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Autore Discussione: Giorgio NAPOLITANO.  (Letto 39063 volte)
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« Risposta #30 inserito:: Dicembre 16, 2014, 06:56:45 am »

«Lessi in Aula la tragica lettera che mai potrò dimenticare»

Di Giorgio Napolitano

Gentile direttore,
Ernesto Galli della Loggia ieri nel suo editoriale «All’origine dell’antipolitica» ha rievocato la tragica vicenda del suicidio del deputato socialista Sergio Moroni e della lettera con cui egli mi comunicò e motivò - il 3 settembre 1992 - il suo terribile gesto. In quella lettera egli denunciò «un clima da pogrom nei confronti della classe politica». Quel momento non si è mai cancellato dalla mia memoria: ne scrissi nel breve libro sui miei due anni di presidenza della Camera («Dove va la Repubblica», ripubblicato da Rcs Libri nel 2006), in cui riprodussi integralmente il testo della lettera di Moroni, e vi diedi ampio spazio nella mia «autobiografia politica» del 2005. Lì scrissi: «fu il momento umanamente e moralmente più angoscioso che vissi da Presidente della Camera». Galli della Loggia sostiene che le parole di Moroni «caddero nel vuoto (...) non furono ritenute degne della benché minima discussione parlamentare». Ma non dice, forse perché non ricorda, che io «resi pubblica quella lettera, indirizzata personalmente a me e nella prima seduta che dopo quel giorno si tenne, la lessi in Aula commentandola con brevi, difficili parole». Non avrei potuto aprire una discussione in Assemblea, ho anche dopo continuato a chiedermi se avrei potuto dire o fare qualcosa di più, ma onestà vuole che non si ignori - con memoria incompleta o non obbiettiva - il modo in cui comunque io personalmente non lasciai «cadere nel vuoto» quella tragica lettera.
Giorgio Napolitano



Non ho ricordato nel mio editoriale che il presidente Napolitano diede lettura all’Aula della missiva inviatagli dall’onorevole Moroni in punto di morte perché mi sembrava che davvero nessuno potesse pensare che non l’avesse fatto.
Ernesto Galli della Loggia

L’editoriale di Ernesto Galli della Loggia (Corriere della Sera, 14 dicembre 2014).
15 dicembre 2014 | 11:10
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/politica/14_dicembre_15/lessi-aula-tragica-lettera-che-mai-potro-dimenticare-dd2600b4-8441-11e4-b9cc-80d61e8956c5.shtml
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« Risposta #31 inserito:: Dicembre 17, 2014, 05:50:53 pm »

Quirinale, il saluto di Napolitano: "Voci di scissioni e voto anticipato fanno perdere tempo al Paese"
Il Presidente della Repubblica incontra nel Salone dei Corazzieri le alte cariche dello Stato, per lo scambio degli auguri in occasione del Natale. Lodi al governo su lavoro e riforme. "Dialogo, ma sindacati rispettino scelte". "Mio impegno per la durata semestre Ue". Renzi: "Discorso di alto livello"

16 dicembre 2014
   
ROMA - E' con ogni probabilità l'ultima volta che da presidente rivolge i suoi auguri alle alte cariche dello Stato. Il discorso di saluto di Giorgio Napolitano non è scevro da quello che a tratti appare un vero e proprio endorsement per l'attività di governo, pure se non risparmia critiche al clima di scarso dialogo in una situazione del Paese definita "critica".

Dal semestre europeo a guida italiana al Jobs Act, dalle riforme costituzionali ai provvedimenti anticorruzione, il Capo dello Stato nei 26 minuti del suo intervento ha voluto dare un segnale chiaro: la via per riformare il Paese è quella giusta, bisogna continuare senza stop. "Un discorso di grande respiro, di alto profilo" ha commentato il presidente del Consiglio Matteo Renzi.

"Gli auguri che quest'anno ci scambiamo si intrecciano strettamente con gli impegni che tutti condividiamo per il superamento degli aspetti più critici per la situazione economica e sociale", ha detto Napolitano. "Dobbiamo procedere con coerenza e senza battute d'arresto sulla via delle riforme", ha continuato il Capo dello Stato.

Sul semestre italiano di presidenza dell'Ue, Napolitano ha aggiunto: "Il governo italiano, partendo dall'accurato lavoro preparatorio del governo precedente, ha potuto operare validamente e con maggior sicurezza per un nuovo corso delle politiche finanziarie e di bilancio dei 28, oltre i limiti divenuti soffocanti e controproducenti dell'austerità".

"Tutto richiede continuità istituzionale", quella che "mi sono personalmente impegnato a garantire ancora una volta per tutto lo speciale periodo del semestre di presidenza europea", ha proseguito il Capo dello Stato, alludendo alla fine del suo mandato, ormai prossima.
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Quanto alle questioni del lavoro, il presidente della Repubblica ha bollato come "improvvidi" i contrasti sull'articolo 18. E ha invitato i sindacati a "rispettare le prerogative del governo". Al tempo stesso, però, ha avvertito: "Serve più dialogo". Frase che il leader della Cgil Susanna Camusso ha commentato: "Penso che questo invito vada colto".

Sulle riforme costituzionali, Napolitano ha chiarito che "superare il bicameralismo non è un tic da irrefrenabili rottamatori o da vecchi cultori di controversie costituzionali. Non si dica che c'è precipitazione, che si procede troppo in fretta, si è indugiato per mesi, con audizioni e approfondimenti, su questioni di cui si è dibattuto per decenni". Il presidente ha invitato il Pd a restare unito: "Parlare di voto e scissioni porta all'instabilità". E, rivolto ai dissidenti dem, ha aggiunto: "Chi dissente dalle riforme non deve farlo con spregiudicate tattiche emendative".

"Tornare indietro alla ormai sancita trasformazione del Senato - ha continuato Napolitano - significherebbe solo vulnerare fatalmente la riforma. Rispettare la coerenza delle riforme in gestazione, anche quella elettorale, è un dovere di onestà politica e di serietà". Poi a tutte le forze politiche ha raccomandato: "Il governo ha annunciato una non breve serie di azioni di cambiamento, un tasso di volontà riformatrice che ha riscosso riconoscimenti e aperture di credito sul piano internazionale. Si è messo in atto un processo di cambiamento. Non si attenti alla continuità del nuovo corso".

Il Capo dello Stato si è poi soffermato sugli scandali di corruzione: "E' essenziale - ha detto - colpire i soggetti politici coinvolti. Bisogna colpire i bersagli giusti negli intrecci con la criminalità. Solo le generalizzazioni improvvide verso politica vanno evitate perchè fuorvianti".

E al Quirinale si è tenuto anche un insolito siparietto natalizio fra i duellanti Renzi e Camusso. Nell'affollato salone che ha ospitato il rinfresco offerto dalla presidenza della Repubblica alle alte cariche dello Stato i due si sono incrociati prima di salutare il presidente Giorgio Napolitano.

E' stato Renzi a cercare il segretario della Cgil: "Dov'è Susanna? Le voglio fare i saluti", ha chiesto il premier ai giornalisti che lo circondavano. E proprio in quel momento è arrivata la Camusso: "Guarda che anche io stavo chiedendo dove fossi per farti gli auguri". Sorrisi e abbracci tra i due con i giornalisti a chiosare: "Presidente è proprio Natale...". E il premier: "Sì però il 24 facciamo comunque i decreti attuativi del Jobs act...".

© Riproduzione riservata 16 dicembre 2014

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/12/16/news/quirinale_napolitano_saluta_le_alte_cariche_dello_stato-103051065/?ref=HRER1-1
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« Risposta #32 inserito:: Dicembre 17, 2014, 05:51:55 pm »

Giorgio Napolitano mette la cintura di sicurezza al governo Renzi.
Al Quirinale la foto di chi sale e chi scende in politica

Angela Mauro - L'Huffington Post  |  Di Angela Mauro
Pubblicato: 16/12/2014 20:57 CET Aggiornato: 1 ora fa

Quando Giorgio Napolitano ha finito di parlare al Salone delle Feste del Quirinale, l’argomento che domina nei commenti tra i politici presenti è uno solo: è stato un discorso di totale copertura al governo Renzi. Se lo dicono tra di loro i renziani, scherzando: “Sembra l’abbia scritto Matteo…”. E c’è chi dà di gomito a Pierluigi Bersani: “Tra le righe si intuiva una certa simpatia…”. Il presidente della Repubblica ha appena pronunciato il suo ultimo discorso di auguri alle alte cariche dello Stato. È il primo dei discorsi dell’addio per un capo dello Stato che a metà gennaio terminerà il suo secondo mandato al Colle, subito dopo il 13 gennaio, data in cui si concluderà ufficialmente il semestre italiano di presidenza europea “con il discorso a Strasburgo del nostro presidente del Consiglio”, dice Napolitano. In 11 pagine fitte di discorso, il presidente costruisce una cintura di sicurezza intorno al governo Renzi, redarguisce chi volesse attentare alla “continuità istituzionale”, dai partiti ai sindacati, esclude il voto anticipato (e questo vale anche per il premier, ma è l’unica stilettata, sottile). Di fronte a lui, nelle prime file, i giovani ministri del governo e i giovani emergenti della politica. Relegati in fondo i vecchi big: da Bersani, a D’Alema a Veltroni ed Enrico Letta (alla cui esperienza di governo Napolitano rende omaggio più volte). E’ la fotografia perfetta del chi è salito e chi è sceso in politica nell’ultimo anno.

Il momento è solenne. Allude all’addio ma non lo esibisce. Come i parenti al capezzale di un caro che se ne sta andando. Il paragone è macabro ma regge se lo si vede in chiave solo politica e istituzionale. La successione a Napolitano è già lì, presente nel clima, oltre che nelle persone di diversi aspiranti successori o personalità comunque chiacchierate per il post-Napolitano. In seconda fila, per dire, c’è Giuliano Amato. E al Salone delle Feste non sfugge il riferimento che Napolitano fa a Piercarlo Padoan, ministro di cui “si riconoscono valore e affidabilità”, dice Napolitano. Non manca chi vi legge un’indicazione implicita sul possibile successore al Quirinale. Di certo, tracciando un bilancio dell’ultimo anno, Napolitano ha voluto anche stendere una griglia di lavoro per l’anno che verrà, anche se lui non sarà più presidente.

