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Autore Discussione: Fiorenza SARZANINI.  (Letto 194877 volte)
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« Risposta #240 inserito:: Luglio 19, 2015, 06:23:43 pm »

Retroscena
IL CASO DEL Comando Generale
Telefonate, sms e riunioni segrete
La guerra per i vertici della Finanza
I contatti del generale Adinolfi con ministri e parlamentari, dalla proroga del suo superiore Capolupo alla prossima designazione del suo successore

Di Fiorenza Sarzanini
«Non è che sto lì a fare il comandante in seconda. Io mi vado a incatenare davanti a via XX Settembre»: così parlava il 28 gennaio 2014 il generale Michele Adinolfi. E invece un anno e mezzo dopo, esattamente lunedì 6 luglio, è diventato comandante in seconda, vice di Saverio Capolupo. Cioè l’uomo che aveva cercato in ogni modo di ostacolare rivolgendosi a politici e ministri - come lui stesso racconta - per impedire che rimanesse al vertice della Guardia di finanza. È l’effetto paradossale di una legge che impone la nomina automatica del generale più anziano. E tanto basta per comprendere quale sia il clima che si respira in queste ore all’interno delle Fiamme gialle. Quanto alto sia il livello di tensione che segna le decisioni di un comandante consapevole di potersi ormai fidare di pochissime persone. Alla scadenza del suo mandato mancano nove mesi, ma quel che potrà accadere sino ad allora nessuno è in grado di prevederlo. Perché i giochi si sono riaperti, le rivalità interne appaiono ora più che mai evidenti e il rischio forte è quello di una lacerazione dei rapporti tra i vertici che può avere effetti negativi sull’intero Corpo. Svariate nomine sono state decise nelle ultime settimane, ma per comprendere davvero che cosa stia accadendo bisogna tornare a tre mesi fa, e sviluppare la trama emersa in un’inchiesta penale che coinvolgeva Adinolfi soltanto marginalmente e invece l’ha fatto tornare, suo malgrado, protagonista.

La visita al Pd
È il 3 aprile quando i giornali pubblicano stralci dell’informativa dei carabinieri del Noe depositata dai magistrati di Napoli dopo gli arresti dei responsabili della Cpl Concordia. Nel documento si evidenzia «la reazione del generale Michele Adinolfi rispetto alla proposta di proroga del generale Saverio Capolupo come comandante della Finanza, manifestando il proposito di non rassegnarsi così facilmente». Ma anche «il fatto che, alla vigilia della proposta di nomina in Consiglio dei ministri del comandante generale della Finanza, Adinolfi si sia recato nella sede di un partito politico (il Pd, ndr) entrando, peraltro, volutamente dalla porta laterale e secondaria». Si fa cenno a «conversazioni del generale con Matteo Renzi e con Luca Lotti» - compreso l’invio di numerosi sms - ma i colloqui sono coperti da omissis e dunque non se ne conosce il dettaglio. Ufficialmente Capolupo non ha alcuna reazione, Adinolfi invece smentisce pubblicamente di aver ordito qualsiasi manovra. Non basta. I rapporti già tesi tra i due diventano gelidi, ai vertici di via XX Settembre appare chiaro quel che fino ad allora si era soltanto sospettato. La «manovra» che qualcuno aveva ipotizzato per evitare che Capolupo ottenesse una proroga del suo mandato adesso si mostra nella sua evidenza, anche se mancano dettagli e non si sa con precisione chi abbia aiutato Adinolfi a tessere la tela dei rapporti politici. C’è soddisfazione per il fatto che Renzi non abbia comunque ceduto alle «pressioni», rimane il problema per il comandante di individuare di chi potersi davvero fidare.

Il capo di stato maggiore
La tensione si riverbera anche in altri settori. Capolupo conta su alcuni fedelissimi, ma appare indebolito. Ci sono numerosi dossier aperti, la squadra che lo affianca talvolta non sembra assecondare pienamente le sue direttive. Il generale capisce che forse è arrivato il momento di effettuare alcuni avvicendamenti. Il capo di stato maggiore Fabrizio Cuneo viene destinato al comando aeronavale centrale - dove intanto era andato Adinolfi - e lascia il posto a Giancarlo Pezzuto che con Capolupo ha già collaborato a Milano ai tempi di Mani Pulite. La nomina a vicecapo dell’Aisi, una delle due agenzie dei servizi segreti, di Vincenzo Delle Femmine consente invece di far tornare a Roma in un ruolo strategico come la guida dei Reparti speciali, Luciano Carta, generale apprezzato e stimato da tutti. Altri incarichi ritenuti importanti per la tenuta e la stabilità della Guardia di finanza - ad esempio il comando Regionale del Lazio affidato a Bruno Buratti - sono stati già decisi. Ma la partita non è chiusa, come del resto dimostra quanto emerso proprio dalle carte processuali di Napoli. La scorsa settimana, quando il Fatto Quotidiano pubblica l’intercettazione di Adinolfi che parla con Renzi del governo guidato all’epoca da Enrico Letta e quelle in cui si raccomanda agli uomini del suo entourage per diventare comandante generale, si svela che cosa è accaduto un anno fa. E si conferma la solidità di rapporti e amicizie consolidati nel corso degli anni sul quale il generale continua a contare. Le nuove carte depositate a Napoli, questa volta senza omissis delineano i contorni della trama e i suoi protagonisti.

«Ci vediamo all’ispettorato»
Ci sono dettagli che spiegano più di mille parole. E sono in molti tra gli ufficiali di vertice ad aver notato quanto si sia impegnato per Adinolfi, il generale ora in pensione Vito Bardi, finito due volte sotto inchiesta a Napoli e poi uscito indenne dalle accuse. Ma anche la familiarità con il generale Giorgio Toschi, il comandante dell’ispettorato istituti di istruzione, fratello di Andrea Toschi, l’ex presidente della banca Arner arrestato nell’ambito dell’inchiesta sulla holding di partecipazione finanziaria Sopaf. Il 17 gennaio, proprio nei giorni di massima agitazione per l’imminente proroga di Capolupo, i carabinieri intercettano una telefonata e annotano: «Bardi chiama Adinolfi e gli dice: “Mi diceva coso che alle 6 sei lì all’ispettorato... poi alle 8 andiamo a prendere le signore”. Dicono che andranno alla Taverna Flavia “tanto per stare un po’ insieme”. Adinolfi dice che sarà “all’ispettorato alle 5.30”». Gli investigatori accertano che la riunione all’ispettorato avviene proprio nell’ufficio di Toschi e la sera i tre vanno a cena con le mogli. Nel ristorante viene piazzata una microspia, l’argomento affrontato è sempre lo stesso: la rimozione di Capolupo. Del resto appena qualche giorno prima Adinolfi lo aveva detto chiaramente anche a Dario Nardella, uno degli uomini più vicini a Renzi e all’ex capo di gabinetto del ministero dell’Economia Vincenzo Fortunato. E se l’era presa con l’allora ministro Fabrizio Saccomanni: «Io non ci vado più, voglio che il ministro lo ascolti, mi sono fatto sentire da ben altri ministri e lui lo sa». Ancor più esplicito era stato in un sms inviato a Luca Lotti: «Siamo tutti senza parole, un ministro che non si sa se resta, che sei mesi prima porta in consiglio una nomina di questa portata».

Adinolfi e Capolupo ora convivono sullo stesso piano al comando generale. I loro uffici sono divisi da un lungo corridoio. La partita per la successione appare ancora tutta da giocare.

fsarzanini@corriere.it
13 luglio 2015 | 07:51
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da -http://www.corriere.it/cronache/15_luglio_13/telefonate-sms-riunioni-segrete-guerra-vertici-finanza-52ae0456-2921-11e5-8a16-f989e7f12ffa.shtml
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« Risposta #241 inserito:: Luglio 30, 2015, 10:12:52 pm »

L’inchiesta
Fiumicino, secondo allarme in due mesi e il timore di una strategia per sabotare l’hub (e il turismo)
La nota che Palazzo Chigi dirama nel pomeriggio per far sapere che il presidente del Consiglio Renzi «ha chiesto chiarimenti» al ministro dell’Interno Alfano

Di Fiorenza Sarzanini

La situazione dell’aeroporto di Fiumicino adesso è un problema di ordine pubblico. La nota che Palazzo Chigi dirama nel pomeriggio per far sapere che il presidente del Consiglio Matteo Renzi «ha chiesto chiarimenti» al ministro dell’Interno Angelino Alfano fa ben comprendere quanto alta sia la tensione nel governo dopo il nuovo episodio che paralizza lo scalo romano e continua a mettere la capitale al centro della ribalta. Il tono usato sembra quello di un «richiamo», inizialmente al Viminale c’è sorpresa e poi anche rabbia per una sortita «così forte che sembra voler dimostrare quasi uno scarico di responsabilità».

In realtà in serata sono gli stessi collaboratori del presidente del Consiglio a chiarire che la richiesta è quella di «trovare una soluzione, lavorare insieme per evitare nuovi gravissimi danni causati da episodi come questi». Lo ripetono più volte: «Piena sintonia con il ministro Alfano, importante è capire che cosa sta davvero succedendo». Nessuno vuole dirlo esplicitamente, ma il problema è verificare se quello che sta accadendo al “Leonardo da Vinci” sia il risultato di una strategia che mira a far danno, a provocare conseguenze gravi all’aeroporto.

