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Autore Discussione: Fiorenza SARZANINI.  (Letto 170669 volte)
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« Risposta #255 inserito:: Dicembre 26, 2015, 11:37:40 pm »

Banca Etruria, ai pm la relazione
Di Bankitalia: in arrivo nuovi indagati
Un pool di quattro magistrati dovrà esaminare le oltre cento denunce di correntisti. 3 miliardi il buco nel bilancio dell’istituto di credito toscano, poi commissariato

Di Fiorenza Sarzanini

Un pool di quattro magistrati di Arezzo per esaminare oltre cento denunce di risparmiatori che sostengono di essere stati truffati dai vertici di Banca Etruria. Saranno al lavoro da questa mattina e si occuperanno dei vari filoni investigativi avviati, ma soprattutto dei nuovi esposti che si sono moltiplicati nelle ultime ore. L’inchiesta sul dissesto dell’istituto di credito toscano entra nella fase cruciale. Già questa mattina la Guardia di Finanza potrebbe consegnare al procuratore Roberto Rossi la relazione di Bankitalia con l’esito del procedimento disciplinare aperto nei confronti dell’ex presidente Lorenzo Rosi, del suo vice Pierluigi Boschi - padre della ministra per le Riforme Maria Elena - e dai componenti del consiglio di amministrazione in carica prima del commissariamento avvenuto nel febbraio scorso.

La valutazione degli illeciti
Si tratta dell’esito dell’ultima ispezione che prelude all’emissione delle sanzioni. Il magistrato dovrà valutare se gli illeciti amministrativi abbiano anche un profilo penale, come del resto è già accaduto per lo stesso Rosi e per il consigliere Luciano Nataloni, indagati per conflitto di interessi sulla base delle contestazioni di Palazzo Koch. L’attenzione degli inquirenti di Arezzo rimane concentrata sui vertici della Banca e sul management. La valutazione su eventuali omissioni commesse da Bankitalia e dalla Consob è invece competenza della Procura di Roma che già da tempo ha aperto un fascicolo sulla vicenda, ma finora non ha formulato alcuna ipotesi di reato.

Peggior rating
Si parte dalle operazioni spericolate che hanno provocato un «buco» di tre miliardi di euro e si arriva all’emissione delle obbligazioni. I magistrati dovranno valutare se i piccoli risparmiatori fossero stati adeguatamente informati dei rischi che correvano. Secondo l’agenzia Fitch - che nel febbraio 2012 assegnò a Etruria un rating (speculativo) di BB+, il peggiore tra tutte le medie banche italiane - già a fine 2011 i crediti «malati» erano il doppio rispetto alla media delle altre banche. Una situazione nota agli investitori professionali che erano restii a comprare se il rendimento era inferiore al 7 per cento e questo avrebbe provocato la decisione di spostare l’interesse sui piccoli risparmiatori che invece erano nella maggior parte dei casi ignari della situazione reale.

21 dicembre 2015 | 07:27
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/15_dicembre_21/banca-etruria-pm-relazione-bankitalia-arrivo-nuovi-indagati-2684cad8-a7aa-11e5-927a-42330030613b.shtml
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« Risposta #256 inserito:: Dicembre 29, 2015, 12:21:32 pm »

L’indagine

PopEtruria, i verbali manipolati per nascondere le maxiperdite
Dati falsi per nascondere le perdite, e conflitti d’interessi non dichiarati.
Così i consiglieri aggiustavano le decisioni. L’ispezione di Bankitalia nell’istituto: «Il consiglio ha per lo più ratificato scelte e decisioni assunte in altre sedi»

Di Fiorenza Sarzanini fsarzanini@corriere.it

Verbali contenenti dati falsi per nascondere le perdite. Resoconti delle riunioni del consiglio di amministrazione, poi commissariato nel febbraio scorso, «omissate» per occultare i possibili conflitti di interesse. Le accuse degli ispettori della Vigilanza ai vertici di Banca Etruria evidenziano irregolarità che dovranno essere adesso valutate dai magistrati titolari delle due inchieste già aperte: il procuratore di Arezzo Roberto Rossi che indaga sul dissesto e il pubblico ministero di Civitavecchia Alessandra D’Amore che si occupa delle obbligazioni dopo il suicidio di Luigi D’Angelo, pensionato che aveva perso 110mila euro. Illeciti elencati nel procedimento disciplinare che potrebbero essere contestati anche penalmente. Perché, evidenziano i funzionari di Bankitalia, «ci sono stati ben cinque verbali di rilievo dell’Internal audit tra dicembre 2013 e maggio 2014 ma insufficiente attenzione è stata prestata dagli organi aziendali alle indicazioni scaturenti dalle verifiche effettuate dallo stesso organismo».

Numeri falsi sulle «sofferenze»
La relazione prende in esame ogni aspetto patrimoniale dell’Istituto di credito e naturalmente si sofferma sulle cause del «buco» nei bilanci che ha raggiunto quota tre miliardi di euro, ma anche su quello che si sarebbe dovuto fare per tentare di arginare le perdite. Ma soprattutto evidenzia quello che è stato fatto per nascondere la situazione reale. Scrivono gli ispettori: «Le analisi ispettive hanno posto in luce significative carenze nella gestione documentale delle partite deteriorate. L’ Internal audit ha sottoposto a verifica un campione di «sofferenze» di importo inferiore a 50mila euro e di «incagli». È emerso che: con riferimento alle «sofferenze» il 57 per cento dei rapporti (307 posizioni su 539) non risultava allineato alla policy aziendale di svalutazione vigente fino al 29 dicembre 2014; per quel che riguarda gli «incagli», il 20 per cento dei rapporto (53 su 264) era da riclassificare a sofferenza mentre, con riguardo alle rettifiche di valore, il 37 per cento (98 posizioni) non risultava allineato alle regole interne.

Le «omissioni» nei verbali
Secondo i funzionari della Vigilanza «il consiglio di amministrazione ha per lo più ratificato scelte e decisioni che sono state assunte in altre sedi». Per questo evidenziano come la «Commissione consiliare informale» composta dal presidente Lorenzo Rosi, dai vicepresidenti Alfredo Berni e Pierluigi Boschi - padre della ministra per le Riforme Maria Elena - e dai consiglieri Felice Santonastaso, Luciano Nataloni e Claudio Salini - presidente anche della «controllata» Banca Federico Del Vecchio - che «insieme ai consulenti ha determinato i percorsi da intraprendere in merito al processo di integrazione e le condizioni alle quali esso si sarebbe potuto realizzare. L’assenza di qualsiasi verbalizzazione delle attività svolte da tale “Commissione” ha concorso a rendere poco trasparente il percorso decisionale». Non solo. Nel capitolo relativo al conflitto di interessi già contestato anche in sede penale a Rosi e Nataloni per aver «omesso di dichiarare che alcune società destinatarie dei finanziamenti concessi da Etruria erano a loro riconducibili», i funzionari della Vigilanza paventano la possibilità che in realtà i vertici fossero perfettamente a conoscenza della situazione. E infatti nel dossier sottolineano: «In alcune sedute del Cda e del Comitato esecutivo si è riscontrata una generica enunciazione nella parte del verbale di “fattispecie ex art.2391) (che appunto punisce chi ha un doppio ruolo e non lo rende noto ndr ), priva tuttavia dei necessari elementi informativi, in particolare la natura, i termini, le origini e la portata degli interessi». Inoltre in tutti i casi in cui le deliberazioni venivano assunte a una livello decisionale inferiore (ad esempio nel Comitato crediti), la possibilità di esercitare ogni forma di controllo era esclusa ex ante».

28 dicembre 2015 (modifica il 28 dicembre 2015 | 12:25)
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/cronache/15_dicembre_28/popetruria-verbali-manipolati-nascondere-maxiperdite-e5be8c68-ad2c-11e5-9cdb-e2ca218c6ee2.shtml
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« Risposta #257 inserito:: Gennaio 25, 2016, 11:30:14 am »

L’emergenza migranti
L’intesa Roma-Berlino su Schengen «Per sospenderlo servirà il sì di tutti»
La proposta al vertice dei ministri dell’Interno Ue ad Amsterdam: chi vorrà sospenderlo dovrà concordare l’iniziativa con gli altri Paesi. L’alternativa, gradita alle nazioni del Nord Europa, è la sospensione di 2 anni dell’accordo sulla libera circolazione

Di Fiorenza Sarzanini
fsarzanini@corriere.it

Lo Stato che vuole ripristinare temporaneamente i controlli alle frontiere dovrà concordare l’iniziativa con gli altri Paesi dell’Unione. In questo modo si creerà un tavolo di coordinamento per evitare iniziative estemporanee che mettono in difficoltà gli altri partner e rischiano di far saltare l’intero sistema. L’ultimo tentativo per tenere in vita il Trattato di Schengen passa dalla proposta, informale, che sarà formulata oggi da Italia e Germania. Al Consiglio dei ministri dell’Interno che si svolge ad Amsterdam, si cercherà una mediazione con chi difende la «linea dura» ponendo come priorità la «blindatura» dei confini esterni. L’alternativa, se non si riuscirà a trovare una soluzione, è la sospensione per due anni dell’accordo sulla libera circolazione. Una possibilità che Roma cerca in ogni modo di contrastare fidando proprio sull’appoggio di Berlino, visto che due giorni fa è stato il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, a dire che «distruggere il sistema Schengen vuol dire mettere l’Europa drammaticamente in pericolo, dal punto di vista politico ed economico». Il pericolo è fin troppo evidente: un’invasione sulle nostre coste con l’apertura di nuove rotte dall’Albania e dal Montenegro e una nuova impennata dalla Libia. I segnali sono già inquietanti: negli ultimi tre giorni sono sbarcati più di mille migranti. Anche il 2016 si annuncia come un anno drammatico per la gestione dei flussi migratori e il blocco di alcuni Stati può stringere l’Italia in una vera e propria morsa.


