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Autore Discussione: Paolo Conte.nel nuovo album, riscopre una passione dimenticata: l’amore  (Letto 2602 volte)
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« inserito:: Dicembre 12, 2008, 11:03:23 am »

Paolo Conte.nel nuovo album, riscopre una passione dimenticata: l’amore

Mi tengo la mia vecchia giacca

Non per nostalgia, per saggezza antica. Perché questa crisi potrebbe salvarci, dice l’avvocato di Asti.
 
 
Alle prime note di ogni brano, in platea scalpitano i piedi, le dita tamburellano il ritmo sulla poltrona, le labbra si accordano sul testo interamente mandato a memoria. Paolo Conte è così: chi lo ama, lo ama alla follia. Le sue canzoni, come le orecchie nelle pagine dei libri più amati, hanno scandito le biografie di almeno tre generazioni, contagiandole di geografie cromatiche e climatiche, tra Parigi, Genova e un Sudamerica da favola. Con rude levità nella voce, l’avvocato di Asti regala un pastiche tra stili e epoche diverse nella musica, un ribollire di invenzioni nella lingua. Sul palco del Teatro Sistina di Roma sta iniziando il concerto, importante tappa della nuova tournée europea che lo vede impegnato, con il suo abituale ensemble di otto musicisti, fino alla primavera 2009 (prossima tappa: 26-27 gennaio a Bologna). Ascolteremo i vecchi successi e il nuovo album Psiche, uscito a settembre per Platinum e distribuito in tutto il mondo. Al suo apparire, in elegante giacca nera di velluto, Paolo Conte raccoglie un applauso infinito con un silenzioso cenno delle sopracciglia, prima di nascondere lo sguardo saturnino dentro la faccia e questa velocemente dietro un grande pianoforte a coda. Due ore e molti applausi più tardi il Maestro è in camerino, dentro una giacca blu e una sciarpa scozzese, forse desideroso di svanire nei bauli del teatro insieme a Max, Jimmy e tutti gli altri “eroi” delle sue canzoni, «uomini solitari e perdenti in un dopoguerra che aveva bisogno di ricominciare a sorridere» ha spiegato un giorno in una delle sue rare interviste. Invece dispensa strette di mano e saluti. Lo spazio si riempie di complimenti, domande e rapide risposte su cui sorride, come cercando di schivare il colpo.

Cominciamo dal nuovo album. Più psicologia, più ermetismo, nuovi suoni sintetici e meno jazz. Qual è la direzione?
«Forse il desiderio di onde “future”».

E Psiche si porta dietro anche Amore: ci sono delle vere canzoni d’amore, un Paolo Conte così non lo ricordavamo… che cosa è successo?
«Alcune mie musiche vecimploravano di essere coperte da parole d’amore. Le ho accontentate senza vergogna».

Come sceglie le parole? La sua passione per l’enigmistica le è mai tornata utile?
«Scrivo sempre prima la musica, è la musica che fa da guida alle parole. Diciamo che mi piace parlare con lingua biforcuta, come dicono i pellerossa. Doppi, tripli sensi, enigmi in partenza e in arrivo».

E proprio così, come una “confessione di attualità pellerossa” Conte definisce una delle 15 canzoni del nuovo album, Il quadrato e il cerchio, che, c’è da scommetterlo, immetterà nuovi versi nella memoria dei suoi furenti seguaci, gli stessi per cui l’afa sarà sempre «un pomeriggio appiccicoso di caucciù», il tango «blu», la milonga «verde».

Lei ha anche vinto un Premio Montale per “versi in musica”. Le canzoni possono essere la poesia di oggi?
«In piccola parte sì, possono esserlo. Ma è importante che siano “poetiche” anche la musica e l’interpretazione».

Una nota costante è un “non so che” di nostalgia: qual è l’epoca di cui si sente cittadino?
«Sono assolutamente cittadino di quest’epoca. La nostalgia è una funzione del vocabolario».