A far scattare l’allarme e alzare il livello di preoccupazione è il comunicato diffuso dal Corpo Forestale per sottolineare l’impegno «nelle operazioni di spegnimento dell’incendio», ma soprattutto per evidenziare che la scoperta di «tre differenti focolai farebbe pensare all’origine dolosa». Dolo, e così Renzi parla di «azione criminale» per intendere un sabotaggio che avrebbe evidentemente come obiettivo quello di mettere in difficoltà il settore del turismo, dunque l’economia italiana. Sarà la magistratura di Civitavecchia - che ha già aperto un fascicolo sulla vicenda - a dover verificare se effettivamente qualcuno abbia appiccato il rogo alla pineta di Coccia di Morto o se invece la causa possa derivare dal gran caldo di questi giorni, come del resto è accaduto in altre zone d’Italia, anche vicine a Fiumicino.

Il fatto che ci siano diversi punti di innesco fa sospettare che effettivamente qualcuno possa aver deciso di agire con un preciso obiettivo: mandare in tilt lo scalo. Il fumo provocato dal rogo in quella parte di boscaglia ha fatto in fretta ad invadere l’area riservata ai decolli provocando gravi ritardi alle partenze e un caos generale che si è riusciti a far rientrare soltanto a tarda sera. E in un giorno di massima affluenza come quello di ieri - fine luglio - le conseguenze sono gravi sia per quanto riguarda l’immagine, sia a livello economico. Anche tenendo conto che in serata un altro focolaio, sia pur senza conseguenze sull’operatività di Fiumicino, è scoppiato in un altra parte dello scalo: «Cancello 12», testata Nord della pista 3 zona di Maccarese. In linea d’aria sono circa 5 chilometri dalla pineta di Coccia di Morto e anche su questo adesso saranno svolti accertamenti.

Alfano si mostra prudente: «C’è un’inchiesta della magistratura e quindi aspettiamo i risultati. Sappiamo che il rogo scoppiato all’interno dell’aeroporto il 7 maggio scorso non fu doloso e dunque speriamo che gli accertamenti della magistratura anche su quanto accaduto ieri siano rapidi proprio per arrivare in fretta alla verità e così fare chiarezza su tutto».

Effettivamente le indagini condotte dal procuratore Gianfranco Amendola - confortate anche da alcuni filmati delle telecamere interne e dalle prime relazioni dei periti - hanno escluso che qualcuno possa aver appiccato l’incendio che due mesi fa provocò la chiusura del terminal 3 e conseguenze gravi sia per quanto riguarda i rischi per la salute di passeggeri e dipendenti, sia per l’efficienza delle compagnie aeree.

Il fascicolo è aperto per stabilire eventuali responsabilità dei dirigenti addetti alla sicurezza e adesso si ricomincia su quanto accaduto ieri. Il magistrato ha chiesto informative urgenti alla Forestale e ai Vigili del Fuoco, soltanto dopo aver letto i primi atti deciderà quale reato ipotizzare, ma appare scontato che si proceda per l’ipotesi dolosa. Oggi si deciderà invece se sia necessario potenziare la vigilanza esterna dello scalo, soprattutto per quanto riguarda quei cancelli che confinano con le zone boschive e che sono più esposte al rischio di sabotaggio, ma anche di semplici incidenti. Una decisione che dovrà essere presa con il capo della polizia Alessandro Pansa.

30 luglio 2015 | 07:45
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Da - http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/15_luglio_30/secondo-allarme-due-mesi-timore-una-strategia-sabotare-l-hub-turismo-ef8f316a-367c-11e5-99b2-a9bd80205abf.shtml
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« Risposta #242 inserito:: Agosto 02, 2015, 04:13:05 pm »

Libia, la polveriera che non si può ignorare
I rischi Lasciare un Paese così vicino a noi senza controllo è un’omissione grave

Di Fiorenza Sarzanini

Quando affonda un barcone con decine di migranti, oppure quando uno o più italiani vengono sequestrati, la questione libica torna in primo piano nell’agenda politica. «Bisogna affrontare la crisi e risolvere il problema», si affannano a sottolineare ministri ed esperti. Poi, passata l’emozione, non accade nulla. Va avanti così ormai da mesi con l’apparente urgenza di trovare una soluzione, senza che poi si presenti una proposta concreta e fattibile a livello internazionale. Il massimo impegno era stato promesso a febbraio, quando l’Isis aveva annunciato di aver «conquistato la Libia» e in uno dei video di propaganda uno dei leader avvisava: «Marceremo su Roma». Erano state annunciate missioni di terra e di mare, operazioni di polizia internazionale e una risoluzione dell’Onu per autorizzare l’uso della forza. Nessuna iniziativa concreta è stata invece adottata.

La Libia è una polveriera che rischia di esplodere con tutte le conseguenze che ciò comporta per l’Europa e soprattutto per l’Italia. Lasciare un Paese così vicino a noi senza controllo è un’omissione grave che può avere terribili conseguenze. Oggi sarà in Italia Bernardino Leon, l’inviato delle Nazioni Unite incaricato di trovare un accordo tra le varie autorità politiche che si contendono il governo dello Stato. Nessuno è ancora in grado di dire se i suoi tentativi possano portare a un risultato concreto, ma certo tanti mesi sono trascorsi dalla sua discesa in campo e il tempo appare davvero scaduto.

Stiamo pagando un prezzo altissimo soltanto per il fatto di trovarci dall’altra parte del Mediterraneo e ciò ha trasformato le nostre coste meridionali nella meta principale per i trafficanti di uomini. Ma un costo ben più alto rischiamo di pagarlo se non si riuscirà a fermare la rivalità tra le bande dei miliziani e soprattutto l’avanzata dei fondamentalisti. Anche tenendo conto che in Libia lavorano centinaia e centinaia di nostri connazionali. Una situazione che sarebbe davvero grave continuare a sottovalutare.

21 luglio 2015 (modifica il 21 luglio 2015 | 07:33)
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Da - http://www.corriere.it/esteri/15_luglio_21/libia-polveriera-che-non-si-puo-ignorare-90ff3754-2f69-11e5-882b-b3496f35c4c0.shtml
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« Risposta #243 inserito:: Agosto 02, 2015, 04:16:24 pm »

Non sono escluse in futuro aggressioni alla rete ferroviaria o ricatti industriali
Hacking Team, tutte le indagini sui terroristi bruciate dai pirati
Nell’elenco l’inchiesta sulla Jihad a Brescia. I dati rubati hanno vanificato le intercettazioni

Di Fiorenza Sarzanini

L’arresto dei due stranieri residenti a Brescia e accusati di terrorismo è scattato il 22 luglio, prima che l’indagine fosse «svelata». Le intercettazioni sui computer del tunisino Lassad Briki e del pachistano Muhammad Waqase - sospettati di voler colpire la base militare di Ghedi e compiere altre azioni in nome dell’Isis - erano infatti effettuate con le apparecchiature di «Hacking Team srl», l’azienda milanese finita sotto attacco due settimane fa. E dunque si è deciso di far scattare i provvedimenti prima che fosse troppo tardi e dunque per scongiurare il rischio che potessero scoprire di essere «pedinati» e fuggire. Altre inchieste, «alcune proprio sui fondamentalisti islamici, sono state invece bloccate quando è stato svelato su internet il “codice sorgente” del sistema utilizzato oppure hanno subito gravi danni». A rivelarlo è stato il capo della polizia Alessandro Pansa al comitato parlamentare di controllo. E ha così confermato il danno pesantissimo provocato dall’intrusione dei «pirati» nel sistema della società milanese. In realtà le conseguenze rischiano di essere ben più serie - con attacchi che in futuro potrebbero riguardare le reti elettriche e ferroviarie, ma anche possibili ricatti industriali portati avanti grazie ai dati «rubati» -, però quanto emerso già dimostra quali interessi si muovano dietro l’azione, che non ha ancora un colpevole né un movente preciso.

L’audizione
Il prefetto viene convocato proprio per analizzare che cosa sia accaduto e soprattutto che cosa stia provocando l’attività di hackeraggio contro l’azienda. Lo accompagna il capo della polizia postale Roberto Di Legami, cui sono delegate le verifiche disposte dalla magistratura di Milano. Sia pur rispettando il riserbo sugli accertamenti tuttora in corso e soprattutto quello sui fascicoli che si è stati costretti a chiudere, Pansa lancia l’allarme: «Abbiamo dovuto sospendere l’attività di intercettazione». Il «Remote control system» della «Hacking consentiva di introdursi nei sistemi informativi degli indagati - dunque anche negli smartphone - e in alcuni casi si trasformava in una vera e propria microspia per captare le conversazioni ambientali. Un’attività investigativa preziosa che si è stati costretti ad interrompere perché con il codice sorgente i sospettati avrebbero potuto facilmente scoprire di essere sotto controllo. E in effetti sembra che qualcuno lo abbia appreso proprio azionando l’antivirus, dunque sarebbe stato inutile continuare, se non addirittura dannoso perché sapendo di essere «ascoltati» gli indagati avrebbero anche potuto fornire false piste. Oltre alle inchieste per terrorismo, le intercettazioni in corso riguardavano reati contro la pubblica amministrazione e relativi alla criminalità organizzata.

