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Autore Discussione: Fiorenza SARZANINI.  (Letto 171876 volte)
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« Risposta #225 inserito:: Marzo 18, 2015, 10:47:41 pm »

Le chiamate di Lupi per il figlio e i manager con le tangenti dell’1%
Almeno in un caso Lupi si sarebbe interessato per garantire un appalto all’imprenditore

Di FIORENZA SARZANINI

FIRENZE Pressioni, interventi, richieste. Sono decine le telefonate del ministro Maurizio Lupi allegate agli atti dell’inchiesta di Firenze che ha portato in carcere l’alto funzionario Ercole Incalza e l’imprenditore Stefano Perotti. E dimostrano come sia stato proprio il titolare delle Infrastrutture a chiedere di trovare un lavoro al figlio Luca, da poco laureato in Ingegneria. Non solo. Almeno in un’occasione lo stesso Lupi si sarebbe speso direttamente per garantire a Perotti un incarico per un appalto pubblico.

Il sistema
È un vero e proprio sistema di potere quello svelato dall’indagine dei pubblici ministeri, coordinati dal procuratore Giuseppe Creazzo, che hanno accertato l’esistenza di una maggiorazione sui lavori assegnati dalla Struttura guidata da Incalza. Secondo l’accusa almeno per essere favorite le aziende dovevano riconoscere ai due manager almeno l’1 per cento della somma incassata. Tenendo conto che Perotti ha gestito appalti per 25 miliardi di euro, si parla di tangenti per almeno 250 milioni di euro. Per questo gli ulteriori accertamenti si concentrano sulla società «Green Field System», ritenuta la «cassaforte» di entrambi. E su quei conti esteri che la famiglia Perotti risulta aver movimentato negli ultimi anni.

«Incontra mio figlio»
I contatti per trovare una sistemazione a Luca Lupi cominciano i primi giorni di gennaio 2014. Le numerose conversazioni intercettate dai carabinieri del Ros guidati dal generale Mario Parente, dimostrano che è stato proprio il ministro a chiedere a Incalza di avere un incontro con il ragazzo e poco dopo il funzionario si è attivato con Perotti. Alla fine del mese, tutto è risolto. Il giovane ottiene un incarico in un cantiere dell’Eni dove anche Perotti ha ottenuto la direzione dei lavori. Evidentemente però non è sufficiente. Scrive il giudice nell’ordinanza di cattura: «L’aiuto fornito da Stefano Perotti a Luca Lupi non è limitato al conferimento dell’incarico sopra descritto. Il 4 febbraio 2015 Perotti chiede all’amico Tommaso Boralevi che lavora negli Stati Uniti, di dare assistenza ad un loro ingegnere che al momento lavora presso lo studio Mor e verrà impiegato a New York. E dice: “Lavorerà in una prima fase per lo studio Mor come commerciale per cercargli delle opportunità eccetera. Gli abbiamo dato anche noi un incarico collegato per le nostre attività di direzione lavori, management, te lo volevo mettere in contatto che sicuramente tu che sei una specie di motore acceso qualche dritta gliela puoi dare no?».

L’amico di Luca
Il «sistema» viene evidentemente utilizzato da Luca Lupi anche per aiutare i suoi amici. Si scopre intercettando l’account di Franco Cavallo, definito nelle conversazioni «l’uomo di Lupi», ma collaboratore stretto anche di Perotti e molto legato ai proprietari della cooperativa «La Cascina». Il 10 novembre 2013 riceve una mail con la seguente nota: «Ciao Franco, sono Paolo, l’amico di Luca Lupi, in allegato il mio CV domani ti scrivo, grazie mille ciao. Paolo Androni». Tre giorni dopo lui la gira a un amico imprenditore Rizzani de Eccher: «Claudio ti inoltro il CV di un amico del figlio di Mauri interessato a lavorare in Russia/Ucraina. È un bravo ragazzo. Se puoi valutarlo te ne sarei grato. Nel frattempo lo farò conoscere a Giovanni Come sempre grazie Frank». E dopo altri quattro giorni lo stesso testo viene mandato a Giovanni Li Calzi, anche lui indagato con l’accusa di far parte dell’entourage di Incalza e Perotti.

«Ho sentito il ministro»
Nell’ottobre 2013 Perotti e i suoi amici mirano ad ottenere un incarico per la costruzione del terminal del porto di Olbia. Quando capiscono di avere almeno una ditta concorrente si attivano presso il ministero. Le intercettazioni dimostrano che Lupi interviene direttamente contattando Fedele Sanciu, Commissario dell’Autorità Portuale. Ad occuparsi della pratica è Cavallo. Cosi il giudice ricostruisce la vicenda: «Il 21 ottobre 2013 Cavallo chiede un appuntamento ad Emanuele Forlani della segreteria del Ministro Lupi. Dieci giorni dopo Perotti anticipa a Bastiano Deledda (responsabile unico del procedimento) che il 12 novembre 2013 sarà in Sardegna con Cavallo per incontrare il capo, alludendo a Sanciu: “Abbiamo deciso di intervenire perché sennò qua...”. Cavallo telefona a Sanciu, e, presentandosi come “l’amico di Maurizio”. Dice: “È impegnato? Sono Cavallo l’amico di Maurizio quello che l’ha telefonato ieri sera... Lupi... la richiamo dopo, non si preoccupi ci sentiamo dopo perché vengo a trovarla grazie”. Lo stesso giorno Cavallo ritelefona a Sanciu il quale subito fa presente che è stato già telefonato dal ministro: “Mi ha telefonato il ministro”. Cavallo, nel riferire che ha presenziato a questa telefonata, anticipa a Sanciu che il 12 novembre andrà in Sardegna a trovarlo: “Sì sì so tutto ero con lui, ma noi ci siamo visti, ci siamo già conosciuti sulla sua barca, ero con Maurizio qualche volta. Senta io vorrei venire da lei a trovarla se fosse possibile. Martedì 12, allora mi arrangio io e poi, diciamo che verso mezzogiorno le va bene?”». L’accordo viene trovato, l’incarico a Perotti però rimane in sospeso perché nel marzo 2014 Sanciu risulta indagato proprio con Lupi in un’inchiesta avviata in Sardegna e viene sostituito.

I conti svizzeri
Scrive il giudice: «Nel caso in esame una direzione dei lavori ha assunto, grazie a un collaudato sodalizio criminale, la funzione di mero strumento per far transitare su società e soggetti privati enormi somme di denaro (per compensi non inferiori all’1 per cento dell’importo dei lavori appaltati, ma in molti casi fino addirittura al 3 per cento), prive di sostanziale giustificazione quanto alle prestazioni professionali realmente rese, ed inquadrabili piuttosto nel prezzo di una dazione corruttiva, ossia di utilità illecite in favore del sodalizio medesimo, costituite dallo stesso conferimento dell’incarico professionale di direzione lavori, e spesso anche da una miriade di assunzioni od incarichi di consulenza collaterali alla gestione dell’appalto, del tutto fittizi, in favore “di amici degli amici” del pubblico ufficiale o di suoi prestanome o accoliti».

Proprio per rintracciare questi soldi che, dice l’accusa, sono finiti a Incalza e Perotti, si continua a battere due piste. La prima si concentra sugli affari della società «Green Field System». L’altra porta in Svizzera e in particolare alla Banca Julius Baer & Co. Sa con sede in Lugano, dove Christine Mor, moglie di Perotti, risulta avere un conto movimentato con un trasferimenti di denaro in Italia nel febbraio 2014, tanto da essere indagata per riciclaggio. I carabinieri del Ros hanno documentato alcuni viaggi in territorio elvetico della coppia e adesso si concentrano proprio su queste trasferte.

18 marzo 2015 | 09:00
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Da - http://www.corriere.it/politica/15_marzo_18/chiamate-lupi-il-figlio-manager-le-tangenti-dell-1percento-1fd4698c-cd44-11e4-a39d-eedcf01ca586.shtml
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« Risposta #226 inserito:: Marzo 19, 2015, 06:02:03 pm »

Alta velocità e Grandi opere, in carcere il burocrate Ercole Incalza
Dirigente del ministero dei Lavori pubblici per 14 anni, ha attraversato sette governi
Il gip: «Procurati incarichi di lavoro al figlio del ministro Lupi»

Di FIORENZA SARZANINI

In carcere Ercole Incalza, dirigente del ministero dei Lavori pubblici. Su richiesta della Procura di Firenze sono stati eseguiti quattro arresti e oltre cento perquisizioni su appalti pubblici. Arrestati anche il funzionario del ministero e collaboratore di Incalza, Sandro Pacella e gli imprenditori Stefano Perotti e Francesco Cavallo, presidente del Cda di Centostazioni Spa, società del gruppo Ferrovie dello Stato. I reati contestati sono corruzione, induzione indebita, turbata libertà degli incanti e altre violazioni relative alla pubblica amministrazione. Gli appalti finiti nell’indagine riguardano la linea Alta velocità e numerosi lavori legati alle Grandi opere. Gli arresti sono stati eseguiti dai carabinieri del Ros.

Lupi, il figlio, l’intercettazione
L’inchiesta condotta dal procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo coinvolge cinquantuno indagati. Tra loro anche politici, incluso l’europarlamentare Vito Bonsignore (membro del gruppo del Partito popolare europeo - Democratici-cristiani - e dei Democratici europei). Tra i politici citati negli atti processuali, il ministro Lupi. Nell’ordinanza di custodia cautelare, il gip di Firenze scrive che «Stefano Perotti ha procurato degli incarichi di lavoro a Luca Lupi», figlio del ministro. Dalla stessa ordinanza, si apprende che - in base a un’intercettazione del 16 dicembre 2014 tra il responsabile dei Trasporti e lo stesso Incalza -, «il ministro Lupi, a fronte della proposta di soppressione» della Struttura di Missione «o di passaggio della stessa sotto la direzione della presidenza del Consiglio arriva a minacciare una crisi di governo».

