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Autore Discussione: Giorgio NAPOLITANO.  (Letto 39055 volte)
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« Risposta #45 inserito:: Marzo 16, 2017, 05:10:00 pm »

Per l’Europa la prova del coraggio

Pubblicato il 11/03/2017 - Ultima modifica il 11/03/2017 alle ore 07:26

Giorgio Napolitano

Le voci che si sono levate dai maggiori leader europei negli incontri di Malta e ancor più di Versailles, dovrebbero farci ritenere che all’interno dell’Unione europea si stia in qualche modo arrivando al dunque. 

Ma quando Capi di Stato e di governo come la Cancelliera tedesca e il Presidente francese gettano l’allarme per i rischi estremi che corre la costruzione europea, l’Unione, se continua a restar ferma, non si può poi sottoscrivere una solenne Dichiarazione comune di tono idilliaco. 

E’ un fatto anche comprensibile che alla scelta di rottura prevalsa in Inghilterra si sia voluto opporre un’immagine di unità di tutti gli altri Stati membri dell’Unione. Ma è egualmente un fatto che si sia accettato di non prendere decisioni urgenti e mature su temi essenziali per l’Europa, come quello delle migrazioni, o di vederle ignorate, violate, contraddette radicalmente da una parte dei governi dell’Unione. E’ proprio ciò quel che è accaduto, anche in termini di sfida e di negazione brutale di valori costitutivi del progetto europeo come la solidarietà.

Ma è giunto il momento che quanti ne sentano l’imperiosa necessità, dichiarino con coraggio la volontà di procedere ai necessari sviluppi del processo di integrazione, anche in assenza di un consenso unanime. Ciò significa seguire il metodo di una differenziazione che è stato già largamente operante nella storia della costruzione europea. Si può, anzi si deve discutere con grande ponderazione quali problemi susciti la formula di un’Europa a più velocità o a due velocità. Ma la sostanza è che non si può subire il condizionamento paralizzante di membri, per lo più di recente data, dell’Unione europea che probabilmente non hanno incorporato nella loro visione l’idea stessa di una sovranità europea condivisa il cui esercizio è affidato alle istituzioni dell’Unione. 

Stupisce che ci siano reazioni anche pesanti al proposito espresso in queste settimane da Paesi fondatori dell’Europa unita di realizzare impegni già elaborati in termini di obiettivi e tabella di marcia da parte dei Presidenti delle cinque istituzioni europee. Non si vuole discriminare o escludere nessuno, ma solo prendere atto delle indisponibilità di governi soprattutto dell’Europa centrale e orientale a condividere l’attuazione di quegli impegni. Governi o Paesi che hanno goduto dei benefici dell’ingresso nell’Unione europea e adesso resistono al chiarimento che noi ci auguriamo avvenga a Roma per il 60° anniversario dei Trattati in queste sofferte settimane di marzo.

Ora il Primo ministro polacco, a nome di un gruppo V4 che a quanto pare si esprime separatamente, pone condizioni e annuncia divisioni e ritorsioni in nome di quell’unità di facciata tra i 27 di cui si fa paladina e che ha tenuto bloccata per lunghi mesi l’Unione.

La Comunità europea non si lasciò intimidire dalla politica della «sedia vuota» del Generale De Gaulle, né dalle pretese della Signora Thatcher, proseguì tra alti e bassi nel cammino dell’integrazione fino a giungere all’adozione della moneta unica. All’Unione non resta che rinnovare quegli esempi di coerenza e di fermezza.