La prevenzione
In tema di fondamentalismo il grave danno riguarda soprattutto le attività di prevenzione. I controlli vengono infatti effettuati monitorando ciò che gli stranieri residenti tra Roma, Milano, Torino e altre importanti città postano via web, i siti che frequentano, i contatti che hanno, con un’attenzione particolare a quelli nelle zone di guerra o comunque dominate dall’Isis. L’azzeramento del software «Galileo» ha di fatto annullato questa possibilità di intervento e i timori del capo della polizia - condiviso dagli inquirenti - adesso si concentrano su quanto potrà accadere in futuro. Il prefetto ha infatti ribadito che «al momento nessuna azienda italiana è in grado di fornire un servizio simile a quello che “Hacking Team” metteva a disposizione della polizia e delle altre forze dell’ordine». Non solo. E sarà il ministro della Giustizia Andrea Orlando, convocato per la prossima settimana, a dover chiarire quali Procure e quante inchieste abbiano subito danni.

Il movente
Pansa ha rassicurato i parlamentari escludendo che «i computer della polizia possano essere stati violati, perché l’azienda non aveva accesso diretto, ci forniva i suoi programmi sin dal 2004, quando fu firmato un contratto in esclusiva della durata di tre anni. Accordo che fu poi rinnovato senza però prevedere l’esclusiva». E infatti «Hacking Team» lavorava anche con i carabinieri e con l’Aise, il servizio segreto che si occupa di estero. Le verifiche per stabilire quanti e quali dati siano stati trafugati sono tuttora in corso. Rimane privilegiata la pista che qualcuno sia riuscito a rubare i «codici» grazie a complicità interne, ma la convinzione è che si tratti di un’organizzazione legata a uno Stato estero, non necessariamente «nemico». Qualcuno che potrebbe usarli in futuro contro enti, istituzioni o grandi aziende private.

31 luglio 2015 (modifica il 31 luglio 2015 | 12:06)
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Da - http://www.corriere.it/cronache/15_luglio_31/terrorismo-ecco-indagini-bruciate-dall-hacking-team-7fceefa0-373f-11e5-88ac-a32ff5fc69d6.shtml
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« Risposta #244 inserito:: Agosto 02, 2015, 04:22:52 pm »

Il commento
Intercettazioni, altro pasticcio

Di Fiorenza Sarzanini

La materia è complessa, sempre foriera di scontri. Perché quando si discute di intercettazioni il dibattito diventa rovente, c’è sempre il sospetto che alla fine il vero intento sia la censura. E così capita che anche quando il Parlamento è chiamato a discutere di materia analoga, ma molto diversa da quella degli ascolti effettuati per ordine dei giudici, si crei confusione, rischiando di combinare pasticci. Proprio come accaduto due giorni fa, al momento di approvare in commissione alla Camera l’intero pacchetto di riforma del processo penale. Può darsi che sia giusto, oltre che lecito, prevedere il nuovo reato di «registrazione fraudolenta». E ovviamente il Parlamento ne ha tutto il diritto.

Ma se nel giro di un giorno per un emendamento presentato da qualche settimana, licenziato e dunque evidentemente ritenuto giusto, viene poi specificato che dovrà essere cambiato in due punti al momento della discussione nell’Aula di Montecitorio, evidentemente qualcosa non va. E forse quelle «migliorie» che rendono più chiara la norma potevano essere introdotte prima. Evitando polemiche e confusioni che non fanno bene al dibattito parlamentare e nemmeno a quello pubblico. Tanto più in un settore che - grazie a trasmissioni televisive, radiofoniche e online di grande successo - ha ormai a che fare con il diritto di cronaca e di essere informati. Specificare che dalla punibilità potranno essere esclusi i giornalisti e tutti gli altri professionisti può aiutare a chiarire gli intenti del legislatore; così come l’aggiunta che saranno colpiti i comportamenti tesi «soltanto» a danneggiare la reputazione o l’immagine altri. Ma suona comunque stonata una previsione di pena fino a 4 anni di carcere. Addirittura intimidatoria, dopo che - al momento di discutere sulla pubblicazione delle intercettazioni - la maggioranza dei politici si era detta contraria a una misura così drastica e aveva promesso una «battaglia di libertà». Non servono eroismi per affrontare materie tanto spinose, basterebbe la coerenza.

25 luglio 2015 (modifica il 25 luglio 2015 | 07:16)
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Da - http://www.corriere.it/cultura/15_luglio_25/intercettazioni-altro-pasticcio-2adfcdb6-328a-11e5-9218-89280186e97d.shtml
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« Risposta #245 inserito:: Settembre 08, 2015, 04:35:25 pm »

Lo scenario
Migranti, le condizioni dell’Ue all’Italia: «Road map sull’accoglienza o niente partenze per 3 mesi»
Il piano del presidente della commissione Juncker: il nodo delle sanzioni


Di Fiorenza Sarzanini

Ci sono precise condizioni che l’Italia dovrà rispettare per poter distribuire i profughi negli altri Stati. E la più importante riguarda l’obbligo di trasmettere alla Commissione europea una «road map» su quanto è stato fatto e si farà sull’accoglienza. Se la relazione non sarà consegnata nei termini previsti, per tre mesi verrà sospeso il trasferimento dei migranti. Il piano messo a punto dallo staff di Jean-Claude Juncker certamente penalizza il nostro Paese rispetto a Grecia e Ungheria, che con noi sono inserite nella lista di chi viene inizialmente esentato dalla divisione degli stranieri da accogliere visto che ha già abbondantemente superato le quote fissate. La linea stabilita dal governo è quella di accettare le imposizioni purché si raggiunga l’intesa che porti effettivamente a un sistema «permanente e obbligatorio per tutti». Ma su un punto non si torna indietro: nulla sarà fatto - soprattutto non saranno aperti i centri di smistamento - sino a quando l’accordo non sarà operativo. E dunque, in vista della riunione del 14 settembre, si analizzano i nuovi capitoli contenuti nel testo, le regole sulle quali avviare comunque una mediazione.

Percentuale su 8 mesi
Inizialmente si pensava di poter far andare via circa 80 mila migranti. E invece siamo fermi a poco più di 15 mila, che sommati a quelli già calcolati nel luglio scorso portano la cifra a poco meno di 40 mila (su un totale di 115 mila persone al momento in accoglienza). Rispetto a Ungheria e Grecia si tratta di cifre notevolmente inferiori e il motivo è semplice: si è fissata una percentuale al 36 per cento ma riguarda soltanto gli stranieri giunti tra gennaio e agosto del 2015 e non quelli giunti precedentemente. Un criterio che si mira a far modificare sul lungo periodo, quando si andrà a regime e si potrà avere un quadro più preciso sui numeri nei vari paesi.

La sanzione dello 0,1
I Paesi che decidono di avvalersi dell’«opt-out» dovranno versare una sanzione legata al Pil. Nel testo si parla di una percentuale che può arrivare fino allo 0,1 ma qualcuno pensa che non si andrà oltre lo 0,002. In questo caso si tratterebbe di una somma irrisoria e non «gravemente onerosa» come si era stabilito inizialmente. In realtà la Commissione - al termine di negoziati andati avanti per tutta la settimana e tuttora in corso - ritiene più efficace limitare al massimo le possibilità di chiamarsi fuori. Per questo si è deciso di accogliere soltanto le «giustificazioni» davvero fondate e comunque legate a impedimenti reali (ad esempio la necessità di tempo per costruire un campo di accoglienza). In ogni caso l’opzione non potrà mai valere più di un anno.

Il trattato di Dublino
Non sarà una revisione completa, ma la bozza già prevede emendamenti a quel trattato che si è dimostrato inefficace rispetto all’ondata migratoria che ha coinvolto l’intera Europa. L’obbligo di rimanere nel Paese di primo ingresso fino al termine della procedura per ottenere lo status di rifugiato ha infatti convinto la maggior parte dei profughi siriani ed eritrei a non farsi identificare in modo da poter fuggire dall’Italia, dalla Grecia e dall’Ungheria per raggiungere le destinazioni finali negli Stati del Nord. Ma soprattutto ha costretto questi tre governi a provvedere all’accoglienza senza poter destinare subito una parte dei richiedenti asilo lì dove avevano già manifestato l’intenzione di andare.

I rimpatri assistiti
La parte più debole e confusa appare quella che riguarda i migranti economici. Perché è vero che nella bozza della Commissione si parla esplicitamente di «rafforzare la direttiva sui rimpatri e migliorare la collaborazione con gli Stati terzi», ma non c’è un progetto concreto che preveda aiuti e investimenti nelle aree dalle quali partono queste persone e quindi non sembra facile riuscire a ottenere il via libera al ritorno a casa. Per questo l’obiettivo dell’Italia è la riapertura del negoziato per costruire dei campi di accoglienza in NordAfrica.