Dal 2001 a oggi
Ingegnere, nato nel Brindisino il 15 agosto del 1944, Ercole Incalza è arrivato nel 2001 come capo della segreteria tecnica di Pietro Lunardi (governo Berlusconi) ed è rimasto al ministero delle Infrastrutture per quattordici anni, fino allo scorso dicembre, attraversando sette governi. È passato attraverso Antonio Di Pietro (governo Prodi), quindi è stato promosso capo struttura di missione da Altero Matteoli (di nuovo Berlusconi), confermato da Corrado Passera (governo Monti), Lupi (governo Letta) e poi ancora Lupi (governo Renzi). Fonti dell’esecutivo precisano che è andato in pensione nel dicembre 2014 e che attualmente non riveste nessun ruolo o funzione neanche a titolo gratuito. Secondo l’accusa sarebbe stato proprio Incalza — definito «potentissimo dirigente» del ministero dei Lavori pubblici — il principale artefice del «sistema corruttivo» scoperto dalla Procura di Firenze. Sarebbe stato lui, in particolare, in qualità di «dominus» della Struttura tecnica di missione del ministero, ad organizzare l’illecita gestione degli appalti delle Grandi opere, con il diretto contributo di Perotti, cui veniva spesso affidata la direzione dei lavori degli appalti incriminati.

«Consulenze in cambio di lavori»
Più in dettaglio, nella conferenza stampa sull’inchiesta si è svolta lunedì mattina a Firenze, il procuratore Creazzo ha spiegato che «per l’accusa la direzione dei lavori veniva affidata all’ingegner Stefano Perotti per un accordo illecito»: Perotti affidava incarichi di consulenza o tecnici a soggetti indicati dallo stesso Incalza (peraltro destinatario anch’egli di incarichi «lautamente retribuiti» conferiti dalla Green Field System srl, una società affidataria di direzioni lavori)». A Perotti, responsabile della società Ingegneria Spm e ritenuto dagli inquirenti «figura centrale dell’indagine», sono stati affidati tra gli altri i lavori per la linea ferroviaria A/V Milano-Verona (tratta Brescia - Verona); il Nodo TAV di Firenze per il sotto attraversamento della città; la tratta ferroviaria A/V Firenze Bologna; la tratta ferroviaria A/V Genova-Milano Terzo Valico di Giovi; l’autostrada Civitavecchia-Orte-Mestre; l’autostrada Reggiolo Rolo-Ferrara; l’Autostrada Eas Ejdyer-Emssad in Libia.

«I costi lievitavano del 40 per cento»
Il procuratore Creazzo ha spiegato che «sono stati arrestati due stretti collaboratori» di Incalza e Perotti. A uno di loro, Francesco Cavallo, sempre secondo l’accusa, veniva riconosciuto da parte di Perotti, tramite società a lui riferibili, una retribuzione mensile di circa 7 mila euro «come compenso per la sua illecita mediazione». «Il totale degli appalti affidati a società legate a Perotti è di 25 milioni di euro» ha fatto sapere il procuratore, precisando che «il Gip non ha comunque ritenuto che sussistessero gli elementi di gravità per contestare l’associazione per delinquere e l’ha rigettata». «Questo tipo di direzione dei lavori consentiva modifiche, con opere che lievitavano anche del 40 per cento» ha aggiunto il comandante del Ros, Mario Parente. Tutte le principali Grandi opere sarebbero state oggetto dell’«articolato sistema corruttivo» messo in piedi dalle persone arrestate ed indagate.

«Illeciti per aggiudicare i lavori di Palazzo Italia Expo»
L’inchiesta, chiamata «Sistema», è stata coordinata dalla Procura di Firenze perché tutto è partito dagli appalti per l’Alta velocità nel nodo fiorentino e per il sottoattraversamento della città. Da lì l’inchiesta si è allargata a tutte le più importanti tratte dell’Alta velocità del centro-nord Italia e a una lunga serie di appalti relativi ad altre Grandi opere, compresi alcuni relativi all’Expo. Secondo il procuratore Creazzo «dall’indagine è emerso come l’ingegner Stefano Perotti abbia influito illecitamente sulla aggiudicazione dei lavori di realizzazione del cosiddetto Palazzo Italia Expo». Così come sull’assegnazione di quelli per la costruzione del nuovo terminal del porto di Olbia, di molatura delle rotaie da parte dalla società Ferrovie del Sud Est e sempre di molatura delle rotaie in favore della società Speno International a lui riconducibile. Perotti ha ottenuto anche, in favore di società a lui riconducibili, l’incarico di direttore dei lavori di un appalto Anas relativo a un macro lotto dell’autostrada A3 Salerno Reggio Calabria e il conferimento dell’incarico di progettazione del nuovo centro direzionale Eni di San Donato Milanese.

Da Milano a Crotone
Gli arresti sono stati eseguiti a Roma e a Milano. Le perquisizioni - nelle province di Roma, Milano, Firenze, Bologna, Genova, Torino, Padova, Brescia, Perugia, Bari, Modena, Ravenna, Crotone e Olbia -, sono avvenute nei domicili degli indagati, negli ambienti della Struttura di Missione del ministero delle Infrastrutture, negli uffici di diverse società, tra cui tra cui Rfi, Anas international Enterprise, Ferrovie del Sud Est Srl, Consorzio Autostrada Civitavecchia-Orte-Mestre, Autostrada regionale Cispadana Spa e Autorità portuale Nord Sardegna. Alcuni provvedimenti sono stati eseguiti con la collaborazione dell’Agenzia delle Entrate per gli accertamenti di natura fiscale.

16 marzo 2015 | 08:18
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Da - http://www.corriere.it/cronache/15_marzo_16/appalti-pubblici-arresti-c8baf4b6-cbab-11e4-990c-2fbc94e76fc2.shtml
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« Risposta #227 inserito:: Marzo 23, 2015, 11:10:30 am »

L’INCHIESTA: I DOCUMENTI

La lettera di Perotti a Lotti su carta intestata del ministro
Le pressioni per i fondi. Burchi a Sposetti: a quella nomina ci penso io. Nelle intercettazioni anche un colloquio con Pacini Battaglia

Di FIORENZA SARZANINI

DALLA NOSTRA INVIATA FIRENZE Una lettera su carta intestata del ministro Maurizio Lupi indirizzata al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Luca Lotti. I carabinieri del Ros l’hanno trovata nel trolley di Stefano Perotti nella perquisizione dopo l’arresto dell’imprenditore, in una cartellina della Struttura tecnica di missione. È una sollecitazione affinché Palazzo Chigi chieda al Cipe lo sblocco dei finanziamenti per la costruzione di numerose opere. In tutto 9 miliardi di euro per l’apertura di diversi cantieri, indicati in un elenco allegato alla missiva. «Caro Luca», si legge all’inizio della lettera e poi si elencano i motivi che rendono indispensabile un intervento per ottenere i soldi necessari all’avvio dei lavori. Quanto basta, secondo l’accusa, per confermare che erano proprio Perotti e Incalza a gestire tutti gli affari del titolare delle Infrastrutture, occupandosi di preparare anche le comunicazioni ufficiali con il vertice del governo.

Del resto sono le stesse telefonate intercettate a dimostrare il ruolo chiave di Incalza all’interno del ministero anche diverse settimane dopo essere andato in pensione. Facendo riemergere personaggi che erano stati coinvolti in passato in inchieste sull’Alta velocità come il faccendiere Pierfrancesco Pacini Battaglia e l’ex ministro dei Trasporti Claudio Signorile.

«Che devo fare?»
Il 22 dicembre scorso Lupi «chiede a Incalza che cosa deve fare una volta che è stato approvato nella Legge di stabilità l’emendamento che conferma i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa: “Cioè operativamente cosa devo fare? Ma devo spostarla? Devo metterla? Ma voglio dire, come facciamo a dire che pro tempore il responsabile ...?”». Un aiuto per i rapporti con il Cipe Lupi lo sollecita anche il 24 gennaio, quando Incalza è ormai fuori dal ministero.
Lupi : non è che puoi stare in vacanza tu... Senti una cosa ma per il Cipe del 27 pare che ci sia... Noi abbiamo tutto dentro? La 106,tutto?
Incalza : no, abbiamo soltanto le cose che erano andate al pre Cipe il 10 dicembre... un mese fa...
I due continuano ad esaminare tutte le pratiche. Lupi chiede chiarimenti, suggerimenti. Lo stesso accade qualche giorno dopo quando «Marco Lezzi della segreteria del ministro chiede a Incalza, per conto dei ministro, di confermargli i nomi dei commissari di 14 Grandi Opere». E incalza risponde: «Se me li leggi tutti io confermo uno per uno, dai!»

Le nomine di Sposetti

A leggere le intercettazioni si comprende come il ministero sia terra di conquista. Il 14 febbraio 2014 l’ex presidente Italferr Giulio Burchi dice all’ex tesoriere ds Ugo Sposetti: «Senti magari cercati un posto in un ministero che ci andiamo a riposare». Annotano i carabinieri: «Parlano di “nomine che dobbiamo fare” e si riservano di esaminare una lista che deve essere consegnata a Burchi da un avvocato. Burchi rappresenta al senatore Sposetti i problemi per il conferimento dell’incarico a Massimo Marchignoli specificando di non poterlo inserire in un collegio sindacale in mancanza della laurea ed aggiunge: “boh, adesso gli trovo un’altra roba”. Il giorno dopo Sposetti dice a Burchi “ lì dove ci vuole la laurea perché non ci mettiamo Luciano”. E Burchi: “No, ma a Luciano gli voglio trovare un’altra roba, ma a Marchignoli comunque qualcosa gli trovo”».