Intanto, dal Consiglio europeo di giovedì giungono le parole del paragrafo dedicato, nelle conclusioni, al tema «migrazione»: «Per quanto riguarda la dimensione interna, l’effettiva applicazione dei principi di responsabilità e di solidarietà resta un obiettivo condiviso». Si insiste dunque nella tendenza a dare una rappresentazione a dir poco ipocrita della cruda realtà che l’Unione sta vivendo a questo proposito. Sembra che nessuno abbia sentito e visto qualche giorno fa un nuovo discorso di ossessione xenofoba del Primo ministro ungherese e le immagini di una rassegna del corpo speciale di guardie in uniforme che è stato istituito in quel Paese, già solcato da barriere e da filo spinato, per dare la caccia agli immigrati. La verità è che, di fronte a un’ondata tumultuosa e massiccia di richiedenti asilo e di migranti economici, si sono manifestate tra i 27 le contrapposizioni più gravi. Anziché tendere responsabilmente a una sintesi unitaria per quanto difficile, tra esigenze e concezioni della sicurezza, valori europei, diritti universali, imperio della legge e sensibilità umana e morale verso i tanti (anche tanti bambini) trattati barbaramente e in troppi casi portati alla morte da trafficanti criminali, non pochi governi hanno rifiutato ogni corresponsabilità e hanno obbedito a impulsi e calcoli nazionalistici senza sbocco.

Conforta certo che proprio per iniziativa e con l’apporto dell’Italia l’Europa faccia passi avanti per quel che riguarda la «dimensione esterna» del fenomeno migrazione come fenomeno di lungo periodo e ci si muova per affrontarlo in una prospettiva di cooperazione euro-mediterranea, come la Germania ci propone di fare stabilendo un gruppo di contatto tra Europa ed Africa settentrionale. Ma alla questione nel suo insieme si potranno dare le giuste risposte solo se i più consapevoli membri dell’Unione rifiuteranno le finzioni e si risolveranno ad andare avanti comunque su questo come su tutti gli altri temi essenziali.

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Da - http://www.lastampa.it/2017/03/11/cultura/opinioni/editoriali/per-leuropa-la-prova-del-coraggio-P4YMwNonnocsPmmByrxklK/pagina.html
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« Risposta #46 inserito:: Aprile 08, 2017, 05:16:40 pm »

Come l’Italia deve stare in Europa

Pubblicato il 08/04/2017 - Ultima modifica il 08/04/2017 alle ore 01:30

GIORGIO NAPOLITANO
L’approvazione unanime della Dichiarazione di Roma del 25 marzo ha rappresentato un non trascurabile successo di immagine e politico, grazie a uno sforzo di prudenza conciliativa, che lascia tuttavia aperte serie incognite e difficoltà per lo sviluppo nel prossimo futuro di un’integrazione più stretta come valore e obiettivo-chiave del progetto europeo. 

Occorrerà dunque ancora molta capacità di meditata iniziativa da parte dei governi e delle forze politiche di più forte impegno europeistico e da parte delle istituzioni dell’Unione, in particolare di quelle che, per loro natura sovranazionale, costituiscono il perno di un’Europa comunitaria.
 
E all’Italia indubbiamente spetta in tale situazione esercitare un ruolo decisivo, insieme agli altri grandi Paesi fondatori. Per fare al meglio la nostra parte, è densa di insegnamenti la riflessione sull’esperienza vissuta in momenti cruciali del processo di integrazione. E qui vorrei collocare l’omaggio che desidero rinnovare alla figura di Nino Andreatta, artefice tra i maggiori dell’apporto di pensiero e di energia politica dell’Italia alla costruzione europea.
 
Lo farò richiamandomi al suo discorso del dicembre 1988 ripubblicato insieme a molti altri dall’Arel in occasione del decimo anniversario della sua scomparsa. Il discorso fu pronunciato in occasione del Convegno tenutosi per rievocare il confronto e la scelta che condussero nel 1978 l’Italia a sostenere la costituzione del Sistema Monetario Europeo e ad aderirvi fin dall’inizio. Andreatta rievocò quel confronto - parlando «di una settimana di passione» da lui allora vissuta e di «un confronto ideale sull’economia, e sulla politica del nostro Paese», i cui problemi furono «la posta di una seria battaglia».
 