8 settembre 2015 (modifica il 8 settembre 2015 | 07:55)
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Da - http://www.corriere.it/cronache/15_settembre_08/migranti-condizioni-dell-ue-all-italia-road-map-sull-accoglienza-o-niente-partenze-3-mesi-338fe57a-55e6-11e5-b0d4-d84dfde2e290.shtml
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« Risposta #246 inserito:: Settembre 22, 2015, 06:31:57 pm »

IL DOSSIER L’ERARIO
Funzionari pubblici, tutti gli illeciti
Il caso degli affitti a sette euro
Il rapporto della Guardia di Finanza sui primi sei mesi del 2015: un buco da oltre tre miliardi di euro su sanità, Ferrovie e corsi di formazione

Di Fiorenza Sarzanini

ROMA In appena sei mesi hanno sottratto allo Stato oltre tre miliardi di euro. Sono 4.835 dipendenti pubblici che hanno rubato o sperperato i soldi della collettività. Funzionari, medici, politici, impiegati di primo livello: tutti citati adesso in giudizio dalla Corte dei conti, chiamati a restituire il maltolto. È il rapporto della Guardia di Finanza sui danni erariali contestati tra il 1 gennaio e il 30 giugno 2015 a rivelare quanto profondo sia il «buco» nei conti causato dai lavoratori infedeli. Con un dato che fa impressione: più di un miliardo di euro è stato perso con la cattiva gestione del patrimonio immobiliare. Case concesse in affitto a prezzi stracciati, terreni mai utilizzati, edifici svenduti rappresentano la voce più consistente della relazione.

Corrotti e truffatori
Sono 1.290 le segnalazioni inviate dalla magistratura ordinaria o direttamente dagli stessi finanzieri ai giudici contabili. I numeri dimostrano come nei primi sei mesi di quest’anno ci sia stata una vera e propria impennata con contestazioni pari a un miliardo e 357 milioni di euro, il 13 per cento in più di tutto il 2014. Vuol dire che aumenta il malaffare, ma anche che l’attività di controllo delle Fiamme gialle diventa più incisiva, si concentra in quei settori ritenuti maggiormente a rischio rispetto alla possibilità di un arricchimento personale. Le accuse per i dipendenti pubblici sono corruzione, concussione, truffa, ma anche turbativa d’asta, appropriazione indebita, abuso d’ufficio. Nell’elenco compare anche chi, per inerzia o incapacità ha provocato un disservizio e quindi deve essere sanzionato.

Appartamenti a 7 euro
Sono migliaia gli immobili dai quali lo Stato potrebbe ricavare guadagno e invece si trasformano addirittura in un costo. Un capitolo a parte riguarda le case popolari. Da Lecce ad Aosta i finanzieri sono impegnati in indagini e verifiche per stanare i morosi e tutti i privati che versano canoni irrisori. Perché in questi casi bisogna accertare se si tratti esclusivamente di cattiva gestione o se, come è stato scoperto in Puglia, la concessione dell’immobile sia in realtà una contropartita, ad esempio per ottenere voti alle elezioni. I casi sono diversi, la somma provoca una voragine nei conti. C’è il Comune in provincia di Bolzano che non riscuote l’affitto per l’occupazione di suolo pubblico e perde 350 mila euro, ma c’è anche il direttore dell’Agenzia territoriale di Asti noto per l’accusa di aver sperperato 9 milioni di euro. È ancora in corso la verifica sulle case del Comune di Roma affittate a sette euro al mese, e quella sul patrimonio dell’Inps, ma è già finita l’indagine sul Comune di Nepi, in provincia di Viterbo, dove «reiterati episodi di “mala gestio” tramite una serie di artifizi, raggiri e ammanchi di cassa al patrimonio» avrebbero causato un danno di un milione e 200 milioni di euro».

I manager della sanità
Quello della sanità si conferma un settore dove continuano sprechi e abusi, non a caso in appena sei mesi il danno contestato supera gli 800 milioni di euro. Gli investigatori delle Fiamme gialle hanno aperto 264 pratiche, 2.325 sono le persone denunciate o arrestate. Un accertamento svolto in 18 Regioni dal «Nucleo speciale spesa pubblica» della Finanza ha consentito di individuare 83 dirigenti medici che hanno provocato un danno al servizio sanitario di 6 milioni di euro. Due le contestazioni principali: «Mancato rispetto degli obblighi di esclusività delle prestazioni da parte dei dirigenti medici per aver accettato incarichi extraprofessionali non autorizzati preventivamente dall’ente di appartenenza e impiego presso altre strutture private convenzionate». All’ospedale di Gallarate, in provincia di Varese, è stato raddoppiato il valore di un appalto a una società esterna incaricata della manutenzione passando da 15 milioni e mezzo di euro a ben 36 milioni per poter - questa è l’accusa per i manager dell’azienda sanitaria - ricavare una sostanziosa «cresta».

I corsi di formazione
La creatività nel settore della Pubblica amministrazione evidentemente non ha limiti. E così è diventato un caso da manuale quello del dipendente di un ente di Catanzaro che per sette anni ha percepito stipendio e pensione. Pochi giorni dopo essere stato congedato per limiti d’età e aver cominciato a incassare l’assegno dell’Inps «ha presentato domanda di riammissione in servizio presso la sua azienda confidando che le esigenze di organico gli avrebbero consentito di tornare immediatamente al proprio posto, cosa che è effettivamente accaduta». Il problema è che nessuno tra i dirigenti si è preoccupato di segnalare la nuova assunzione all’Istituto previdenziale e l’uomo ha incassato illecitamente ben 700 mila euro. Quello dei mancati controlli è uno dei problemi che emerge con evidenza nel dossier della Guardia di Finanza perché provoca danni immensi. Basti pensare a quanto accaduto in Sicilia con 47 milioni di euro sprecati tra il 2006 e il 2011 per corsi di formazione finanziati con soldi pubblici e in realtà mai svolti.

La Polonia e i treni
Emblematico è il caso scoperto a Bari dove i manager delle Ferrovie Sudest hanno speso 912 mila euro per l’acquisto di 25 carrozze passeggeri, le hanno rivendute a una società polacca «incaricata di eseguire interventi di ristrutturazione per 7 milioni di euro» e qualche tempo dopo hanno deciso di riacquistarle a 22 milioni e mezzo di euro provocando un danno alla società pubblica che la Corte dei conti ha stimato in oltre 11 milioni di euro.

21 settembre 2015 (modifica il 21 settembre 2015 | 08:32)
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Da - http://www.corriere.it/cronache/15_settembre_21/funzionari-pubblici-tutti-illeciti-caso-affitti-sette-euro-8c75708e-601c-11e5-9acb-71d039ed2d70.shtml
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« Risposta #247 inserito:: Ottobre 14, 2015, 03:13:49 pm »

Il retroscena
Roma, nei quaderni del sindaco Marino date e nomi cerchiati in verde
L’ultima sfida di Ignazio Marino: con la fascia tricolore al processo di Mafia capitale


Di Ernesto Menicucci e Fiorenza Sarzanini

Roma Ci sono quelli sistemati in ordine alfabetico e dedicati ad ogni assessore e quelli dove ha annotato incontri e telefonate. Sono tutti rigorosamente con la copertina nera e rigida, hanno date e nomi scritti o cerchiati con la penna verde. Ogni tanto c’è anche un post it giallo, forse ad evidenziare meglio le informazioni importanti. Eccoli i tanto temuti quaderni del sindaco Ignazio Marino, le pagine utilizzate negli ultimi mesi per annotare ogni appuntamento, segnalazione, proposta, raccomandazione. Alcuni li conserva a casa, altri in ufficio, ma c’è chi è sicuro che abbia anche un posto più segreto dove custodirli.

Materiale prezioso per il libro che avrebbe quasi finito di scrivere o forse per quella resa dei conti alla quale prima ha minacciato e poi smentito di voler arrivare. Del resto in queste settimane vissute sotto assedio li ha portati con sé anche in televisione, forse a voler dimostrare che di ogni momento ha memoria scritta. È un’abitudine che con il trascorrere del tempo si è trasformata in una sorta di mania. Nel corso dei colloqui il sindaco prende appunti e poi li trascrive sui suoi quaderni, fa veri e propri schemini, evidenzia i punti che ritiene fondamentali.

E forse su una di queste pagine ha sottolineato quella che per lui sembra essere diventata l’ultima sfida: presentarsi in Tribunale il 5 novembre, con la fascia tricolore ancora al collo, per l’inizio del processo su Mafia Capitale, nel quale il Comune si è costituito parte civile. Sarebbe, per Marino, quella «resa onorevole» che tante volte, in queste ore, ha provato ad ottenere dal Nazareno. Un atto pubblico - da parte di Renzi o dei vertici del Pd - per riconoscerli almeno l’«onestà», il fatto di essere stato magari un sindaco un po’ pasticcione con le note spese ma che si è battuto contro il malaffare romano. Una via stretta, però. E anche molto complicata.

Palazzo Chigi preme per avviare la procedura di commissariamento, gli stessi collaboratori più fidati lo sconsigliano, spiegando che avrebbe dovuto porla come condizione al momento di annunciare le dimissioni, non dopo. Nulla ancora si può escludere, neanche una forzatura per protocollare le dimissioni il 16 ottobre in modo che i venti giorni cadano proprio all’avvio del dibattimento. Senza escludere che prima di allora Marino potrebbe essere convocato in Procura per l’indagine sui suoi scontrini. La prima bozza di difesa è quanto dichiarato in questi giorni: «Non faccio io le note spese».

Ci pensano gli uffici, oppure Silvia Pelliccia, la segretaria che ha la delega sul conto intestato al sindaco, dove è «appoggiata» la carta di credito comunale. Lui dovrà comunque ricostruire date e circostanze, facendo ricorso proprio ai quaderni. L’utilizzo dei soldi pubblici a fini privati fa scattare automaticamente l’accusa di peculato. Una via d’uscita potrebbe essere quella della tenuità del reato, ma su questo c’è ancora molto da lavorare.