L’asse del Nord
Danimarca, Austria e Svezia hanno già chiuso i confini con un provvedimento unilaterale provvisorio e, con l’appoggio di Polonia e Ungheria, insisteranno per una sospensione di Schengen per almeno due anni. A maggio i controlli alle loro frontiere dovranno infatti essere interrotti e questo ha alimentato l’ipotesi che vogliano creare una sorta di mini Schengen alla quale parteciperebbero la Germania (che ha preso un provvedimento analogo giustificandolo come necessario di fronte alle iniziative dei Paesi confinanti) e il Belgio, anche se gli analisti sono scettici e ritengono si tratti esclusivamente di una forma di pressione nei confronti di Italia e Grecia affinché rendano operativi i centri di identificazione, i cosiddetti «hotspot» sui quali la cancelliera Angela Merkel ha ribadito di voler «prestare attenzione». Domenica il commissario europeo alle Migrazioni, Dimitris Avramopoulos, ha smentito in maniera categorica - «non esiste alcun piano di questo tipo» - l’ipotesi anticipata dal Financial Times di una estromissione di Atene dall’area Schengen e il ministro degli Esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier, ha rincarato la dose: «Le soluzioni come l’esclusione di alcuni Stati non risolvono nulla». Una posizione sostenuta dai socialisti europei con il presidente del gruppo al Parlamento europeo, Gianni Pittella, che sottolinea come «qualsiasi ipotesi di mini Schengen o di isolamento della Grecia è assolutamente inaccettabile. Invece di velleitarie scorciatoie solitarie gli Stati membri mettano in pratica le decisioni del Consiglio. È l’unico modo per salvare l’Europa da se stessa».

L’appoggio dell’Onu
Sono diverse le questioni all’ordine del giorno di lunedì e tra le principali c’è quella riguardante l’accordo di Dublino con il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, che chiederà nuovamente la modifica di quella norma che obbliga i richiedenti asilo a registrarsi nel Paese di primo ingresso. L’obiettivo è infatti una distribuzione equa all’interno dell’Unione e uno snellimento delle procedure di registrazione. «Noi stiamo facendo la nostra parte - sottolinea il viceministro dell’Interno, Filippo Bubbico - e per questo ci auguriamo che non prevalgano gli egoismi nazionali. Se dovesse cadere il trattato di Schengen saremmo costretti a rivolgerci all’Onu visto che noi abbiamo la responsabilità della difesa del Mediterraneo. Importante è trovare un’intesa su tutti i punti in discussione, tenendo conto che anche sugli hotspot abbiamo rispettato tutte le richieste». Con il via libera alle sue istanze, l’Italia potrebbe a sua volta versare la propria quota per il finanziamento di tre miliardi alla Turchia dove, dall’inizio del conflitto, sono già transitati due milioni di siriani. Si tratta di 280 milioni di euro che dovrebbero però essere scomputati dalla legge di Stabilità, come si è impegnato a fare la scorsa settimana il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, nel pieno dello scontro tra Italia e Ue sui migranti, ma anche su tutti gli altri temi in agenda, con un’attenzione particolare ai provvedimenti sulle banche, e sulla flessibilità.

25 gennaio 2016 (modifica il 25 gennaio 2016 | 08:55)
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Da - http://www.corriere.it/cronache/16_gennaio_25/intesa-roma-berlino-schengen-per-sospenderlo-servira-si-tutti-3f85a48e-c330-11e5-b326-365a9a1e3b10.shtml
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« Risposta #258 inserito:: Aprile 02, 2016, 11:04:40 am »

Le carte dell’inchiesta

Intercettazioni, Guidi al compagno: «Metteremo quella norma al Senato se Maria Elena è d’accordo»
E lui avvisa il dirigente Total: le confermo, Tempa Rossa inserita come emendamento
Parla anche del governatore Pittella: tramite il fratello, ha contatti fortissimi con Renzi


Di Fiorenza Sarzanini

La chiave della storia è nell’sms che Gianluca Gemelli invia al dirigente della Total Giuseppe Cobianchi il 13 dicembre 2014: «Le confermo che Tempa Rossa è stata definitivamente inserita come emendamento del governo nella legge di stabilità. Buon we. Gianluca». Il governo ha dunque dato il via libera, l’affare si può concludere.

Il decreto del governo
Per i magistrati di Potenza è la prova che l’imprenditore «riusciva, per il proprio tornaconto personale e per la buona riuscita dei propri affari, ad utilizzare il ruolo istituzionale ricoperto dalla propria compagna, il ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi». Ma non solo. Perché l’ordinanza di arresto dei dirigenti dell’Eni svela come il progetto da realizzare in Puglia fosse in realtà finito all’attenzione di vari membri del governo, tanto che Guidi parla di un accordo con la responsabile per le Riforme Maria Elena Boschi. E negli atti processuali emerge anche il ruolo del sottosegretario alla Salute Vito De Filippo, che si mette a disposizione di uno degli imprenditori indagati e di alcuni amministratori locali promettendo assunzioni.

«Passa l’emendamento»
Entrare nel progetto «Tempa Rossa» per Gemelli — titolare della società «Its Srl» e «Ponterosso Engeneering» — è di vitale importanza. La sua compagna lo sa bene, ma nonostante il suo interessamento, l’emendamento al decreto «Sblocca Italia» che può fornire il via libera, viene bocciato il 17 ottobre 2014. Lei comunque non si arrende. E il 5 novembre, in una telefonata intercettata, lo rassicura: «Dovremmo riuscire a mettere dentro al Senato se è d’accordo anche Mariaelena (il ministro Boschi, specificano gli investigatori) quell’emendamento che mi hanno fatto uscire quella notte, alle quattro di notte». Lui si informa se riguarda i suoi amici della Total: «Quindi anche coso, vabbè i clienti di Broggi». Lei conferma: «Eh certo, capito? Te l’ho detto per quello».

«Boschi ha accettato»
Gemelli a questo punto informa i suoi interlocutori, i dirigenti della Total che devono concedergli i subappalti, e all’ingegner Cobianchi dice: «La chiamo per darle una buona notizia... si ricorda che tempo fa c’è stato casino, che avevano ritirato un emendamento... pare che oggi riescano ad inserirlo nuovamente al Senato, pare che ci sia l’accordo con Boschi e compagni... che pare... siano d’accordo tutti...perché la Boschi ha accettato di inserirlo... è tutto sbloccato! (ride, ndr)...volevo che lo sapesse in anticipo! mi hanno chiamato adesso... e quindi siamo a posto!». Cobianchi mostra soddisfazione: «Mi sta parlando di Taranto? Vabbè intanto la ringrazio dell’anticipazione, speriamo vada a finire così». Anche nei giorni successivi Gemelli «dimostra una conoscenza approfondita delle dinamiche che regolavano le decisioni che avrebbero dovuto essere assunte in seno al Parlamento perché afferma: “Ci stanno provando, ci stanno provando, mi creda, c’è da leggere, ci sarà da leggere lo Sblocca Italia che dovrebbe andare oggi alle sei. Hanno messo la fiducia e quindi speriamo che esce fuori, perché ci sono le correzioni fino all’ultimo secondo. Non si sta capendo niente, mi creda, non si sta capendo nulla”».

Riunione dal ministro
Le trattative politiche e imprenditoriali sono evidentemente serrate. Il 19 novembre Cobianchi informa un amico di quanto è accaduto. Annotano gli investigatori: «Fa cenno ad una riunione presso il Ministero per lo Sviluppo Economico (rilevano i chiari riferimenti, alla presenza oltre che del Ministro, anche del sottosegretario Simona Vicari). Nel corso della conversazione, Cobianchi rappresentava che Nathalie (Nathalie Limet, amministratore delegato Total ndr) aveva rappresentato al Ministro il problema su Taranto, e che quest’ultimo aveva riferito che avrebbe convocato le Regioni Basilicata e Puglia per risolvere il problema. Il 26 novembre successivo, commentavano ancora i due, si sarebbero tenute due distinte riunioni, prima con Eni e poi con Total. Cobianchi affermava che il Ministro avrebbe detto che li avrebbe messi ad un tavolo e li avrebbe “stanati”. A tal proposito Cobianchi aggiungeva che Pittella era favorevole alle estrazioni».