Quel che Andreatta disse allora offre indicazioni di grande valore ancora oggi sui punti che così schematizzerei: come affermare le ragioni e il peso dell’Italia nel contesto istituzionale europeo. Come affrontare squilibri ricorrenti nella Comunità e nell’Unione. Quale prospettiva di integrazione perseguire.
 
Ma innanzitutto va detto che quello di Andreatta, eletto per la prima volta in Parlamento nel 1976 - al pari di Altiero Spinelli che si trovò ben presto accanto nella battaglia per l’adesione immediata dell’Italia allo Sme - fu uno dei discorsi più rappresentativi della sua personalità di uomo politico italiano e di europeista per ricchezza di visione storica e di ispirazione progettuale. Colpisce l’acutezza del suo spirito critico e insieme propositivo. E c’è da ribadire ancora oggi quale forza traggano una linea politica, delle scelte politiche, dalla conoscenza approfondita dei problemi e dalla padronanza della loro complessità tecnica. Con buona pace delle fatue rappresentazioni, ora di moda a casa nostra, quasi di un muro che separi politici e tecnici riservando alla politica, magari ai suoi calcoli di convenienza partitica ed elettorale, l’ultima parola sulle scelte di governo.
 
Le ragioni e il peso dell’Italia nel quadro europeo si affermano dando il più accurato e obiettivo contributo di analisi della realtà, ieri della Comunità, oggi dell’Unione. E prospettando soluzioni di carattere europeo per i problemi aperti. Nel 1978, ricordò Andreatta, il problema di «una politica monetaria e valutaria contraddittoria rispetto al problema essenziale del controllo dell’inflazione». E la realtà era quella «della rottura dell’Europa in due parti, quella a moneta debole e quella a moneta forte». Occorrevano regole nuove, pur non essendo ancora maturo l’obiettivo di una comune moneta europea: le regole dell’istituendo Sme. 
 
Andreatta non dissimulava le debolezze dell’Italia, che culminavano nelle frequenti svalutazioni della lira anche per l’assenza nel nostro Paese del consenso, fortissimo in Germania, per la stabilità del marco. Era evidente il rischio (l’espressione fu usata in quel Convegno da Giuliano Amato) di un’Europa «marco-centrica». E l’accordo, tra gli europei, per il complessivo equilibrio e sviluppo del processo di integrazione, doveva essere, nel comune interesse, quello del dar vita allo Sme.
 
Nello stesso tempo, Andreatta contribuiva a progettare il futuro, sia nel 1978 sia nel discorso del 1988, quando parlò di «una politica gestita da una riserva federale europea», di una banca centrale europea da rendere «politicamente possibile... anche dando garanzie ai Paesi che hanno una tradizione di stabilità monetaria» («in Germania si dice che non sarà possibile un’autorità monetaria europea che nel prossimo secolo»). Ma Andreatta confidava nel superamento delle riserve tedesche grazie ad una «diplomazia di ampio raggio politica ed economica». E in effetti, come sappiamo, alla soglia degli Anni 90 si riuscì politicamente a far nascere l’Euro e la Bce.
 
Ancor oggi, per il superamento degli attuali squilibri in seno all’Unione europea non si vede altra via che quella di un’integrazione più stretta, necessariamente differenziata. Siamo grati ad Andreatta, per ricordarcelo ancora col suo esempio e i suoi messaggi.

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Da - http://www.lastampa.it/2017/04/08/cultura/opinioni/editoriali/come-litalia-deve-stare-in-europa-ktVci7gCiqC5L5fXUFShsJ/pagina.html
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« Risposta #47 inserito:: Giugno 08, 2017, 10:57:56 am »

Legge elettorale, Napolitano: "Voto anticipato colpo a credibilità del Paese".
E Prodi approva

Il presidente emerito interviene pesantemente nel dibattito e sull'accordo sul sistema tedesco rivisto dice: "Intesa di 4 leader solo per convenienza".