10 ottobre 2015 | 07:24
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Da - http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/15_ottobre_09/nei-quaderni-sindaco-marino-roma-date-nomi-cerchiati-verde-8b46f5c4-6ebe-11e5-aad2-b4771ca274f3.shtml
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« Risposta #248 inserito:: Ottobre 24, 2015, 12:11:57 pm »

L’inchiesta sull’ANAS
«Usiamo i soldi dalla cassa nostra. Si deve smuovere tutto il mondo».
Parlamentari e ministri nell’agenda della «Dama nera».
Il caso di Delrio
I contatti politici della Accroglianò: il ministro dei Trasporti citato in un dialogo.
Lui replica: «Meduri l’ho visto solo in Transatlantico»

Di Fiorenza Sarzanini

Per ottenere tangenti e favori dagli imprenditori che aiutava a sbloccare le pratiche, la «Dama nera» dell’Anas sfruttava ogni canale, soprattutto politico. Per questo Antonella Accroglianò - arrestata due giorni fa insieme ad altre nove persone - caldeggiava l’interessamento di parlamentari e ministri ai quali sollecitava raccomandazioni proprio per poter passare all’incasso con i titolari delle aziende. L’indagine della Guardia di Finanza si concentra sui soldi che la donna e i suoi sodali avrebbero ottenuto, ma anche sul ruolo dell’ex presidente Pietro Ciucci.
Perché bisogna capire come mai, in numerose intercettazioni, la donna facesse riferimento a quello che «il presidente deve fare». E soprattutto che effetto abbiano avuto le sue insistenze presso alcuni membri dello staff di vertice. Su questo si stanno concentrando le indagini affidate agli investigatori della Guardia di Finanza guidati dai colonnelli Cosimo Di Gesù e Gerardo Mastrodomenico, che potrebbero avere nuovi e clamorosi sviluppi grazie all’esame di tutte le pratiche che il suo ufficio gestiva.

Matteoli e la Fondazione Formiche
Tra i casi gestiti da Accroglianò c’è quello dell’imprenditore Giuseppe Ricciardello che deve ottenere lo sblocco di una penale. I due si incontrano il 5 maggio scorso e, annota la Finanza, «la dirigente Anas gli suggeriva di recarsi presso una Fondazione, da identificarsi, con ragionevole certezza, nella Formiche Onlus (vicina alla rivista fondata da Paolo Messa, oggi nel cda della Rai) dove avrebbe dovuto incontrare l’onorevole Marco Martinelli, il quale si sarebbe attivato attraverso il “direttore generale della Sicilia” e un “assessore”, per la risoluzione di una vicenda, non meglio specificata, riguardante il Ricciardello». La donna spiega che «la questione avrebbe dovuto essere risolta prima che Ciucci lasciasse l’incarico di Presidente». Durante il colloquio «Accroglianò veniva contattata dalla dirigente Anas Elisabetta Parise, Responsabile Giovani della Fondazione, con la quale usa termini in codice per annunciare che Ricciardello sarebbe arrivato. Accroglianò asseriva che Martinelli, con cui l’imprenditore si era incontrato presso Formiche, avrebbe provveduto a contattare Ciucci per la risoluzione di tale vicenda e che anche il senatore Altero Matteoli, si sarebbe interessato alla questione: “Ho detto fai chiamare Ciucci, gli devi dire che i soldi devono uscire dalla cassa nostra noi li anticipiamo e poi glieli ridiamo Cavaliere, qua deve smuovere tutto il mondo, si deve smuovere”». Matteoli dice di «cadere dalle nuvole, mai chiesto a Ciucci di bloccare pratiche».

Le richieste a Delrio e Alfano
La «dama nera» conta molto sulla rete di relazioni. Per questo il 10 giugno scorso, durante un nuovo incontro «chiede a Ricciardello di attivarsi attraverso le sue conoscenze politiche, facendo un chiaro riferimento al Ministro dell’Interno Angelino Alfano, e di essere accreditata, unitamente a Elisabetta Parise, presso i nuovi membri del CdA dell’Anas Cristina Alicata e Francesca Moraci». L’obiettivo lo racconta lei stessa: «Essere nominata dopo la nomina del nuovo Presidente Gianni Vittorio Armani, responsabile dell’Ufficio Gare e Appalti». Secondo gli inquirenti «è ragionevole ritenere che l’interesse della Accroglianò nei confronti del Ricciardello non scaturisca da promesse o dazioni di denaro e altre utilità, piuttosto da legami di conoscenza tra costui e ambienti della politica». In questa ottica si inquadra l’incontro organizzato dall’ex sottosegretario Luigi Giuseppe Meduri tra gli imprenditori catanesi Concetto Bosco e Francesco Domenico Costanzo con «un non meglio individuato ministro». In realtà secondo il contesto investigativo si tratta del titolare delle Infrastrutture Graziano Delrio al quale sarebbe stato sottoposto un progetto; Delrio ha già detto di aver incontrato Meduri «soltanto in Transatlantico».

La diffida a Ciucci
L’inchiesta condotta dai pubblici ministeri Francesca Loy e Maria Calabretta mira anche ad accertare come mai il presidente Ciucci decise di non dare seguito alla diffida del 17 aprile scorso dell’Autorità anticorruzione guidata da Raffaele Cantone «sulla decisione di Bosco e Costanzo di cedere il ramo d’azienda (in realtà l’appalto), relativo alla realizzazione della Variante di Morbegno, in favore di Cossi Costruzioni». Le verifiche hanno infatti accertato che «gli imprenditori catanesi, grazie all’interessamento dei funzionari di riferimento, siano riusciti nel loro intento di ottenere l’autorizzazione richiesta». Per quella pratica sarebbe stata versata alla «dama nera» una tangente da almeno 150mila euro e adesso bisognerà scoprire la donna con chi l’abbia divisa. Del resto i controlli effettuati negli ultimi mesi hanno dimostrato «la prassi diffusa all’interno di Anas di gestire i rapporti con gli imprenditori basandosi più su relazioni personali che su procedimenti e protocolli amministrativi. L’assenza di rigore e formalità costituisce terreno paludoso, la cui rilevanza penale, peraltro, presuppone l’acquisizione di ulteriori elementi di riscontro».

(fsarzanini@corriere.it)

24 ottobre 2015 (modifica il 24 ottobre 2015 | 07:47)
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Da - http://www.corriere.it/cronache/15_ottobre_24/inchiesta-anas-intercettazioni-dama-nera-politici-ministri-delrio-5ca65a9e-7a11-11e5-9874-7180d07bb3bf.shtml
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« Risposta #249 inserito:: Ottobre 28, 2015, 05:51:22 pm »

L’INCHIESTA per mafia
«Palenzona, cene e incontri Così aiutò l’imprenditore»
L’avvocato del vicepresidente di Unicredit: «Aria fritta». E il gruppo bancario replica: «Nessun finanziamento erogato». Un’indagine interna evidenziò le criticità nel rapporto con Bulgarella.
Il 19 agosto a Rapallo per pianificare una riunione milanese

Di Fiorenza Sarzanini

Nel dicembre 2014 Unicredit rese noti i risultati dell’indagine interna sulle società del gruppo che fa capo a Andrea Bulgarella, imprenditore ritenuto vicino al boss mafioso Matteo Messina Denaro, che evidenziavano «diverse carenze nella gestione, considerata non conforme al dettato normativo interno». Nonostante questo il vicepresidente Fabrizio Palenzona si sarebbe adoperato per far «accogliere il piano di rientro della sua notevole esposizione debitoria che prevedeva un abbattimento degli interessi di mora per un ammontare di 5 milioni di euro e il finanziamento pari a 17 milioni e mezzo di euro per due cantieri aperti a Pisa». È quanto emerge dagli atti processuali depositati dai magistrati della Procura di Firenze che la scorsa settimana hanno perquisito lo stesso Palenzona accusandolo di associazione a delinquere finalizzata alla truffa e ad altri reati, con l’aggravante di aver favorito il clan del ricercato di Cosa Nostra. Migliaia di pagine per ricostruire le indagini svolte dai carabinieri del Ros e documentare incontri, contatti, cene organizzate da Bulgarella e dai suoi soci con i manager che dovevano aiutarlo. Compreso un appuntamento proprio con Palenzona.

«È soltanto aria fritta, niente di nuovo. Davanti al tribunale del Riesame ribadiremo l’assoluta infondatezza dell’ipotesi accusatoria», commenta il difensore Massimo Dinoia, mentre Unicredit ribadisce quanto già dichiarato in una nota del 15 ottobre, al termine del consiglio di amministrazione quando è stato «preso atto che dall’esame effettuato dall’Audit limitatamente ai documenti e delibere per evitare ogni interferenza con le indagini in corso, non sono emerse anomalie nei processi, delibere e comportamenti degli esponenti aziendali coinvolti nonché del fatto che ad oggi la Banca non ha assunto deliberazioni definitive e, in particolare, che non risulta approvato alcun progetto di ristrutturazione del debito del Gruppo Bulgarella».