Renzi e Pittella
Il riferimento è al presidente della Regione Basilicata Marcello Pittella. Del suo ruolo Gemelli parla in una conversazione con Cobianchi. È scritto nell’ordinanza: «Gemelli si soffermava sul ruolo politico assunto da Pittella, e sui contatti “forti” che il fratello di questi, europarlamentare (Gianni ndr), aveva con l’attuale Premier Renzi. E affermava: “ma lui tramite il fratello che è al Parlamento europeo, eccetera, ha dei contatti fortissimi con Renzi e quindi riesce a bloccare cose che ...(ride ndr)... che altri non ci arriverebbero, ma comunque...! Speriamo che comunque funzioni questo Sblocca Italia, si sblocca un pochettino tutto, perché guarda che... gli ultimi investimenti che ci sono in Italia sono i vostri, cioè è inutile che stanno andando a guardare a destra e a sinistra... cioè, gli unici investimenti sono quelli sul petrolio e ce li avete voi... poi se vogliamo far fallire il nostro Paese, andiamo avanti così...”. Un cenno ai due fratelli Pittella, Gemelli lo avrebbe fatto a distanza di tempo anche insieme alla propria compagna, il Ministro Guidi Federica, allorché i due avevano appreso da terze fonti la notizia delle indagini in corso da parte della Procura che potevano in qualche modo interessare pure Gemelli proprio in relazione ai lavori da costui ottenuti in Basilicata)».

31 marzo 2016 (modifica il 1 aprile 2016 | 12:11)
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Da - http://www.corriere.it/politica/16_marzo_31/intercettazioni-guidi-compagno-metteremo-quella-norma-senato-se-maria-elena-d-accordo-2276479c-f77c-11e5-bb62-9cf2392b520a.shtml
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« Risposta #259 inserito:: Aprile 08, 2016, 08:57:37 pm »

Le indagini Le carte
Veleni e tensioni dentro il governo
Un dossier con foto contro Delrio
Le guerre interne all’esecutivo per la gestione degli affari.
Le mosse di Guidi per agevolare le aziende del compagno e le lamentele per le «pressioni» che deve subire dai colleghi.
E in alcune sfuriate si scaglia contro De Vincenti e Lotti

Di Fiorenza Sarzanini

Veleni e ricatti all’interno del governo. Fino alla creazione di un dossier contro il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio. Gli atti dell’inchiesta della procura di Potenza rivelano. E delineano il ruolo del ministro per lo Sviluppo Economico Federica Guidi che si muove per agevolare le aziende del compagno Gianluca Gemelli, ma si lamenta anche delle «pressioni» che deve subire dai colleghi. E in alcune sfuriate si scaglia contro il suo ex vice Claudio De Vincenti, contro il sottosegretario alla presidenza Luca Lotti, dà giudizi poco lusinghieri anche su come è stato scelto il titolare dell’Economia Piercarlo Padoan. Attacca quei componenti del comitato d’affari che definisce il «quartierino». È il 29 gennaio 2015. Gemelli parla con Walter Pastena, prima funzionario della Ragioneria e poi consulente allo Sviluppo Economico, collaboratore di Guidi, dell’imminente nomina del capo dello Stato e di un possibile rimpasto di governo. Annotano gli investigatori della squadra mobile: «Gemelli e Pastena commentano inizialmente la possibile nomina a Presidente della Repubblica di Mattarella.

Gemelli domanda se all’esito di tutto ci sarà un rimpasto

Gemelli domanda se all’esito di tutto ci sarà un rimpasto pesante e se si faccia già il nome di Federica (Guidi). Pastena dice che l’intenzione è quella di fare un’unica infornata delle persone che non sono sottomesse a Renzi». La conversazione continua su interessi personali. Fino a svelare l’esistenza di un dossier con foto contro Delrio.

Gemelli: Io vengo mercoledì e sto fino a venerdì, giovedì, venerdì, quindi problemi non ce n’è però dobbiamo organizzare in fretta quella cosa!

Pastena: allora ci organizziamo...intanto la andiamo a trovare... io ti devo parlare da vicino, molto da vicino... addirittura ti puoi togliere pure qualche sfizio... ma serio ti puoi togliere qualche sfizio ... eh? tieni conto che i Carabinieri prima che tu venissi là, sono venuti a portarmi il regalo in ufficio, perché tu non stai attento. Hai visto il caso di Reggio Emilia? Finito sto casino usciranno le foto di Delrio Cutro con i mafiosi... Tu non ti ricordi quello che io ti dissi, che c’era un’indagine, quelli che hanno arrestato a Mantova, a Reggio Emilia, i Cutresi, quelli della ‘ndrangheta no, te l’ho detto, perché chi ha fatto le indagine è il mio migliore amico, e adesso ci stanno le foto di Delrio con questi.

Gemelli parla dei contrasti interni al governo

Pochi giorni prima, il 14 gennaio 2015, parlando con Franco Broggi, capo ufficio appalti della Tecnimont, Gemelli parla dei contrasti interni al governo. Scrivono i poliziotti: «Gemelli continuava a spiegare di aver messo “in croce” Federica (Guidi), dicendole di fregarsene di tutti (e vedremo come con “tutti” Gemelli intendeva riferirsi ai vari Andrea Guerra, Luca Lotti, ecc.) e di pensare solo ad una persona (riferendosi ovviamente allo stesso Broggi); ed un riferimento lo faceva pure ai vari Montante (Montante Antonello, Presidente Confindustria Sicilia) e Quinto Paolo (capo segretaria della senatrice Anna Finocchiaro)».

«Allora, Federica l’ho messa in croce»

Dice Gemelli: «Ti volevo solo dire quello che sto facendo... Allora, Federica l’ho messa in croce, gli ho detto “senti, figlia mia”, ma io non perché anche l’hanno fatta incazzare Renzi, poi c’è ‘sto testa di c... di questo qua di Luxottica, come si chiama, Andrea Guerra che glielo hanno messo a controllare la cosa dell’acciaieria e l’Ilva! E le stanno rompendo...ho detto “senti tu mollali”, ora c’è Montezemolo che vuole prendersi l’Ice però sotto la Presidenza del Consiglio, no sotto il Ministero dello Sviluppo Economico, voleva fare la guerra di crociate, gli ho detto “senti fammi ‘na cortesia , sta cosa, guarda, se tu metti una combinazione, Renzi - Montezemolo, due che mezzora di lavoro nella loro vita non l’hanno mai fatta e che devono... Non solo questo, però m’ha detto: “Gianlu io c’ho Luca Lotti che mi sta massacrando su ogni cosa di queste ci mette il becco”. Dico, “tu non ti preoccupare».

«Tu pensi sempre che qui le cose si facciano perché c’è...»

Il sedici giugno 2015 Guidi cerca di rassicurare il compagno su altri affari che potrebbe sloccare. E lo informa: «Tu pensi sempre che qui le cose si facciano perché c’è... Allora, io se riesco a mantenerlo, perché domani Renzi ha convocato una riunione alle otto a Palazzo Chigi, quella con Lotti di domani la devo riprogrammare, sperando di riuscire a metterla fra domani e giovedì, prima di andare via... quella roba lì, di cui abbiamo parlato, passa attraverso un’impostazione che finché non riesco a parlare con loro, con lui e con Claudio, non so che piega prenderà, di tutto il mondo che ruota attorno alle società Gse».

«Guidi ribadiva che De Vincenti era la sua rovina»

L’indagine «ha accertato che Gemelli nel gestire (in maniera più o meno lecita) i propri affari, curava gli interessi di un intero, determinato “gruppo” di soggetti stabilmente dediti e decisi a “manovrare” decisioni e procedure che Guidi definisce “combriccola”, “clan”,” quartierino”. Scrivono i poliziotti: «Guidi ribadiva che De Vincenti era la sua rovina, che doveva stare molto attenta a lui, perché sapeva tutto, ed aggiungeva “però siccome è diciamo amico di quel tuo clan lì... prova a prenderci le misure anche tu Gianluca. Gemelli affermava che il soggetto non aveva niente a che dividere con lui. Guidi gli rispondeva “... no, non ha niente a che dividere, ma te e la fida amica Finocchiaro». E ancora: «Sai chi lo ha messo lì Padoan; Innocenti, l’hai capito chi glielo ha messo Padoan? Sempre quel quartierino lì. Oltre al fatto che si conoscono perché andavano a scalare insieme da vent’anni, lui De Vincenti e Padoan... ma glielo ha messo sempre quel quartierino lì... Quelle pedine, cioè De Vincenti da me, non è un caso, non è per farmi un favore, perché De Vincenti è bravo, capito? Come non hanno messo lì Piercarlo per fare un favore a Matteo, perché Piercarlo è bravo”».