Gli amici socialisti
Quanto potere abbia Incalza si comprende anche dalla rete di relazioni che continua a gestire. Scrivono i carabinieri del Ros: «Dall’attività di indagine è emerso che l’ex ministro Claudio Signorile e il figlio Jacopo Benedetto, sono tuttora in rapporti, per vicende riguardanti appalti pubblici, sia con Incalza e Pacella (ora ai domiciliari) che con Perotti. In particolare sono state rilevate comunicazioni, circa l’interesse di Jacopo Benedetto Signorile di entrare, insieme a Perotti, nella direzione lavori per la realizzazione dell’autostrada Roma Latina (opera da 2,8 miliardi di euro, di cui 970 di contributo pubblico, progetto preliminare approvato dal Cipe nel 2004) su cui l’Anac presieduta dal dottor Raffaele Cantone, nel novembre 2014, ha accolto i rilievi segnalati da Ance Lazio e Acer (costruttori di Roma) in quanto limitativa per la concorrenza delle piccole imprese». Non solo. Annotano ancora gli investigatori: «Il 26 gennaio 2015 Pacini Battaglia contatta Perotti. Dal tenore della conversazione si trae che fra i due interlocutori vi è un rapporto di pregressa conoscenza se non di amicizia».

Le ville di Perotti
Per i pm il «sistema» prevede che Incalza individui le gare da «pilotare» assegnandole a quelle aziende che accettano una maggiorazione almeno dell’1% e la nomina di Perotti come direttore dei lavori. Incarichi che avrebbero fruttato al manager milioni di euro. È la moglie ad elencare in una telefonata con il figlio l’entità dei beni di famiglia. Annotano i carabinieri: «Christine Mor riferisce al figlio che la loro casa fiorentina non ha prezzo, “casa nostra non ha prezzo amore, non ha prezzo veramente. È una cosa fuori da (ride). Anche casetta tua, sai però aspetta, Firenze sente di più la crisi delle altre città quindi casa di Corinne a Roma con la crisi adesso che c’è puoi chiedere 2, senza crisi si può arrivare a 3 , 2 e mezzo, la tua oggi a Firenze sta a uno e mezzo, c’è un milione di differenza secondo me”». Al figlio dice poi che «l’altra casa fiorentina a lui intestata è stata comprata per un milione e 100mila euro cui sono stati aggiunti 200mila euro di lavori, mentre la casa romana dell’altra figlia Corinne è stata acquistata per un milione e 300 mila euro e che la tenuta di Montepulciano è costata 2 milioni e 600 mila».

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21 marzo 2015 | 09:44

Da - http://www.corriere.it/politica/15_marzo_21/lupi-lettera-perotti-984f8d30-cfa4-11e4-b8b8-da1e3618cfb1.shtml
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« Risposta #228 inserito:: Marzo 28, 2015, 04:36:16 pm »

L’analisi
Omicidio Meredith, riscritta la verità «Guede solo sul luogo del delitto»
L’esito delle indagini è stato cancellato. Ora si rischia una battaglia sui risarcimenti
Testimoni smentiti
Vengono smentiti anche i testimoni che dissero di aver visto i due fuggire dalla casa

Di FIORENZA SARZANINI

ROMA - È il verdetto clamoroso, quello su cui nessuno avrebbe scommesso. Perché la sentenza della Corte di cassazione cancella l’esito delle indagini, ma soprattutto sconfessa la sentenza che due anni fa altri giudici della stessa Corte suprema avevano pronunciato ritenendo che Amanda Knox e Raffaele Sollecito fossero certamente sulla scena del delitto. Assassini, questo era stato stabilito.
La scelta di «annullare senza rinvio» quelle condanne inflitte poco più di un anno fa dalla Corte d’assise d’appello di Firenze (28 anni e sei mesi a lei, 25 a lui) smentisce invece in maniera sorprendente l’accusa, consegna alle difese una vittoria schiacciante. E soprattutto nega la validità di un’altra sentenza definitiva che ha ritenuto Rudy Guede colpevole del delitto «in concorso con altri».

I punti oscuri
Il giovane ivoriano, questa è la conclusione, era solo sulla scena del delitto. Uccise Meredith Kercher dopo aver tentato di violentarla in quella villetta di via della Pergola la sera del primo novembre. Cercò di ripulire la stanza, di cancellare le tracce. Nessuno entrò nella casa, come invece lui aveva sostenuto in una ricostruzione certamente fantasiosa e poco credibile. Non c’era un giovane che lo aveva minacciato né una ragazza che lo accompagnava, come aveva messo a verbale pur non facendo mai esplicitamente i nomi di Amanda e Raffaele. Smentiti anche i testimoni che avevano detto di aver visto i due fuggire dalla villetta.
Molti punti rimangono oscuri, soltanto leggendo la motivazione si scoprirà come i giudici abbiano superato tutti gli indizi raccolti, per primo il memoriale che Amanda scrisse in una stanza della questura pochi giorni dopo l’omicidio descrivendo i momenti del delitto ma sostituendo Rudy con Patrick Lumumba. Ma già adesso si può dire che non è stata ritenuta «sufficientemente provata» la ricostruzione dell’accusa secondo la quale «entrambi erano gli assassini, insieme a Rudy Guede».

La mancanza di prove

Il quadro disegnato da chi aveva indagato e da chi li aveva poi condannati «non è sorretto da indizi sufficienti», questo hanno detto venerdì 27 marzo i giudici della quinta sezione penale presieduti da Gennaro Marasca. Ingiusta, secondo loro, è stata la sentenza di colpevolezza, evidentemente ancor più ingiusta la detenzione preventiva. E anche su questo adesso si discuterà a lungo perché è vero che dopo la lettura del dispositivo l’avvocato Giulia Bongiorno, difensore di Sollecito insieme al collega Luca Maori assicura che «non ci sarà alcun atteggiamento vendicativo», ma una richiesta di risarcimento allo Stato appare quasi scontata.

Caso chiuso
Finito, chiuso, il processo termina qui. Molti punti rimangono oscuri, molti interrogativi non avranno mai risposta, ma sembra impossibile che le indagini possano essere riaperte. Interrogatori, perizie, accertamenti: tutto annullato, cancellato, non valido. Nullo anche il verdetto di un’altra sezione della Cassazione che il 26 marzo del 2013 aveva dichiarato non valida la sentenza di assoluzione emessa in appello a Perugia ordinando un nuovo processo a Firenze. Allora i supremi giudici avevano scritto che bisognava «porre rimedio a una decisione segnata da molteplici profili di manchevolezza, contraddittorietà e illogicità» delineando «la posizione soggettiva dei concorrenti di Rudy Guede».

Meredith senza giustizia
Questo erano dunque per il collegio di Cassazione che per primo si è pronunciato, Amanda e Raffaele: «Concorrenti nell’omicidio». Altri giudici hanno ora stabilito che non è così. Hanno cancellato la ricostruzione del delitto che vedeva Meredith «aggredita contestualmente da tutti e tre, per immobilizzarla e usarle violenza». Rudy ha tentato di violentarla, ma non è vero che Amanda e Raffaele hanno infierito su di lei con due coltelli, non è provato che fossero lì e volessero «prevaricarla e umiliarla». Questa è la sentenza definitiva, questa è la verità parziale che arriva otto anni dopo il delitto. Perché la decisione di assolvere per mancanza di prove è comunque la sconfitta per la famiglia di Meredith che continua a non avere giustizia.

28 marzo 2015 | 07:46
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Da - http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/15_marzo_28/riscritta-verita-quella-notte-guede-solo-luogo-delitto-c907f5dc-d514-11e4-ac8b-ead84921270e.shtml
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« Risposta #229 inserito:: Aprile 20, 2015, 05:45:37 pm »

Il retroscena
Strage migranti: missione di terra in Libia per controllare spiagge e porti
L’idea di un’operazione di polizia internazionale autorizzata da Bruxelles e Onu.
Per le caratteristiche dell’azione si segue lo schema utilizzato in Libano nel 2006

Di FIORENZA SARZANINI

Un’operazione di polizia internazionale per mettere sotto controllo le spiagge e i porti della Libia. Un contingente militare autorizzato dall’Unione Europea - possibilmente anche dalle Nazioni Unite - per fermare l’attività criminale degli scafisti e così cercare di stroncare il traffico di esseri umani. È questa la proposta che l’Italia potrebbe mettere già oggi sul tavolo dei ministri degli Esteri riuniti in Lussemburgo e del Consiglio europeo. È l’opzione più efficace, diventata oggetto di trattativa con gli altri Stati membri, per arrivare a un intervento comune e così tentare di bloccare il flusso delle partenze che rischia di avere dimensioni sempre più grandi, dunque di diventare sempre più rischioso.

I tempi non possono essere brevissimi, ma quanto accaduto ieri mostra la necessità di fare in fretta a trovare una soluzione che consenta di assistere le migliaia di disperati che cercano di salvarsi fuggendo dalla Libia. Non a caso si tornerà ad insistere con le organizzazioni umanitarie e naturalmente con l’Unione Europea, per la creazione urgente di campi profughi in nord Africa in modo da smistare le istanze per il riconoscimento dello status di rifugiato politico.

