serio è la Conferenza delle regioni che gli sta dando molto filo da torcere. Ma ciò che resta al ministero, oltre all'indirizzo politico, sono un bel po' di denari, come quelli del Piano per la prevenzione, sulla cui distribuzione comincia a montare il dissenso vero. Che rischia di inquinare il progetto-salute del professore. Proprio a partire dal suo metodo di lavoro.
Professor Fazio, con che criterio avete distribuito i fondi per la prevenzione? "Quando sono arrivato al ministero sette mesi fa ho trovato 40 commissioni composte mediamente da 50-60 persone. È ovvio che lavorare in questo modo è impossibile. Quindi ho azzerato le commissioni non previste dalla legge (quelle previste sono Aids, sangue e trapianti, ndr) e ho fatto un gruppo di lavoro di 30 persone, grandi nomi della medicina italiana, integrato da tutti i direttori generali del ministero".
Chi ha deciso che questi fossero i 'grandi nomi'? "Io: ho scelto persone di cui mi fido. E insieme abbiamo identificato delle cose da fare e delle persone che potessero mettere a punto dei modelli per queste azioni. Il mio modo di lavoro è questo: io scelgo le persone e me ne assumo la responsabilità piena. Poi si giudicherà il lavoro fatto. Questo, per quanto riguarda i modelli sanitari, è il modo più rapido di procedere".
Progetti e anche denari? "Finanziamenti dei progetti, che devono essere gestiti in accordo con le regioni. Ma le persone che ho scelto sono al di sopra delle parti".
Cinquecentomila euro a Massimo Fini, che è il fratello del presidente della Camera: non ci vede un conflitto d'interessi? "Il progetto è bellissimo, regionale. Sugli anziani".
Sarà, ma non è questo il punto: lei ci vede un conflitto d'interessi o le sembra una questione di lana caprina? "Le rispondo col cuore: il mio cuore sa che quella è la persona migliore per fare quel lavoro. Io ho conosciuto il presidente della Camera perché me lo ha presentato Massimo Fini, che conosco da anni e che è un ricercatore nel settore dell'anziano estremamente valido. Il mio cuore sa che non c'è conflitto d'interessi".
Al di sopra delle parti: circa un terzo di tutti i fondi per i nuovi progetti (oltre 2 milioni e mezzo di euro) va in Lombardia e 1.250.000 euro sono per il San Raffaele, sua istituzione di provenienza.
"Io sono assolutamente tranquillo sul piano della trasparenza delle scelte. Ovviamente ho scelto persone della cui professionalità sono personalmente certo, che conoscevo. Rispetto alla Lombardia: il mio obiettivo è risanare il deficit di Sicilia, Campania e Lazio, responsabili del 78 per cento del rosso della sanità italiana. Noi abbiamo un sistema sanitario splendido, ma a macchia di leopardo. Siamo in cima alle classifiche mondiali per la nostra sanità, nonostante le regioni non virtuose. Dunque, la nostra attenzione deve essere rivolta al Sud. Ma è evidente che dobbiamo prendere nelle regioni virtuose le competenze capaci di creare modelli di servizi e prestazioni da trasferire nelle altre regioni".
Lei pensa sul serio che stante la condizione della sanità in Sicilia o in Calabria, ad esempio, tutto possa andare a posto col trasferimento di modelli sperimentati in Lombardia o in un'altra regione virtuosa? "Dovranno andare a posto. Anche il Lazio e la Sicilia usciranno dalla crisi, con i piani di rientro e col federalismo".
I piani di rientro a oggi sono piani di tagli senza un progetto, un po' sgangherati... "Noi cerchiamo di indirizzare le regioni su come organizzare i servizi, tagliare il personale, spostare l'assistenza dagli ospedali al territorio. Che poi loro non facciano le cose per bene, perché seguono talvolta altre logiche, non implica che noi dobbiamo smettere di indirizzarle. E anche le sperimentazioni che abbiamo finanziato col piano per la prevenzione ci mettono nelle condizioni di avere ulteriori suggerimenti da dargli".
L'accusa al nuovo piano è quella di dimenticarsi della prevenzione vera per puntare sulla diagnosi precoce, molto costosa e sulla quale in molti guadagnano. "La prevenzione si divide in prevenzione primaria (lotta ai fattori di rischio e vaccinazioni), secondaria (diagnosi precoce e screening per le popolazioni a rischio), e terziaria (per evitare le ricadute in chi è stato malato). È evidente che un programma di prevenzione non si debba limitare alla primaria, come è stato sin ora, ma deve essere completo. Noi abbiamo riempito le lacune lasciate dalle precedenti amministrazioni, con un piano che razionalizzi e implementi gli screening per la diagnosi precoce. Ma non è che abbiamo abbandonato la prevenzione primaria: prevediamo campagne per migliorare gli stili di vita insalubri, di lotta al fumo, per esercizio fisico. Ad esempio, abbiamo un nuovo programma: 'Lo sport come medicina'".
È un progetto che già esiste in Emilia-Romagna. "Loro sono partiti prima. Ma noi abbiamo il progetto come nazionale. Insieme al piano vaccinazioni, al piano contro l'influenza e di strategie di lotta alla pandemia influenzale per la quale dobbiamo essere pronti, in accordo con l'Europa".
Torniamo alle campagne per la diagnosi precoce. Costi e standard organizzativi di screening a tappeto della popolazione rischiano di essere proibitivi per la stragrande maggioranza delle regioni italiane. "Forse, ma cionondimeno dobbiamo avere un piano nazionale. Se non ce l'ho non posso neanche andare a cercare i soldi. Io ho intenzione di risparmiare molto tagliando sprechi e inefficienze, e lavorerò per rimettere quello che risparmio dentro il sistema. Per poter fare screening, ad esempio, per scovare tumori del seno, del colon-retto e della cervice con programmi specifici".
Non pensa che ci sia un rischio di trasformare tutti gli italiani in malati potenziali? "È un rischio reale. E per evitarlo dobbiamo essere molto attenti".
Controllo a tappeto della popolazione in tutta Italia, dieta ed esercizio fisico per tutti, soldi risparmiati dalle inefficienze e reinvestiti in salute. Sembra un po' un catalogo delle buone intenzioni. "Questo è il progetto. Per adesso è chiaro che sono solo titoli. Ma in questi mesi abbiamo anche raggiunto risultati concreti: abbiamo stabilito un dialogo serrato con le regioni, presentato i nuovi livelli essenziali di assistenza che porteranno un risparmio di 850 milioni di euro, preparato il piano sulle liste d'attesa".
Ovvero? "Abbiamo creato quattro fasce che dividono i pazienti secondo l'urgenza della prestazione da erogare determinata dal tipo di patologia: è ovvio che la mammografia per il controllo annuale è programmabile, mentre è urgente se la paziente si è scoperta un nodulo. Col nuovo sistema dovremmo riuscire a decomprimere le liste, ma io mi attendo la loro eliminazione definitiva quando saremo in grado di ridurre esami inutili e medicina difensiva".
E come pensate di riuscirci? "Ad esempio: oggi molti esami di diagnostica per immagini vengono fatti perché i medici temono il contenzioso legale. Stiamo preparando delle misure di legge che metteranno in capo alle aziende il rischio di errore che oggi grava sul medico e che lo spinge a prescrivere un'infinità di esami radiologici per paura della causa legale: 15 miliardi di euro l'anno vengono buttati via in questo modo. E gli esami fatti per placare le paure del medico intasano le liste d'attesa".
(22 dicembre 2008) da espresso.repubblica.it
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