6 aprile 2016 (modifica il 7 aprile 2016 | 10:05)
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Da - http://www.corriere.it/cronache/16_aprile_07/tempra-rossa-potenza-nuove-carte-veleni-tensioni-dentro-governo-2262f674-fc3b-11e5-a926-0cdda7cf8be3.shtml
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« Risposta #260 inserito:: Giugno 26, 2016, 05:01:02 pm »

Terremoto Popolare di Vicenza: la Finanza passa al setaccio la sede
Indagati i vertici.
Nel mirino i finanziamenti concessi tra il 2012 e il 2014 e i fondi concessi al gruppo che fa capo al candidato sindaco di Roma, Alfio Marchini

Di Fiorenza Sarzanini

Acquisizione di tutta la documentazione relativa ai finanziamenti concessi tra il 2012 e il 2014. È questa la delega concessa alla Guardia di Finanza dai magistrati di Vicenza che indagano sul dissesto della Popolare di Vicenza. Le perquisizioni sono scattate questa mattina e nel provvedimento viene specificato che «la Banca è indagata per responsabilità amministrativa per fatti penali dei suoi dirigenti perché rispetto ai reati contestati evidenziava un modello organizzativo e di controllo inadeguato o di fatto inattuato». Il riferimento è ai manager della vecchia gestione finiti nel registro degli indagati: il presidente Giovanni Zonin, i consiglieri di amministrazione Giuseppe Zigliotto e Giovanna Maria Dossena, il direttore generale Samuele Sorato, i due vice Emanuele Giustini e Andrea Piazzetta.

Le indagini affidate agli specialisti del Nucleo valutario guidati dal generale Giuseppe Bottillo e quelli del Tributario coordinati dal colonnello Fabio Dametto hanno già consentito di ricostruire il flusso dei finanziamenti concentrandosi su quelli particolarmente onerosi. Sono così emersi i fondi concessi al Gruppo che fa capo all’imprenditore Alfio Marchini, candidato sindaco a Roma alle ultime due tornate elettorali, al gruppo Fusillo e al gruppo Degennaro. In particolare Marchini, così come risulta anche dalle ispezioni effettuate dalla Bce ha ottenuto alla fine del 2014 un totale di € 76,2 milioni di euro; i fratelli Emanuele, Giovanni e Vito Fusillo hanno avuto 10, 3 milioni di euro; i Degennaro sono stati invece finanziati con 27,75 milioni di euro.

Le ispezioni avevano anche evidenziato come «per tutte le operazioni di investimento in titoli di debito sarebbe stata necessaria l’approvazione del Cda»; da un punto di vista creditizio, invece, l’effetto combinato dell’esposizione in essere e della nuova esposizione assunta tramite il titolo di debito avrebbe innalzato il livello di approvazione richiesto. Gli investimenti in azioni avrebbero dovuto seguire l’iter ordinario previsto per gli acquisti di partecipazioni, i.e. la delibera del cda previo parere del Comitato Partecipazioni (nonché del Comitato degli amministratori indipendenti, in caso di conflitto di interessi).

21 giugno 2016 (modifica il 21 giugno 2016 | 10:32)
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Da - http://www.corriere.it/cronache/16_giugno_21/terremoto-popolare-vicenza-finanza-passa-setaccio-sede-850cb1d0-377c-11e6-ad05-6c8e02b5840c.shtml
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« Risposta #261 inserito:: Agosto 09, 2016, 06:16:55 pm »

IL DOSSIER SICUREZZA
L’ondata di migranti dalla Sicilia alla Liguria e il sospetto di una «regia»
Il Viminale: gli antagonisti stanno sfruttando il caos.
Agli stranieri avrebbero suggerito di dirigersi subito alla frontiera italo-francese.
Il rischio è che la situazione possa degenerare


  Di Fiorenza Sarzanini

Potrebbe esserci una strategia dietro il continuo arrivo di migranti a Ventimiglia. Le verifiche effettuate dalla polizia sull’aumento delle presenze nell’area del valico con la Francia fanno emergere un flusso che dalla Sicilia porta direttamente in Liguria. Anche per questo si è deciso di intensificare i controlli, e soprattutto la vigilanza, in tutta la zona dove ormai da oltre un mese stazionano gli stranieri. E di farlo con pattuglie miste italo-francesi proprio per poter garantire un maggiore controllo del territorio con un sistema simile a quello applicato per i tifosi in occasione delle partite ad alto rischio. Il rischio è che la situazione possa degenerare, soprattutto dopo la decisione della Svizzera di applicare le norme sui respingimenti che di fatto stringe l’Italia in una morsa, visto che l’Austria ha già da tempo sospeso il trattato di Schengen.

Cento uomini al giorno
Tra gli stranieri accampati sugli scogli — molti sono sudanesi — c’è chi avrebbe addirittura ammesso di aver ricevuto il suggerimento di dirigersi direttamente alla frontiera con la rassicurazione che non ci sarebbero stati problemi per attraversarla. Le indagini avviate riguardano sia i terminali delle organizzazioni criminali che gestiscono gli spostamenti di chi ha pagato per arrivare in Italia e spesso per raggiungere altri Stati dell’Europa, sia i «No borders» che avrebbero deciso di sfruttare questi movimenti proprio per la loro protesta. Il potenziamento del dispositivo di sicurezza prevede anche un incremento dell’attività di prevenzione antiterrorismo. I responsabili dell’ordine pubblico hanno pianificato un presidio di 100 agenti al giorno, che ieri sono diventati 200 in occasione della prevista manifestazione dei «No borders».

Il doppio filtraggio
Uno spiegamento eccezionale nel timore che la situazione possa all’improvviso degenerare, ma anche che l’affollamento possa consentire a qualcuno determinato a compiere un’azione eclatante di mescolarsi tra la folla e poi agire. Un’eventualità che si è dimostrata più che possibile analizzando il video girato il 4 ottobre 2015 che mostrava l’attentatore di Nizza Mohamed Lahaouiej Bouhlel mentre protesta insieme ad altri migranti nel corso di una manifestazione organizzata proprio dai «No borders». Del resto sono state proprio le indagini sulla strage della Promenade ad aver dimostrato i continui passaggi dello stesso Bouhlel e dei suoi presunti complici tra la Francia e l’Italia. I poliziotti italiani e francesi si muovono dunque in maniera coordinata. Il sistema applicato è quello del doppio filtraggio, che prevede un primo controllo nelle stazioni dove i manifestanti e i migranti arrivano. E una seconda verifica prima che si avvicinino all’area del confine. Alcuni riescono a passare la frontiera a bordo dei treni che vanno verso nord e poi tornano indietro a piedi o in macchina proprio nella speranza di sfuggire all’identificazione. Ma sono davvero pochi quelli che riescono nell’impresa. Altri arrivano direttamente in pullman o in auto.

La protesta violenta
Una segnalazione ha consentito domenica di bloccare tredici persone (tra cui due italiani) che si accingevano a partecipare alla protesta. I sei fermati (cinque francesi e un’italiana) armati di mazze e armi da taglio facevano parte proprio di questo gruppo. Ieri la manifestazione è stata sospesa, la sensazione dei responsabili della sicurezza è che l’emergenza sia però tutt’altro che conclusa. Anche perché la chiusura di tutti i valichi che consentono il transito verso i Paesi del Nord sta facendo salire la tensione tra quei migranti che avevano ricevuto l’assicurazione di poter raggiungere i propri parenti fuori dall’Italia. Accade a Ventimiglia, ma accade anche a Como e nelle zone vicine con una tensione che cresce di ora in ora. La polizia sta organizzando «sfollamenti» di 50 migranti al giorno — soprattutto quelli che vengono «riconsegnati» dalle autorità francesi — in modo da trasferirli al Sud in attesa del rimpatrio o reinserirli nel circuito dell’accoglienza. Con un impegno straordinario che alla fine coinvolge migliaia di agenti.

7 agosto 2016 (modifica il 7 agosto 2016 | 23:56)
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Da - http://www.corriere.it/cronache/16_agosto_08/gli-arrivi-migranti-sicilia-liguria-sospetto-una-regia-bdb864d8-5cdf-11e6-bfed-33aa6b5e1635.shtml
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« Risposta #262 inserito:: Settembre 07, 2016, 11:58:23 am »

Breve e chiara cronistoria del caso Muraro

Corriere della Sera, martedì 6 settembre 2016

Il 2 agosto scorso, mentre infuriava la polemica sul «caso Muraro», Virginia Raggi partecipò a una cena con il «direttorio» del Movimento 5 stelle. Tra gli argomenti affrontati, come fu specificato all’epoca, c’era proprio il ruolo del neoassessore all’Ambiente. Paola Muraro era infatti sotto attacco per la consulenza da oltre un milione di euro ottenuta dall’Ama, municipalizzata dei rifiuti a Roma, e soprattutto per i suoi rapporti con gli ex vertici Franco Panzironi e Giovanni Fiscon, imputati nel processo di «Mafia Capitale». Ma anche per i legami con l’ex ras dei rifiuti a Roma Manlio Cerroni, pure lui sotto processo e indagato nel nuovo filone d’inchiesta avviato dalla Procura di Roma. Ecco perché appare incredibile che Raggi non abbia informato i vertici del partito, come invece sostengono loro, che Muraro era indagata. Anche tenendo conto che Raggi avrebbe confidato a qualcuno di avere una mail che avvalora la sua versione. Ed ecco perché appare importante, per sapere chi mente, ricostruire quanto accaduto a partire dal 18 luglio.