E allora da qui la “fiducia sulle potenzialità dell’Italia”, il plauso al governo per gli “interventi accorti e tenaci” per “risolvere le crisi di almeno 40 aziende tra febbraio e novembre” e per “il dinamismo” sulle riforme e anche per la linea scelta da Renzi di abolire il “bicameralismo paritario”. Anzi, sull’argomento, tra i più contestati in Parlamento, Napolitano dedica un intero passaggio: “Padri costituenti tra i maggiori, da Meuccio Ruini a Costantino Mortati e studiosi di generazioni successive ma legatissimi alla Carta del 1948, come Leopoldo Elia, parlarono di un punto debole della Costituzione repubblicana, di fallimento di ogni tentativo di razionale differenziazione tra le due Camere, e quindi di un ingombrante ‘doppione’”.

È questo l’argomento che gli fornisce il la per redarguire chi vuole “mantenere dissensi” sulla riforma costituzionale. Napolitano invita caldamente a “non farlo con spregiudicate tattiche emendative che portino a colpire la coerenza sistematica della riforma”. Perché, dice, “si sono in sostanza messi in moto processi di cambiamento all’interno, e un fenomeno di attenzione fiduciosa all’esterno, che mi hanno registrare con un segno positivo la conclusione del 2014”. Quindi insiste: “Non si attenti in qualsiasi modo alla continuità di questo nuovo corso”.

Lo dice ai sindacati, riconoscendo un “clima sociale” fatto di “malessere diffuso tra milioni di famiglie impoverite…”, ma invitando al “dialogo”. Lo dice ai partiti politici, facendo accenni precisi al dibattito degli ultimi giorni, dalle voci sul voto anticipato a quelle sulla scissione del Pd. “Non possiamo essere ancora il paese attraversato da discussioni che chiamerei ipotetiche: se, quando e come si possa o si voglia puntare su elezioni anticipate, da parte di chi e con quali intenti; o se soffino venti di scissione in questa o quella formazione politica, magari nello stesso partito di maggioranza relativa. E’ solo tempo e inchiostro che si sottrae all’esame dei problemi reali, anche politici, che sono sul tappeto; è solo un confuso, nervoso agitarsi che torna ad evocare, in quanti seguono le vicende dell’Italia, lo spettro dell’instabilità. E il danno può essere grave”.

Forse l’accenno al voto anticipato è l’unica, velata, critica al governo in carica. Ufficialmente Renzi ha sempre escluso ipotesi di ritorno al voto in primavera, ma i suoi spesso giocano su questa prospettiva sugli organi di informazione. Per il resto, Napolitano si avvia a chiudere il mandato confezionando un pacchetto che copre e tutela l’attività dell’esecutivo. Torna a scagliarsi contro l’antipolitica, contestando la “tendenza a scivolare da una critica, anche la più rigorosa, della politica verso una distruttiva anti-politica, che si risolve in patologia destabilizzante ed eversiva”.

Al Salone delle Feste, il procuratore Giuseppe Pignatone, che con l’inchiesta su ‘mafia capitale’ ha scoperchiato Roma, siede in ultima fila. Tanto che il sindaco Ignazio Marino è costretto a raggiungerlo lì, in fondo, per salutarlo, prima dell’ingresso di Napolitano in sala. Magari sarà anche un caso. Ma certo non è casuale la disposizione tra le prime e le seconde file. Ne esce fuori un quadretto molto eloquente sui cambiamenti dell’ultimo anno, su chi è salito e chi è sceso nella classifica dei palazzi che contano.

Nelle prime due file, al cospetto di Napolitano, ci sono i ministri del governo, dalla Boschi alla Madia e gli altri, ci sono i vicepresidenti delle Camere, da Giachetti a Gasparri, gli emergenti del nuovo corso, come Matteo Orfini, in terza fila. I vecchi big – chiamateli ‘rottamati’ o vecchia guardia - finiscono relegati in fondo. Pier Luigi Bersani è in quinta fila. Racconta di aver preso un doppio Voltaren per curare il mal di schiena che domenica scorsa lo ha tenuto lontano dall’assemblea del Pd. Ad una gentile hostess che gli chiede se vuole andare nelle prime file, risponde con un garbato: “No grazie, va bene così”. Enrico Letta è seduto in settima fila, davanti a Walter Veltroni. Massimo D’Alema sta in nona, esattamente quella dove l’anno scorso era seduto Renzi, che allora si presentò da outsider al Quirinale, in appariscente abito grigio chiaro e che ora, premier in impeccabile abito blu, siede di fianco a Napolitano. D’Alema invece siede tra Gianfranco Fini e il leghista Giacomo Stucchi. E subito dopo la cerimonia, se ne va senza partecipare al ricevimento finale nel Salone degli Specchi, quello dove di solito si stringono mani e si scambiano gli auguri di fine anno. Se ne va, proprio come fece Renzi l’anno scorso.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2014/12/16/giorgio-napolitano-governo_n_6335708.html?utm_hp_ref=italy
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« Risposta #33 inserito:: Dicembre 17, 2014, 05:57:36 pm »

Napolitano: «Parlare di voto o scissione evoca l’instabilità»
Il saluto del presidente alle alte cariche dello Stato promuove in toto l'operato del governo Renzi: «Procedere senza stop sulla via delle riforme»

Di Redazione Online

Scambio di auguri di fine anno per il presidente Napolitano, alla presenza delle alte cariche dello Stato e militari. Un discorso lungo, ben 26 minuti, e complesso, che soprattutto difende l'opera riformatrice del governo Renzi, compreso il superamento del bicameralismo perfetto. C'è anche un esplicito appoggio alla riforma del lavoro e un ammonimento ai sindacati perché ritorni il dialogo, in un clima di unità e coesione sociale dove non si evochi più lo spettro delle elezioni anticipate. «Un discorso di grande respiro, di grande livello», ha commentato il premier dopo il lungo applauso che ha concluso l'intervento del presidente.

Italia ed Ue
Come primo atto, Napolitano ringrazia i presidenti di Senato e Camera, Grasso e Boldrini, per «l'intensità» dei lavori dei due rami del parlamento che in queste ore stanno procedendo a votazioni su temi che incidono sulla vita del Paese». Napolitano ricorda che «sta per concludersi il 2014, anno non di ordinaria amministrazione, in cui il governo ha operato bene contro l'austerità, mentre «il consenso» ottenuto dal Pd alle elezioni europee del 25 maggio « ha garantito ascolto all'Italia nel concerto europeo, dove abbiamo lavorato per un cambiamento delle politiche dell'Unione e per una sua guida che favorisse la svolta per la crescita». Tuttavia, «le prove che il sistema Italia e la democrazia italiana devono sostenere sono ancora pesanti sul fronte dell'andamento dell'economia, del pil e delle oscillazioni della disoccupazione; segni di inversione della tendenza nel 2015-2016 ci potranno essere se non si affievolisce la linea concordata da governo e Parlamento».

Bicameralismo non è tic da rottamatori
Anche per questo, dice Napolitano, il programma delle riforme del governo Renzi non è più rinviabile: «In Ue ci siamo presentati con le carte in regola per il rispetto dei vincoli. A ciò deve corrispondere, in primo luogo in Parlamento, la massima serietà e saper passare sempre più da parole a fatti per procedere con coerenza e senza battute di arresto sulle riforme». Per questo, ammonisce Napolitano, sulle riforme «non si dica che c'è precipitazione, che si procede troppo in fretta: si è tornato indugiando per mesi su questioni di riforma in qualche caso individuate da decenni». Occorre soprattutto ricordare che «il superamento bicameralismo non è tic da rottamatori». Napolitano infatti è tornato indietro nel tempo ricordando personalità come Meuccio Ruini e Leopoldo Elia, che anni fa posero il problema della differenziazione del funzionamento delle due Camere. Tema che, anni dopo, hanno ripreso sia Enrico Letta che Matteo Renzi affrontando una riforma che riflette «qualcosa di attuale e concreto in merito all'agibilità del processo legislativo» degradatosi qualitativamente nel corso degli anni anche con voti di fiducia su emendamenti abnormi piuttosto. Riforma che quindi, secondo il presidente, riflette «un bisogno concreto sull'agibilità del processo legislativo». E poi ammonisce: «Chi dissente dalle riforme istituzionali non deve farlo con spregiudicate tattiche emendative».

Sindacati e dialogo
I sindacati rispettino le scelte, ma serve dialogo, dice ancora Napolitano. «Ci deve preoccupare un clima sociale troppo impregnato di negatività, troppo lontano da forme di dialogo e sforzi di avvicinamento parziale che hanno nel passato spesso contrassegnato le relazioni sociali e politico sociali». Per questo, «ai sindacati per i quali sempre auspico che siano costruttivamente uniti chiedo il rispetto delle prerogative delle decisioni del governo e del Parlamento e uno sforzo convergente di dialogo anche su questioni vitali di interesse generale». E se per Napolitano la riforma del lavoro è una buona cosa, improvvidi sono quindi i contrasti nati sull'articolo 18.

Continuità
Per Napolitano è importante non fermare la continuità istituzionale e politica, almeno fino alla fine del semestre europeo, il 13 gennaio 2015. «Si sono messi in moto processi di cambiamento all'interno del paese e di attenzione e fiducia dall'esterno che mi fanno registrare con un segno positivo. Ma tutto richiede continuità istituzionale. E a rappresentarla e garantirla mi ero personalmente impegnato ancora una volta per tutto lo speciale periodo del semestre italiano di presidenza europea».

Elezioni anticipate solo inchiostro
Sul voto anticipato, Napolitano è tranchant: «Il Paese è attraversato da discussioni ipotetiche su elezioni anticipate: solo tempo e inchiostro che si sottrae all'esame dei problemi reali anche politici sul tappeto. È solo un confuso agitarsi che torna ad evocare lo spettro della instabilità».

Corruzione: non generalizzare
È «essenziale colpire i soggetti politici» coinvolti negli scandali di corruzione, ha detto Napolitano a proposito dei recenti fatti emersi con l'inchiesta di Mafia Capitale. «Bisogna colpire i bersagli giusti negli intrecci con la criminalità. Solo le generalizzazioni improvvide verso politica vanno evitate perché fuorvianti. C'è una forte priorità per misure serene e scelte operative contro il mostro della corruzione e la piaga del malaffare. E l'impegno su altri fronti importanti per una azione sistemica di risanamento morale e risanamento dello Stato: un'opera di lunga lena sulla quale ci stiamo inoltrando» anche con i «capitoli che si stanno aprendo sulla scuola e la giustizia».