In serata l'ex premier parla di un "vulnus" e di una legge elettorale "opposta a quel che volevamo".

E spera nella capacità di unire di Pisapia. E dal Colle, in caso di accordo politico sulla legge elettorale, trapela una preferenza sulle elezioni a fine settembre

06 giugno 2017

ROMA - E' il giorno in cui alcuni dei padri fondatori del Pd - e prima ancora dell'Ulivo - fanno sentire la loro voce, nel debutto alla Camera della legge elettorale frutto dell'accordo a 4 Pd-Fi-Lega-M5s. Ed è un voce che esprime critiche profonde. Inizia il presidente emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano. Toni inusualmente duri: "Il voto anticipato è paradossale, è un colpo alla credibilità del Paese". E ancora: "in tutte le democrazie si vota a scadenza naturale. Questa è una legge elettorale fatta da quattro leader per calcolo di convenienza". Una pesante entrata nel dibattito sul voto anticipato e sulla legge elettorale, che lo pone automaticamente (per storia e ruolo) a capofila del fronte contrario alle elezioni anticipate.

"Siamo di nuovo alle prese con il tema dell'instabilità di governo - dice il senatore a vita in un convegno al Senato - e ciò è aggravato, sul piano dell'immagine e dei rapporti politici, dal prospettare, senza neppure offrire motivazioni appena sostenibili, ipotesi di date per elezioni anticipate, e, in conseguenza, per scadenze di governo e parlamentari, come la presentazione del bilancio dello Stato per il 2018. In tutti i paesi democratici europei si vota alla scadenza naturale delle legislature: fare diversamente significa dare il massimo contributo negativo al consolidamento della credibilità politico-istituzionale del paese".

SCHEDA. Come funziona il 'tedesco all'italiana'

Ma è solo la prima bordata. In serata, arriva anche il commento di Romano Prodi. Rispondendo nella trasmissione 'Cartabianca' alle domande di Bianca Berlinguer, Prodi sintetizza senza esitazioni: “Ogni legislatura ha una data di scadenza precisa, che dà stabilità. Bisognerebbe andare a fondo di questo periodo. Lo vedo un po' un vulnus anticipare". Per passare a un giudizio ancora più negativo sulla legge elettorale: "Non è la legge che volevamo. Una legge elettorale non deve fotografare un Paese ma dare un governo stabile. Si è sempre detto che la sera delle elezioni si deve avere il governo: se c'è una legge che rende quasi impossibile questo è la legge che si sta approvando in cui ogni partito custodisce il proprio voto, ma il quadro che può governare il paese rimane del tutto indefinito, a meno che non ci sia un partito con la maggioranza assoluta".

Poi l'attacco a Grillo: "In questo momento attua una strategia molto intelligente dal punto di vista elettorale, cioè non fare scelte precise, ma concentrarsi sulla critica. E siccome l'economia fatica, la disoccupazione è tanta, la congiuntura è stata difficile, concentrarsi sulla critica vuol dire accogliere il favore di tutti e non fare niente vuol dire non scontentare nessuno. Però il governo è un'altra cosa, il governo purtroppo è scontentare e scegliere".

Poi quello che appare un primo, timido endorsement per Pisapia: "A Milano ha unito, non solo a sinistra, anche verso la borghesia milanese - dice Prodi - . Lo descrivete come un 'rifondarolo'... Pisapia è uno che ha unito la borghesia milanese con una forza di sinistra e questo è il compito di un partito di centrosinistra, come ho fatto con l'Ulivo".

Al Quirinale infine si prende atto che i principali partiti chiedono di andare al voto, subito dopo l'approvazione della legge. Il Colle per ora assiste al dibattito politico da spettatore attento. C'è un governo in carica e ci sono scadenze da rispettare a cominciare dalla legge di Stabilità. Se la maggioranza verrà meno non ci saranno altri tentativi. Ma, è il ragionamento, se si andrà al voto anticipato meglio a settembre che in autunno, in concomitanza con le elezioni tedesche.