L’istanza alla procura
Quel giorno Muraro presenta una richiesta formale alla procura di Roma, come previsto dall’articolo 335 del codice di procedura penale, per conoscere la propria posizione processuale. E scopre di essere indagata per «gestione illecita di rifiuti» nel fascicolo del pubblico ministero Alberto Galanti sull’attività di Ama e delle ditte che fanno capo a Cerroni. I filoni di inchiesta sono tre, riguardano la gestione degli impianti per lo smaltimento della spazzatura, gli appalti concessi, i contratti stilati da Ama negli ultimi anni. Subito dopo Muraro informa la sindaca, che evidentemente le rinnova la propria fiducia.
Alle 15.30 di quel giorno in Campidoglio inizia una riunione tra Raggi e il cosiddetto «minidirettorio». Partecipano la senatrice Paola Taverna, l’eurodeputato Fabio Massimo Castaldo e il consigliere regionale del Lazio Gianluca Perilli. All’ordine del giorno c’è la discussione sulla prima riunione operativa della giunta prevista per il giorno successivo.

Il Campidoglio
Nei giorni successivi il «caso Muraro» monta. Il 26 luglio l’assessore compie infatti un blitz in Ama con telecamere al seguito e arriva allo scontro diretto con il presidente Daniele Fortini, che poche ore dopo annuncia le proprie dimissioni. Si scopre che la donna è stata consulente dell’azienda per dodici anni, collaboratrice fidata di Panzironi e Fiscon.
Il 31 luglio la sindaca rinnova pubblicamente la propria fiducia all’assessore: «Sta facendo un ottimo lavoro». Entrambe, incalzate più volte sulla possibilità che Muraro sia indagata, negano categoricamente. Eppure all’interno del Campidoglio hanno già informato almeno il capo di gabinetto Carla Raineri «per decidere che cosa fare», come ammette adesso la stessa Raggi. L’indagine prosegue, viene fuori che agli atti di «Mafia Capitale» ci sono tre telefonate tra Muraro e Salvatore Buzzi, ritenuto il capo dell’organizzazione mafiosa insieme con Massimo Carminati.

I vertici a cena
Il 2 agosto viene organizzata una cena. Raggi viene accompagnata dal suo vice Daniele Frongia. Per il Movimento ci sono Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista, Roberto Fico, Carla Ruocco e Carlo Sibilia. Il «caso Muraro» è l’argomento che monopolizza l’attenzione di tutti. Se davvero Raggi non ha informato gli altri dell’iscrizione nel registro degli indagati rischia di essere espulsa, visto che le regole dei 5 Stelle prevedono la trasparenza totale in materia di procedimenti giudiziari. Se invece l’ha fatto bisognerà sapere perché si è deciso di mantenere la notizia segreta.
Resta il fatto che il 4 agosto, Beppe Grillo, Di Battista, Di Maio, Fico, Ruocco e Sibilia lanciano un «hashtag» ed un post sul blog dello stesso Grillo «per difendere il sindaco di Roma da retroscena e notizie false sui rapporti con Virginia e assessori nel tentativo di screditare l’operato del sindaco e nella speranza (vana) di spaccarci». Il titolo scelto per «fare squadra» è eloquente: «Siamo tutti con Virginia». Difficile credere che non fossero tutti d’accordo.

Fiorenza Sarzanini

http://www.cinquantamila.it/storyTellerArticolo.php?storyId=57ce676824165
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« Risposta #263 inserito:: Gennaio 12, 2017, 12:37:26 pm »


L’operazione “Eye pyramid”
Cyberspionaggio, spiati politici e istituzioni: la Polizia arresta ingegnere nucleare e la sorella
Smantellata una centrale che per anni ha raccolto notizie riservate e dati sensibili

Di Fiorenza Sarzanini

Erano riusciti a introdursi nella casella di posta personale di Matteo Renzi e del partito democratico, Giulio Occhionero e la sorella Francesca, arrestati dalla polizia per aver effettuato attività di spionaggio e dossieraggio. Anche Mario Draghi risulta tra le personalità finite sotto intercettazione abusiva. Personaggi della finanza e politici e spiati, sistemi informatici violati, attività di dossieraggi nei confronti di cariche istituzionali: sono le accuse della magistratura romana nei confronti di Occhionero, un ingegnere informatico e di sua sorella arrestati lunedì per procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato, accesso abusivo a sistema informatico aggravato ed intercettazione illecita di comunicazioni informatiche o telematiche. L’indagine svolta dagli specialisti della polizia postale denominata “Eye Pyramid” ha consentito di «individuare una centrale di cyberspionaggio».

Nei confronti di Occhionero e della sorella, entrambi noti personaggi dell’alta finanza capitolina, gli investigatori «hanno acquisito - come viene specificato nella nota della polizia - concreti elementi probatori in merito ad attività criminali da loro pianificate e condotte, consistenti nella gestione di una botnet con finalità di cyber spionaggio in danno di Istituzioni e Pubbliche Amministrazioni, politici di spicco, studi professionali e soggetti di rilievo nazionale».

Secondo l’accusa i due hanno utilizzato «una estesa rete di computer preliminarmente infettati tramite la diffusione di un malware denominato EYEPYRAMID (dal quale prende anche il nome l’operazione), e per anni acquisito dalle numerosissime vittime prescelte notizie riservate, dati sensibili, informazioni, gelosamente custodite su impianti informatici statunitensi, ora sequestrati dagli operatori della Polizia Postale, grazie al prezioso ausilio dei colleghi della Cyber Division dell’F.B.I. statunitense e che consentiranno di accertare quali e quanti dati siano stati illecitamente sottratti.

Le complesse indagini condotte dal Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni, protrattesi per diversi mesi, hanno consentito di individuare una rete botnet molto ben strutturata, frutto di un attacco informatico del tipo APT (Advanced Persistent Threat), ingegnerizzato ad hoc sfruttando un malware particolarmente insidioso, capace di far acquisire da remoto il controllo del sistema informatico bersaglio, e consentire la massiva sottrazione dei contenuti dei pc colpiti. Si legge nel comunicato della polizia: «Tra gli osservati dall’ “Occhio della Piramide” gli appartenenti ad una loggia massonica, archiviati sotto la sigla “BROS” (fratelli) in una cartella piazzata in una delle numerose drop zone all’estero. Con la sigla “POBU” (Politicians Business), invece, venivano catalogati gli esponenti politici target del sodalizio criminale».

10 gennaio 2017 (modifica il 10 gennaio 2017 | 11:43)
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DA - http://www.corriere.it/cronache/17_gennaio_10/politici-spiati-eye-pyramid-polizia-eec9fdb0-d715-11e6-94ea-40cbfa45096b.shtml
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« Risposta #264 inserito:: Febbraio 07, 2017, 06:31:40 pm »

Ora anche Romeo è sotto inchiesta
Accusa di abuso d’ufficio con Raggi
Mercoledì l’interrogatorio: al centro delle verifiche la sua nomina e quella di Renato Marra

Di Fiorenza Sarzanini

Concorso in abuso d’ufficio con la sindaca. Dopo Virginia Raggi e Raffaele Marra, finisce sotto inchiesta Salvatore Romeo, il terzo degli «amici al bar». E ancora una volta al centro della contestazione ci sono le nomine decise dalla sindaca di Roma. L’interrogatorio è fissato per mercoledì mattina, come risulta dall’avviso a comparire che gli è stato notificato ieri. In attesa di ascoltare Marra, detenuto per corruzione nel carcere di Regina Coeli, l’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Ielo fa dunque un nuovo passo in avanti. Evidenziando nuove irregolarità in quello schema che la sindaca aveva concordato proprio con i suoi fedelissimi, tutti sistemati nei posti chiave prima che il «verdetto» dell’Anac di Raffaele Cantone la costringesse a trovare loro una nuova sistemazione.

Nomine e polizze
Nell’atto consegnato ieri sono indicati i reati, ma non i fatti. Sono due i filoni al centro delle verifiche. Uno riguarda la procedura seguita per la scelta delle persone, l’altro l’ingiusto profitto che sarebbe stato procurato. Nel caso di Romeo il passaggio da semplice dipendente a capo della segreteria di Raggi gli aveva fatto triplicare lo stipendio da 39 mila euro l’anno a 110 mila, ridotti a 90 mila dopo i rilievi dell’Anticorruzione e infine tornati a 39 mila. Proprio verificando la sua attività i magistrati hanno avviato verifiche patrimoniali nei suoi confronti e hanno scoperto che aveva accumulato 130 mila euro investiti in polizze vita a partire dal 2013. Due erano intestate alla sindaca, che di fronte ai magistrati ha dichiarato di non averlo mai saputo. Di questo si parlerà nell’interrogatorio di domani, ma pure della designazione di Renato Marra a capo del dipartimento Turismo, per la quale Romeo ha certamente avuto un ruolo.