16 dicembre 2014 | 17:57
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/politica/14_dicembre_16/napolitano-nel-2015-prove-pesanti-il-sistema-italia-b6f7aa72-8541-11e4-bef0-810da32228c1.shtml
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« Risposta #34 inserito:: Dicembre 17, 2014, 05:59:19 pm »

Napolitano: «Riforme ineludibili. I sindacati rispettino le prerogative del Governo»
16 dicembre 2014

Quello messo in campo sulle riforme è «un programma vasto, ma che ha dato il senso di quale cambiamento fosse divenuto indispensabile e non più eludibile». Lo ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nella cerimonia di saluto alle alte cariche dello Stato al Quirinale. Il superamento del bicameralismo paritario, ha detto Napolitano, «non è un tic da irrefrenabili rottamatori o da vecchi cultori di controversie costituzionali». Se è tornato di attualità, ha ribadito il capo dello Stato, è perché «riflette qualcosa di drammaticamente necessitato, di lì passa il recupero dell'agibilità e linearità perduta del processo legislativo, da anni degradatosi qualitativamente e degenerato fuori di ogni correttezza costituzionale». Poi ha sottolineato che «chi dissente dalle riforme istituzionali non deve farlo con spregiudicate tattiche emendative». Per il capo dello Stato «tornare indietro alla ormai sancita trasformazione del Senato significherebbe solo vulnerare fatalmente la riforma. Rispettare la coerenza delle riforme in gestazione, anche quella elettorale, è un dovere di onestà politica e di serietà».

Clima troppo impregnato di negatività
«Gli auguri che quest'anno ci scambiamo si intrecciano strettamente con gli impegni che tutti condividiamo per il superamento degli aspetti più critici per la situazione economica e sociale». Il capo dello Stato si è detto preoccupato per un clima sociale «troppo impregnato di negatività, troppo lontano da forme di dialogo e sforzi di avvicinamento parziale che hanno nel passato spesso contrassegnato le relazioni sociali e politico sociali». E ha sottolineato che «sta per concludersi il 2014, anno non di ordinaria amministrazione».
 
I sindacati rispettino le prerogative del Governo
Ai sindacati il capo dello Stato ha chiesto «il rispetto delle prerogative delle decisioni del governo e del Parlamento e uno sforzo convergente di dialogo anche su questioni vitali di interesse generale».

Ancora prove pesanti per sistema Italia e democrazia
«Le prove che noi, sistema Italia e democrazia italiana, abbiamo davanti sono ancora pesanti: il 2014 non si chiude bene dal punto di vista dell'andamento generale dell'economia - mancata ripresa del Pil, andamento ancora negativo dei consumi; oscillazioni con qualche instabile miglioramento, ma a un livello insopportabilmente alto, della disoccupazione e soprattutto di quella giovanile; recessione più duramente radicatasi nel Mezzogiorno», ha detto il presidente della Repubblica, sottolineando che questo «è un quadro che potrà dare dei segni di inversione di tendenza nel 2015 e nel 2016, solo se non verrà dall'Italia - in un processo positivo di cambiamenti in sede europea - nessun affievolimento della linea di condotta complessiva su cui Governo e Parlamento hanno in quest'anno mostrato di voler convergere e impegnarsi».

Le discussioni ipotetiche sul voto anticipato sottraggono tempo ai problemi reali
«Il Paese è attraversato da discussioni ipotetiche su elezioni anticipate, solo tempo e inchiostro che si sottrae all'esame dei problemi reali anche politici sul tappeto», ha detto il Presidente della Repubblica.

Sulla vicenda marò Napolitano fortemente contrariato
Questa mattina una nota del Quirinale ha reso noto che il capo dello Stato è «fortemente contrariato dalle notizie giunte da Nuova Delhi circa gli ultimi negativi sviluppi della vicenda dei marò, resterà in stretto contatto con il Governo e seguirà con attenzione gli orientamenti che si determineranno in Parlamento».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-12-16/napolitano-situazione-economica-e-sociale-critica-174951.shtml?uuid=ABnryaRC
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« Risposta #35 inserito:: Gennaio 01, 2015, 04:13:14 pm »

Giorgio Napolitano non lascia sereno, raccomandazione al successore: "Serve senso della Costituzione..."

Pubblicato: 31/12/2014 22:09 CET Aggiornato: 31/12/2014 22:09 CET

Giorgio Napolitano se ne va. Lascia il Quirinale, dopo quasi nove anni. Se ne va e, come era noto, torna ad annunciarlo nel messaggio di fine anno per gli italiani. Ma non se ne va ‘canticchiando’. Costretto a lasciare per via dell’età, Napolitano non è sereno. E non per via degli acciacchi da ultra 90enne. Non è sereno, ma anzi molto preoccupato, perché “nemmeno nell’anno che si chiude ci siamo risollevati dalla crisi mondiale del 2009”, perché “il contesto internazionale è critico come mai negli ultimi due decenni” e perché l’antipolitica galoppa. E’ per questo che il messaggio quirinalizio di fine 2014 assume quel “tratto speciale e diverso” annunciato dallo stesso presidente nelle prime battute del suo discorso. E’ infatti un messaggio intriso di note personali, un messaggio che parla agli italiani ma va ad infilarsi in una metaforica bottiglia destinata a chi siederà sullo scranno più alto delle istituzioni dopo Napolitano: il successore.

Seduto al tavolo da lavoro del suo studio alla Palazzina, arazzo di Lille sullo sfondo, bicchiere d’acqua di fianco, Napolitano chiarisce subito che sta parlando “a chi presto mi succederà nelle funzioni” da presidente della Repubblica. Funzioni “che sto per lasciare, rassegnando le dimissioni”. La data non viene indicata, ma con tutta probabilità cadrà alla metà di gennaio, dopo il discorso con cui Matteo Renzi chiuderà il semestre italiano di presidenza europea a Strasburgo. Di fatto, quello di questa sera è un discorso in cui Napolitano accetta di mettere in pubblica piazza quelle “crescenti limitazioni e difficoltà nell’esercizio delle funzioni di capo dello Stato” che negli ultimi ha incontrato per “l’età raggiunta”. “Ho il dovere di non sottovalutare i segni di affaticamento e le incognite che essi racchiudono e non esitare a trarne le conseguenze – spiega agli italiani - Ritengo di non poter ricoprire oltre la carica cui fui chiamato nel 2006”.

“Re Giorgio”, come lo ha chiamato il New York Times quando dal Quirinale forgiò il governo Monti, è nudo. Il presidente lascia e accetta di parlare senza pudori dei suoi affanni di anziano davanti alla sua nazione. “Ho fatto del mio meglio per preservare l’unità nazionale…”, spiega Napolitano, lasciando ad altri la facoltà di “giudicare”. Della serie: ho dato tutto, ora vado ma non senza raccomandazioni. Che sono imprescindibili. Necessarie, dati i tempi cupi e anche se il 2014 ha avviato il processo di riforme istituzionali: questo è “innegabile”, rimarca Napolitano, ancora una volta a sostegno del governo che lascia in eredità, il governo Renzi. Tra “alti e bassi, abbiamo evitato di confermare quell’immagine di Italia instabile che tanto ci penalizza – dice – e abbiamo messo in moto, nonostante la rottura di febbraio scorso (il passaggio dal governo Letta al governo Renzi, ndr.), il cambiamento”. Il presidente del Consiglio ringrazia a modo suo, su twitter:

Ma non è del governo Renzi che Napolitano vuole parlare questa sera di fine d’anno. Del resto, lo ha già fatto ampiamente nel discorso di auguri alle alte cariche dello Stato prima di Natale. Il capo dello Stato parla alle forze politiche tutte, si raccomanda per l’elezione del suo successore: “una prova di maturità e responsabilità nell’interesse del paese” che “chiude la parentesi di eccezionalità costituzionale” rappresentata dai 9 anni di mandato. E poi, tutto il resto, è per gli italiani e per il suo successore.

Non è un caso che per ben due volte Napolitano citi Papa Francesco, autorità morale tra le più rispettate e seguite in Italia, a giudicare dagli ultimi studi sul clima di sfiducia verso le istituzioni e i partiti politici. Cita il Pontefice quando parla di “rischio di cadere nell’indifferenza globale” e quando lancia un appello alla “pace e alla fraternità”. E’ come se, parlando mentre sul sito a cinquestelle Beppe Grillo gli fa il controcanto, Napolitano voglia sottolineare con estremo allarme il clima di sfiducia che rischia di travolgere tutti e tutto, presidenza della Repubblica inclusa. Il presidente lo avverte su di sé, non si fa da parte, si prende anche il calo dei consensi e le critiche. A testa alta da lord inglese come è sempre stato nel suo stile, altezzoso a costo di sembrare scostante, inflessibile sulle sue convinzioni che definirebbe ‘costituzionali’, assolutamente non ideologiche. Lui, post-comunista e critico della dottrina dei soviet ai tempi in cui i suoi compagni del Pci si dicevano comunisti e lo guardavano con lo sdegno riservato ai ‘miscredenti’.

Quello di stasera è un presidente che si rende conto che anche questi suoi tratti più moderni non sono stati sufficienti per risolvere i problemi del paese. “Tutte le misure pubbliche degli ultimi anni stentano a produrre risultati” su “povertà e “disoccupazione giovanile”, dice Napolitano, per via di “debolezze e distorsioni antiche della nostra struttura sociale e del nostro senso dello Stato…”. Da qui l’allarme contro la “criminalità organizzata, l’economia criminale, la corruzione”, scoperchiati dall’inchiesta giudiziaria su “mafia capitale” cui Napolitano dedica un ampio passaggio del suo intervento. Il lascito di cui va più fiero è il governo Renzi, ma per il resto l’antipolitica avanza, la politica viene “bollata in modo indiscriminato come inadeguata e inetta”, sul sito a cinquestelle Grillo gli fa il controcanto in contemporanea, l’appello: “Non lasciamo occupare lo spazio pubblico a italiani indegni…”. E qui arriva la citazione degli “italiani degni” dall’astronauta Samanta Cristoforetti, a Serena Petricciuolo, ufficiale della guardia costiera che sulla nave Etna, la notte di Natale, ha aiutato una profuga nigeriana a partorire. E ancora Fabrizio, citato solo per nome forse per motivi di privacy, il medico di Emergency che si è ammalato di ebola durante il suo servizio in Sierra Leone.