Ma chi da anni si perde dentro alle sue “reveries”, al suo Novecento in bianco e nero o alle tele signorili di un “altrove” fatto di un sentire alto che non c’è più; chi lo segue nelle impennate con cui risolleva, in un misto di poesia e ironia, ogni dramma del cuore: quelli che trattengono a stento l’emozione perché sul palco si accende Sotto le stelle del jazz, qui faticano a credergli. Ci riprovo:

E allora di quest’epoca che cosa non le piace?
«I numeri e la virtualità. Non riusciamo più a dominare il mondo di numeri che abbiamo costruito. È qualcosa di più forte ancora della politica: è un incontro di economia e informatica».

La realtà come entra nelle sue canzoni?
«La musica è un’arte e non si deve mescolare con la realtà. La realtà la vivo come uomo. La musica è una favola aliena al mondo».

La “vita d’artista” l’ha salvata o l’ha derubata?
«Un po’ una cosa e un po’ l’altra».

Crede che la riduzione del consumo cui ci sta costringendo la crisi potrebbe essere un combustibile per la felicità?
«Potrebbe aiutare, in parte. Conserviamo le vecchie giacche, non buttiamole via. Una volta una giacca durava tutta la vita».

Lei, l’italiano più francese che abbiamo, come ritrarrebbe in breve l’anima dei due paesi?
«I francesi si autoincensano, noi ci deprimiamo in partenza».

In Francia l’adorano, ma la sua casa resta Asti, il Piemonte. Com’è cambiato in questi anni?
«È peggiorato, per colpa dei geometri nelle campagne e degli assessori al traffico nelle città».

Perché, esclusi i presenti e pochi altri, la musica italiana fatica a diventare musica mondiale?
«Chi sarebbero i pochi altri? Scherzi a parte, senz’altro la lingua inglese è fondamentale, cantare in italiano penalizza».

Una voce o un gruppo giovane italiano che le piace?
«Gli Avion Travel».

E infatti il gruppo partenopeo è anche l’unico ad aver riletto in un disco le canzoni di Paolo Conte: disco prodotto con la direzione artistica dello stesso Conte che ne ha disegnato la copertina, ma questo è il Conte pittore che un giorno illustrò la favola musicale Razmataz.

Le sue canzoni sono mondi fatti di colori e immagini. Se fossero quadri, Conte escluso, di quale pittore sarebbero?
«Potrebbero essere quadri di Massimo Campigli».

E se fossero film?
«Sarebbero i film di Duvivier».

La sua canzone del passato che è davvero contento di aver scritto?
«Direi… Via con me».

Visto dalla maturità, c’è un un “vecchio errore” che le resta amaro?
«Dovevo osare di più».

Un sogno che non ha ancora realizzato?
«Dovrei osare di più».

Torniamo a Psiche. La dimensione spirituale è sempre più forte, qual è il suo rapporto con queste cose?
«Penso che dalla filosofia sia scomparsa la metafisica, la ragion pura, lo sforzo del pensiero alto…»

Per finire: ci spiega come mai le hanno perdonato di essere un artista-intellettuale senza un’appartenenza politica esplicita?
«Dipende: anni fa qualcuno ha detto che sotto sotto ero il più politico dei cantautori…».

E così si congeda lasciando le parole non dette alle sue canzoni. Il concerto del nuovo tour si chiude invece sulle note dolcissime di Eden, versi danteschi che portano in paradiso alla ricerca di un sorriso amoroso. È stato con questa canzone, una delle più belle dediche d’amore in cui mi sia mai imbattuta, che ho iniziato a seguire “follemente” Paolo Conte: da allora, ogni volta che la vita declina al sentimentalismo cupo, apro la finestra e spero di trovare una «luna di marmellata».


Giulia Calligaro
11 dicembre 2008(ultima modifica: 12 dicembre 2008)

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