«Pentito per Marra»
Proprio ieri, un mese e mezzo dopo l’arresto per corruzione del capo del Personale, Romeo ha dichiarato ad Agorà: «Ho conosciuto Marra nel 2013 e ho lavorato con lui bene per un periodo, producendo qualche risultato. In ragione di questo rapporto fiduciario, l’ho presentato a vari esponenti del Movimento 5 Stelle». E quando gli hanno chiesto se fosse pentito ha risposto sicuro: «Pentito è un eufemismo...». Eppure i rapporti che emergono dalle chat rintracciate sul telefonino di Marra raccontano tutt’altra storia, soprattutto dimostrano che era lui il loro punto di riferimento, tanto che subito dopo essere arrivati in Campidoglio furono proprio Raggi e Romeo a scrivergli: «Ci serve la macrostruttura, mandacela come l’hai fatta anche non implementata. Ci serve per parlarne».

L’incontro con Di Maio
È stato l’ex capo dell’avvocatura Rodolfo Murra a raccontare il ruolo di Marra con l’arrivo del Movimento 5 Stelle e il suo potere, tanto che a lui aveva più volte confidato: «Se parlo io viene giù tutto». L’ex funzionario del Campidoglio ha più volte fatto sapere di essere pronto a rivelare ai magistrati quanto accaduto al Comune di Roma negli ultimi mesi, compresi gli interventi esterni di avvocati e giornalisti che cercavano di aiutare Raggi a formare la giunta. Soprattutto quel che successe l’estate scorsa quando Marra sostiene di aver deciso di lasciare l’incarico in Campidoglio e di essere stato convinto a rimanere durante l’incontro con Luigi Di Maio. Che cosa gli disse il parlamentare grillino per fargli cambiare idea? Quali garanzie gli offrì, visto che lui stesso ha detto di averlo ricevuto alla Camera su richiesta della sindaca? Marra ha fatto sapere di essere pronto a rispondere a questi interrogativi. Ricostruendo l’iter di tutte le nomine poi firmate da Raggi, «ma dimostrando che io non ho commesso alcun abuso».

6 febbraio 2017 (modifica il 7 febbraio 2017 | 15:38)
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Da - http://www.corriere.it/politica/17_febbraio_07/ora-anche-romeo-sotto-inchiesta-dae3e822-ecb1-11e6-b0dc-72bd53481b5d.shtml
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« Risposta #265 inserito:: Aprile 03, 2017, 04:25:50 pm »

IL COLLOQUIO

Il ministro dell’Interno Minniti: con l’Islam abbiamo un patto, chi vive nel nostro Paese deve rispettare le leggi
Il ministro dell’Interno dopo il caso della ragazzina che, a Bologna, sarebbe stata rasata a zero dalla madre per punizione per non aver voluto portare il velo: «Lo Stato italiano non può tollerare alcuna imposizione per motivi religiosi»

  Di Fiorenza Sarzanini

ROMA — «Due mesi fa abbiamo siglato l’intesa per un Islam italiano. Indietro non si torna: chi vive nel nostro Paese deve rispettare le leggi e la Costituzione». Ripercorre la strada già tracciata nelle ultime settimane il ministro dell’Interno Marco Minniti, convinto che «la vera integrazione, non consente alcuna imposizione». Per questo, il giorno dopo la decisione della magistratura bolognese di allontanare dalla famiglia la quattordicenne che ha raccontato di essere stata «rasata perché non voglio portare il velo», dichiara: «Se davvero questa ragazzina ha subito una simile umiliazione, bene ha fatto la scuola a segnalare il caso e ancor di più i giudici a decidere di trasferirla altrove, per fermare possibili nuove violenze».

Interlocutori privilegiati del titolare del Viminale sono stati, sin dal giorno del suo insediamento, i leader delle comunità islamiche. E quindi adesso esprime la propria soddisfazione per «la loro denuncia forte arrivata per difendere questa ragazza, perché la presa di distanza dalla sua famiglia è un segnale molto importante rispetto agli obiettivi che ci siamo prefissati. Significa che stiamo andando nella giusta direzione. Quando abbiamo firmato il patto nazionale, abbiamo specificato che chi vuole vivere in Italia deve accettare esplicitamente i valori e i principi dell’ordinamento statale».

Vuol dire che «nessuna violenza fisica o psicologica potrà mai essere tollerata». Vuol dire che «qualsiasi gesto che miri a obbligare qualcuno a fare ciò che non vuole, si trasforma in un atto inaccettabile e come tale deve essere trattato e condannato».

Sarà la magistratura a ricostruire ogni passaggio di questa vicenda, il ministro affronta il problema in termini generali, mette in guardia da tutte le «possibili derive che possano convincere chi professa la fede islamica ad avere comportamenti che da noi sono ritenuti fuorilegge». E lo fa sottolineando che «a differenza di altri Stati, l’Italia non ha mai neanche ipotizzato di poter vietare il velo o qualsiasi altro simbolo dell’Islam. Anzi, siamo convinti che il rispetto passi proprio dalla tolleranza degli usi e delle abitudini degli altri e quindi non abbiamo stabilito alcun limitazione ritenendo che la nostra libertà passi dalla concessione della libertà agli altri. Ma proprio per questo motivo pretendiamo che ciò avvenga nei confronti delle nostre leggi».

«Tolleranza e rispetto», sono le parole che Minniti utilizza più spesso per far comprendere quale deve essere il livello di relazione tra italiani e stranieri, che cosa non può essere consentito a chi tenta di imporre le proprie convinzioni e in particolare se lo fa perché ciò è dettato da motivi religiosi. Non a caso al momento di siglare il patto con le comunità islamiche il ministro aveva evidenziato i quattro punti di accordo: «La formazione di imam e guide religiose; l’ impegno delle associazioni a rendere pubblici nomi e recapiti di imam, guide religiose e personalità in grado di svolgere efficacemente un ruolo di mediazione tra la loro comunità e la realtà sociale e civile circostante; la celebrazione delle funzioni recitando il sermone del venerdì in italiano; la gestione seguendo la massima trasparenza della documentazione dei finanziamenti».

Ecco perché adesso — mentre il caso bolognese ripropone in maniera fin troppo evidente quali possano essere gli ostacoli a un’integrazione completa anche quando gli stranieri hanno un lavoro e i loro figli frequentano la scuola italiana — il titolare del Viminale sottolinea come «il patto che abbiamo firmato due mesi fa serve a fornire un perfetto equilibrio tra diritti e doveri di tutti, proprio perché questa è la linea giusta quando si deve ripudiare ogni forma di violenza. Un principio che applichiamo nella nostra attività di prevenzione al terrorismo, quando decidiamo di espellere persone potenzialmente pericolose. E che deve cominciare proprio all’ interno delle famiglie».
2 aprile 2017 (modifica il 2 aprile 2017 | 07:56)
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/cronache/17_aprile_02/ministro-dell-interno-minniti-l-islam-abbiamo-patto-chi-vive-nostro-paese-deve-rispettare-leggi-ab124766-1767-11e7-99e2-7e57c7b2999b.shtml
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« Risposta #266 inserito:: Aprile 09, 2017, 04:45:56 pm »


L’intervista

Minniti: «Così proteggeremo le città Espulsioni a chi si radicalizza»
Il ministro dell’Interno alla luce dell’attentato a Stoccolma: «L’equazione terrorismo e immigrazione è sbagliata, è sempre più evidente il rapporto tra terrorismo e mancata integrazione»

Di Fiorenza Sarzanini

ROMA «L’Italia ha un sistema di difesa di massimo livello, ma l’allerta è altissima e dunque dobbiamo intensificare le misure di protezione. Abbiamo bisogno di tenere insieme tre importanti attività: intelligence, prevenzione e controllo del territorio». Il giorno dopo l’attacco di Stoccolma, il ministro dell’Interno Marco Minniti fa i conti con un’emergenza sempre più elevata. L’analisi del titolare del Viminale parte dalle ultime notizie che arrivano dalla Svezia. «Perché se è vero che si tratta di un cittadino uzbeko, da tempo residente nel Paese, si conferma quanto abbiamo rilevato dall’attacco di Charlie Hebdo in poi, cioè che i terroristi sono persone che vivevano negli Stati dove hanno poi colpito. Si conferma che l’equazione terrorismo e immigrazione è sbagliata e invece è sempre più evidente il rapporto tra terrorismo e mancata integrazione. Proprio per questo è importante ribadire che l’accoglienza ha un limite nella capacità di integrazione». Dall’inizio dell’anno sono state decretate 32 espulsioni preventive per ragioni di sicurezza nazionale. «Si tratta di uno strumento di prevenzione preziosissimo perché consente di “colpire” la radicalizzazione prima che possa trasformarsi in compiuta progettualità terroristica».

Minniti ribadisce che «sarebbe sciocco credere che ci sia qualcuno al riparo dalla minaccia jihadista», ma rivendica di aver «messo in campo tutte le forze a disposizione e continuiamo a farlo visto che il nostro sistema si è rivelato finora efficace e quindi bisogna potenziare le misure già in atto». Coordinamento, è questa la parola chiave: «L’integrazione tra pattuglie e difesa passiva è fondamentale, ma senza far venire meno per i cittadini la fruibilità dei luoghi. L’Italia ha tra le sue industrie principali il turismo, ha città d’arte che tutto il mondo ci invidia. Non cederemo alla paura, ma metteremo in campo strategie di sorveglianza e protezione in accordo pieno con gli amministratori locali».

