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Autore Discussione: Marco CONTI  (Letto 4095 volte)
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« inserito:: Dicembre 18, 2008, 05:19:57 pm »

Riforma Giustizia, tra gli appelli di Napolitano e l'incognita Pd


 di Marco Conti


ROMA (18 dicembre) - Gabinetto di crisi, direttorio, poteri speciali al segretario. Solo con la riunione dei vertici del partito di domani si capirà in quale direzione intende muoversi il partito Democratico non solo al suo interno ma anche nei rapporti con le altre forze politiche. Lo sconquasso che ha investito il Pd e la sincronia con la quale si sono aperti nel giro di pochi giorni ben nove "focolai" giudiziari in tutta Italia, spinge qualcuno a parlare di «complotto» e di «regia». Definizioni che appaiono paradossali se pronunciate, come è avvenuto ieri, da esponenti del centrosinistra che hanno sempre contestato il teorema di Berlusconi secondo il quale le toghe si muovono sulla base di disegni e strategie politiche uniche ed occulte.

E' presto per poter sostenere che le procure si apprestano a sciogliere un altro partito, ma è forse già possibile constatare che nessun partito può godere ancora di una rendita di immagine basata su una "diversità" che i fatti stanno mettendo a dura prova. Nel suo importante discorso pronunciato ieri davanti alle più alte cariche dello Stato, il presidente dell Repubblica Giorgio Napolitano non si è limitato a sollecitare le forze politiche affinchè trovino un percorso comune sulle riforme. Infatti per la prima volta il capo dello Stato ha indicato gli argomenti sui quali il Parlamento dovrebbe discutere ed intervenire. Un'analisi precisa e dettagliata su temi, compresa la riforma della giustizia, che ora spetta alle forze politiche condividere o contestare nel concreto dando più o meno corso al plauso della prim'ora.

Nel partito Democratico sembra per ora prevalere la sindrome di Stoccolma e dell'arroccamento. Scioccati e forse anche un po' impauriti, i dirigenti del Pd faticano ad uscire da tabù radicati e diventa sempre più rischiosa l'opa lanciata in Abruzzo da Tonino Di Pietro su un partito disorientato che, seppur giovanissimo, sembra aver perso del tutto quella carica di novità che invece il Pdl, in attesa del suo primo congresso-costitutivo deve ancora dispiegare e che sarà molto utile alle elezioni Europee di primavera. La tentazione di far da soli, grazie alla forza dei numeri e ad un opposizione allo sbando, pervade il governo e il suo leader, anche se ieri mattina Berlusconi ha dovuto assecondare la Lega autorizzando un confronto con Pd e Udc utile a Bossi per spuntare una riforma federale condivisa.

Chiudersi nei rispettivi fortini per riproporre la contrapposizione di sempre e il noto scambio di accuse ha il pregio di autoconservare le classi dirigenti degli opposti schieramenti. Addossando l'uno all'altro la responsabilità del nulla di fatto. Trovando sintonie solo quando si tratta di respingere richieste di arresto di parlamentari. E' molto probabile che anche questa volta finisca così, se non fosse che il record di astensioni emerso dalle elezioni regionali abruzzesi, getta un'ombra di delegittimazione sull'intero sistema. Ieri pomeriggio il presidente della Repubblica ha quindi raccolto l'umore del Paese, ha messo la politica di fronte alle proprie responsabilità e ha rilanciato il Parlamento come luogo del confronto e delle decisioni.

E' paradossale che un leader come Umberto Bossi, sia di fatto l'unico a perseguire tenacemente il metodo indicato ieri dal capo dello Stato. Obiettivo principale della Lega resta il federalismo fiscale, ma ciò che sembra aver compreso il leader della Lega meglio di altri è proprio la difficoltà, se non l'impossibilità, a governare e riformare un paese come l'Italia a colpi di maggioranza. 

da ilmessaggero.it
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« Risposta #1 inserito:: Gennaio 09, 2009, 04:50:33 pm »

Alitalia, il premier a Bossi: ora piantala

Il Senatur: «Berlusconi l'è un pù incasà»


di Marco Conti


ROMA (7 gennaio) - «Caro Bossi, ora piantala!», titola oggi "Libero" riportando il contenuto di un colloquio con Silvio Berlusconi nel quale il premier critica l'alleato per i toni usati per difendere lo scalo di Malpensa.