© Riproduzione riservata 06 giugno 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/06/06/news/elezioni_anticipate_napolitano-167428632/?ref=RHRS-BH-I0-C6-P2-S1.6-T1
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« Risposta #48 inserito:: Giugno 08, 2017, 11:20:00 am »

Legge elettorale, Napolitano: "Voto anticipato colpo a credibilità del Paese"

Il presidente emerito interviene pesantemente nel dibattito e sull'accordo sul sistema tedesco rivisto dice: "Intesa di 4 leader solo per convenienza"

06 giugno 2017

ROMA - "Il voto anticipato è paradossale, è un colpo alla credibilità del Paese" e ancora "in tutte le democrazie si vota a scadenza naturale. Questa è una legge elettorale fatta da quattro leader per calcolo di convenienza". Il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano entra pesantemente nel dibattito sul voto anticipato e sulla legge elettorale, diventando automaticamente, per storia e ruolo, il capofila del fronte contrario alle elezioni anticipate.

"Siamo di nuovo alle prese con il tema dell'instabilità di governo - dice il senatore a vita in un convegno al Senato - e ciò è aggravato, sul piano dell'immagine e dei rapporti politici, dal prospettare, senza neppure offrire motivazioni appena sostenibili, ipotesi di date per elezioni anticipate, e, in conseguenza, per scadenze di governo e parlamentari, come la presentazione del bilancio dello Stato per il 2018. In tutti i paesi democratici europei si vota alla scadenza naturale delle legislature: fare diversamente significa dare il massimo contributo negativo al consolidamento della credibilità politico-istituzionale del paese".

"L'elemento d'incertezza da rimuovere è l'instabilità di governo - ha continuato l'ex capo dello stato - lo spettro dell'instabilità è riaffiorato subito dopo l'insediamento e il positivo avvio del governo Gentiloni: è da febbraio che hanno cominciato a inseguirsi voci e pressioni per elezioni anticipate "al più presto" e il rischio di un'ingiustificata e irragionevole precipitazione è stato evitato dal consolidarsi del consenso attorno al governo Gentiloni e dal fermo richiamo di Mattarella all'interesse generale e a una corretta prassi costituzionale".
 
© Riproduzione riservata 06 giugno 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/06/06/news/elezioni_anticipate_napolitano-167428632/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P1-S1.8-T1
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« Risposta #49 inserito:: Settembre 25, 2017, 11:26:44 am »

La rinascita dell’Europa protagonista
Pubblicato il 22/09/2017

GIORGIO NAPOLITANO

Nel contesto di sconvolgenti mutamenti geopolitici e di inedito disordine mondiale che è emerso nel nostro tempo, e messa di fronte a sfide senza precedenti, l’Europa nata da uno storico progetto di integrazione e unità sta ritrovando e rinnovando le sue ragioni e la coscienza delle proprie responsabilità. Sono riapparsi particolarmente in piena luce il valore e il ruolo di una politica estera e di sicurezza comune europea: anche rispetto all’acuirsi o all’accendersi di molteplici tensioni nei rapporti bilaterali tra vecchie e nuove, medie e grandi potenze extra-europee. Ed egualmente sono tornati in primo piano il valore e il ruolo dell’unità europea, su tutti i piani, nel fronteggiare l’attacco concentrico all’Europa del terrorismo islamico, divenuto nemico primario di tutto il mondo civilizzato. 

In pari tempo, nello scontro con le offensive populiste e rispetto alle regressioni sul piano ideale e nel senso comune che esse hanno alimentato, l’Europa ha teso a sentirsi e farsi portatrice più che mai del suo patrimonio storico di ideali e di valori.
 