Il governo punta molto sull’approvazione in Parlamento del decreto legge sulla sicurezza urbana, tanto da aver già ottenuto una prima fiducia. Minniti lo conferma: «Finora la convergenza su quelle norme è stata ampia, non credo possano esserci problemi. L’alleanza tra Stato e sindaci è fondamentale per individuare i punti deboli e intervenire. Può sembrare una banalità, ma in questo sistema integrato anche i vigili urbani hanno un ruolo fondamentale. Si chiama gioco di squadra e certamente tutti ne possono beneficiare». Esclude comunque di arrivare a una militarizzazione delle città perché «gli attacchi di Nizza, Berlino, Londra e Stoccolma hanno mostrato analoghe modalità e allo stesso tempo totale imprevedibilità dell’azione. Per questo ho detto quali sono le tre linee di intervento contro chi inneggia alla jihad o fa proselitismo. Esattamente ciò che stiamo facendo da mesi, mettendo comunque tra le priorità il fatto che i cittadini italiani si sentano liberi, non abbiano mai la sensazione di vivere in una fortezza».

Numerosi analisti ritengono che il bombardamento ordinato dagli Stati Uniti in Siria, possa indebolire la lotta contro l’Isis. Esprimono il timore che la crisi internazionale possa avere conseguenze gravi proprio nel fronteggiare i terroristi. Un’eventualità che Minniti invece esclude, convinto che «in questo modo si è dimostrato che nessuna prepotenza sarà tollerata ed è innegabile che l’uso di armi chimiche fatto da Assad contro la propria gente, i propri bambini, sia un atto intollerabile». E comunque si è trattato di una «scelta giustificata tenendo conto che «i veti incrociati hanno impedito una reazione delle Nazioni Unite e non era ipotizzabile restare fermi, o addirittura voltarsi dall’altra parte, di fronte a un crimine contro l’umanità. Adesso è giusto restituire il ruolo di guida dei negoziati alla comunità internazionale e all’Onu».

La scorsa settimana, il giorno dopo l’attacco a San Pietroburgo, il ministro è volato a Mosca. Una visita programmata da tempo, ma confermata nonostante l’attentato appena subito e questo, sottolinea adesso «dimostra che tipo di relazione esiste tra noi. Abbiamo interessi comuni nella lotta al terrorismo e non solo. Questa cooperazione risulta oggi cruciale. Con la caduta di città come Mosul e Raqqa, assisteremo entro breve alla fuga dei combattenti dell’Isis verso l’Occidente e dunque la Russia sarà strategica nella protezione dei confini per fermare i foreign fighter di ritorno, così come noi lo siamo nel Mediterraneo. Agiremo insieme per l’interesse comune, su questo non ho dubbi. Ci sono numerosi appuntamenti importanti che si svolgeranno in Russia nei prossimi mesi, compresi i mondiali di Calcio. Li affronteremo seguendo una strategia comune».

8 aprile 2017 | 23:21
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Da - http://roma.corriere.it/notizie/politica/17_aprile_08/minniti-cosi-proteggeremo-citta-espulsioni-chi-si-radicalizza-692d3a42-1c9c-11e7-a92d-71d01d371297.shtml
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« Risposta #267 inserito:: Maggio 16, 2017, 02:13:16 pm »


L’inchiesta

Le intercettazioni su Tiziano Renzi Omissioni e nuovi sospetti
Il capitano Scafarto accusato di aver falsificato la parte degli atti sulla Consip che riguarda l’attività del padre dell’ex premier, non riportò una frase sulla fuga di notizie

Di Fiorenza Sarzanini

Anche alcune intercettazioni di Tiziano Renzi potrebbero essere state manipolate. Il sospetto emerge dopo l’interrogatorio di Gianpaolo Scafarto, il capitano del Noe accusato di aver falsificato la parte degli atti sulla Consip che riguarda proprio l’attività del padre dell’ex premier Matteo, ma anche di aver accreditato un ruolo dei servizi segreti in realtà risultato finora inesistente. L’ufficiale avrebbe infatti omesso di riportare nella sua informativa finale alcune circostanze emerse proprio ascoltando quei colloqui, accreditando invece la possibilità che ad avvisare Renzi senior delle verifiche disposte nei suoi confronti fosse stato Palazzo Chigi. Il procuratore aggiunto Paolo Ielo e il sostituto Mario Palazzi hanno delegato i carabinieri del comando provinciale di Roma guidati dal generale Antonio De Vita a rileggere il fascicolo e ascoltare nuovamente le conversazioni. Ma numerosi dettagli già emersi confermano che la maggior parte delle circostanze contenute nel capitolo 17 — quello sui rapporti istituzionali dell’imprenditore Alfredo Romeo — potrebbero essere state contraffatte. Scafarto sostiene che si tratta soltanto di «errori», ma poi ribadisce di aver «sempre condiviso tutto con il pubblico ministero Henry John Woodcock».

La «soffiata» di Tiziano

L’utenza di Tiziano Renzi viene intercettata a partire dal 5 dicembre. Sono i giorni più caldi dell’inchiesta. Due settimane dopo si scopre infatti che sono inquisiti per fuga di notizie il ministro per lo Sport Luca Lotti, il comandante generale dei carabinieri Tullio Del Sette e quello della Toscana Emanuele Saltalamacchia, accusati di aver avvisato i vertici Consip dell’indagine in corso. Il 7 dicembre Roberto Bargilli, l’autista del camper di Matteo Renzi, telefona a Carlo Russo, il faccendiere amico di Tiziano Renzi. «Sono Billy... scusami, ti telefonavo... per conto di babbo... mi ha detto di dirti di non lo chiamare e non mandargli messaggi».

L’accusa al premier

Scrive Scafarto nell’informativa: «La domanda più ovvia da farsi è quella relativa ai motivi per cui una persona come Renzi Tiziano venga avvisato di essere intercettato, ma la risposta, altrettanto scontata, appare solo una, ovvero che il figlio Matteo Renzi, Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, abbia messo in campo tutte le risorse disponibili per tutelare la sua famiglia e quindi anche il padre». In realtà nelle telefonate intercettate è lo stesso Tiziano Renzi a raccontare di essere stato avvertito dell’inchiesta in corso «da un giornalista del Fatto Quotidiano». I controlli sui tabulati confermano che effettivamente ci sono stati scambi di sms con il giornalista sin da novembre. Quando a Scafarto è stato chiesto come mai non avesse riportato questa circostanza lui ha risposto: «Nulla so dire. Non ricordo di essere stato informato di questa telefonata», così accreditando l’ipotesi che i suoi sottoposti non l’avessero informato.

«Avvisai Woodstock»

L’ufficiale continua ad accreditare l’ipotesi di aver sempre «condiviso con il pm di Napoli Woodcock» ogni mossa. Quando i magistrati romani gli chiedono come mai, nonostante fosse stato scoperto che il presunto agente dei servizi segreti che «spiava» l’inchiesta era un privato cittadino, non riportò la circostanza nell’informativa, lui risponde che l’aveva ritenuto «irrilevante». Non sa che i pm — dopo averlo indagato — hanno intercettato le sue conversazioni. In tre telefonate diverse con colleghi e amici Scafarto spiega che quella omissione «è stata una scelta investigativa». L’ufficiale sbianca e poi dichiara: «La Procura di Napoli fu immediatamente avvertita del cessato allarme» sulla presenza di persone sospette.

13 maggio 2017 | 00:09
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/17_maggio_13/telefonate-intercettatedi-tiziano-renzi-omissioni-nuovi-sospetti-51f5eb68-375d-11e7-91e3-ae024e503e5d.shtml
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« Risposta #268 inserito:: Luglio 04, 2017, 05:13:07 pm »

Migranti, «no a trasbordi e luci»: ecco il codice per le Ong
Regole rigide che se non saranno rispettate faranno scattare il divieto di approdo nei porti italiani. La bozza sarà condivisa con gli altri Stati dell’Unione

  Di Fiorenza Sarzanini
Proibito spegnere i trasponder e segnalare la propria presenza in mare alle barche che salpano dalla Libia, indispensabile fornire l’elenco degli equipaggi e le liste dei finanziamenti ottenuti. Ci sono divieti e obblighi nel codice per le Ong che l’Italia porterà giovedì mattina al vertice dei ministri dell’Interno europei di Tallin. Compresa l’ipotesi di impedire il trasbordo delle persone sulle navi della Guardia Costiera e di Frontex. Regole rigide che se non saranno rispettate faranno scattare il divieto di approdo nei porti italiani. La bozza che si sta mettendo a punto in queste ore sarà condivisa con gli altri Stati dell’Unione, dopo l’accordo siglato due giorni fa a Parigi dal titolare del Viminale Marco Minniti con i colleghi di Francia e Germania. E tiene conto delle indicazioni giunte dal Parlamento al termine del lavoro della commissione Difesa del Senato guidata da Nicola Latorre che ha svolto un’inchiesta sull’attività delle Ong.