«Malpensa e il Nord stanno a cuore al sottoscritto almeno quanto stanno a cuore a Bossi e alla Lega», sostiene il premier che, per l'impossibilità di Bossi di partire da Milano per la neve, ha dovuto rinviare a domano il pranzo "chiarificatore", previsto per stamane a palazzo Grazioli, con l'intero stato maggiore del Carroccio.

L'irritazione del Cavaliere nei confronti dei lumbard trapela ormai da giorni, se non da settimane, e non riguarda certo solo il destino dell'hub varesino. Bossi, ovviamente ne è al corrente e oggi non ha potuto fare a meno di confermare in maniera colorita, ma efficace, lo stato d'animo del Cavaliere: «Eh, Berlusconi l'è un pù incasà... Ma il problema Malpensa resta. Perché va bene andare a Napoli, come ha fatto più volte il governo, però bisogna anche andare a Malpensa. Io glielo ho detto più volte».

Domani quindi il chiarimento perché tra punti irrinunciabili (federalismo fiscale), veti (riforma della giustizia), esigenze elettorali (legge sulle intercettazioni), battaglie ideali (legge contro i writers) e richieste da manuale Cencelli (allargamento della squadra di governo), sono ormai molti se non troppi i punti che il premier intende chiarire con il partito di Bossi. Ancora una volta, come accadde già nella legislatura 2001-2006, gli alleati del Cavaliere devono battere forte la grancassa per strappare al leader indiscusso ciò che in altro modo sarebbe più difficile spuntare. Insidiare, con polemiche e attacchi frontali, le percentuali di gradimento di premier e governo, risulta ancora una volta l'arma più efficace che gli esponenti del Carroccio hanno usato per tutte le vacanze di natalizie facendo però "incazzare" il presidente del Consiglio, come ammette lo stesso Bossi.

Il leader della Lega e Calderoli avevano promesso al Cavaliere di non fare dichiarazioni pubbliche sino a quando l'affare Cai-Alitalia non fosse andato a posto, e dopotutto l'impegno è stato rispettato, se non fosse che l'inizio della Nuova Alitalia coincide anche con la scelta del partner internazionale.

Berlusconi avrebbe preferito venissero distinti i tempi e rinviata la scelta dell'alleanza, ma poi si è dovuto arrendere alle scelte imprenditoriali della cordata guidata da Colaninno. Ora che i giochi sono fatti e che all'intesa di Alitalia con Parigi manca solo la firma, il Cavaliere ha ben presente l'esigenza di trovare a Malpensa uno spazio nel contesto aeroportuale del Nord e non vuol lasciare al Senatùr l'argomento.

D'altra parte è normale che un partito territoriale molto forte come la Lega, che di fatto rappresenta l'unico alleato del Pdl, faccia valere le proprie ragioni. Sono però proprio i limiti territoriali nei quali si incarnano quasi tutte le richieste del Carroccio a creare problemi non da poco per il premier, alle prese con le difficoltà di una crisi che sta mettendo a dura prova tutto il Paese.

Se nella maggioranza si avverte la mancanza di contrappesi, qualche scricchiolio si avverte anche nella costruzione del Pdl. Prosegue da giorni, e non proprio sottotraccia, la polemica di An nei confronti del coordinatore azzurro Denis Verdini, che da mesi sta lavorando alla costruzione del nuovo soggetto politico in vista dell'assemblea costituente di marzo. Il "no" di An all'ampliamento del numero di ministri e sottosegretari che si è sommato a quello della Lega, si spiega proprio nella richiesta di An di un maggior peso all'interno del nuovo partito e di un ruolo per l'attuale presidente della Camera che oggi torna a battere il tasto delle riforme condivise. 

da ilmessaggero.it
« Ultima modifica: Gennaio 15, 2009, 05:08:25 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #2 inserito:: Gennaio 12, 2009, 05:10:43 pm »

Le contraddizioni dei due poli rilanciano le ambizioni del centro
 
 di Marco Conti


ROMA (12 gennaio) - La nascita di un centro forte, alternativo al Pd e alla Pdl, non sembra essere più un progetto per nostalgici ma comincia a far breccia anche in quella parte di classe dirigente formata da sindaci e amministratori locali che, carta d'identità in mano, della prima Repubblica ne hanno respirato appena l'aria.