E’ con loro che Napolitano lancia il suo messaggio, la sua raccomandazione finale agli italiani. La “politica” deve riacquisire “i valori morali di cultura e solidarietà”, ma “da ciascuno di voi deve arrivare un impulso importante per il rilancio e il futuro dell’Italia”. Perché dal modo in cui reagiamo alla crisi e alle difficoltà nasceranno nuove prospettive di sviluppo su cui dobbiamo puntare, dall’alto e dal basso”. Quindi il lascito per il suo successore: “Più si più si diffonderanno senso di responsabilità, senso del dovere, senso della Costituzione e della nazione, più si potrà creare quel clima di consapevolezza che animò l’Italia post bellica e rese possibile la grande trasformazione del paese”. L’addio: “Mettiamocela tutta con passione, creatività e spirito di sacrificio: ciascuno faccia la sua parte al meglio, io stesso ci proverò, resterò vicino al cimento e agli sforzi dell’Italia e degli italiani…”.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2014/12/31/giorgio-napolitano-_n_6400742.html?utm_hp_ref=italy
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« Risposta #36 inserito:: Gennaio 01, 2015, 04:15:23 pm »

Il congedo di Napolitano: «Ho fatto del mio meglio. Reagiamo alla crisi, nascerà una nuova Italia»

di Vittorio Nuti
31 dicembre 2014


Sto «per lasciare le mie funzioni, rassegnando le dimissioni: ipotesi che la Costituzione prevede espressamente». In apertura del suo discorso di fine anno al paese il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano conferma l’intenzione di lasciare il Colle. «I partiti - aggiunge - si preparino serenamente all'elezione di un nuovo capo dello Stato, «destinato a chiudere una parentesi» (la sua elezione per due mandati, eccezione nella storia repubblicana). «L'età da me raggiunta, sottolinea, porta con se difficoltà nell'espletamento dei compiti istituzionali particolarmente complessi», e «ho il dovere di non ignorare i segni dell'affaticamento». L'appuntamento è, come sempre, alle 20.30.

Intervenire contro corruzione «in modo unitario»
Il presidente quasi novantenne si è rivolto al paese in diretta a reti unificate (e sul web) dal suo studio, alla Palazzina del Quirinale. In chiusura, parole accorate agli ascoltatori: «Mettiamocela tutta con passione, combattività e spirito di sacrificio. Ciascuno faccia la sua parte al meglio». Tra i problemi più urgenti e attuali, Napolitano cita la corruzione e la criminalità organizzata, da «affrontare su larghe basi unitarie» perchè si tratta di piaghe capaci di «infilarsi in ogni piega della realtà trovando sodali e complici in alto».

No al ritorno alle monete nazionali
Dal presidente, anche parole di elogio per come l'Italia «ha colto l'opportunità del semestre (europeo, ndr) per sollecitare un cambiamento delle politiche dell'Unione europea che accordino priorità al rilancio solidale delle nostre economie» Poi la messa in guardia dall’ipotesi di abbandonare la moneta unica, ventilata ultimanente da Lega e Forza Italia: « Niente di più velleitario e pericoloso, invece, di certi appelli al ritorno alle monete uniche e della disintegrazione dell'euro». Un ampio passaggio del discorso è dedicato agli italiani che si sono messi in luce e si sono distinti in vari campi. In tempi difficili come questi, non si può lasciare il campo sui media «solo agli italiani indegni», occorre «rendere omaggio agli italiani esemplari».

La soddisfazione per gli italiani in evidenza
A titolo di esempio, Napolitanbo ricorda Fabiola Gianotti, chiamata a guidare il Cern, l’astronauta Samantha Cristoforetti o Fabrizio, il medico italiano di Emergency contagiato dal virus Ebola. E Serena Petriucciolo, ufficiale medico della Marina che ha aiutato una profuga nigeriana a dare alla luce la sua bimba, oltre a tutti quegli italiani che hanno prestato occorso ai passeggeri del traghetto in fiamme sulla rotta tra la Grecia e l'Italia. «Siamo orgogliosi di questi italiani campioni di cultura e solidarietà» afferma il capo dello Stato.

«Non cedere alla sfiducia in tutta la politica»
Le parole d'ordine, per quello che dopo nove anni sul Colle è dunque l'ultimo discorso di fine anno di Giorgio Napolitano, sono fiducia e coraggio, parole di incoraggiamento rivolte soprattutto ai cittadini italiani, con toni che si preannunciano sobriamente ottimistiche per la stagione di riforme avviata dal premier Renzi: alla politica, il capo dello Stato ha già espresso le sue priorità e raccomandazioni nelle ultime settimane. «Non bisogna cedere alla sfiducia in tutta la politica», raccomanda Napolitano agli italiani, anche se, ammette, «tutti gli interventi pubblici messi in atto in Italia negli ultimi anni stentano a produrre effetti decisivi, che allevino il peso delle ristrettezze e delle nuove povertà per un così gran numero di famiglie e si traducano in prospettive di occupazione per masse di giovani tenuti fuori o ai margini del mercato del lavoro».

«Ritrovare le fonti della coesione nazionale»
«Guardando ai tratti più negativi di questo quadro, e vedendo come esso si leghi a debolezze e distorsioni antiche della nostra struttura economico-sociale e del nostro Stato, si può essere presi da un senso di sgomento al pensiero dei cambiamenti che sarebbero necessari per aprirci un futuro migliore, e si può cedere al tempo stesso alla sfiducia nella politica, bollandola in modo indiscriminato come inadeguata, inetta, degenerata in particolarismi di potere e di privilegio», ha aggiunto Napolitano. Ma «non puo', non deve essere questo l'atteggiamento diffuso nella nostra comunità nazionale. Occorre ritrovare le fonti della coesione, della forza, della volontà collettiva che ci hanno permesso di superare le prove piu' dure in vista della formazione del nostro Stato nazionale unitario e poi del superamento delle sue crisi piu' acute e drammatiche».

«Fatto del mio meglio per rafforzare l’unità nazionale»
L’appello del capo dello Stato, nel corso del suo discorso, è a «bonificare il sottosuolo marcio e corrosivo della nostra società. E bisogna farlo insieme, società civile, Stato, forze politiche senza eccezione alcuna. Solo riacquisendo intangibili valori morali la politica potrà riguadagnare e vedere riconosciuta la sua funzione decisiva». Da parte sua, Napolitano ribadisce con forza di aver «fatto del mio meglio» per rafforzare «l'unità nazionale», chiedendo a tutti gli italiani ad «essere in sintonia con l'imperativo dell'unità nazionale». Poi ricorda che solo «diffonderanno il senso di responsabilità, il senso della legge, della Costituzione, in una parola il senso della Nazione» si potrà «creare quel clima che animò la ricostruzione postbellica», la stagione d’oro dell’Italia moderna.

Strada riforme intrapresa, ora «portarle a conclusione»
La richiesta di Napolitano agli italiani di trovare in se stessi la forza per ripartire, il «fare del proprio meglio» (caro al premier Renzi e fondamento del metodo scout) può contare, per il capo dello Stato, su un fattore positivo e incoraggiante: «La strada delle riforme è stata intrapresa», ricorda, e «l'auspicio espresso nel messaggio di fine anno 2013 si è realizzato. Ribadite anche «le ragioni dell'importanza della riforma del Parlamento e innanzitutto del superamento del bicameralismo paritari, nonché della revisione del rapporto tra Stato e Regioni», capisaldi del riformismo del premier Matteo Renzi.

Dimissioni (anticipate) ormai imminenti
La cornice è quella di sempre, ma per la notte di S. Silvestro 2015 il messaggio di fine anno del capo dello Stato agli italiani è quanto mai carico di significati. Le dimissioni (anticipate) dalla carica, più volte annunciate da Giorgio Napolitano, sono alle porte. E questa volta, a meno di due anni dalla rielezione da parte del Parlamento in seduta comune, il 20 aprile 2013, l'abbandono del Colle è definitivo. Quindi le parole di Napolitano sono in pratica il commiato definitivo dagli italiani. Il messaggio, circa 22 minuti, è leggermente più breve del passato ma particolarmente incisivo. Con l'obiettivo di scuotere un Paese in difficoltà, spaventato e sulla difensiva. E’ il nono e ultimo discorso agli italiani per Giorgio Napolitano.

Possibile giro di boa il 13 gennaio
Nel chiudere la lettura del suo intervento, Napolitano promette di restare «vicino al cimento e agli sforzi degli italiani con infinita gratitudine»: «Non lo dimenticherò, grazie ancora». Quello di questa stasera è il nono ed ultimo discorso di fine anno di Napolitano, dopo un primo mandato al Quirinale di sette anni, dal 2006 al 2012, ed un secondo di circa 620 giorni, dall'aprile 2013 a oggi, 21 mesi in tutto. Le su dimissioni ufficiali dall'incarico presidenziale sono attese a partire dal 13 gennaio, termine ufficiale del semestre di presidenza italiana della Ue in concomitanza di un discorso del premier Matteo Renzi a Strasburgo.

Nove anni di discorsi di Capodanno
Nel suo primo discorso, nove anni fa, la priorità indicata agli ascoltatori fu il recupero di un clima di fiducia nelle istituzioni e nella politica, seguito, l'anno successivo, da un incalzante appello a non considerare l'Italia in declino, e soprattutto a dare spazio ad innovazione e merito. Nel 2008 il Colle mostrò preoccupazione per i numeri dell'occupazione, ma pronosticò anche un'Italia migliorata dalla crisi. Nel 2009 Napolitano auspicò invece riforme come unica strada per battere la crisi e far funzionare lo Stato. Dodici mesi dopo nelle sue parole si affacciò un certo pessimismo per il futuro del paese, se non si fossero create nuova occupazione e condizioni di vita dignitose per tutti i cittadini. Nel 2011 e 2012 le parole chiave furono l'appoggio al governo della “strana maggioranza” guidato da Monti e lotta alla corruzione, oltre alla crisi economica perdurante. Infine, un anno fa, ancora le riforme non fatte e da fare.

Tradizione partita nel 1949 con Einaudi
Il primo “Messaggio del Presidente della Repubblica agli Italiani per il Nuovo Anno” risale all'immediato dopoguerra (1949, presidente Luigi Einaudi), e da allora costituisce un appuntamento fisso del 31 dicembre. Nella prassi, è una sorta di bilancio consuntivo ai cittadini italiani dell'anno appena trascorso - soprattutto riguardo i principali temi dell'agenda politica e le emergenze del Paese - ma è anche l'occasione per indicare le priorità e i traguardi cui dovrebbe tendere l'Italia. Il discorso viene pronunciato dal capo dello Stato davanti alle telecamere posizionate nel suo studio alla Palazzina del Quirinale. Viene diffuso in TV e in radio, a reti unificate, e sul web, in diretta dal Palazzo del Quirinale e dura tra i 15 e i 20 minuti.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-12-31/napolitano-discorso-congedo-il-presidente-repubblica-194126.shtml?uuid=ABlkmOXC
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« Risposta #37 inserito:: Gennaio 15, 2015, 12:12:09 pm »

Arrigo Levi: «Quando Napolitano nel 2013 mi disse che stava male»
Il secondo mandato del Presidente: «Insistevano, lui buttò sul tavolo un plico di referti. Poi si sentì obbligato a cedere e non ho più sentito un cenno alle sue paure»

Di Marzio Breda

Giorgio Napolitano ha chiuso il secondo mandato in una condizione paradossale e amara. Dopo aver accettato una rielezione che gli era stata chiesta da un largo fronte di partiti e che fu consacrata dagli applausi dell’intero Parlamento, è stato quasi di continuo sotto attacco. Politicamente e mediaticamente. Considerando a posteriori quella sua scelta, ne è valsa la pena?
«Certo che ne è valsa la pena, perché c’era in gioco l’interesse nazionale. Cioè qualcosa che per lui contava più di qualsiasi prezzo ci fosse da pagare». Così dice Arrigo Levi, inviato e corrispondente nelle capitali di mezzo mondo, saggista e infine consigliere del Quirinale nelle stagioni di Ciampi e Napolitano, essendo amico di entrambi. Abituato a cogliere anche da piccoli dettagli la verità di un uomo, racconta un episodio illuminante per capire in quale chiave il senso dello Stato sia da applicare all’azione di questo presidente ormai vicinissimo al congedo.