Eva sottolineato come essa abbia saputo raccogliere e far propria la grande tradizione di libertà, di identificazione con ogni sfera e causa di libertà, propria del mondo anglosassone e tempratasi nel fuoco della seconda guerra mondiale. 
 
E’ un vero e proprio ripresentarsi dell’Europa sulla scena quel che innegabilmente si è prodotto e manifestato a partire dalla primavera del 60° anniversario dei Trattati di Roma e, tra l’altro, attraverso assai significative vicende elettorali, culminate nelle presidenziali francesi e nella vittoria di Emmanuel Macron. 
 
Si è verificato l’apparente paradosso del rovesciamento dell’offensiva euro-scettica ed euro-distruttiva, e del rischio di un tendenziale fatale indebolimento dell’Europa costituito da diversi fatti e fenomeni. Tra questi, sul piano politico, la Brexit e l’elezione del presidente Trump negli Stati Uniti; e su un più ampio versante politico e sociale, la dilagante ondata di migranti e di profughi e la conseguente durissima crisi umanitaria. Anziché farsene travolgere, le più lungimiranti forze politiche e sociali europee hanno teso a rispondervi con una decisa riaffermazione di quel che nel presente e nel futuro rappresenta e può rappresentare per il mondo un’Europa sempre più unita e integrata. 
 
In questo senso si sono manifestate dichiarazioni di volontà politica e coraggiose indicazioni di prospettiva, forse come non mai, in chiave di coerente rilancio e sviluppo del processo di integrazione. Dalla Cancelliera tedesca abbiamo sentito, in risposta alla sfida di Trump su versanti tra i più critici, l’orgoglioso appello: «Noi europei dobbiamo prendere il nostro destino nelle nostre mani... i tempi in cui potevamo contare pienamente su altri sono in una certa misura finiti». Il nuovo Presidente francese, appena eletto, non ha perduto occasione per ribadire che l’Europa ha da far leva sulla «forza di una sovranità non più nazionale ma pienamente europea». E c’è chi ha detto, guardando ai grandi assi del patrimonio storico-ideale europeo, che l’Europa è rimasta nel mondo d’oggi il luogo della razionalità. 
 
In questo clima, il presidente della Commissione Juncker ha pronunciato nei giorni scorsi un discorso ricco di aperture su questioni centrali e scottanti. Come quella della solidarietà europea nel concepire e rendere praticabili vie legali per l’immigrazione di cui i paesi europei hanno bisogno, in particolare per i provenienti dall’Africa. E ciò nel quadro di una seria grande politica per lo sviluppo del continente africano secondo la vocazione originaria del progetto europeo. Significativo è stato in proposito il riconoscimento giunto da Juncker per le prove date dall’Italia e per la figura del presidente Gentiloni.
 
Inutile dire che su tutti i punti indicati da Juncker resta l’interrogativo del passaggio a puntualizzazioni indispensabili, a decisioni ed azioni conseguenti. 
 
Naturalmente, quando il presidente della Commissione ha detto con felice espressione «Il vento è tornato a soffiare nelle vele d’Europa», si è riferito non secondariamente alla ripresa economica finalmente seguita alla lunga crisi scoppiata quasi dieci anni fa. Ripresa nemmeno pensabile senza l’apporto dell’euro e della Banca Centrale europea, capisaldi della nostra integrazione sovranazionale. 
 
Non sto suggerendo, sia chiaro, un’immagine idilliaca dello stato attuale e un sicuro destino dell’Unione europea. La stessa continuità e forza della ripresa economica in Europa resta sottoposta a incognite, come quelle indicate da Romano Prodi in un recente articolo, illuminante per diversi importanti aspetti, tra i quali l’attuale esplosione del tasso di cambio tra euro e dollaro. Non c’è dubbio che si richiedano scelte attente e nuove, se non vere e proprie svolte, nel campo della politica economica e finanziaria delle istituzioni europee e degli Stati membri. E di ciò tutte le leadership nazionali debbono farsi finalmente consapevoli. 
 