Nel partito di Veltroni l'insofferenza della componente dell'ex Margherita è ormai sin troppo evidente ed esplicita. L'avvicinarsi del voto europeo accentua il nervosismo anche in sede locale come dimostra l'accusa fatta ieri da un dirigente romano e senatore del Pd Lucio D'Ubaldo al presidente della Provincia Nicola Zingaretti di ragionare da «ex comunista» perchè considera il Pd un partito della sinistra e forse lo vuole aderente al Partito socialista europeo. Peccato, afferma D'Ubaldo, «avevo immaginato che insieme, cattolici e laici, avessimo creato un nuovo soggetto politico, democratico e riformista».

Proprio quel progetto viene oggi picconato da Lorenzo Dellai. Il presidente della Provincia di Trento, inventore del modello-Margherita successivamente esportato a Roma, intervistato oggi da "La Stampa", ammette senza reticenze che «il Pd è nato sull'aspettativa eccessiva che un solo partito potesse esprimere tutta l'articolazione delle culture riformiste italiane» e che «per tornare a vincere a Roma» serve, «accanto al Pd, un centro riformatore».

La spallata all'attuale sistema bipolare è consistente e il dibattito, avviato ormai da settimane a sinistra, si intreccia con le tensioni che a destra accompagnano la nascita del Pdl e che da qualche giorno si stanno scaricando sul governo. Tra la denuncia dei rischi di "cesarismo" e la richiesta di pari dignità, An punta i piedi così come da tempo fanno gli ex della Margherita. Il fatto che non si tratti dell'ovvio braccio di ferro che i partiti più piccoli provano ad ingaggiare con i più grandi nel timore di esserne fagocitati, lo dimostra l'inverso schema di problemi che assediano i due partiti.

Se l'ingresso nel Ppe non è un problema per An, gli ex Dc mal digeriscono la possibile sintonia del Pd con il gruppo del Pse. Se per gli ex della Margherita l'attuale gruppo dirigente del Pd difetta in leadership, dentro An si chiede da tempo che nel Pdl vi sia maggior dibattito interno, più condivisione nelle scelte e un trattamento da pari.

A definire oggi in maniera esplicita il Pdl e il Pd come «due partiti finti» è Pier Ferdinando Casini. Intervistato da "La Repubblica", Casini rilancia il tema delle affinità che ci sono con Enrico Letta e Francesco Rutelli, ma sostiene anche che «nel Pdl non c'è omogeneità politica». L'invito ai due esponenti del Pd ad aderire alla Costituente di centro, si accompagna quindi alla riproposizione del nodo del rapporto tra la Lega e il resto del centrodestra e alla denuncia di un sistema che, come afferma Casini, «per stare in piedi, per puntellarsi, ha bisogno di abolire le preferenze, celebrare finti congresssi, organizzare finti partiti che si riducono alla firma dal notaio o a registrare riunioni interne come nel caso Jervolino».

I due principali partiti sono quindi destinati a presentarsi all'appuntamento elettorale di primavera con una serie di contraddizioni e malintesi interni che solo il risultato del voto europeo potrà risolvere. Il rischio che l'esito della consultazione assegni alla Lega di Bossi il ruolo di terzo polo potrebbe però alla fine smuovere anche i dubbiosi e gli indecisi 

da ilmessaggero.it
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« Risposta #3 inserito:: Gennaio 15, 2009, 05:09:02 pm »

Tagli al Sud, Lega teme per federalismo

Berlusconi media, gelo con Fini
 
 di Marco Conti


ROMA (15 gennaio) - Lo scontro è duro, durissimo e quella sorta di vertice sul Sud al quale Silvio Berlusconi è stato inchiodato ieri pomeriggio, appena messo piede a Montecitorio, lo ha fatto esplodere in tutta la sua drammaticità. D’altra parte la fiducia al governo, che si votava a pochi passi dall’ufficio del premier vicino l’aula, è stata dettata proprio dall’esigenza di «non far saltare in aria» l’esecutivo, come spiegato senza mezzi termini da Umberto Bossi.