Guerra agli scafisti
Tutte le opzioni vengono analizzate prima della riunione convocata a Palazzo Chigi dal presidente del Consiglio Matteo Renzi. E quella subito scartata riguarda il possibile blocco navale da attuare a poche decine di miglia dalla Libia. Un dispositivo del genere funziona infatti soltanto se accompagnato dai respingimenti. Vuol dire che ogni imbarcazione viene fermata e scortata fino all’imbocco di uno dei porti di partenza in Libia. Ma questo comporta pericoli altissimi e soprattutto non servirebbe affatto a fermare i trafficanti, disposti a tutto pur di lucrare sulla disperazione di chi paga centinaia di dinari pur di salire a bordo di un’imbarcazione. Impossibile anche il ripristino di una missione umanitaria sul modello di «Mare Nostrum» proprio perché agevolerebbe l’attività criminale di chi sa che alle persone imbarcate anche su mezzi di fortuna basterà lanciare un Sos poco dopo la partenza per essere soccorse e salvate. «Se questa fosse la volontà - spiegano gli esperti - sarebbe più efficace creare un corridoio umanitario e portare i profughi direttamente sulle nostre coste».

L’unica strada ritenuta percorribile in questo momento è quella di un intervento che miri a stroncare le organizzazioni criminali. La situazione attuale non consente di avviare alcuna trattativa con le autorità libiche, anche perché ci sono due governi che rivendicano la propria titolarità e soprattutto bisogna tenere conto dei miliziani che tentano di impedire qualsiasi negoziato.

Qualcosa potrebbe cambiare se davvero, come sostiene da un paio di giorni il mediatore dell’Onu Bernardino León si riuscirà, «entro breve a creare un governo di unità nazionale». Ed è proprio questa la «cornice» entro la quale ci si vuole muovere.

L’intervento
Già nel febbraio scorso, di fronte all’avanzata dei terroristi dell’Isis, il ministro della Difesa Roberta Pinotti aveva dichiarato come l’Italia fosse pronta «a fare la propria parte guidando una coalizione internazionale per un intervento militare». A questo adesso si pensa, avendo come obiettivo quelli che Renzi ha definito «gli schiavisti del XXI secolo», evidenziando poi come il controllo del mare non possa essere la soluzione per impedire i naufragi e quindi la morte di migliaia di persone.

L’ipotesi esplorata in queste ore prevede un intervento nella parte settentrionale della Libia, coinvolgendo, se possibile, anche gli altri Stati africani. Il via libera dell’Unione Europea, ancora meglio dell’Onu, si rende necessario perché altrimenti si tratterebbe di un vero e proprio atto di guerra, impensabile anche nei confronti di uno Stato che attualmente ha una situazione totalmente fuori controllo. Una missione di terra alla quale l’Italia parteciperebbe con l’Esercito, con la Marina Militare e con l’Aeronautica seguendo uno schema che ricalca in parte quello applicato in Libano nel 2006. Le condizioni in quel caso erano completamente diverse sia per quanto riguarda la realtà territoriale, sia per la presenza di interlocutori validi con i quali avviare un confronto diplomatico. Ma gli aspetti tecnici sarebbero comunque molti simili.

I campi profughi
L’opzione militare prevede comunque l’avvio di un intervento umanitario per garantire alle migliaia di persone in fuga di avere assistenza in Africa e accoglienza in Europa. Per questo si è deciso di accelerare quel progetto seguito dal ministero dell’Interno che prevede la creazione di almeno tre campi profughi. Veri e propri punti di raccolta in Niger, Tunisia e Sudan dove esaminare le istanze di asilo in modo da poter avviare la procedura con i Paesi indicati dai richiedenti.
L’organizzazione dovrebbe essere affidata all’Alto commissariato per i rifugiati e all’Oim, l’Organizzazione di assistenza ai migranti che proprio in Africa - ma anche in Libia - vanta un’esperienza decennale e ha già seguito numerosi progetti, compreso il rimpatrio assistito. In questo caso ogni Paese metterebbe a disposizione personale che possa lavorare in collaborazione con le autorità locali. Tutto in una corsa contro il tempo per salvare migliaia di persone.

20 aprile 2015 | 08:18
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Da - http://www.corriere.it/esteri/15_aprile_20/strage-migranti-missione-terra-libia-controllare-spiagge-porti-51d42f90-e71f-11e4-95de-75f89e715407.shtml
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« Risposta #230 inserito:: Aprile 20, 2015, 06:10:33 pm »

Migranti e soccorsi
Un Paese che deve fare da solo
L’Italia davanti all’emergenza degli sbarchi e il ruolo dell’Europa

Di FIORENZA SARZANINI

Le parole del prefetto di Bologna riassumono bene quanto sta accadendo, in questi giorni, nel nostro Paese. «Noi salviamo vite», ha risposto il rappresentante del governo a chi mostrava preoccupazione per l’arrivo di centinaia di migranti in Emilia-Romagna. È vero. Salviamo vite e assistiamo donne, uomini e bambini approdati in Italia per sfuggire alla guerra e alla miseria. Accogliamo migliaia di disperati pur non avendo le strutture adatte per farlo, né un piano strutturale adeguato, visto che bisogna fare i conti con le resistenze di alcuni governatori regionali e numerosi sindaci determinati a respingere l’arrivo degli stranieri sul proprio territorio.

La temuta invasione sembra essere cominciata. I diecimila stranieri giunti in Italia negli ultimi sette giorni sono il segnale di una situazione che, entro poche settimane, rischia di diventare difficilmente gestibile. Anche perché è salito in maniera pericolosa il livello di aggressività degli scafisti, fino a trasformare il Mediterraneo in un teatro di battaglia. I colpi sparati lunedì scorso da quattro uomini a bordo di una motovedetta libica, che così sono riusciti ad ottenere dal comandante del rimorchiatore «Asso 21» la restituzione del barcone utilizzato per traghettare centinaia di persone, sono stati il primo, gravissimo, segnale di allarme. La rissa scoppiata a bordo di un gommone con alcuni giovani cristiani che hanno raccontato di aver visto i loro amici picchiati e poi gettati in mare dai musulmani mostra la ferocia che può scatenarsi quando si vive in condizioni disumane. L’ assalto di ieri al peschereccio siciliano trainato fino alle acque libiche è la conferma che ormai nulla si può escludere, perché i gruppi criminali sono disposti a tutto pur di incrementare il traffico di esseri umani.

Molto altro può accadere: la determinazione di questi scafisti rischia di avere conseguenze ancora peggiori. Eppure nulla si muove. L’Italia rimane sola a fronteggiare la minaccia e soprattutto l’emergenza. Qualche giorno fa, di fronte all’ultima ondata di sbarchi, un portavoce dell’Onu ha riconosciuto al nostro Paese il merito di affrontare questi eventi portando interamente il peso dell’Europa. Poteva essere l’occasione per uno sforzo comune che coinvolgesse tutti gli Stati membri di fronte a un’emergenza umanitaria ormai innegabile. È accaduto esattamente il contrario. Da Bruxelles si sono affrettati a precisare che nessuna iniziativa sarà presa. Anzi, è stato specificato che «non c’è alcuna volontà di rafforzare l’operazione marittima, pur nella consapevolezza dei limiti della missione Triton». Quella nota ufficiale dei ministri degli Affari europei di Francia, Germania, Italia e Slovacchia per sollecitare «una reazione forte e comune dell’Europa, una risposta risoluta e una politica migratoria comune e coerente di fronte agli ultimi tragici eventi nel Mediterraneo» appare tanto retorica quanto inutile. Soprattutto incoerente, visto che proviene da coloro che dovrebbero essere parte attiva di questa «politica», promotori di iniziative concrete e urgenti.

Il nostro rappresentante non avrebbe dovuto neanche firmarla, proprio perché non ha alcun valore effettivo, anzi rappresenta la prova che ogni tentativo di ottenere collaborazione dagli altri Paesi è ormai miseramente fallito. Come fallita è la speranza di poter fermare gli arrivi dei migranti mettendo qualche decina di mezzi navali a trenta miglia dalle coste siciliane. A questo punto è necessario varare nuove regole che proteggano gli uomini impegnati nelle operazioni di soccorso e salvataggio in mare. E l’Italia deve farlo in piena autonomia, per prevenire conseguenze che possono essere drammatiche. La Libia è ormai fuori controllo, siamo esposti a un pericolo sempre più tangibile. Restare inerti e isolati rischia di avere esiti tragici. È inutile illudersi di riuscire a trovare collaborazione internazionale. Bisogna agire da soli e farlo prima che sia troppo tardi.

18 aprile 2015 | 07:58
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Da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2015-04-09/lavoratori-low-cost-contratti-rumeni-ministero-e-vietato-173222.shtml?cmpid=outbrain_prima_pagina
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« Risposta #231 inserito:: Aprile 25, 2015, 05:03:48 pm »


Il retroscena
Lotta agli scafisti “modello Somalia”
Droni per distruggere le barche
L’idea: copiare l’operazione «Atalanta» varata nel 2008 per combattere i pirati.
Utilizzando mezzi aerei (droni) per azioni mirate ad annientare la flotta dei trafficanti

Di FIORENZA SARZANINI

Scafisti libici come i pirati somali. L’Unione Europea si mostra disponibile ad accogliere le richieste presentate dall’Italia e contro i trafficanti di uomini decide di colpire le postazioni e distruggere le barche utilizzate per trasportare i migranti. Il modello è quello dell’operazione «Atalanta» varata nel 2008 e rifinanziata nel novembre scorso. In attesa di un via libera dell’Onu all’intervento che consenta di svolgere operazioni di polizia sul suolo libico, i ministri degli Esteri e dell’Interno scelgono comunque di intervenire. La «linea dura» dovrà essere confermata durante il vertice straordinario di giovedì, ma l’intesa appare raggiunta e l’assenso da parte di alcuni Paesi ad accogliere una parte dei profughi, sia pur minima, dimostra che qualcosa effettivamente potrebbe cambiare nella politica comunitaria. Anche perché per il governo di Roma sono proprio queste le condizioni non negoziabili per tentare di governare il flusso di stranieri che certamente continueranno ad arrivare sulle nostre coste.