Per il governo italiano si tratta di un passo fondamentale per governare il soccorso dei migranti e gestire direttamente l’attività di quelle organizzazioni che si occupano dei salvataggi in mare. Ma soprattutto per coinvolgere tutti i membri dell’Ue nell’affrontare un’emergenza che, come ha ribadito Minniti, «non può prescindere dagli aiuti alla Libia per bloccare le partenze». Obiettivo del codice di comportamento è quello di impedire che le Ong vadano a prelevare i migranti spingendosi in acque libiche o comunque al limite del confine marittimo. Ecco perché sarà fissata una distanza minima dalla costa che non potrà essere mai superata. Le verifiche effettuate da magistratura e Parlamento, ma anche il rapporto stilato da Frontex due mesi fa, hanno dimostrato che spesso gli equipaggi decidono di spegnere i transponder per non essere identificati dalla guardia costiera libica. Una procedura che sarà vietata, così come non sarà più possibile segnalare la propria presenza con i razzi luminosi agli scafisti

La Guardia Costiera
Il coordinamento di tutte le operazioni sarà affidato alla Guardia costiera, che per il 13 luglio ha già convocato i rappresentanti delle Ong proprio per fornire le prime indicazioni. In caso di emergenza le Ong dovranno avvisare l’autorità e ottenere il via libera a muoversi per andare a soccorrere i migranti, agendo quindi sotto il controllo diretto del comando marittimo di Roma. Non potranno, come invece accade ora, avvisare soltanto dopo aver effettuato i salvataggi e dunque muoversi in piena autonomia. Tra le ipotesi c’è anche quella di vietare il trasbordo dei naufraghi dalle navi delle Ong a quelle dei soccorsi ufficiali. Vuol dire che chi si occupa di recuperare gli stranieri dovrà effettuare l’intera traversata e arrivare sino ai porti italiani e non — come accade attualmente — limitarsi a percorrere soltanto poche miglia prima di trasferire le persone e tornare così in alto mare. «Si rende necessaria — aveva evidenziato la commissione Latorre — una razionalizzazione della presenza delle Ong che potrebbe portare a un aumento dell’efficienza dei soccorsi e dei margini per salvare vite con la contestuale riduzione delle relative imbarcazioni nell’area».

Equipaggi e soldi
I controlli hanno finora smentito quanto aveva dichiarato il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro su «commistioni tra organizzazioni di trafficanti e Ong». È emerso invece che in molti casi sulle navi delle organizzazioni sono imbarcati membri dell’equipaggio che provengono dagli Stati dell’Est e dal Medio Oriente e di cui gli stessi vertici non conoscono le generalità. Per questo sarà obbligatorio fornire l’elenco completo degli equipaggi e anche rendere nota la lista dei finanziatori. Sulla gestione ha insistito la commissione Difesa del Senato quando ha sottolineato la necessità di sottoporsi a «forme di accreditamento e certificazioni che escludano alla radice ogni sospetto di scarsa trasparenza organizzativa e operativa». Anche perché alcune Ong prendono a noleggio le imbarcazioni che utilizzano per il pattugliamento del mare e dunque dovranno fornire alle autorità italiane tutte le indicazioni sullo svolgimento delle propria attività. Per impedire — come ha decretato il Parlamento italiano — «la creazione di corridoi umanitari da parte di soggetti primati».

3 luglio 2017 | 20:57
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/17_luglio_03/no-trasbordi-luci-ecco-codice-le-ong-3cbd7b12-6020-11e7-89db-f0df40559f50.shtml
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« Risposta #269 inserito:: Agosto 03, 2017, 05:38:24 pm »

L’INCHIESTA

Migranti, le «consegne concordate» tra i trafficanti e la Ong tedesca. Che restituiva i barconi agli scafisti
«Save the Children» ha segnalato le irregolarità: l’imbarcazione tedesca, sequestrata, è tra le più piccole impegnate nei soccorsi. Gli interventi avvenivano in assenza di pericolo immediato per i migranti

  Di Fiorenza Sarzanini

ROMA — I trafficanti libici hanno effettuato almeno tre «consegne controllate» di migranti all’equipaggio della nave «Iuventa» con la complicità di alcuni ufficiali della guardia costiera di Tripoli. I barconi utilizzati sono stati poi restituiti agli scafisti per organizzare altri viaggi verso l’Italia. L’ordine di sequestro del peschereccio della Ong tedesca Jugend Rettet racconta che cosa accade al largo della Libia. Il provvedimento firmato dal giudice di Trapani dà conto delle indagini effettuate dai poliziotti dello Sco, il servizio centrale operativo guidato da Alessandro Giuliano, andate avanti oltre un anno. E svela gli accordi illeciti con altre organizzazioni, ma anche il ruolo di Save the Children che ha «segnalato» le irregolarità commesse da alcune associazioni. Ora si va avanti: il prefetto Vittorio Rizzi, capo della Direzione anticrimine della polizia, si muove in coordinamento con tutte le Procure titolari delle inchieste proprio per individuare i possibili collegamenti con le organizzazioni criminali.

La «consegna» dei profughi
Sono le 6.15 del 18 giugno 2017. Gli agenti specializzati che si muovono sotto la supervisione della Direzione anticrimine guidata dal prefetto Vittorio Rizzi sono in mare e documentano con foto e video che cosa accade. Scrive il giudice: «Una imbarcazione non identificata ed una motovedetta della Guardia Costiera libica hanno scortato 3 barconi pieni di migranti nella zona di mare al largo della località di Zwara ove stazionava la Iuventa per poi allontanarsi immediatamente dopo l’inizio delle operazioni di imbarco dei migranti a bordo della motonave battente bandiera olandese, modalità che dimostrano inequivocabilmente l’effettuazione di una vera e propria “consegna concordata” di migranti e l’assenza di una situazione di pericolo immediato per i migranti che avrebbe reso necessario un intervento di soccorso in alto mare». L’informativa della polizia dà conto di quel che accade alle 11 dello stesso giorno: «Il gommone della Iuventa si è diretto verso le coste libiche e da quei luoghi è sopraggiunta una imbarcazione verosimilmente con trafficanti a bordo; il gommone e il barchino con i presunti trafficanti, dopo essersi incontrati, sono restati affiancati per qualche minuto; dopo qualche istante il gommone si è diretto verso la Iuventa mentre l’altro natante ha proceduto verso le coste libiche; successivamente quest’ultima imbarcazione è riapparsa sullo scenario, “scortando” un gommone carico di migranti ed arrestando la navigazione solo in prossimità della Iuventa. Proprio la dinamica con la quale avveniva questo secondo “viaggio” del barchino consentiva di acquisire piena contezza che le persone a bordo fossero dei trafficanti».


I barconi restituiti
Tra le contestazioni del giudice c’è anche quella di aver restituito le barche ai trafficanti. In particolare «due barconi in legno sono stati “legati” tra loro con una cima e gli operatori che si trovavano a bordo del gommone della Iuventa li hanno trainati verso le coste libiche, lasciandoli poi alla deriva. Alcuni barchini, verosimilmente in uso ai trafficanti, stazionavano in quello specchio acqueo in stato di attesa. Poi è stato riportato anche il terzo barcone». I primi a denunciare le «irregolarità» di Jugend Rittet sono stati alcuni membri dell’equipaggio della «Vos Hestia», la nave di Save the Children — una delle tre Ong che ha firmato il codice di comportamento del Viminale approvato anche dall’Ue — a bordo della quale c’era un agente sotto copertura. Uno di loro ha tra l’altro dichiarato a verbale: «Tra le organizzazioni la più temeraria era sicuramente la Iuventa. Da quello che ho potuto vedere sul radar, avendo io accesso al ponte, arrivava anche a 13 miglia dalle coste libiche, circostanza anche pericolosa. La Iuventa è un’imbarcazione piccola e vetusta, fungeva da “piattaforma” ed era sempre necessario l’intervento di una nave più grande sulla quale trasbordare i migranti soccorsi dal piccolo natante».
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Un’ondata senza precedenti
«Non collaboriamo»
Un mese fa, mentre infuriava la polemica sul ruolo delle Ong nel Mediterraneo, «sull’albero a poppa della Iuventa, battente bandiera olandese, è stata issata la bandiera libica». Ma «l’ostilità verso il centro di coordinamento marittimo italiano è dimostrata — secondo il gip — dal cartello con la scritta “Fuck Imrcc” (quest’ultimo è l’acronimo che indica il Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo, ndr) posizionato a prua». Così come «l’atteggiamento di scarsa collaborazione verso le direttive impartite da Imrcc, confermando la volontà di voler effettuare esclusivamente trasbordi su altri assetti navali verosimilmente al fine di non attraccare in porti italiani». Una posizione confermata da una delle «dirigenti» Katrin, che non sapendo di essere intercettata grazie a una microspia piazzata a bordo dice: «In ogni caso non diamo alcuna fotografia dove in qualche modo si possano vedere persone che potrebbero venire identificate, non c’è motivo, a questo non contribuiamo».
2 agosto 2017 (modifica il 2 agosto 2017 | 23:54)

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