«Era un giorno di metà aprile del 2013 e mi presentai nel suo studio per sentire che cosa pensava delle tante pressioni, dei partiti ma non solo, affinché restasse al suo posto. Se insistono, come fai a dire di no?, gli domandai. E lui, di solito molto misurato, quel giorno ebbe uno sfogo. Buttò sul tavolo un plico di referti medici, e mi disse: ma allora non hai capito? Non sai che non sto bene? Che ho altro cui pensare? Ecco perché sono indisponibile».

Poi però cambiò opinione.
«Sì, passate ventiquattr’ore si sentì obbligato a cedere. Sciolse la riserva e fu rieletto. Da allora sembrò dimenticare tutto. Si rimise al lavoro e non ho mai più udito dalla sua bocca neppure un cenno alla stanchezza o alle preoccupazioni personali. Né tantomeno alle polemiche venute dopo. Sono persone, lui come Ciampi, di una stoffa particolare. Appartengono alla generazione che viene dall’antifascismo e che si identifica in una concezione del dovere molto forte. Se si fosse sottratto a quella chiamata nel nome della Patria - e so di usare un’espressione fuorimoda e spesso carica di valenze retoriche - Napolitano avrebbe vissuto il proprio ritiro come una diserzione. Insomma, era indispensabile che rimanesse al suo posto per la salute della Repubblica. Per fortuna, con grande sacrificio, ha onorato l’impegno».

Resta curioso che, nel Paese in cui trionfa l’epos giovanilistico e il premier Renzi cita di continuo il mito di Telemaco, ci si sia affidati a una persona che viaggiava già verso i novant’anni. Quale significato simbolico si può ricavarne?
«Mi mette un po’ a disagio una questione del genere, dato che sono quasi coetaneo di Napolitano», dice Levi, con una punta di civetteria. «Credo che nei momenti di svolta si riconosca il valore dell’esperienza e della continuità. Non dimentichiamolo: un anno e mezzo fa l’Italia era paralizzata da una crisi politica senza precedenti, una crisi di sistema. Era logico, dato che stavamo attraversando tempi eccezionali, ricorrere a qualcuno che avesse vissuto una lunga parabola dentro le istituzioni, anche se il suo vecchio percorso politico era lontano da quello di molti».

Inutile ricordarle che le radici di Napolitano nel Pci sono state il pretesto di intermittenti recriminazioni del centrodestra. Mentre dalla sinistra più estrema gli si imputava un’eccessiva arrendevolezza verso Berlusconi, con l’accusa di averlo salvato quando i suoi governi vacillavano.
«È trascorso molto tempo da quando il Pci era un problema in Italia e non lo è più da almeno vent’anni. In ogni caso Napolitano non è mai stato condizionato da quel passato, a lui interessava la stabilità del Paese. Perciò, evocare Berlusconi in un bilancio della sua doppia presidenza, significa parlare di cose completamente irrilevanti. Berlusconi ha rappresentato un fenomeno politico interessante e originale, da studiare perché ha coinvolto molti italiani, magari ossessionandoli per un verso o per l’altro. Ma credo di poter dire che, per gente come Napolitano e Ciampi, l’ex Cavaliere non sia mai stato un’ossessione. Semmai, verrebbe da dire, un incidente nella storia della Repubblica».

E lo stesso vale per Grillo e per altri protagonisti dell’antipolitica?
«Mi sembra che valgano gli stessi dubbi, che pongo senza arroganza. Quanto sono significative queste figure, che hanno magari una presa sull’opinione pubblica, nella vicenda nazionale? Sono dei patrioti? Quale impronta possono lasciare nell’identità di un Paese e nelle sue istituzioni? Davvero si può ritenere che la Storia si esprima attraverso di loro? Non siamo forse troppo schiacciati sul presente e troppo pronti a inventarci un mito, o un incubo, al giorno?».

Ragionamenti che Arrigo Levi estende alle critiche rivolte a Napolitano per la sfida con certi settori della magistratura. Le liquida con un’alzata di spalle: «Non credo, assolutamente, che un uomo come lui abbia fatto nulla che deragliasse dai principi repubblicani, che si sia mosso fuori da una piena consapevolezza dei suoi doveri. Lo dimostra la tranquillità - in quel caso ben più che un dono di carattere - con cui ha affrontato quella prova di forza». Che è stata «dura», e il consigliere Levi lo ammette, «ma che non va sovrastimata».

Per lui bisognerebbe dunque relativizzare e contestualizzare criticamente quegli snodi sui quali la politica si è dilaniata. Quando Napolitano inventò il governo «tecnico» di Mario Monti e poi tenne a battesimo le «larghe intese» di Enrico Letta e, per ultimo, l’esecutivo «di scopo» (e lo scopo erano le riforme) di Matteo Renzi. Tre esempi in cui si è contestato al presidente di essere andato oltre i suoi poteri costituzionali. Polemiche malposte pure queste, per Levi. Che le respinge perché maturate «nella mente di chi ha una memoria breve». Basta riandare indietro nel tempo, spiega, per trovare «molti precedenti» di capi dello Stato che, nei periodi di crisi, «hanno colmato i vuoti della politica con scelte penetranti e incisive».

In definitiva: «Era, ed è, loro compito prendere certe decisioni, senza curarsi di ciò che vorrebbero le maggioranze o le opposizioni, ma avendo come unica bussola un’idea di patriottismo repubblicano».

15 gennaio 2015 | 09:25
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/politica/15_gennaio_15/arrigo-levi-giorgio-napolitano-rielezione-malato-a57dac44-9c8c-11e4-8bf6-694fc7ea2d25.shtml
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« Risposta #38 inserito:: Gennaio 18, 2015, 06:49:18 am »

Il miracolo di Napolitano e le colpe di quanti (a destra) non ci hanno capito niente

Pubblicato: 14/01/2015 20:59 CET Aggiornato: 1 ora fa

Gaetano Quagliariello

Diceva Francois de La Rochefoucauld che l'ipocrisia è l'omaggio che il vizio rende alla virtù. Ora, non sta certo a me assegnare patenti di virtù e di vizio, ma che nell'atteggiamento ondivago di una parte dello schieramento politico nei confronti di Giorgio Napolitano vi sia stata e vi sia una buona dose di ipocrisia mi pare fuori di dubbio.

Assumendo il biennio del Napolitano bis quale paradigma di un novennato che ha incrociato una delle fasi più difficili nella storia del nostro Paese, non si può infatti non ricordare come tutto sia iniziato: con una sfilata di capi di partito al Quirinale, Silvio Berlusconi in testa, a chiedere con il cappello in mano un sacrificio a un anziano servitore dello Stato desideroso di godersi la sua bellissima età. Con un Parlamento annichilito dalla sua stessa impotenza ad applaudire un discorso d'insediamento che inchiodava la politica alle sue responsabilità, e ce la inchioda tuttora. Con lo sblocco di un governo di larghe intese che il Cavaliere e l'allora PdL avevano fortemente invocato e il Pd aveva sostanzialmente subìto.

Allo stesso modo non possiamo non ricordare come è andata a finire. Con un traumatico cambio di governo. Con il centrodestra e il centrosinistra attraversati da profondi sconvolgimenti. Con alcuni dei plauditores della prima ora impegnati a fare di tutto perché i risultati ai quali Giorgio Napolitano aveva vincolato l'accettazione del secondo mandato non fossero raggiunti, salvo poi ri-convertirsi sulla via del Nazareno.

Al Capo dello Stato che l'Italia ha salutato con smarrimento e commozione nel giorno delle sue dimissioni dobbiamo il fatto che il filo della riforma del sistema non si sia spezzato nonostante sollecitazioni così numerose e così violente. In un'Italia indebolita dalla crisi economica e ancor più dalla crisi politica, Giorgio Napolitano ha incarnato il senso più genuino e autentico del patto costituzionale sul quale la nostra Repubblica si fonda. E' stato un presidente in grado di assumersi le sue responsabilità di fronte al ritrarsi degli altri poteri, e di assecondarne il moto spontaneo a ogni sussulto di vitalità dell'elettroencefalogramma della politica.

In una legislatura nella quale il campo moderato avrebbe potuto essere spazzato via, il sacrificio di Giorgio Napolitano ha impedito l'implosione del sistema e offerto alle forze politiche dell'arco costituzionale una seconda e poi una terza possibilità. A giudicare dalle reazioni di scomposto giubilo che hanno accompagnato la sua uscita dal Quirinale, è evidente che parte di quelli che più avrebbero potuto avvantaggiarsi di questa fase costituente non ci hanno capito niente. Fino all'ultimo giorno.

Da - http://www.huffingtonpost.it/http://www.huffingtonpost.it/gaetano-quagliariello/il-miracolo-di-napolitano-e-le-colpe-di-quanti-a-destra-non-ci-hanno-capito-niente_b_6472336.html?1421265597&utm_hp_ref=italy/il-miracolo-di-napolitano-e-le-colpe-di-quanti-a-destra-non-ci-hanno-capito-niente_b_6472336.html?1421265597&utm_hp_ref=italy
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« Risposta #39 inserito:: Gennaio 19, 2015, 07:02:18 am »

Quirinale, l'ingombrante ruolo di Giorgio Napolitano da emerito: interverrà, voterà per il successore, sarà presente in Aula

Pubblicato: 13/01/2015 16:37 CET Aggiornato: 37 minuti fa

Dal suo appartamento, al primo piano del monastero Mater Ecclesiae, dietro la basilica di San Pietro, il papa emerito Benedetto XVI guarda le meraviglie del Vaticano. E ogni giorno, accompagnato da monsignor Georg Gänswein, suo segretario e prefetto della Casa Pontificia, fa una passeggiata tra gli alberi e le fontane dell’orto, prima di dedicarsi alla meditazione e alla lettura. Dai suoi studi di palazzo Giustiniani Giorgio Napolitano osserverà e seguirà i lavori del Senato. E poi dal suo scranno di senatore a vita, a palazzo Madama, potrà intervenire, se lo riterrà opportuno, sui temi delle riforme e, soprattutto, voterà, e non solo per il successore. Meditazione ma anche voto.