Modello Somalia
Lo schema dovrà essere messo a punto dai vertici militari, l’ipotesi rimanda a quello già sperimentato in Somalia, anche se dovranno essere rimodulati gli interventi. La missione avviata sette anni fa e tuttora attiva nel Golfo di Aden e nell’Oceano Indiano, si svolge infatti in sintonia con il governo di Mogadiscio, mentre al momento appare impossibile trovare interlocutori in Libia. Dunque si procederà utilizzando soprattutto i mezzi aerei, in particolare i droni, in modo da poter compiere azioni mirate e annientare la flotta dei trafficanti. L’operazione coinvolgerà gli Stati membri e potrebbe richiedere anche la collaborazione di alcuni Paesi africani disponibili a cooperare con l’Europa.

Triton e Poseidon
L’attività compiuta dall’alto sarà naturalmente affiancata dai pattugliamenti marittimi. Da qui la scelta di potenziare «Triton» con ulteriori finanziamenti e soprattutto prevedendo l’impiego di un numero maggiore di mezzi navali rispetto a quelli attualmente schierati a 30 miglia dalle coste siciliane. La «copertura» dell’area di intervento sarà ampliata prevedendo anche una sinergia tra «Triton» e «Poseidon», l’operazione svolta nel tratto di mare di fronte alla Grecia, una delle nuove rotte battute dagli scafisti, come dimostra la tragedia di ieri di fronte a Rodi. Il timore, in vista dell’estate, è che il massiccio afflusso di profughi provenienti dall’Africa, ma anche dal Medio Oriente possa infatti convincere i trafficanti ad aprire nuove piste. Già nei mesi scorsi la Capitaneria di Porto e il Servizio Immigrazione del ministero dell’Interno avevano segnalato la presenza di numerosi mercantili nei porti della Turchia pronti a salpare e l’arrivo dei siriani nelle scorse settimane aveva confermato la necessità di avviare subito una trattativa con il governo di Ankara. Il negoziato ha dato al momento buoni risultati, ma non è possibile escludere che la pressione migratoria torni a farsi sentire e dunque appare necessario un pattugliamento più esteso.

Il trattato di Dublino
Molto importante viene giudicata dal governo italiano anche la disponibilità degli Stati membri ad accogliere 5.000 profughi sbarcati in Italia. Si tratta di un numero irrisorio rispetto alle 70.000 persone attualmente assistite e a quelle che presumibilmente saranno accolte entro breve, ma il risultato politico appare evidente perché per la prima volta viene superato - almeno nei fatti - il regolamento di Dublino secondo il quale il richiedente asilo deve rimanere nello Stato dove ha presentato istanza fino al completamente della procedura. Più volte era stata sollecitata, e sempre negata, una revisione dell’accordo per consentire una circolazione più libera tra i Paesi dell’Unione. Adesso uno spiraglio sembra aprirsi, già la prossima settimana potrebbero essere stabilite le «quote». Sempre che non si tratti delle promesse fatte sull’onda dell’emozione che, come in passato, tali rimangono.

21 aprile 2015 | 08:07
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Da - http://www.corriere.it/cronache/15_aprile_21/lotta-scafisti-modello-somalia-droni-distruggere-barche-7a61282a-e7ea-11e4-97a5-c3fccabca8f9.shtml
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« Risposta #232 inserito:: Aprile 25, 2015, 05:06:38 pm »

Il dossier
Il piano per affondare i gommoni Motovedette veloci (con esplosivo)
Alfano rilancia: «Soluzione utile». Ma no ad ampliare il raggio d’azione di Triton.
Vertice con gli enti locali: in caso di rifiuto, i centri di accoglienza verranno sequestrati.
L’Europa mette sul piatto 120 milioni, dettagli saranno decisi in settimana a Varsavia

Di Fiorenza Sarzanini

ROMA - Motovedette in operazioni di soccorso per affondare il barcone appena terminato il salvataggio dei migranti. Il giorno dopo la riunione di Bruxelles durante la quale è stato deciso il potenziamento di Tritonma non si è trovato un accordo sugli altri provvedimenti, l’Italia mette a punto il piano per fronteggiare l’emergenza. Mentre sbarcano sulle nostre coste altri 300 stranieri e le Regioni continuano a fare muro sull’accoglienza, il punto prioritario rimane la distruzione di gommoni e pescherecci utilizzati dagli scafisti. Ma anche la scelta di rimanere con il dispositivo navale a 30 miglia dalla Sicilia perché, come spiegano i tecnici del Viminale, «tornare a Mare Nostrum servirebbe solo a incrementare ancor di più l’attività dei trafficanti».

I mezzi veloci
Il primo incontro tecnico è stato convocato per lunedì. Gli esperti del Dipartimento immigrazione della polizia lavorano a stretto contatto con i responsabili di Frontex.
Molti Stati hanno dato la propria disponibilità a inviare navi nel Mediterraneo per partecipare alle operazioni di pattugliamento. Ad alcuni si chiederà però di sostituirle con mezzi veloci, motovedette che possano essere attivate appena ricevuto l’sos oppure la segnalazione di una barca che sta arrivando. La nave delegata al salvataggio sarà dunque affiancata da un’imbarcazione più piccola che dovrà occuparsi della distruzione del gommone o del peschereccio dei trafficanti. Nel primo caso si provvederà a tagliarlo, nel secondo si potrà utilizzare una piccola carica esplosiva che in un tempo breve lo fa colare a picco. Il piano prevede che si rimanga fino al completo affondamento, proprio per evitare, come più volte accaduto nell’ultimo anno che i trafficanti tornino a prenderlo e lo utilizzino per altri viaggi.

120 milioni l’anno
L’Ue si è impegnata a triplicare mezzi e risorse arrivando a una spesa che dovrebbe superare i 120 milioni annui. Attualmente la Finlandia e la Francia partecipano ognuna con un aereo; l’Islanda, il Portogallo e la Spagna con una nave; la Lettonia con un elicottero; Malta con un aereo, una motovedetta grande e una piccola; l’Olanda una motovedetta piccola. Il piano prevede uno spiegamento molto più imponente, la Germania manderebbe addirittura dieci navi standard, oltre a una da guerra; la Francia due aerei da ricognizione e una nave pattugliatore; la Gran Bretagna una porta elicotteri e due pattugliatori. Dai Paesi del nord come Norvegia e Svezia potrebbero arrivare anche aerei dotati di sistemi di sorveglianza satellitare. Ogni dettaglio dovrà essere deciso a Varsavia, sede di Frontex, entro la fine della settimana. Dopo le dichiarazioni ufficiali del portavoce della Commissione Bertaud - «L’area operativa di Triton sarà estesa» - l’Italia chiederà di non effettuare alcuna modifica rispetto al limite dalle coste. Il rischio paventato dagli esperti del Viminale è quello di un ritorno al modello Mare Nostrum perché, evidenziano, «ha incrementato le partenze per la consapevolezza degli scafisti che, una volta lanciata la richiesta di aiuto, saremmo arrivati fin davanti alla Libia per salvare le persone». Il soccorso e i salvataggi continueranno naturalmente a essere garantiti, «ma le navi dovranno stare in acque italiane».

L’azione militare
L’Ue ha preso tempo, affidando un mandato esplorativo alla rappresentante Federica Mogherini sulla possibilità di agire in Libia con azioni mirate contro le postazioni degli scafisti. Eppure l’Italia continuerà a insistere su questa linea come ribadisce il ministro dell’Interno Alfano quando definisce gli scafisti «la più macabra agenzia di viaggi del mondo» e, prima alla trasmissione di Raitre «Agorà» poi in numerose interviste e dichiarazioni, aggiunge: «Sarebbe utile affondare i barconi prima della partenza, ovviamente nell’ambito di un’operazione di polizia e in quadro di legalità internazionale». Una soluzione di questo tipo non potrà arrivare entro breve, anche perché l’Ue non l’ha posta come prioritaria. Dunque bisognerà fare comunque i conti con il costante flusso di arrivi che, questa è la previsione, aumenterà con l’avanzata della bella stagione.
Per la prossima settimana è stato deciso un nuovo incontro con i rappresentanti dei Comuni e delle Regioni. Nella consapevolezza che, di fronte ad altri rifiuti sull’accoglienza degli stranieri, l’unico rimedio è requisire le strutture.

fsarzanini@corriere.it
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25 aprile 2015 | 08:00

Da - http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/15_aprile_25/piano-affondare-gommoni-motovedette-veloci-con-esplosivo-24d267f8-eb0e-11e4-aaae-29597682dafd.shtml
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« Risposta #233 inserito:: Maggio 02, 2015, 05:08:35 pm »

Scontri no Expo, 500 tra italiani e stranieri, timori che vadano alla Scala
I responsabili di sicurezza preoccupati per nuovi attacchi alla prima della Turandot.
Tra i Black Bloc anche persone venute dall’estero

Di Fiorenza Sarzanini

Adesso il timore dei responsabili della sicurezza è che questo blocco più violento si frantumi in gruppi piccoli e colpisca in varie zone della città. La preoccupazione è che compiano azioni estemporanee, attacchi contro i bersagli già indicati nei giorni scorsi - sedi di banche, multinazionali ma anche punti vendita delle catene internazionali - e vadano avanti fino in serata. E poi arrivino fino alla Scala dove è in programma la Turandot e dove sono attese decine di personalità.

Circa 500
Gli analisti di polizia e carabinieri ritengano si tratti di italiani e stranieri, la frangia più estrema degli anarcoinsurrezionalisti che si erano dati appuntamento all’Expo a da giorni sono arrivati in città, alloggiati in alcuni appartamenti occupati oppure in magazzini in disuso. Sono migliaia gli uomini e donne delle forze dell’ordine a presidio della città e le disposizioni sono quelle di tentare di evitare lo scontro diretto cercando di disperdere i “Black block” per poi riuscire a bloccarli. Secondo le stime degli analisti potrebbero essere circa 500 e non è escluso che altri si aggiungano per contribuire allo “sfascio” più volte annunciato nelle scorse settimane. L’ordine per i reparti impegnati naturalmente è quello di proteggere tutte le sedi istituzionali, impedire in ogni modo che possano essere occupati uffici e interi edifici.

