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« Risposta #1 inserito:: Luglio 29, 2007, 06:50:47 pm » |
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Castelli addio
Giovanni Salvi
I magistrati tirano un gran sospiro di sollievo. Il pasticcio chiamato riforma è stato smantellato negli aspetti che più incidevano sulla funzionalità della giustizia. La maggioranza ha dato prova di coesione, riuscendo a giungere - anche se in zona cesarini, come si diceva una volta - ad approvare il testo del governo, pur se fortemente emendato. Non era un risultato scontato, visto che sui temi della giustizia sono emerse in realtà visioni divergenti, ben note anche prima delle elezioni ma che non apparivano nei programmi elettorali. La «riforma Castelli» era animata da un´impostazione di fondo: affrontare il grave deficit nel funzionamento della giustizia attraverso una radicale trasformazione della magistratura.
Il principale problema della giustizia non è nella penuria dei mezzi, nelle farraginosità processuali, nell´inadeguatezza delle norme sostanziali; al contrario, messa la mordacchia a una magistratura non sensibile alla volontà popolare sarebbe stato finalmente possibile ripianare il debito giudiziario. Nel suo primo intervento dinanzi a un Csm allibito, l´allora Ministro della Giustizia lo disse con chiarezza: era inutile investire in una macchina non in grado di funzionare; occorreva prima intervenire sull´ordinamento e poi si sarebbe finalmente potuto risanare la giustizia nel suo complesso.
È questo contesto che spiega per quale ragione la riforma abbia puntato sulla reintroduzione di un principio gerarchico, sia nella giurisdizione (assegnando alla Corte di Cassazione un ruolo di vertice di una piramide) sia nell´assetto interno degli uffici e in particolare delle procure. Un ritorno a un periodo della storia della giurisdizione che costò molti sforzi superare: quello di una magistratura pienamente inserita negli ambienti del potere e incapace di differenziarsene, non in grado di operare quella mediazione tra l´astrattezza della legge e l´aggiudicazione nel caso concreto, che è la sua essenza e la sua vera funzione.
È per questa ragione che la riforma Castelli introduceva un farraginoso e complicato sistema di concorsi interni, che avrebbe da un lato paralizzato il Csm, impegnandolo in questa inesauribile attività, e dall´altro premiato i magistrati attenti alla carriera più che al lavoro. Ricordo quello che, vigente un sistema analogo, mi diceva mio padre, avvocato penalista, a proposito di certi magistrati, preoccupati solo di redigere bei provvedimenti, pieni di citazioni, e paurosi di ogni deviazione dal detto dei superiori.
In questi giorni due magistrati romani, entrambe donne, una p.m. e una giudice, hanno affermato con un ben argomentato provvedimento il diritto di rifiutare l´accanimento terapeutico e di scegliere di morire dignitosamente, facendo così «giustizia» di tante polemiche e di tanto crudele accanimento su Piergiorgio Welby, anche da morto. È questa la magistratura indipendente e professionalmente preparata che vogliamo.
Questo ci porta però subito coi piedi nel piatto. Sarebbe un errore non riconoscere che le esigenze di rigore, preparazione professionale, capacità di dare risposta alla domanda di giustizia - mal poste dal ministro Castelli a fondamento della sua riforma - sono reali e sono sentite come indilazionabili dai cittadini. È anche per questo che il disegno di legge del Ministro Mastella non ha avuto vita facile. Qualcosa in questa direzione è stata fatta. Ad esempio recependo gli orientamenti che il Csm era faticosamente riuscito a formulare, nel vuoto normativo, circa più stringenti valutazioni della professionalità dei magistrati. O introducendo finalmente la temporaneità negli incarichi direttivi e semidirettivi.
L´Associazione Nazionale Magistrati ha dimostrato senso di responsabilità e fermezza. È ora però di dare una decisiva svolta. Finita la preoccupazione di riforme contro la magistratura, occorre saper guardare al cittadino e alla sua esasperazione per una risposta che arriva - quando arriva - in ritardo e incerta nei suoi contenuti. Finito il periodo della ricerca del capro espiatorio, si affronti il periodo del risanamento, con i costi anche politici che esso comporta. In questa direzione vi sono già dei terreni di confronto aperti: dai disegni di legge frutto delle Commissioni Foglia sul processo del lavoro, bloccati nel 2002 che è urgente siano rimessi in discussione, alle proposte di intervento sui codici penali e di procedura penale.
Soprattutto, le mediazioni che sono state necessarie per far giungere in porto il disegno di legge Mastella hanno lasciato fuori due temi di grandissimo spessore. Il primo, più semplice da risolvere, è l´imminente scadenza di un gran numero di incarichi direttivi e semidirettivi, grazie all´abrogazione delle norme che prevedevano una gradualità nell´applicazione della temporaneità. È facile immaginare che cosa succederebbe se 350 tra dirigenti e semidirettivi dovessero nello stesso momento essere sostituiti.
Il secondo, più serio, è costituto dal controllo sui dirigenti delle procure della repubblica. Il Parlamento non è riuscito a trovare un accordo e la questione è stata rinviata; nel frattempo il Csm ci metterà una "pezza", in via interpretativa. Il punto merita invece di essere affrontato: proprio se si vogliono - come è giusto - uffici di procura che abbiano impostazioni omogenee e che rispondano della capacità di organizzarsi e di utilizzare le risorse, è necessario prevedere un quadro entro cui esse debbano muoversi e che sia la base per un giudizio di responsabilità del dirigente. Solo se si disciplina questo quadro di riferimento e si attribuisce al Csm il ruolo di orientamento e di valutazione, sarà possibile poi operare una seria valutazione per la riconferma del dirigente. Se non vi sono questi riferimenti, da un lato il dirigente diverrà capo assoluto, dall´altro sarà o di fatto irresponsabile, o esposto a forme di controllo arbitrarie e dipendenti dalle maggioranze del momento. Questo è quanto avveniva negli anni ´50. Il costo causato da molti porti delle nebbie, sparsi per l´Italia, fu pagato dalla collettività.
Insomma, occorre tornare a guardare al cittadino-utente e al servizio da rendergli. Solo così l´autonomia e l´indipendenza della magistratura saranno vissuti non come un privilegio di casta, ma come bene comune. Sarà un bel giorno quando il sospiro di sollievo lo tirerà non solo il magistrato, ma il Paese.
Pubblicato il: 29.07.07 Modificato il: 29.07.07 alle ore 14.51 © l'Unità.
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