Nelle parole che Matteo Renzi affida ai cronisti, a margine del suo discorso di chiusura del semestre europeo a Bruxelles, c’è tutta la consapevolezza del peso che continuerà ad avere l’attuale capo dello Stato nel dibattito politico italiano e tutta l’influenza che continueranno ad avere le sue parole, anche quando ci sarà il nuovo presidente: “Giorgio Napolitano – dice Renzi - è un grande presidente, un grande parlamentare europeo, continuerà a fare sentire la sua voce. Sarà un grande servitore del paese anche come senatore a vita”. È la consapevolezza che i due Presidenti, il successore di Napolitano e Napolitano, non saranno come i due Papi, Bergoglio e Ratzinger. Certo, anche Napolitano sgravato dalla fatica degli impegni di un compito gravoso e faticoso, troverà il tempo di recuperare quella normalità di vita limitata dal ruolo e dai protocolli. Non è un caso, che proprio a questo recupero della libertà e della normalità sono dedicate le poche frasi che il presidente ha consegnato a un bambino che lo ha interrogato in piazza del Quirinale durante la manifestazione della Polizia di Stato Una vita da social: “Qui si sta bene, è tutto molto bello - ha aggiunto Napolitano - ma è un po’ una prigione. A casa starò bene e passeggerò”.

Ecco, in quella parola prigione c’è tutto il sollievo per il volgere a termine di un secondo mandato, nel corso del quale la fatica fisica e il “peso dell’età” non hanno trovato corrispondenza nel raggiungimento di quegli obiettivi in nome dei quali il sacrificio era stato accettato. Ma Napolitano non occuperà le giornate alla Ratzinger. Chi ha raccolto le confidenze del capo dello Stato assicura che avrà un ruolo molto attivo, tenendo fede a quel proposito annunciato nel discorso di fine anno. Quando scandì: “Resterò vicino - assicura Napolitano - al cimento e agli sforzi dell’Italia e degli italiani”. Il cimento e gli sforzi degli italiani incrociano la figura del nuovo dello capo dello Stato che prenderà il posto di colui che, nei nove anni che abbiamo alle spalle, ha rappresentato il fulcro della politica italiana. E incrociano anche quel tema delle riforme, strettamente connesso alla definizione del nuovo inquilino del Colle. Stefano Ceccanti, costituzionalista molto stimato sia al Quirinale sia a palazzo Chigi, spiega: “Il ruolo di Napolitano rientra in quella che è la sua natura. Sia pur nella discontinuità delle funzioni ci sarà una continuità nel ruolo, in chiave di sollecitazione delle riforme”.

Una sollecitazione che va oltre le riforme. In parecchi, nel Palazzo, ragionano su come un eventuale “Avatar” del premier al Quirinale, scelto per non fare ombra a palazzo Chigi, non la farebbe nemmeno al suo ingombrante predecessore. Anzi un nuovo presidente Avatar sarebbe inevitabilmente oscurato dal suo predecessore. Come la pensi Napolitano sull’identikit del nuovo capo dello Stato non è un mistero: una figura autorevole, competente, credibile dal punto di vista internazionale. E in parecchi, in questi giorni, dentro il Pd si interrogano su quanta possa essere la capacità di suggestione, di influenza e di indirizzo di Napolitano senatore a vita, visto che - quando si apriranno le urne presidenziali – sarà lì a votare. Già, con un dettaglio di un certo valore simbolico, scritto oggi da Fabrizio D’Esposito sul Fatto: “Napolitano sarà l’unico leader parlamentare durante gli scrutini per l’elezione del dodicesimo capo dello Stato. Sia Renzi sia Berlusconi non saranno presenti (uno perché non è parlamentare, uno perché decaduto, ndr). Così come non voteranno per il Quirinale Bebbe Grillo e Matteo Salvini”. Il presidente emerito quel giorno sarà a palazzo Madama, probabilmente tra i banchi del gruppo misto – così trapela al momento – così come fece il suo predecessore Carlo Azeglio Ciampi. Ciampi però non è mai stato parlamentare dal 1953 di un solo partito, come Napolitano. Per questo in parecchi, tra i parlamentari dem, immaginano l’ex presidente tra i loro banchi. E già circola la battuta: “Così oltre a due Presidenti avremmo due Segretari...”.

DA - http://www.huffingtonpost.it/2015/01/13/quirinale-giorgio-napolitano_n_6462436.html?1421163442&utm_hp_ref=italy
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« Risposta #40 inserito:: Giugno 14, 2015, 03:48:16 pm »

LA RUSSIA DI PUTIN
L’ex presidente Napolitano: «Non possiamo isolare la Russia»
Dopo l’intervista a Putin sul «Corriere della Sera», l’ex presidente parla dei rapporti con la Russia. E sull’Ucraina cita Kissinger: «Il suo ruolo è farsi ponte fra Europa e Mosca»

Di Paolo Valentino

ROMA «L’evoluzione delle dediche dei suoi libri segna quella dei nostri rapporti», spiega Giorgio Napolitano parlando di Henry Kissinger. Il senatore a vita tira fuori un volume dallo scaffale dietro la scrivania del suo ufficio a Palazzo Giustiniani. «Questo ( Crisis ) me lo mandò molti anni fa. E’ un’edizione speciale, fuori commercio. Come vede siamo ancora a «every good wish» (con i migliori auguri, ndr ). Qualche anno dopo, sull’edizione americana di On China, la dedica fu: «To President Giorgio Napolitano with admiration and a long friendship (con ammirazione e lunga amicizia, ndr )». L’ultima è di tre mesi fa, quando Napolitano ha ricevuto una copia di World Order, magistrale affresco dell’ex segretario di Stato sullo stato del mondo. «Ha scritto: “to Giorgio Napolitano, friend of a life time”, amico di una vita. Ho pensato che sarebbe stato più corretto dire amico di metà vita, dal momento che nella sua prima parte non ci conoscevamo neppure e potevano naturalmente esserci tra di noi reciproche diffidenze. Ma ormai ci unisce una vera amicizia».

L’occasione per dirglielo, Giorgio Napolitano l’avrà all’American Academy di Berlino mercoledì prossimo, quando riceverà proprio dalle mani di Kissinger il premio che porta il suo nome. L’ex presidente della Repubblica è la prima personalità non tedesca e non americana a ottenere il prestigioso riconoscimento, che onora i campioni dei rapporti transatlantici e che nell’albo d’oro vede anche George Bush padre, Helmut Schmidt, Helmut Kohl e Richard von Weizsaecker. Sarà l’approdo comune di due percorsi iniziati da posizioni contrapposte sulla faglia ideologica che divise il secolo breve, ma entrambi caratterizzati da continua evoluzione, dettata da una lettura attenta della realtà internazionale e dei rapporti sottostanti.
«Kissinger non smette di sviluppare la sua visione e il suo pensiero. Mi ha colpito come lui, considerato in modo banale assertore della legge del potere nei rapporti fra gli Stati, definisca nel suo ultimo libro le due condizioni dell’ordine: potere e legittimità. E come affermi nettamente che “calcoli di potere senza una dimensione morale trasformeranno ogni disaccordo in una prova di forza e che d’altra parte prescrizioni morali senza una preoccupazione per l’equilibrio tendono a portare o alle crociate o a una politica impotente”. Ecco, riguardo al premio, che per me è motivo di sincera gratificazione, penso che lui abbia voluto considerare l’arco della mia esperienza, fatta di riflessioni critiche, revisioni e nuovi sviluppi, scoprendo questa strana persona che era stato un dirigente comunista italiano, da anni personalmente interessato all’America».

La leggenda vuole che in occasione del viaggio negli Stati Uniti di un capo di Stato italiano, questi durante un pranzo spezzasse una lancia in favore del Pci, parlandone in modo non completamente negativo. E che fosse proprio Kissinger a gelarlo: «Comunisti? Sono tutti uguali». Qualche anno dopo, nel 1975, Giorgio Napolitano fu invitato ad Harvard, dal direttore dell’Istituto di Studi europei, Stanley Hoffman, che in quell’incarico era succeduto proprio a Kissinger. Occorsero però tre anni e l’arrivo dell’Amministrazione Carter perché il ministro degli Esteri di Botteghe Oscure potesse metter piede negli Usa.
Kissinger e Napolitano si sarebbero conosciuti soltanto alla metà degli Anni Ottanta. «Quando ci presentarono mi disse: era molto tempo che dovevamo incontrarci. Io risposi: non è colpa mia. Lì scattò questa scintilla reciproca di simpatia. Da allora ci siamo visti numerose volte e non rivelo nulla di nuovo quando ricordo che il nostro rapporto fu mediato dall’avvocato Agnelli».
Proprio da una riflessione di Henry Kissinger, Giorgio Napolitano parte quando gli chiedo di ragionare sui rapporti tra l’Occidente e il Cremlino, intorbiditi dalla crisi ucraina. «Apparve nel marzo 2014 un suo articolo sul Washington Post , dove diceva chiaramente che se Occidente e Russia giocano a chi la tira dalla propria parte, non ci sarà avvenire per l’Ucraina, il cui ruolo può essere solo nel farsi ponte tra Russia ed Europa. Posizione illuminata, che però non è stata fatta propria da nessuna delle due parti. Di più, in quell’articolo Kissinger ricordava che sette anni prima lui si era pronunciato contro ogni velleità di portare l’Ucraina nella Nato».
Oggi, secondo Napolitano, «non ci può essere una pura strategia punitiva o di isolamento nei confronti della Russia, ammesso che questa si faccia isolare e non si giri da qualche altra parte». E si dice «sorpreso dalla frase di Barack Obama, del quale pure resto ammiratore e col quale ho un serio rapporto di amicizia, quando ha detto che Putin vuole ricostituire un impero. Dove sono le condizioni perché questo accada? Gli scambi di accuse tra Washington e Mosca sono scoraggianti: si polemizza da una parte su nuovi missili russi, dall’altra su sottomarini americani al largo della Norvegia pronti al lancio di testate nucleari. C’è tutta la retorica della Guerra Fredda, ma null’altro di simile al contesto di allora».
L’errore commesso verso Mosca dagli occidentali in questa fase, così l’ex presidente, consiste «nel sovrapporre alla necessità di una soluzione politica corretta del caso Ucraina, che può essere basata solo sulla piena applicazione degli accordi di Minsk, una specie di tabula rasa di tutta la strategia di cooperazione che avevamo costruito con la Russia e che ha dimostrato di essere valida e produttiva. D’altronde il segretario di Stato americano John Kerry, in visita a Sochi da Putin, ha detto che abbiamo cinque terreni sui quali cooperare, dalla lotta all’Isis al nucleare dell’Iran. E ho anche apprezzato la risposta data da Putin nell’intervista a lei e al direttore del Corriere Fontana: «Siamo alleati contro il terrorismo, le armi di distruzioni di massa e nella soluzione delle crisi regionali».