1 maggio 2015 | 17:42
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Da - http://milano.corriere.it/notizie/cronaca/15_maggio_01/scontri-no-expo-500-italiani-stranieri-timori-che-vadano-scala-c214dfce-f017-11e4-ab0f-6f7d8bd494ab.shtml
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« Risposta #234 inserito:: Maggio 11, 2015, 10:24:45 am »

Il dossier
Milano, patto tra gruppi antagonisti durante l’assalto contro la Bce Turandot blindata alla Scala
In vista dell’avvio dell’Expo, il primo maggio a Milano, sono attesi duecento attivisti da vari Paesi europei.
Le misure: il Viminale invia altri 2.000 rinforzi (2.600 già schierati)


Di Fiorenza Sarzanini

L’accordo è stato siglato il 18 marzo scorso a Francoforte, in occasione dell’inaugurazione della nuova sede della Banca centrale europea. È stato allora che i gruppi antagonisti più violenti si sarebbero dati appuntamento a Milano, «tappa numero 2» della loro guerra contro le multinazionali, gli istituti di credito, il potere finanziario mondiale.

E già questa mattina la loro settimana di protesta potrebbe avere inizio con azioni mirate e assalti contro obiettivi nel centro della città e in periferia in un’escalation che - almeno questo sarebbe l’obiettivo dei contestatori - dovrebbe sfociare venerdì 1 maggio in una vera e propria guerriglia.

Non c’è allarmismo nella pianificazione che l’ufficio Ordine pubblico della polizia aggiorna ormai ogni ora in piena sintonia con la questura e il comando provinciale dei carabinieri di Milano. Ma i timori sono altissimi perché il temuto arrivo degli stranieri è cominciato e già oggi potrebbero giungere in città circa duecento persone tra tedeschi, francesi e greci. Molti hanno occupato appartamenti, magazzini dismessi, capannoni alla periferia. Hanno fatto tappa in Piemonte e in Emilia-Romagna, hanno trovato appoggi logistici e saldato legami creati in passato. Molti di loro sono gli stessi che un mese e mezzo fa in Germania hanno scatenato l’inferno e adesso sembrano intenzionati a fare lo stesso sfruttando la vetrina internazionale dell’Expo.

Secondo i dati raccolti dagli specialisti di polizia e carabinieri i primi problemi potrebbero sorgere oggi con la consueta manifestazione che ricorda l’omicidio di Sergio Ramelli, militante del Fronte della gioventù assassinato nel 1975 da esponenti della sinistra extraparlamentare legati ad Avanguardia operaia. E poi ancora dall’alba dell’1 maggio, quando si creerà il corteo di protesta organizzato dai Cobas e da numerosi gruppi di contestatori pacifici che però, almeno ad analizzare le relazioni trasmesse in queste ore ai vertici degli apparati di sicurezza, avrebbero perso il controllo della situazione, sopraffatti dai contestatori più violenti. La strategia di chi protesta, almeno quella intuita attraverso l’attività di prevenzione, è compiere azioni contemporanee in zone diverse proprio per cercare di sfuggire ai controlli della polizia e fare i maggiori danni possibili.

Uno degli obiettivi più volte indicati da chi sta pianificando gli assalti è la Scala dove la sera di venerdì va in scena la Turandot. Lo spiegamento di forze dell’ordine sarà imponente perché si ritiene che possa essere uno degli eventi clou, naturalmente se non ci sarà stata battaglia nelle ore precedenti.

Sono 2.600 le persone di rinforzo ai reparti già schierati che il Viminale ha deciso di inviare per i sei mesi dell’Expo, almeno 2.000 si aggiungeranno in questi giorni per presidiare e, se necessario, militarizzare la città. Il rischio è che vengano prese di mira le sedi di banche, multinazionali e «tutto quello che interessa Expo» come più volte è stato annunciato sui siti antagonisti. Ma non è escluso che anche la Borsa possa diventare un bersaglio e a vedere l’arsenale sequestrato ieri dai poliziotti si comprende la preoccupazione dei responsabili della sicurezza per un livello di scontro che potrebbe essere molto elevato.

29 aprile 2015 | 08:44
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Da - http://www.corriere.it/cronache/15_aprile_29/patto-gruppi-antagonisti-l-assalto-contro-bce-turandot-blindata-scala-0f2393ae-ee39-11e4-b322-fe8a05b45a01.shtml
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« Risposta #235 inserito:: Maggio 11, 2015, 10:39:06 am »

L’intervista
«Cortei, divieti come per gli ultras»
Il ministro dell’Interno Alfano: più poteri ai prefetti per evitare manifestazioni a rischio nei centri storici.
Fermi per i violenti a volto scoperto.
Anche lo Stato pronto a risarcire i cittadini fino all’ultimo euro

Di Fiorenza Sarzanini

ROMA -Ci sono state auto in fiamme e vetrine spaccate, ragazzi incappucciati all’assalto delle forze dell’ordine con le bottiglie molotov. «Il peggio è stato evitato», ribadisce il ministro dell’Interno Angelino Alfano mentre si contano danni per milioni di euro.

Possibile che si debba essere soddisfatti solo perché non ci sono stati feriti gravi o addirittura vittime?
«Secondo le notizie che avevamo raccolto da tempo, la manifestazione del 1° maggio poteva essere un nuovo G8. Abbiamo troppi esempi, anche recenti, in grandi Paesi come la Germania, per non sapere che questi cortei possono trasformarsi in veri e propri saccheggi delle città. Nel caso specifico, i contestatori avevano deciso di assaltare l’Expo gate di piazza Cadorna e poi arrivare fino alla Scala. Questo era il peggio».

Il premier Renzi dice che erano teppistelli figli di papà.
«È proprio così, mi pare anche che ciò emerga addirittura dalla dichiarazione di qualche genitore. Oltre che dai video girati dalla polizia, in cui si vedono giovani con i Rolex ai polsi. Poi, ovviamente, c’erano anche i farabutti che certamente non erano alla prima esperienza e infatti hanno messo in atto un diversivo per tentare di violare zone simbolicamente più rappresentative».

Agli italiani si sono aggiunti numerosi stranieri, perché non li avete fermati prima?
«C’è stata una robusta attività di prevenzione con 2 arresti, 52 denunce, 32 espulsi e tantissimo materiale sequestrato. Oltre la metà erano stranieri. Il lavoro è andato avanti dopo il corteo, con 5 arresti, 17 denunce e 32 persone portate in questura per controlli. Certamente il bilancio sarà ulteriormente positivo per chi indaga».

Perché non avete disposto la sospensione di Schengen in modo da evitare l’arrivo degli stranieri?
«Perché si erano dati appuntamento dopo la devastazione di Francoforte durante il vertice della Bce un mese e mezzo fa. Non potevamo chiudere le frontiere per settimane. Ma soprattutto non volevamo creare difficoltà ai visitatori di Expo. Sarebbe stato un successo per i black bloc. Le forze dell’ordine hanno saputo gestire la piazza in modo egregio pur senza arrivare a provvedimenti tanto drastici».

Un giudice di Milano ha ritenuto di non convalidare alcuni provvedimenti di espulsione di cittadini stranieri. Questo ha creato un danno nell’attività di prevenzione?
«Noi facciamo il nostro dovere. Preferisco non commentare le scelte dei magistrati».

Il capo della polizia Alessandro Pansa dice che la scelta di non caricare è servita a tenere i violenti sotto controllo.
«Ha ragione. Sono stati messi a disposizione uomini e mezzi adeguati all’evento, ma la gestione della piazza compete ai tecnici. Mentre esplodono le bombe carta, uomini e donne delle forze dell’ordine devono prendere decisioni. E io posso dire che hanno fatto una scelta intelligente perché i manifestanti volevano essere inseguiti in modo che si scoprissero i presidi che impedivano ai manifestanti l’accesso al centro storico della città. Hanno lanciato le molotov per distrarre gli agenti e pianificare attacchi altrove, invece si è riusciti a impedirlo».

Ci sarà qualcosa che si può fare per evitare la guerriglia?
«Nel nuovo disegno di legge sulla sicurezza urbana abbiamo previsto l’arresto differito per i manifestanti in modo da avere ancora più poteri per bloccarli e inaspriremo il trattamento sanzionatorio per chi porta un casco o altri indumenti per celare la sua identità».

Non crede ci siano i presupposti per procedere per decreto?
«Sono più favorevole al disegno di legge con corsia preferenziale, in ogni caso ne discuteremo nelle prossime ore. Intanto daremo uno strumento più efficace ai prefetti».

Quale?
«Stiamo lavorando per i divieti preventivi come avviene per le partite di calcio. Quando c’è un alto indice di pericolosità sarà proibito sfilare nel centro delle città, proprio come già avviene quando si impedisce ai tifosi di andare in trasferta».

Il governatore della Lombardia Roberto Maroni ha annunciato lo stanziamento di un milione e mezzo di euro per risarcire i danni subiti dai cittadini. Non toccava al governo?
«Siamo pronti a fare la nostra parte, la proprietà è sacra. Per questo siamo pronti ad aggiungere ai soldi della Regione le risorse statali. I cittadini devono recuperare fino all’ultimo euro».

Che cosa bisogna aspettarsi nei prossimi sei mesi di Expo?
«Abbiamo predisposto 25 piani di sicurezza, ci sono migliaia di uomini impegnati, 490 siti sotto stretta sorveglianza. Purtroppo quello dell’ordine pubblico è un tema che investe tutte le grandi democrazie. Basta vedere quello che succede con la polizia negli Stati Uniti oppure negli stadi in altri Paesi europei».