Le richieste ai funzionari
Secondo le informative degli investigatori guidati dal colonnello Domenico Strada «Bulgarella si attiva per sbloccare i finanziamenti da parte dell’Unicredit attraverso incontri coi vertici dell’istituto, attività che sembra abbia superato le perplessità dei quadri intermedi dello stesso istituto, verso il quale il Gruppo risulta avere uno scoperto di oltre 66 milioni di euro a fronte di un credito concordato di poco più di 36 milioni». E dunque, annotano, «si rivolge a Federico Tumbiolo, che con l’intermediazione di Giuseppe Sereni riesce ad ottenere il primo incontro a Milano per le ore 15.00 del 3 luglio 2014 con il vicepresidente Unicredit». Al telefono «Tumbiolo conferma l’appuntamento facendo espressamente il nome di Palenzona e rassicura Bulgarella dicendogli che “Palenzona non è un fesso ma un furbo e che già sa tutto, conosce bene la situazione”». Secondo il Ros «particolare rilievo per il raggiungimento degli obiettivi economici ha avuto l’incontro avvenuto a Milano l’11 settembre 2014 quando Sereni e Tumbiolo, in rappresentanza di Bulgarella, si sono incontrati con Roberto Mercuri (uomo di fiducia di Palenzona) e con gli altri referenti della banca Alessandro Cataldo, capo corporate dell’istituto di credito. E Vincenzo Minchiotti da cui dipende il funzionario non gradito, Verardi».


L’appuntamento in banca
In realtà, secondo quanto emerso incrociando telefonate e controlli, questa riunione sarebbe stata pianificata durante una cena avvenuta a Rapallo il 19 agosto precedente e alla quale avrebbero partecipato Sereni, Tumiolo, Mercuri e Palenzona, tutti ora indagati. Scrivono i carabinieri: «Dalle più recenti conversazioni intercettate sull’utenza in uso a Palenzona emerge lo stretto legame che costui ha con Mercuri al quale, oltre ad assicurargli nella sua qualità di Presidente della società “Aeroporti di Roma” uno stipendio annuo pari a circa 230mila euro come dipendente della medesima società s’interessa anche per trovare il modo, intervenendo personalmente presso Vito Mangano e Lorenzo Lo Presti, rispettivamente direttore risorse umane ed amministratore delegato della società Adr, di fargli ottenere un ulteriore emolumento pari a circa 46mila euro. Nella medesima società lavora anche l’attuale fidanzata del Mercuri, la cittadina romena Talida Stroie».

Secondo le indagini coordinate dal procuratore Giuseppe Creazzo, Mercuri ha un ruolo chiave nella vicenda: «Le conversazioni intercettate sulla sua utenza documentano il costante interessamento per l’approvazione del piano e infatti sollecita un intervento presso Verardi, che lo sta esaminando, affinché Bulgarella possa avere al più presto la disponibilità dei 17 milioni di euro». Non solo. Dalle verifiche del Ros «emerge anche che Bulgarella, intorno a metà gennaio, si è recato direttamente a Milano presso la sede dell’Unicredit dove, come lascia intendere a Leporino, ha incontrato direttamente Palenzona: “ho parlato pure con il vice presidente nazionale della tua banca che abita al trentesimo piano delle vostra sede di Milano”». Conclude l’accusa: «In effetti, grazie all’incessante interessamento di Mercuri, che come tutti sanno, agisce sotto le direttive di Palenzona, il piano di ristrutturazione è stato approvato il 23 aprile 2015».

21 ottobre 2015 (modifica il 21 ottobre 2015 | 09:25)
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Da - http://www.corriere.it/cronache/15_ottobre_21/palenzona-cene-incontri-cosi-aiuto-l-imprenditore-50f5895e-77b9-11e5-95d8-a1e2a86e0e17.shtml
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« Risposta #250 inserito:: Novembre 04, 2015, 05:43:02 pm »

L’indagine nella santa sede
Vaticano, le altre carte rubate
Nel computer del prelato anche lo Ior
Gli inquirenti della Santa Sede proseguono negli interrogatori alla ricerca di spie.
Anche alcuni hacker potrebbero aver collaborato al furto delle carte riservate

Di Fiorenza Sarzanini

ROMA Ci sono documenti riservati trafugati e non ancora utilizzati. Carte segrete che raccontano quanto accaduto negli ultimi anni allo Ior, l’Istituto finanziario di fatto forziere della Santa Sede. Documenti che in parte sono finiti nei due libri sul Vaticano in uscita domani e in parte hanno preso strade che gli uomini della gendarmeria hanno cominciato a esplorare e che potrebbero portare a nuovi e clamorosi sviluppi. Per questo le verifiche avviate dagli investigatori si concentrano adesso sulle persone che potrebbero aver aiutato monsignor Lucio Angel Vallejo Balda e Francesca Chaouqui a individuare e copiare gli atti veicolati all’esterno. Persone esperte di computer, addirittura in grado di svolgere attività di hackeraggio, con cui i due indagati avevano rapporti. La gendarmeria vaticana li tiene sotto controllo da tempo. Ulteriori riscontri sarebbero arrivati analizzando il computer e il cellulare di monsignor Vallejo Balda. L’analisi dei contatti dell’alto prelato consente di ricostruire la rete dei suoi rapporti degli ultimi mesi. I dati custoditi su pc e cellulare servono infatti a fornire riscontri a quanto è stato acquisito grazie alle intercettazioni e alle verifiche svolte a partire dal maggio scorso. Tenendo conto che già qualche settimana fa monsignor Vallejo Balda avrebbe avuto il sospetto di essere sotto inchiesta e avrebbe effettuato mosse che lo hanno definitivamente tradito. Anche Chaouqui, dopo essere stata convocata in Vaticano, avrebbe avuto la netta percezione di essere stata incastrata e per questo avrebbe deciso di collaborare.

Lei giura di essere una vittima, di non aver fatto nulla. Le indiscrezioni assicurano che l’interesse di chi indaga si concentra pure sul ruolo avuto da suo marito, esperto informatico che ha lavorato a lungo per il sistema di ultimo livello della Santa Sede.

La strategia prevede che i nuovi potenziali protagonisti vengano convocati come persone informate dei fatti, in modo da poter contare sulla loro disponibilità a collaborare. Alcuni avrebbero infatti incarichi in Vaticano e al rischio di subire conseguenze giudiziarie si aggiunge quello di essere allontanati dagli uffici dove lavorano tuttora. Il copione è simile a quello di tre anni e mezzo fa, quando si scoprì che le «spie» erano più d’una, ma l’unico a pagare - almeno ufficialmente - è stato il segretario di papa Benedetto XVI, Paolo Gabriele. Adesso la partita appare addirittura più grande perché colpisce direttamente l’opera di rinnovamento portata avanti dal pontefice, ma soprattutto perché ha come obiettivo principale il settore economico e finanziario della Santa Sede.

Lo Ior rimane lo snodo cruciale di questa nuova indagine sui «corvi» del Vaticano perché, nonostante gli impegni per una collaborazione reale con la magistratura italiana, molte reticenze hanno segnato il rapporto con i pubblici ministeri titolari di inchieste che hanno riguardato conti aperti presso l’Istituto o comunque depositi collegati in altri istituiti di credito, prima fra tutti Deutsche Bank. E questo avvalora il sospetto che la nuova fuga di notizie possa in realtà riguardare anche l’identità dei titolari, le movimentazioni degli ultimi anni effettuate anche per sfuggire ai controlli. E dunque diventare arma di ricatto visto che si tratta di documenti rimasti riservati.

L’esistenza di questi conti, almeno un centinaio nella maggior parte cifrati proprio per nascondere il nome di chi li ha aperti e gestiti, era stata confermata dai nuovi vertici dello Ior pur con la precisazione che sarebbero stati chiusi entro breve. I titolari sono infatti «laici» ma lo statuto dello Ior vieta che si possano avere clienti non religiosi e, proprio sulla base della trasparenza che avrebbe dovuto caratterizzare il nuovo corso, era stato annunciato un provvedimento di blocco. Non è andata così. Svariati depositi, anche quelli utilizzati per il transito di proventi illeciti come è stato documentato da indagini svolte dall’autorità giudiziaria italiana, sono tuttora attivi. E proprio questo potrebbe aver alimentato l’interesse di chi ha trafugato le carte dal sistema informatico, ma anche dai fascicoli custoditi nell’archivio della Cosea, la Commissione referente per lo studio dei problemi economici e amministrativi, di cui Balda e Chaouqui facevano parte.

4 novembre 2015 | 07:11
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Da - http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/15_novembre_04/vaticano-vatileaks-corvi-altre-carte-rubate-ior-c2ef50f4-82b7-11e5-a218-19a04df8a451.shtml
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« Risposta #251 inserito:: Novembre 04, 2015, 06:20:49 pm »

L’indagine
Vaticano, violato il secondo livello del sistema di sicurezza
La pista di una vendetta
L’analisi del pc e del telefono di Vallejo è servita per fornire gli ultimi riscontri investigativi.
Caccia al movente

Di Fiorenza Sarzanini

Qualche giorno fa monsignor Lucio Angel Vallejo Balda si è rivolto a un avvocato. La gendarmeria vaticana gli aveva appena sequestrato computer e cellulare, evidentemente l’alto prelato ha capito di essere ormai in trappola. Del resto l’indagine avviata sei mesi fa sulle intrusioni nel sistema informatico della Santa Sede aveva già consentito di individuare i canali di accesso e i destinatari dei documenti riservati degli uffici finanziari della Santa Sede, compresi alcuni atti della Cosea, la Commissione referente per lo studio dei problemi economici e amministrativi, di cui lui e la sua presunta complice Francesca Chaouqui facevano parte. L’analisi del pc e del telefono di Vallejo è servita per fornire gli ultimi riscontri investigativi a un quadro già delineato. E subito dopo sono scattati gli arresti.