Dall’Ucraina all’Unione Europea, squassata dalla crisi, divisa dai suoi conflitti interni, contestata da pezzi crescenti delle sue opinioni pubbliche. «Oggi - dice Napolitano - dobbiamo evitare l’illusione deviante della non Europa, il miraggio che esistano soluzioni ai problemi dei nostri Paesi al di fuori di un’integrazione sempre più stretta, dell’obiettivo di una “unione sempre più vicina” rimasto nel Trattato di Lisbona. Chi prospetta altro e chi passa da una giusta critica delle insufficienze della Ue a una posizione distruttiva, propone solo il ritorno a follie nazionalistiche». Ma l’ex presidente è cauto sulla necessità di un Paese guida: «Le leadership si possono affermare, ma contribuendo alla linea comune. Non possiamo idoleggiare l’ipotesi di un Paese guida ovvero reagire invocando alternative alla Germania. Le istituzioni europee devono essere fortemente riviste, perché hanno un doppio problema di funzionalità e comprensibilità agli occhi dei cittadini, ma possono garantire una direzione collegiale. Poi, chi ha più filo tesserà. Certo oggi l’impulso che viene da Berlino è trascinante, tuttavia contrastato e per certi versi discutibile nelle indicazioni di politica comune che esprime».
Tornando a Kissinger e alla necessità di costruire un nuovo ordine mondiale, Giorgio Napolitano nota la «pretenziosità» del G7, ormai non più in grado di dettare l’agenda dello sviluppo mondiale. E indica nel G20, nonostante alcune carenze della sua composizione come la scarsa presenza dell’Africa, il «luogo privilegiato di una nuova governance mondiale multilaterale».

14 giugno 2015 | 11:35
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Da - http://www.corriere.it/esteri/15_giugno_14/ex-presidente-napolitano-non-possiamo-isolare-russia-e52870ee-1276-11e5-85f1-7dd30a4921d8.shtml
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« Risposta #41 inserito:: Agosto 13, 2015, 11:47:47 am »

Napolitano: "Perché la riforma del Senato non minaccia la democrazia"
L’ex presidente della Repubblica replica a Scalfari: “Superare il bicameralismo paritario è essenziale per il funzionamento delle nostre istituzioni”

Di GIORGIO NAPOLITANO
11 agosto 2015
   
Caro Eugenio,

l'ampio spazio che mi hai dedicato nel tuo editoriale di domenica ancora in uno sforzo di dialogo sulla materia che oggi ci vede divergere, è un nuovo segno della nostra amicizia. Amicizia antica, nutritasi di molte radici, esperienze e sentimenti comuni, che, pur nella diversità dei rispettivi percorsi personali, non rinuncia a ogni possibile chiarimento e avvicinamento che possa riuscire utile non solo a noi ma ben più in generale.

E vengo al dunque nello stesso tono, aperto a comprendere e rispettare le ragioni dell'altro, che ha caratterizzato il tuo editoriale. Scusandomi peraltro se dovrò ritornare brevemente su qualche argomento da me sviluppato nell'intervento del 15 luglio in sede di discussione generale della 1^ Commissione del Senato, e forse anche da te non abbastanza considerato.

1. Innanzitutto, non ho, nemmeno nella mia lettera al Corriere della Sera , sostenuto che il testo della riforma debba essere approvato così come è attualmente. Ho anzi messo in evidenza in quel mio articolo l'importanza del richiamo da parte della presidente Finocchiaro sia ai consensi espressi da molti senatori e molti studiosi "auditi" in Commissione, sia dei consigli da essi ricevuti per "modifiche e puntualizzazioni" del testo in discussione al Senato, purché non risultino "dirompenti" rispetto all'impianto già definito della riforma.

2. Tu hai scritto che a me "preme più che mai vedere la riforma portata a buon fine da Renzi": ma a me sarebbe egualmente premuto che una tale riforma venisse varata da qualsiasi precedente Presidente del Consiglio. Si sta finendo per parlare dell'approvazione di questa riforma essenzialmente in funzione di come si giudica, di che cosa ci si aspetta o si teme dall'attuale Presidente del Consiglio. Ma questi era anni luce lontano dall'entrare nel firmamento politico nazionale quando la necessità e l'idea di una revisione costituzionale, relativa in particolare al superamento del bicameralismo paritario venivano affermate da tutt'altre personalità politiche e di governo: a cominciare da subito dopo l'Assemblea Costituente, fino ai mesi del governo Letta (dalle conclusioni del gruppo di lavoro da me istituito nel marzo 2013 alla relazione della Commissione di cui fu presidente il ministro Quagliariello).

3. Come si può ritenere che la riforma in discussione costituirebbe il "contrario", segnerebbe la fine, della democrazia parlamentare? La posizione in materia di revisione costituzionale che tu riconosci caratterizzarmi da molti anni, è in realtà quella propria di molte personalità politiche e istituzionali confluite nel centrosinistra. Voleva forse Leopoldo Elia "il contrario della democrazia parlamentare" quando propugnava "una nuova forma di governo parlamentare", vedendo nella "criticità dell'assetto costituzionale di vertice della Repubblica il punctum dolens più evidente"? O voleva forse il centrosinistra buttare a mare la democrazia parlamentare quando votò, nella Commissione bicamerale del 1997-1998, per il passaggio al "premierato", al governo cioè del primo ministro?

4. La questione essenziale è che non si lasci in piedi, attraverso l'elezione a scrutinio universale anche del Senato della Repubblica, la compresenza di due istituzioni rappresentative della generalità dei cittadini, sottraendo al Senato solo (e a quel punto insostenibilmente!) il potere di dare la fiducia al Governo. L'essenziale è dar vita a un nuovo Senato che arricchisca la democrazia repubblicana dando ad esso la natura di una istituzione finora assente che rappresenti le istituzioni territoriali. Altrimenti di fatto il superamento del bicameralismo paritario non ci sarebbe. Rimarrebbero intatti i fattori di fragilità e debole capacità deliberativa dell'esecutivo, si lascerebbe il paese in quell'assoluta incertezza e tortuosità dei percorsi di approvazione delle leggi, che ha offerto spinte e alibi al degenerativo precipitare del rapporto Governo-Parlamento nella spirale dei decreti legge, dei voti di fiducia, dei maxiemendamenti e articoli unici. È dunque in discussione non uno schema astratto di riforma o un qualche puntiglio politico, bensì una esigenza vitale per un valido funzionamento, specie nell'attuale fase storica, del sistema democratico italiano. Senza farsi dominare da quella "paura dei pericoli" (evocata in una guizzante definizione di Gramsci), che può solo far naufragare per l'ennesima volta nell'inconcludenza il necessario processo riformatore. Si tenga ragionevolmente conto di ciò, nella libertà di sollevare legittimamente, senza far polveroni, qualsiasi questione relativa a posizioni, questioni, modi di governare che riguardino il Presidente Renzi.

Per finire, ringraziando te e la Repubblica per l'ospitalità, lascia che ti tranquillizzi: sono certo che non mi troverò, per nessun aspetto, in una posizione imbarazzante rispetto a qualsiasi parere possa esprimere il Presidente Mattarella, in quanto in ogni caso mi rimetterò con pieno rispetto all'autonomo esercizio del suo insindacabile mandato. E magari lasciamo stare certe analogie, che non tu ma qualche altro evoca con strumentale e ridicola rozzezza, fra un altro Emerito di somma autorità spirituale e un ex Presidente della Repubblica che la nostra Carta ha voluto senatore di diritto e a vita, ovvero membro attivo di una istituzione parlamentare a cui possa dare in piena indipendenza il contributo della sua esperienza. Non un titolo onorifico o una sine cura, ma un compito e un dovere di operoso impegno.

© Riproduzione riservata
11 agosto 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/08/11/news/_perche_la_riforma_del_senato_non_minaccia_la_democrazia_-120775571/?ref=HRER2-1
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« Risposta #42 inserito:: Marzo 10, 2016, 05:56:55 pm »

Libia, Giorgio Napolitano: "No a vecchio pacifismo, ma prima di intervenire pensarci mille volte"

L'Huffington Post  |  Di Redazione
Pubblicato: 09/03/2016 12:43 CET Aggiornato: 4 ore fa

"Non si può accettare l'idea che il ricorso alle armi, nei casi previsti dallo statuto delle nazioni unite, sia qualcosa di contrario ai valori e alla storia italiana". Lo ha detto il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, intervenendo in senato dopo l'informativa del ministro degli esteri Paolo Gentiloni.

L'ex capo dello stato ha avvertito: "generare l'illusione che non abbiamo mai nel nostro futuro la possibilità di interventi con le forze amate in un mondo che ribolle di conflitti e minacce sarebbe ingannare l'opinione pubblica e sollecitare un pacifismo di vecchissimo stampo che non ha ragione di essere nel mondo di oggi, nel mondo uscito dalla seconda guerra mondiale".

Napolitano ha invitato quindi governo e parlamento a "evitare ulteriori equivoci e prepararci a ciò che dobbiamo fare, in Libia e altrove, per contrastare l'avanzata del terrorismo islamico".

In ogni caso, ha spiegato "prima di agire dobbiamo pensarci non una ma mille volte".

L'ex Capo dello Stato ha fatto riferimento alla cifra fornita qualche giorno fa in una intervista al Corriere della Sera dall'ambasciatore americano, che ha parlato di 5 mila uomini che l'Italia potrebbe inviare in Libia e ha sottolineato che il rappresentante Usa ha "improvvisato quella cifra, è una cifra venuta in mente improvvidamente all'ambasciatore pensando forse a quello che era stato il nostro impegno in Afghanistan, dove abbiamo mandato circa 5 mila uomini. Ho vissuto uno dei momenti più dolorosi della mia esperienza di presidente recandomi a Ciampino ad accogliere le salme dei nostri soldati caduti - ha ricordato Napolitano - sono esperienze che non auguro a nessuno di dover ripetere. Prima di agire dobbiamo pensarci non una ma mille volte", ha concluso Napolitano.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/03/09/libia-napolitano-guerra_n_9416238.html?ncid=fcbklnkithpmg00000001
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« Risposta #43 inserito:: Maggio 05, 2016, 12:39:22 pm »

Riforme, Giorgio Napolitano rafforza la spinta per il Sì: "Se vince il No è una paralisi definitiva. È in gioco il Governo"

Il Corriere della Sera
Pubblicato: 03/05/2016 08:21 CEST Aggiornato: 54 minuti fa

È riconosciuto come padre ispiratore delle riforme costituzionali targate Matteo Renzi e Maria Elena Boschi e il ruolo non gli dispiace affatto. L'ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, oggi senatore a vita molto attivo e presente nella scena politica, ribadisce la sua posizione per il Sì al referendum costituzionale in un'intervista al Corriere della Sera che vede l'Italia dinanzi a un bivio fondamentale.