Questa non può essere una giustificazione.
«Sicuramente no. Però quanto è accaduto venerdì con le maschere antigas e le tute nere abbandonate appena mezz’ora dopo gli scontri per me rappresenta la resa dei violenti. Se poi vogliamo affrontare alla radice il problema di questi giovani così violenti, allora dobbiamo parlare di prevenzione precoce, di scuola, di famiglia».

Lega e Movimento 5 Stelle chiedono le sue dimissioni.
«Strano, sono in ritardo, negli ultimi 15 giorni non le avevano mai chieste».

3 maggio 2015 | 08:58
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Da - http://www.corriere.it/politica/15_maggio_03/milano-no-expo-alfano-cortei-divieti-come-gli-ultras-0c9b5f24-f15c-11e4-a8c9-e054974d005e.shtml
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« Risposta #236 inserito:: Maggio 16, 2015, 04:13:01 pm »

La trattativa per distribuire i migranti
Migranti, cosa chiede l’Ue all’Italia: le condizioni che ci penalizzano
Le clausole per iniziare l’esame del testo che obbliga tutti i Paesi all’accoglienza.
Squadre di tecnici stranieri e centri di raccolta per identificare i profughi.
La proposta è valutata dai tecnici del Viminale come una sorta di commissariamento

Di Fiorenza Sarzanini

ROMA C’è una vera e propria clausola che l’Italia dovrà accettare prima del via libera alla distribuzione dei profughi in tutti gli Stati europei. Una condizione preliminare contenuta nel piano messo a punto dai tecnici dell’Unione Europea che dovrà essere discusso mercoledì. Prevede l’invio in Italia di commissioni internazionali per il fotosegnalamento degli stranieri e la creazione sul nostro territorio di centri di smistamento dove i migranti dovranno rimanere fino al completamento della procedura per l’accertamento dell’identità. Solo se questa parte del progetto diventerà operativa, verrà avviato l’esame della proposta per far diventare obbligatoria e non volontaria l’accoglienza da parte dei 28 Paesi e per una revisione del Trattato di Dublino.

I team misti
La possibilità che la cooperazione dell’Ue fosse condizionata era apparsa chiara già durante il vertice del 23 aprile scorso convocato dopo il naufragio che aveva provocato la morte di oltre 700 persone. Eloquenti furono le parole della cancelliera tedesca Angela Merkel: «Siamo pronti a sostenere l’Italia ma la registrazione dei rifugiati deve essere fatta in modo adeguato secondo le regole Ue». Nella proposta messa a punto a Bruxelles e trasmessa adesso a tutti gli Stati per le valutazioni preliminari il vincolo appare chiaro. È infatti previsto l’arrivo di team stranieri composti da funzionari di Frontex, Europol ed Easo (l’Ufficio europeo per i richiedenti asilo) che si affiancheranno ai poliziotti italiani per effettuare l’identificazione di chi sbarca sulle nostre coste e per collaborare alle indagini sugli scafisti. Già durante la riunione convocata d’urgenza si era parlato di questa eventualità, valutata però dai tecnici del Viminale come una sorta di commissariamento.

Non a caso nei giorni scorsi il prefetto Mario Morcone, capo del Dipartimento Immigrazione del ministero dell’Interno, di fronte alla commissione parlamentare sui centri di accoglienza aveva messo in guardia circa il rischio di «accettare impegni immediati in cambio di promesse future». E adesso che l’invio delle squadre è contenuto nella relazione ufficiale, l’Italia risponderà con controdeduzioni.


60 milioni di euro
C’è un altro aspetto sul quale si dovrà discutere. Riguarda quelli che nel testo preparato a Bruxelles vengono definiti «punti di difficoltà». Sono veri e propri centri di accoglienza che l’Italia dovrà impegnarsi a creare e dove i migranti dovranno rimanere fino al termine della procedura per l’accertamento dell’identità o, nel caso dei richiedenti asilo, fino a che non sarà verificata l’esistenza dei requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato. Si tratta evidentemente di una proposta che di fatto prevede lo stato di custodia di queste persone in modo che non lascino l’Italia per spostarsi in altri Stati. Nella relazione i tecnici impegnano l’Unione Europea a uno stanziamento di 60 milioni di euro per contribuire all’allestimento delle strutture e al mantenimento degli stranieri. Al di là della congruità della cifra, il piano messo a punto dal ministro Angelino Alfano la scorsa settimana al termine dell’incontro con governatori e sindaci già prevede l’allestimento di centri di smistamento in ogni Regione, ma le regole non sono così rigide e soprattutto non è prevista alcuna supervisione straniera. E dunque anche in questo caso bisognerà vedere quale sarà la controproposta messa a punto dagli sherpa italiani.

Le quote e il Pil
Soltanto se questi due punti otterranno il via libera, comincerà la discussione in sede Ue per modificare le attuali regole e prevedere l’obbligo per tutti gli Stati ad accogliere i profughi anziché la disponibilità come avviene ora. Qualora passasse la linea, le quote saranno fissate in base al Pil, il prodotto interno lordo, e al Fondo sociale. Si tratta del primo passo, tutt’altro che scontato, per la revisione del trattato di Dublino che impone la permanenza dei richiedenti asilo nel Paese del primo ingresso, ma appare evidente che i tempi non potranno essere brevi mentre il flusso degli arrivi dall’Africa continua inarrestabile. Non a caso gli stessi funzionari di Bruxelles riconoscono la necessità di stanziare aiuti per lo sviluppo in Africa con un’attenzione particolare all’Eritrea e al Niger, lì dove è maggiore il numero di persone che si mette in viaggio per fuggire da guerra e miseria. In attesa delle decisioni dell’Onu, nulla viene specificato sulla distruzione dei barconi ma si propone una collaborazione dell’Europol nelle indagini sugli scafisti.
E anche su questo il sì dell’Italia potrebbe non essere scontato.

fsarzanini@corriere.it

11 maggio 2015 | 07:46
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Da - http://www.corriere.it/cronache/15_maggio_11/migranti-cosa-chiede-l-ue-all-italia-condizioni-che-ci-penalizzano-b11b7662-f79f-11e4-821b-143ba0c0ef75.shtml
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« Risposta #237 inserito:: Giugno 06, 2015, 05:44:31 pm »

Strage al Bardo, da armiere a uomo del commando: tutti i buchi nelle accuse dalla Tunisia
Il giallo su un’omonimia sostenuta da un giornale nord africano.
Le trattative sulla consegna del ragazzo: l’ipotesi che possa essere processato nel nostro Paese

Di Fiorenza Sarzanini

Due settimane dopo l’attentato al Bardo le autorità tunisine chiesero collaborazione ai servizi di intelligence italiana. E indicarono Abdel Majid Touil come l’armiere della cellula terroristica che aveva attaccato il museo. Dopo il fermo eseguito tre giorni fa hanno invece fatto sapere che il marocchino era uno dei componenti del commando che entrò in azione uccidendo 24 persone tra cui 4 italiani. Una circostanza smentita dalle verifiche effettuate dai poliziotti della Digos e dai carabinieri del Ros che invece ritengono di poter dimostrare la sua presenza a Gaggiano il 18 marzo scorso, giorno della strage. E su questo continuano a ruotare i misteri che ancora avvolgono la vicenda, alimentati da nuovi dettagli, altre circostanze che certamente peseranno al momento di decidere se estradare il giovane a Tunisi.

Si torna dunque agli interrogativi ancora aperti, in attesa che venga messo a disposizione dei giudici italiani il fascicolo con le accuse formali e la ricostruzione delle indagini svolte dalla magistratura tunisina. Dubbi alimentati anche da una fotografia pubblicata dal quotidiano Akher Khabar Online che mostra Abdel Majid Touil molto più anziano, con un paio di baffi neri. Possibile che ci sia stato un errore di identità? Gli investigatori italiani tendono ad escluderlo «perché la data di nascita indicata dai tunisini coincide con quella dello straniero fotosegnalato a Porto Empedocle il 17 febbraio scorso, poche ore dopo il suo arrivo in Italia a bordo di un barcone». E allora come mai le contestazioni al giovane che vive con la madre in provincia di Milano appaiono così infondate? Che cosa è davvero accaduto in questi due mesi dopo l’attentato?

La segnalazione giunta a metà aprile ai Servizi Segreti italiani parla di Touil come del terrorista che ha procurato i kalashnikov per l’attacco. L’allerta girato alle forze dell’ordine è invece generico, nel documento c’è un elenco di nominativi indicati come «sospetti» fondamentalisti ma senza fornire ulteriori informazioni. Al Bardo sono morti quattro italiani, la procura di Roma ha avviato un’inchiesta. Se c’era il dubbio che uno dei terroristi fosse giunto nel nostro Paese perché non sono stati sollecitati controlli urgenti? Come mai si è corso il rischio di lasciare libero un personaggio tanto pericoloso? Gli investigatori avrebbero potuto compiere accertamenti, pedinarlo e tenerlo sotto controllo per scoprire se davvero aveva strane frequentazioni, se aveva contatti con la Tunisia o addirittura che prima di imbarcarsi alla volta dell’Italia avesse trascorso due settimane in un campo di addestramento in Libia come assicuravano alcune indiscrezioni circolate ieri e rimaste senza riscontro. E invece nulla accade fino a martedì scorso quando le autorità tunisine sollecitano il fermo riservandosi di chiedere il trasferimento per poterlo giudicare.
 