I vecchi «corvi»
La sensazione è che i «corvi» non abbiano mai smesso di volare. Perché è vero che il monsignore e Chaouqui sono espressione del nuovo corso in quanto scelti da papa Francesco. Ma le verifiche svolte in questi mesi avrebbero individuato legami con personaggi già emersi nell’inchiesta sulla fuga di notizie che tre anni fa fece finire in carcere il maggiordomo di papa Benedetto XVI Paolo Gabriele con l’accusa di aver trafugato carte riservate dall’ufficio del pontefice, lasciando però nell’ombra coloro che lo avrebbero «coperto» e aiutato a veicolarli all’esterno. Una vera e propria «rete» di traditori, alcuni dei quali sono adesso sotto controllo e nei cui confronti potrebbero scattare provvedimenti. E forse non è un caso che l’avvocato Giulia Bongiorno, difensore della Chaouqui, voglia precisare che «la mia cliente non ha ammesso alcuna responsabilità, sta semplicemente raccontando alcuni fatti di cui è a conoscenza e altri che la riguardano direttamente».

Altri sotto controllo
Il sistema informatico della Santa Sede ha tre livelli di sicurezza chiamati in codice come gli arcangeli. Il primo, denominato Michele, è quello più alto e protegge le comunicazioni papali e quelle della Segreteria di Stato. Il secondo, Raffaele, riguarda gli uffici ritenuti di media segretezza e comprende proprio quelli violati: la Cosea e il computer del revisore generale delle finanze del Vaticano, Libero Milone, che ha il compito di sovrintendere i conti e i bilanci delle società della Santa Sede. Il suo è un ruolo estremamente delicato visto che ha completa autonomia per quanto riguarda i controlli da effettuare e risponde direttamente ed esclusivamente al pontefice. Il terzo, Gabriele, è invece connesso agli uffici più bassi, compresi quelli aperti al pubblico. Nel corso degli accertamenti affidati agli uomini guidati dal capo della gendarmeria Domenico Giani sarebbe emerso che fino a qualche tempo fa il web master di questo terzo livello era il marito di Chaouqui, ora passato con lo stesso ruolo alla clinica Santa Lucia. Un aiuto fondamentale all’indagine sarebbe arrivato dalle suore americane di Borgo Sant’Angelo, massime esperte di attività contro le azioni di hackeraggio. E adesso si attende quello che potrà accadere perché tra i documenti veicolati ci sarebbe anche qualche «esca». Carte false inserite nel sistema proprio per scoprire l’identità delle spie e i loro contatti esterni.

I nuovi verbali
Nei prossimi giorni Chaouqui dovrà essere nuovamente interrogata dal promotore di giustizia Gian Piero Milano e dal suo aggiunto Roberto Zannotti. Dopo aver ricostruito il percorso degli atti, si sta infatti cercando di scoprire il movente della nuova e clamorosa fuga di notizie. Una delle ipotesi riguarda la vendetta contro papa Francesco da parte di chi si è sentito messo da parte. Quando la Cosea ha concluso i lavori sono stati istituiti la Segreteria e il Consiglio per l’Economia. Alla guida della Segreteria è stato nominato il cardinale australiano George Pell e il suo vice designato era proprio Vallejo Balda, che nella primavera scorsa aveva anche rilasciato interviste proprio per anticipare il suo programma di lavoro. Salvo scoprire qualche giorno dopo di essere stato scartato e al suo posto era stato scelto il maltese Alfred Xuereb. Fuori dai giochi anche Chaouqui, alla quale da qualche tempo era stato addirittura vietato l’ingresso nella città del Vaticano. Vendetta dunque, senza però escludere che sullo sfondo si continuino a muovere coloro che vogliono impedire una revisione vera dello Ior, l’operazione trasparenza che potrebbe svelare davvero chi ha utilizzato e continua ad usare i conti cifrati dell’Istituto. Soprattutto ricostruire il percorso del denaro trasferito su depositi segreti in Italia e all’estero facendo rimanere riservata l’identità dei titolari.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
3 novembre 2015 | 07:18

Da - http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/15_novembre_03/vaticano-violato-secondo-livello-sistema-sicurezza-pista-una-vendetta-95455750-81f1-11e5-aea2-6c39fc84b136.shtml
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« Risposta #252 inserito:: Novembre 07, 2015, 09:57:35 pm »

Le carte
Vaticano, nell’inchiesta sui corvi spunta anche un ex giornalista Rai
Già responsabile di Rai International, ora è funzionario a Palazzo Chigi.
Lavora nella segreteria di Gozi ed è consulente di Nardella


Di Fiorenza Sarzanini

Ci sono altri nomi nell’indagine sui «corvi» del Vaticano. Persone che avevano un legame stretto con Francesca Chaouqui e suo marito Corrado Lanino. Ma anche con numerosi alti prelati finiti al centro degli accertamenti sui documenti trafugati, primo fra tutti monsignor Lucio Angel Vallejo Balda, tuttora in stato d’arresto per ordine delle autorità giudiziarie della Santa Sede. Sono sospettati di aver avuto un ruolo proprio nella veicolazione delle carte segrete. Tra loro, il giornalista Mario Benotti, ex responsabile di Rai International e adesso funzionario di Palazzo Chigi perché nominato capo della segreteria del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Sandro Gozi. Non solo. Da maggio è stato scelto come consulente del sindaco di Firenze Dario Nardella per i rapporti con le confessioni per il dialogo interreligioso. È coinvolto nell’inchiesta della procura di Terni che procede per i reati di intrusione informatica ed estorsione. Ed è sotto controllo nell’ambito degli accertamenti affidati alla gendarmeria vaticana. Si allargano dunque le verifiche sulle «spie» e sui ricatti che sarebbero stati compiuti grazie alla conoscenza di informazioni riservate. E si allunga l’elenco dei casi finiti «sotto osservazione». Uno riguarda i lavori di ristrutturazione dell’appartamento del cardinale Tarcisio Bertone che, si è scoperto, sono stati pagati due volte.

Intrusioni abusive
Chaouqui si conferma figura chiave dell’inchiesta che sta facendo tremare le gerarchie vaticane. Perché l’indagine sulla tela tessuta nel corso degli anni coinvolgendo politici, imprenditori, giornalisti, alti prelati dimostra che i rapporti servivano soprattutto a ottenere vantaggi professionali ed economici. Proprio in questo quadro si inserisce Benotti che, questa è l’accusa, sarebbe stato al corrente dell’acquisizione abusiva di alcuni atti grazie alle intrusioni nei sistemi informatici. Le intercettazioni tra i due fanno emergere un legame stretto e l’utilizzo dei documenti e delle informazioni per fare «pressioni» e così avere incarichi e favori. Il fascicolo di Terni sarà trasmesso a Roma per competenza la prossima settimana, ma numerosi elementi sono già a disposizione della gendarmeria, anche perché sul dissesto della Curia della cittadina umbra, all’epoca guidata da monsignor Vincenzo Paglia, era stata avviata un’inchiesta amministrativa. Adesso bisognerà però scoprire in quali ambiti siano stati sfruttati gli atti segreti, tenendo conto che il giornalista lavora a Palazzo Chigi, ma collabora anche con l ‘Osservatore Romano , è docente a la Sapienza e alla Temple University di Filadelfia. E in passato è stato consigliere della banca popolare di Spoleto.

I ricatti sullo Ior
Dopo la nomina alla Cosea, la Commissione referente per lo studio dei problemi economici e amministrativi voluta da papa Francesco, Chaouqui aveva a disposizione i dossier sulla gestione economica e finanziaria della Santa Sede, compresi quelli sullo Ior e sui conti cifrati. Le verifiche svolte finora hanno accertato che non tutte le carte trafugate sono contenute nei libri pubblicati nei giorni scorsi. Che uso ne è stato fatto? Nella girandola di contatti Chaouqui millantava di aver una soluzione per ogni problema, come quando si è proposta a monsignor Paglia proprio per aiutarlo a risanare i conti della Curia. Con il prelato aveva contatti assidui. Ieri, dopo aver respinto le accuse della magistratura di Terni «perché non ho mai compiuto un’intrusione abusiva in 15 anni di professione», il marito si è detto «pronto a spiegare ogni cosa». E tra le circostanze da chiarire ci sono proprio i rapporti con Benotti, le richieste e gli accordi presi attraverso sua moglie.

La casa di Bertone
Uno dei dossier rubati e poi «venduti» riguarda la ristrutturazione dell’appartamento del cardinale Bertone, il prezzo altissimo dei lavori che alla fine ha superato i 300mila euro. Nei giorni scorsi l’alto prelato ha smentito che i costi siano stati addebitati all’ospedale Bambin Gesù dichiarando di aver pagato di tasca propria la ditta Castelli dopo aver ricevuto la richiesta del Governatorato. L’indagine svolta dalle autorità della Santa Sede rivela invece che l’impresa ha recapitato due fatture: una al Governatorato e una all’ospedale. Entrambe risultano pagate per un totale che supera i 500mila euro.