Ma quel che davvero segnerà il nostro destino comune è il superamento di persistenti, profonde ambiguità e incertezze sulla fisionomia dell’unità europea, che non può soltanto essere genericamente assunta come nostro dovere e obbiettivo dominante. 
 
Le procedure di infrazione finalmente scattate, col sostegno della Corte europea di giustizia, nei confronti di governi nazionali dell’Ungheria e della Polonia che hanno tradito valori fondanti del progetto europeo e rotto ogni disciplina nell’Unione ora a 27, ci dicono con chiarezza l’essenziale. E cioè che è ineludibilmente sul tappeto la questione di cerchi o raggruppamenti distinti di Stati europei, ovvero una rifondazione istituzionale, non certo il perseverare in una fuorviante cooperazione intergovernativa. Se non vi si lavora, anche prospettando una revisione dei Trattati vigenti, non solo ogni ipotesi tra quelle enunciate di ulteriore integrazione sovranazionale - ad esempio del governo politico dell’eurozona e finanche di un suo bilancio comune con le relative complesse implicazioni - ma la stessa prospettiva di consolidamento della costruzione europea non si possono presentare come attendibili e onestamente veritiere.
 
Piaccia o no, questo è il guado cui stiamo giungendo, pur nel recente accumularsi di fatti positivi, tra i quali l’atteggiarsi unitario dell’Europa nel G7 di Taormina presieduto dall’Italia. 
 
Anche ciascuno degli Stati membri dell’Unione, che più si caratterizzano per spirito europeista, ha da condurre un severo esame di quel che gli tocca chiarire e correggere a casa propria, spazzando via malintesi, egoismi e pretese nazionali, così come combattendo rigurgiti regressivi non ignorabili. Non assistiamo forse, e non solo in Italia, a un rigurgito di barbarica violenza contro le donne, quasi in odio allo storico processo di emancipazione di cui è stata teatro l’Europa? 
 
Nessuno può sottovalutare, ovviamente, la riflessione che alla Germania tocca fare su se stessa, in quanto paese più grande e società più forte dell’Europa unita. E il campo è aperto anche a franche discussioni a tal proposito tra i governi e in seno alle istituzioni comuni. Ciò appare indispensabile anche perché la Germania svolga un ruolo ancor più lineare e persuasivo nel processo di costruzione europea. Questa in sostanza è la posta delle elezioni tedesche che si svolgeranno domenica.
 
Al tempo stesso è oggi possibile, e più che mai decisivo, il puntare su intense consultazioni e intese tra eguali che facciano perno su protagonisti essenziali come la Germania, l’Italia, la Francia. Il nostro paese è a ciò preparato, e già concorre, in una continuità europeista di lungo periodo, di cui ora è garante il presidente Mattarella.
 
Ma oggi sentiamo di poter guardare a un’Europa che diventi fulcro di un universo straordinario di valori storici e di peculiari ideali così come di potenzialità trascinanti pur in un mondo così travagliato e mutevole.
 
Dobbiamo farlo, spingendo certo lo sguardo verso un imprevedibile domani mondiale, ma senza anticipare e dare per fatale addirittura l’emarginazione e subordinazione dell’intero «emisfero settentrionale». 
 
E questo possiamo farlo solo perché nei lontani Anni 50 se ne stava già compiendo la premessa principale. Essa consiste, non dimentichiamolo, nella nascita di un’autentica Germania europea attraverso una vera e propria mutazione generazionale e culturale di massa che l’ha condotta fuori dalle barbariche aberrazioni del nazismo, liberandola da ogni loro radice. Quel processo è stato portato fino alle estreme e sofferte conseguenze che la nuova leadership tedesca ha saputo trarne a Maastricht, rinunciando allo storico pilastro del marco e collocandosi, con senso del limite, in uno stringente contesto collettivo europeo e nell’obbiettivo di una vera e propria integrazione politica dell’Europa.

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