La consegna dello straniero appare tutt’altro che scontata, anche tenendo conto che in Tunisia c’è la pena di morte e secondo il nostro ordinamento è possibile chiedere l’inserimento di una clausola che condizioni l’estradizione alla certezza che l’imputato non possa essere sottoposto a pena capitale. E comunque bisognerà verificare la fondatezza delle contestazioni, stabilire se sia davvero un componente della cellula, se si tratti di un fiancheggiatore o se possa essere addirittura estraneo. In ogni caso, proprio perché esiste un fascicolo aperto anche dagli inquirenti della Capitale, non è escluso che alla fine si decida di trattenerlo per motivi di giustizia, di processarlo qui e, in caso di condanna, di mandarlo nel suo Paese d’origine, il Marocco, per scontare la pena. Molto dipenderà anche dalle trattative diplomatiche già avviate tra Roma e Tunisi. I due Paesi hanno ottimi rapporti, esistono trattati bilaterali di cooperazione in materia di immigrazione e terrorismo e anche le forze di polizia hanno lavorato insieme dopo l’attentato proprio per scambiarsi informazioni. Un’intesa che in queste ore viene messa duramente alla prova.

22 maggio 2015 | 10:25
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Da - http://milano.corriere.it/notizie/cronaca/15_maggio_22/strage-bardo-armiere-uomo-commando-tutti-buchi-accuse-tunisia-3a00ab48-0059-11e5-9620-f7b479d580d7.shtml
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« Risposta #238 inserito:: Giugno 17, 2015, 05:00:56 pm »

Il dossier
Permessi a tempo e stretta sulle navi Cosa prevede il «piano B» di Renzi
Chi soccorre i migranti dovrà portarli nel proprio Paese.
Charter per i rimpatri in Africa
L’ipotesi di interventi «meno convenzionali» in Libia trova la contrarietà del Colle

Di Fiorenza Sarzanini

ROMA - Permessi temporanei ai richiedenti asilo per consentire loro di varcare la frontiera e circolare in Europa. Avvio di una trattativa con alcuni Stati dell’Unione per un’operazione di polizia contro gli scafisti in Libia provando anche a coinvolgere l’Egitto. Obbligo per le navi straniere che soccorrono i migranti in acque internazionali di trasferirli nei propri Paesi, vietando l’attracco nei nostri porti. Quello che il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha definito nell’intervista di ieri al Corriere della Sera «il “piano B” se l’Europa non sceglierà la strada della solidarietà», è in realtà un ventaglio di possibili interventi, qualora l’Italia non ottenesse cooperazione effettiva da parte della Ue nella gestione dei migranti. Azioni dure di diplomazia internazionale da affiancare agli interventi tecnici già pianificati per fronteggiare l’emergenza negli scali ferroviari e ai valichi, causata dalla decisione della Germania di sospendere Schengen per il G7 e della Francia di bloccare la «porta» di Ventimiglia. Ma anche in vista di possibili nuovi sbarchi nei prossimi giorni. Palazzo Chigi esclude «atteggiamenti ritorsivi» su altri dossier come era stato ipotizzato riferendosi alle sanzioni contro la Russia di Putin. Ma all’attività già avviata per siglare accordi di polizia con Paesi africani e Bangladesh e ottenere rimpatri veloci e per allestire subito i centri di smistamento dove sistemare i profughi, si affianca un negoziato più riservato che si spera possa essere più efficace.

I charter
Se la Francia continuerà a tenere il valico chiuso, l’ipotesi è quella di concedere i permessi provvisori d’identità anche consentendo il transito su altre rotte. Più strutturata invece l’azione dei funzionari che si muoveranno sul modello dell’intesa siglata con il Gambia due settimane fa dal capo della polizia Alessandro Pansa. Prevede la concessione di mezzi e apparecchiature (fuoristrada, computer), l’organizzazione di corsi di formazione per le forze dell’ordine locali in cambio dei rimpatri effettuati con i voli charter e con procedura d’urgenza. Gia pronta la lista dei Paesi con i quali avviare i negoziati: Costa D’Avorio, Senegal e Bangladesh, Mali e Sudan, tenendo conto che questi ultimi due Paesi hanno già fatto sapere di non essere disponibili, dunque servirà un’azione diplomatica per provare a sbloccare la situazione. La scelta di percorrere con gli altri la strada dell’intesa tecnica serve non soltanto ad accelerare la procedura, ma anche ad evitare implicazioni di tipo politico per gli Stati esteri. I rimpatri verrebbero così effettuati seguendo lo schema già attuato con Egitto, Tunisia e Marocco, dunque facendo partire dall’Italia i charter con gli stranieri “irregolari” identificati grazie alla collaborazione con i consolati.

La Libia
La convinzione è che difficilmente l’Onu autorizzerà un intervento in Libia, ancor più difficile che l’inviato Bernardino Leon riesca a formare un governo. Ecco perché torna a farsi strada l’ipotesi di intervenire in maniera meno convenzionale. Su questo pesa però il giudizio del capo dello Stato Sergio Mattarella che ha sempre escluso l’ipotesi che l’Italia si sganci dalle Nazioni Unite. Più plausibile l’eventualità di impedire alle navi straniere che soccorrono i migranti in acque internazionali di approdare sulle nostre coste visto che il diritto della navigazione equipara il natante al territorio dello Stato di bandiera.

Le caserme
Urgente è riuscire a trovare un’intesa con le Regioni: alla riunione convocata per questa mattina con i prefetti del Veneto e con il governatore Luca Zaia parteciperà anche il prefetto Mario Morcone, capo del Dipartimento Immigrazione del Viminale. Di fronte a un atteggiamento di resistenza, la linea è quella di utilizzare almeno tre caserme al nord e due al sud. Per il settentrione oltre a due in Veneto, la scelta potrebbe cadere su quella di Montichiari, nel bresciano. Nel meridione si punta invece su Civitavecchia e Messina. I lavori di ristrutturazione sono avviati, in attesa del completamento si pensa di allestire le tendopoli in modo da garantire assistenza ai profughi e soprattutto prepararsi all’accoglienza di chi arriverà nelle prossime settimane. Molto più avanzati sono i lavori per i centri di smistamento che dovrebbero contenere massimo 400 persone. A quelli di Settimo Torinese e Bologna, si pensa di affiancare Civitavecchia e Messina. Il timore dei responsabili dell’Ordine Pubblico del Viminale è che la situazione ai valichi e nelle stazioni possa degenerare anche tenendo conto della convivenza forzata di stranieri di diversa nazionalità. Per questo sono stati inviati 100 uomini in più a Roma e Milano, 60 a Ventimiglia e 50 al Brennero.

15 giugno 2015 | 08:06
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Da  -http://www.corriere.it/cronache/15_giugno_15/migranti-piano-b-renzi-cosi-li-manderemo-in-ue-34402790-1320-11e5-8f7b-8677cfd62f52.shtml
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« Risposta #239 inserito:: Luglio 19, 2015, 06:10:48 pm »

Perché rischiamo di perdere tutti
Escalation di violenza che potrebbe ancora degenerare.
Emergenza da gestire

Di Fiorenza Sarzanini

Prima Treviso, poi Roma in un’escalation di violenza che potrebbe degenerare ulteriormente. Italiani contro stranieri, in una guerra che alla fine rischiamo di perdere tutti. Perché sono poche decine i profughi ospitati in Veneto e nel Lazio che tante proteste hanno provocato, ma molti altri ne arriveranno e non si può rischiare di perdere il controllo. Soprattutto non si possono accettare manifestazioni di intolleranza che rasentano il razzismo. Da settimane i residenti di Casale San Ni-cola, periferia Nord di Roma, si oppongono all’apertura della struttura. Ieri il trasferimento di 19 migranti è avvenuto, e puntuale è esplosa la rivolta nel timore che il loro numero possa aumentare. Lo stesso è accaduto in provincia di Treviso, dove i cittadini hanno addirittura impedito la consegna dei pasti a un centinaio di persone e hanno dato fuoco ad alcuni materassi sperando di ottenere lo sgombero dello stabile, senza luce, dove erano state ospitate.

Clima pericoloso
Un clima tanto pericoloso da convincere i responsabili del Dipartimento Immigrazione del Viminale a trasferirli in una ex struttura militare. Tutto questo dimostra che l’emergenza legata all’immigrazione deve essere gestita, non subita. Per troppo tempo il governo si è illuso che l’Europa ci aiutasse a risolvere il problema e non si è adoperato per mettere a disposizione quelle strutture - caserme, ma anche centri di accoglienza più moderni e adatti ognuno a contenere almeno 300 persone - come più volte era stato promesso.

La richiesta di aiuto a Bruxelles
Fa bene l’esecutivo a chiedere di nuovo il contributo di Bruxelles, ma ormai è chiaro che l’unico aiuto potrebbe essere economico e dunque si deve fare tutto il resto. Bisogna accelerare i negoziati per siglare gli accordi di polizia e fare i rimpatri nei Paesi d’origine, individuare luoghi controllati e ben attrezzati dove sistemare chi richiede asilo, aumentare il numero delle commissioni in modo da accelerare l’iter delle pratiche per il riconoscimento dello status di rifugiato in modo che gli stranieri possano raggiungere quegli Stati dove hanno scelto di vivere. Sottovalutare quel che sta accadendo sarebbe un errore gravissimo. Soprattutto perché la rabbia dei cittadini è fomentata da formazioni di estrema destra come CasaPound e Forza Nuova e da esponenti politici che sulla lotta ai migranti fondano la loro propaganda. Un atteggiamento irresponsabile. Altre sono le strade che si possono percorrere per arrivare alla soluzione e la principale passa proprio per chiedere e pretendere dal governo un piano serio e urgente di interventi.

18 luglio 2015 (modifica il 18 luglio 2015 | 08:54)
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Da - http://www.corriere.it/cronache/15_luglio_18/perche-rischiamo-perdere-tutti-224f8922-2d15-11e5-ab2f-03a10057a764.shtml
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