7 novembre 2015 | 09:29
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/15_novembre_07/vaticano-nell-inchiesta-corvi-spunta-anche-ex-giornalista-rai-81a70916-8528-11e5-8384-eb7cd0191544.shtml
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« Risposta #253 inserito:: Novembre 24, 2015, 06:45:04 pm »

COME CAMBIA IL TRATTATO DI SCHENGEN
L’Unione si blinda, verrà schedato ogni cittadino che rientra in Europa
Alfano: serve un approccio comune tra Stati in modo che si sia sempre interconnessi.
Le esitazioni Il ministro francese Cazeneuve: dobbiamo uscire dagli indugi o l’Europa si perderà

Di Fiorenza Sarzanini

DALLA NOSTRA INVIATA A BRUXELLES Al momento di annunciare l’accordo raggiunto il ministro dell’Interno francese Bernard Cazeneuve lancia la sfida: «Dobbiamo essere in grado di uscire dagli indugi, altrimenti l’Europa si perderà». Parigi non torna indietro, conferma di voler tenere chiuse le frontiere e costringe l’Unione Europea a fare altrettanto. Non c’è alcuna dichiarazione ufficiale, ma il trattato di Schengen è sospeso di fatto. Controlli ai valichi già attivi e nel prossimo mese molto altro si farà. Perché saranno schedati tutti i cittadini che rientreranno negli Stati europei - anche se sono comunitari - e saranno inseriti in banca dati tutte le informazioni su chi viaggia in aereo, con l’archiviazione del Pnr (il codice passeggeri) per almeno un anno.

Controlli «sistematici»
Finora le verifiche venivano fatte a campione, soltanto in casi sporadici. Il consiglio dei ministri europei ha invece chiesto alla commissione di modificare l’articolo 7 e questo vuol dire, come conferma il vice premier e ministro dell’Interno del Lussemburgo Etienne Schneide, che «ai confini esterni dell’Unione devono essere effettuati immediatamente controlli sistematici e coordinati, anche su cittadini europei che godono della libertà di movimento». Vuol dire che sarà registrato il passaporto di chi va all’estero e poi rientra, come finora avveniva solo per gli extracomunitari. Una misura restrittiva, ancor più drastica nei confronti dei migranti «che dovranno essere tutti registrati e fotosegnalati». Il progetto è a lungo termine, ma non è stato escluso di poter creare squadre di polizia di intervento rapido che si occupino esclusivamente di questo.

Banca dati per un anno
Entro la fine dell’anno dovrebbe essere invece operativa la registrazione del Pnr che consente l’accesso anche ai dati sensibili: stato di salute, religione e poi notizie personali sui compagni di viaggio, sui luoghi frequentati a destinazione, sui metodi di pagamento. La novità riguarda sia la durata del periodo di archiviazione delle informazioni che passa da un mese a un anno e soprattutto il fatto che l’accesso sarà possibile anche per i voli interni all’Unione consentendo la creazione di una vera e propria «banca» per le forze di polizia e intelligence che potranno così avere ogni notizia in tempo reale. Finora la direttiva era stata bloccata dalle resistenze di numerosi europarlamentari preoccupati per la violazione della privacy. Adesso, come ribadisce il capogruppo dei socialisti Gianni Pittella «l’impegno è di votare i provvedimenti nel più breve tempo possibile, per rispondere a esigenze non più rinviabili».

Scambio d’informazioni
L’Europa si «blinda» e cerca di mettere a punto la strategia di prevenzione sui traffici illeciti, primo fra tutti quello delle armi. Nel Sis, il sistema informativo di Schengen, saranno inseriti tutti gli esiti delle investigazioni effettuate e i dati relativi ai «foreign fighters», cittadini che vanno a combattere oppure ad addestrarsi in Medio Oriente e poi rientrano in patria. Per il traffico di armi e sul tema del controllo del commercio di armi da fuoco il Consiglio accoglie positivamente le proposte presentate mercoledì dalla Commissione Ue e invita Frontex ed Europol ad assistere gli Stati membri che confinano con i Balcani occidentali «nei maggiori controlli per individuare il traffico illegale di armi».

Sulla necessità di avere un continuo scambio informativo insiste il ministro dell’Interno Angelino Alfano ribadendo che «gli Stati Ue daranno istruzioni alle autorità nazionali di condividere le informazioni e definire un approccio comune in modo che si sia sempre interconnessi, come impone la gravità della situazione». Le premesse ci sono, il rischio è che passata l’emozione per il massacro di Parigi, l’intero «pacchetto» venga rinviato a data da destinarsi. Proprio come accadde dopo gli attacchi a Charlie Hebdo e al supermercato Kosher.

fsarzanini@corriere.it
21 novembre 2015 (modifica il 21 novembre 2015 | 12:43)
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/esteri/15_novembre_21/unione-si-blinda-verra-schedato-ogni-cittadino-che-rientra-europa-f403261e-901f-11e5-ac55-c4604cf0fb92.shtml
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« Risposta #254 inserito:: Dicembre 17, 2015, 07:21:17 pm »

L’INCHIESTA
Banca dell’Etruria, ex vertici indagati per il dissesto.
«Conflitto d’interessi»
Le accuse dei pm e la relazione di Palazzo Koch su finanziamenti per 185 milioni

Di Fiorenza Sarzanini

ROMA - Sono accusati di aver sfruttato a fini personali il ruolo che avevano all’interno dell’Istituto. E di averlo fatto per godere di finanziamenti che altrimenti non avrebbero potuto ottenere. Per questo l’ex presidente di Banca Etruria Lorenzo Rosi e l’ex membro del Cda Luciano Nataloni sono accusati dalla procura di Arezzo di «omessa comunicazione di conflitto d’interessi». L’indagine avviata dai magistrati toscani compie dunque il salto di qualità e punta direttamente ai vertici, individuando possibili responsabilità nel dissesto.

È il primo passo, le verifiche affidate al nucleo Tributario della Guardia di Finanza sono tuttora in corso. E la lista degli indagati potrebbe presto allungarsi, puntando direttamente al management e agli altri componenti del Consiglio di amministrazione. Ma i controlli dovranno anche stabilire come mai né Palazzo Koch, né la Consob misero in guardia dai rischi legati alle emissioni obbligazionarie, e questo nonostante siano state effettuate ben tre ispezioni tra dicembre 2012 e febbraio 2015.

Le contestazioni del procuratore Roberto Rossi a Rosi e Nataloni si rifanno alla relazione di Bankitalia che nel febbraio scorso decise il commissariamento di Etruria. E si riferiscono al periodo che va dal 2013 al 2014, quando vicepresidente era Pier Luigi Boschi, padre del ministro delle Riforme Maria Elena. In particolare nel dossier degli ispettori di Bankitalia veniva evidenziato come pratiche di finanziamento per 185 milioni si siano svolte in situazioni di «conflitto d’interesse» generando 18 milioni di perdite. E subito dopo si parlava del ruolo di Rosi e di due pratiche di finanziamento intestate a Nataloni: una da 5,6 milioni di euro riguardante la società «Td Group» finita in sofferenza, una da 3,4 milioni di euro senza però l’indicazione dell’azienda. Quanto basta — secondo l’accusa — per procedere per «omessa comunicazione del conflitto di interessi» in relazione all’articolo 2391 del codice civile che riguarda proprio gli «interessi degli amministratori».

Proprio in questi giorni il nome di Rosi è finito al centro di una polemica tra il consigliere di Fratelli d’Italia e la famiglia Renzi. Il politico toscano sostiene che, dopo il commissariamento, l’ex presidente di Etruria con la sua Nikila Invest è diventato socio della Party srl, l’azienda che fa capo a Tiziano Renzi, padre del presidente del Consiglio, ed è impegnata nella costruzione di outlet. Un’attività alla quale si dedica anche Nataloni ed è proprio questo ad avere suscitato interesse negli investigatori. I Renzi hanno smentito, ma ieri il politico toscano ha reso note le visure camerali confermando l’intreccio societario.

La relazione di Bankitalia contestava un «buco» di circa tre miliardi di euro. E proprio per cercare di ripianare le perdite sarebbero state emesse le obbligazioni subordinate diventate carta straccia dopo il decreto firmato due settimane fa dal governo proprio per salvare Etruria e altre quattro banche. Bankitalia ha fatto sapere, pur specificando di non aver alcun potere di veto, di aver sconsigliato la vendita ai piccoli risparmiatori. Per questo l’inchiesta dovrà accertare se davvero questa raccomandazione fosse arrivata ai vertici di Etruria e quali siano state invece le indicazioni fornite dai vertici ai responsabili delle varie filiali.

Anche perché si deve tenere comunque conto che è alla Consob che spetta la vigilanza sull’emissione dei titoli di debito destinati agli investitori istituzionali e soprattutto ai risparmiatori, ma non risulta che siano stati mossi rilievi né tantomeno che ci siano state segnalazioni alla magistratura. E anche di questo si cercherà adesso di scoprire le cause.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
15 dicembre 2015 (modifica il 15 dicembre 2015 | 10:02)

Da - http://www.corriere.it/cronache/15_dicembre_15/banca-dell-etruria-indagine-conflitto-d-interessi-e07a3038-a2ad-11e5-bc29-364a59bfeed9.shtml
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