Tra il rischio di un consistente aumento del costo dell’energia, i ripetuti tagli ai fondi Fas per le aree sottoutilizzate fatti da un ministero dell’Economia a caccia di risorse e l’azzeramento dei fondi per le infrastrutture, ministri e parlamentari del Mezzogiorno sono sul piede di guerra. Con i ministri Tremonti, Scajola, Fitto, Brunetta, Sacconi e Miccichè, Berlusconi ha provato a trovare un’intesa prolungando qualche ora dopo a palazzo Chigi il tavolo e promettendo all’Mpa siciliano di Raffaele Lombardo un incontro ad hoc per discutere di Mezzogiorno. A dare la misura dell’irritazione provvede Gianfranco Miccichè al termine di un colloquio con Tremonti in Transatlantico: «Io non sono un sottosegretario del Sud, ma un sottosegretario anti-Nord».

Ovviamente il montante malumore dei parlamentari del Sud preoccupa Berlusconi ma ancora di più Bossi il quale teme ritorsioni sul federalismo fiscale che dovrebbe andare in aula a fine mese. Anche ieri pomeriggio il premier ha provato a tranquillizzare il Senatùr che aveva appena sostenuto che sulla riforma della giustizia non c’è nessun accordo. La Lega si aspetta che il doppio passaggio parlamentare avvenga prima delle elezioni amministrative di giugno, ma i ripetuti rinvii tengono sulle spine Bossi il quale da settimane è alle prese con la questione di Malpensa e che è pronto a paralizzare l’azione del governo se non si approverà il federalismo fiscale.

Senza ormai reticenze, i leghisti continuano ad attaccare a testa bassa il più stretto collaboratore del premier, Gianni Letta. Ieri l’altro il sottosegretario Castelli lo ha accusato di aver favorito l’intesa di Cai con AirFrance, mentre Bossi continua a lamentarsi con il Cavaliere della sponda che Letta dà al lavoro del ministro per gli Affari Regionali Raffaele Fitto. Se Bossi non ha dubbi su cosa scegliere tra il partito di Letta e quello di Tremonti, a Berlusconi l’equilibrio resta difficile. Così come risulta al premier complicato gestire anche l’altro fronte aperto che riguarda il rapporto con Gianfranco Fini e la costruzione del Pdl.

Con il presidente della Camera resta il freddo, malgrado il tentativo di minimizzare lo scontro fatto dallo stesso premier ieri sera a Montecitorio. In una riunione che si è tenuta a palazzo Grazioli prima del voto di fiducia sono stati in molti, a cominciare dal capogruppo Fabrizio Cicchitto, a sollecitare il Cavaliere ad un gesto platealmente distensivo nei confronti di Fini. Il premier si è però limitato ad un elogio del ruolo ”terzo” interpretato dal presidente della Camera, ma non ha nessuna intenzione di rinviare la nascita del Pdl ed è pronto, se necessario, a risalire sul predellino di San Babila. I mugugni di An sulla data del congresso, fissata per il 27 marzo, non sembrano impensierirlo. «Indietro non si torna, se c’è chi vuole intraprendere operazioni nostalgia si accomodi», ha sostenuto ieri con un parlamentare che gli chiedeva conto delle perplessità che circolano nei palazzi della politica e della possibilità che si arrivi ad una ”federazione” più che ad un unico soggetto.

Berlusconi non ha però intenzione di mollare e ha dato ordine a Verdini, coordinatore di FI, di andare avanti. E’ infatti convinto che il partito di Fini sia con lui. Al punto che non fa mistero in pubblico dei rapporti strettissimi con alcuni esponenti e ministri di An. «Io più vicino a Berlusconi che a Fini? Macchè domande! Ora prendo il centimetro», ironizza il ministro Ignazio La Russa. Fatto sta che l’ex presidente di An raccoglie non solo i malumori della base del suo partito, ma anche quelli di molti parlamentari del centrodestra che si lamentano per l’eccessivo peso della Lega e le continue cene da Arcore.

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