    "Vedo tre diverse attitudini. Quella conservatrice: la Costituzione è intoccabile, non c’è urgenza né bisogno di rivederla. Quella politica e strumentale: si colpisce la riforma per colpire Renzi. E quella dottrinaria “perfezionista”. Dubito molto che tutti i 56 costituzionalisti e giuristi che hanno firmato il manifesto contro siano d’accordo su come si sarebbe dovuta fare la riforma. Ma questa è una posizione insostenibile: perché il No comporterebbe la paralisi definitiva, la sepoltura dell’idea di revisione della Costituzione".

Rispetto per chi ha obiezioni, ma per Giorgio Napolitano sulle riforme l'Italia non può permettersi cedimenti.

    "Non bisogna fare di ogni erba un fascio tra coloro che esprimono riserve, fanno valutazioni contrarie, fanno campagna per il No. Occorre rispetto per le riserve; per quanto se ne siano espresse in Parlamento con grande abbondanza. Non dimentichiamo quanto tempo è stata discussa dalle Camere la legge di riforma, quante consultazioni sono state fatte con l’esterno, quanti emendamenti sono stati avanzati, sia pure spesso per ostruzionismo. Occorre rispetto per chi obietta che ci sono elementi non ben risolti: del testo approvato si continuerà a discutere. Una volta confermata la legge, bisognerà mettersi al lavoro per costruire davvero questo nuovo Senato, e trarre dall’esperienza ogni possibile conseguenza".

L'ex capo di Stato riconosce "gravissime fragilità" all'attuale testo della Costituzione repubblicana, esclusivamente nella seconda parte della Carta.

    "La prima parte esprime in piena luce principi e valori fondamentali di convivenza civile e politica. La seconda parte, sull’ordinamento della Repubblica, ha presentato da subito gravissime fragilità. Nell’equilibrio dei poteri l’esecutivo è stato fin dall’inizio debole. I costituenti avevano previsto la necessità di dispositivi per evitare l’instabilità dei governi e le degenerazioni del parlamentarismo; ma questi dispositivi non sono mai arrivati. Presto apparve chiaro che il bicameralismo paritario era indifendibile. Siamo in ritardo gravissimo. I tentativi sono stati molti: la bicamerale presieduta da Bozzi, la commissione De Mita-Iotti, la commissione D’Alema, che vide collaborare tutte le forze politiche e fu silurata alla fine. Se si affossa anche questo sforzo di revisione costituzionale, allora è finita: l’Italia apparirà come una democrazia incapace di riformare il proprio ordinamento e mettersi al passo con i tempi. E questo lo devono capire tutti; anche quelli che vorrebbero usare il referendum per far cadere Renzi".

Proprio su quest'ultimo punto, Napolitano osserva l'errore commesso dal presidente del Consiglio.

    "Renzi non avrebbe dovuto dare questa accentuazione politica personale; ma solo un ipocrita può dire che, se ci fosse un rigetto su una questione così importante, su cui il governo si è tanto impegnato in Parlamento, non si porrebbe un problema per le sue sorti. Renzi ha sbagliato a metterci un tale carico politico: se vince il Sì vince la riforma, vince l’interesse generale del Paese; non è un trofeo che Renzi possa impugnare, non è un’incoronazione personale. Di recente Renzi nel discorso alla Camera prima del voto definitivo sulla legge ha corretto il tiro, ha evitato quella accentuazione, è entrato nel merito".

Napolitano respinge le accuse a suo carico di eccessivo interventismo.

    "Chi lo fa ignora l’articolo della Costituzione che sancisce che il presidente della Repubblica uscente diviene senatore a vita, mettendo la sua esperienza e il suo equilibrio al servizio dell’interesse nazionale. Lasciamo stare le stupidaggini di chi immagina che io abbia poteri che non ho più. Sono in grande sintonia con l’operato del presidente Mattarella, sono suo amico da anni, ho con lui rapporti limpidissimi. Il resto sono sciocchezze che trovo sia su giornali impegnati in una campagna contro di me fin da quando ero al Quirinale, sia in bocca a esponenti del centrodestra che vennero a chiedermi la disponibilità a essere rieletto, forzando la mia volontà". [...] nel 2013 "in Parlamento c’era la maggioranza in una Camera e non nell’altra. Tutti i partiti si impegnarono a fare una nuova legge elettorale e la riforma costituzionale. Ritenni di non potermi tirare indietro. E il mio ulteriore sforzo fu riconosciuto con tale ampiezza in Italia e fuori Italia, che posso abbandonare al loro destino quelli che applaudirono il mio polemico discorso alle Camere del 2013 e oggi conducono la loro campagna faziosa".

Tema Europa. Si sta sfasciando tutto?

    "Viviamo una grave crisi dell’unità europea e del processo di integrazione. Ma abbiamo appena vissuto un intervento storico del presidente degli Stati Uniti, che non è stato sottolineato abbastanza. Obama si è rivolto ai popoli europei e alle leadership. Ha fatto capire che gli Usa non vogliono più trattare con i singoli Stati europei, ma con l’Europa nel suo insieme. Ha detto che la relazione speciale tra Washington e Londra non avrebbe più senso se Londra non restasse nell’Ue. E ha usato un’espressione che mi ha colpito per la sua durezza: “È nella nostra natura umana l’istinto, quando il futuro appaia incerto, di ritrarsi nel senso di sicurezza e di conforto della propria tribù, della propria setta, della propria nazionalità». Insomma, Obama ha messo gli impulsi neonazionalistici sullo stesso piano degli istinti tribali" [...] "Il problema è come i Paesi dell’Europa centro-orientale sono entrati nell’Unione. Quando si decise l’allargamento non si ebbe un chiarimento pieno su principi e valori fondamentali dell’integrazione: la cessione di sovranità, l’esercizio di una sovranità condivisa, l’interesse comune europeo. Anche da questi nodi non sciolti dipende il comportamento di Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca, e purtroppo ora anche Polonia".

Capitolo Libia, l'Italia deve farsi trovare pronta a un intervento.

    "Per troppo tempo l’Europa ha poggiato sulle spalle degli Stati Uniti per difesa e sicurezza. Questo non è più possibile, nemmeno finanziariamente, per Washington. Sono maturi i tempi per una difesa comune europea: se ne discute dal 1952". [...] "Mi pare che dopo qualche confusione iniziale sia stata tracciata una linea abbastanza netta: l’Italia è pronta ad assumersi un ruolo per stabilizzare la Libia, costruire istituzioni e forze armate degne di questo nome. Occorrono un invito da parte del governo libico — purché non sia il governo di una parte ma della Libia intera —, e un passo da parte dell’Onu, che pare orientato a conferire il mandato all’Italia. E nella lotta all’Isis dobbiamo fare la nostra parte ovunque secondo una divisione di compiti all’interno della grande coalizione mondiale contro il terrorismo".

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/05/03/giorgio-napolitano-riforme_n_9826004.html?ncid=fcbklnkithpmg00000001
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« Risposta #44 inserito:: Ottobre 05, 2016, 12:22:45 pm »

Napolitano: i confini del premier non sono dilatati
Di GIORGIO NAPOLITANO

04 ottobre 2016

Caro Professore, la ringrazio naturalmente per i generosi riconoscimenti rivolti alla mia persona già all'inizio della lettera: riconoscimenti peraltro introduttivi a domande insinuanti e ad aspre quanto infondate considerazioni relative al mio atteggiamento sulla riforma costituzionale approvata dal Parlamento.

Premetto che escludo di poter rispondere giornalisticamente su questa materia a questioni o osservazioni di singole personalità. Lo faccio qui brevemente, ed eccezionalmente, per cortesia verso il Direttore de La Repubblica.

Ma in generale, rinvio chiunque a quanto in materia ho detto e mi riservo di dire pubblicamente, rivolgendomi alla generalità degli interessati al confronto referendario in atto.

Ribadisco qui solo che non ho mai "mutato radicalmente" la posizione che assunsi sulla "riforma Berlusconi- Bossi": della quale d'altronde non potetti nemmeno occuparmi ampiamente, o "vigorosamente", in quanto entrai in Senato, chiamatovi come Senatore a Vita dal Presidente Ciampi, appena in tempo per pronunciare un sintetico intervento alla fine della discussione e alla vigilia del voto finale, il 15 novembre 2005. Una lettura non unilaterale e strumentale di quel mio testo mostra chiaramente che considerai essenzialmente come "inaccettabile", di quella legge di riforma, il "voler dilatare in modo abnorme i poteri del primo ministro", con un evidente "indebolimento dell'istituto supremo di garanzia, la Presidenza della Repubblica". Del che non vi è traccia nella riforma attuale.

Diversi punti poi toccati dalla sua lettera, e sollevati da altri, hanno già ricevuto puntuali risposte da parlamentari autorevoli che sono stati gli effettivi protagonisti della definizione della legge, articolo per articolo, su cui il Parlamento si è espresso a larga maggioranza anche in Senato. Lei ne ha certamente preso nota, studiando e citando anche qualche fonte non italiana.

In quanto a me non sono, com'è ovvio, come Senatore di Diritto e a Vita, rappresentante elettivo della nazione, ma mi sentirò pienamente a mio agio anche nel nuovo Senato grazie a titoli di rappresentanza che mi sono stati conferiti con l'elezione a Presidente della Repubblica e con il successivo status attribuitomi dall'art. 59 della Costituzione.

Infine, per quanto mi riguarda, più in generale ho esposto organicamente le mie posizioni e i miei argomenti di carattere storico-istituzionale nell'ampio intervento in discussione generale alla I Commissione del Senato il 15 luglio 2015 (e nella dichiarazione di voto resa in Aula il 13 ottobre 2015). Sono certo che lei - nella lodevole grande attenzione che ha riservato a queste questioni, pur lontane dal campo di ricerca e di insegnamento in cui ha saputo eccellere - abbia letto attentamente il testo di entrambi quei miei interventi, peraltro facilmente a tutti accessibile. Per ausilio pratico, gliene invio comunque copia.

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04 ottobre 2016

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