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Autore Discussione: Giorgio NAPOLITANO.  (Letto 41593 volte)
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« Risposta #15 inserito:: Settembre 14, 2010, 05:52:12 pm »

IL DISCORSO

Napolitano: "Ricorso a popolo non è balsamo per ogni febbre"

Il presidente della Repubblica a Salerno: "Basta con la penosa disputa contabile fra Nord e Sud".

"Contro di me polemiche allusive e non sempre garbate".


SALERNO - "Il ricorso al popolo non è il balsamo per ogni febbre". Parlando a Salerno in un incontro con gli amministratori locali il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano elogia Silvio Berlusconi e la sua decisione di continuare a governare. "La stabilità politica è un valore", chiosa il capo dello Stato che però coglie l'occasione per togliersi qualche sassolino.

Napolitano non ha dimenticato gli attacchi di agosto da parte di esponenti della maggioranza e lo dice. "Contro di me polemiche allusive e non sempre garbate". Poi avverte governo e maggioranza: "Un Paese democratico vive secondo le regole". Quanto al federalismo il presidente è chiaro: fermare quella che chiama "la penosa disputa contabile fra Nord e Sud", ha chiesto di tenere conto di tutti i dati disponibili "che danno un quadro di flussi tra regioni del Nord e del Sud ben più ampio di quelli dei soli trasferimenti pubblici e assai più favorevole al Centro-Nord". "Sul federalismo - ha continuato - bisogna smetterla di giocare con le parole. Si deve attuare il titolo quinto ma quando si parla di federalismo solidale, cooperativo, ogni volta che il parlamento deve varare i provvedimenti, il senso di queste parole deve essere mantenuto".

"Apprezzamento per impegno Berlusconi". "Il fatto che negli ultimi giorni ci sia una crescente fiducia sulla prosecuzione dell'attività governativa e parlamentare è un'evoluzione auspicabile e costruttiva", ha sottolineato Napolitano. Il presidente della Repubblica ha espresso pertanto "apprezzamento per le recenti dichiarazioni fatte da Silvio Berlusconi di voler andare fino alla prosecuzione della legislatura e per il rilancio dell'attività di governo".

"Polemica non garbata nei miei confronti". Però Napolitano ha rimproverato alla maggioranza il fatto che quest'estate si siano "succeduti per settimane, ogni giorno", interventi riconducibili a una "polemica allusiva e non sempre garbata nei miei confronti". "Mi si è così premurosamente spiegato - ha accusato il presidente - come il ricorso al popolo, ovvero alle urne, sia il sale della democrazia e il balsamo per tutte le sue febbri. Si è mostrato stupore per il fatto che il presidente della Repubblica non apparisse pronto, con la penna in mano, a firmare un decreto di scioglimento delle Camere. Il particolare che così veniva trascurato - ha proseguito - è che la vità di un paese democratico e delle sue istituzioni elettive, nelle quali si esprime la volontà popolare, deve essere ordinata secondo regole per potersi svolgere in modo fecondo, per produrre i risultati attesi".

 "Sì al federalismo, ma senza giocare". Bisogna attuare il federalismo, andare avanti, "ma non bisogna giocare con le parole", ha detto ancora il presidente della Repubblica a Salerno. "Si tratta di stabilire come intendere il federalismo, non si tratta di tornare indietro o mettere i bastoni fra le ruote. Si deve attuare il titolo quinto ma - ha aggiunto - quando si parla di federalismo solidale, cooperativo, ogni volta che il parlamento deve varare i provvedimenti, il senso di queste parole deve essere mantenuto".

"Bloccare penose dispute contabili". Attuare il federalismo, tra l'altro, ha ricordato Napolitano, è anche un modo di porre fine "a penose dispute contabili e recriminazioni sul dare e l'avere tra Nord e Sud". Il Capo dello Stato ha chiesto di tenere conto di tutti i dati disponibili "che danno un quadro di flussi tra regioni del Nord e del Sud ben più ampio di quelli dei soli trasferimenti pubblici e assai più favorevole al Centro-Nord". E, sempre in riferimento al Mezzogiorno, Napolitano ha sottolineato come "nel Mezzogiorno ci sono troppi giovani che hanno concluso il loro ciclo formativo e si trovano senza lavoro e senza prospettive. E' nostro dovere storico dare loro risposte. Questa è la questione numero uno del nostro Paese".
 

(14 settembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/09/14/news/napolitano_popolo-7064096/?ref=HREA-1
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« Risposta #16 inserito:: Ottobre 06, 2010, 05:15:22 pm »

«Nilde Iotti, una grande politica ma sempre donna e libera»

di Giorgio Napolitano

Con sincera e convinta adesione alla vostra iniziativa desidero contribuire, sia pure in termini essenziali, al ricordo della personalità di Nilde Iotti e della sua opera: ricordo che intendete trasformare in fonte di conoscenza, riflessione e ispirazione soprattutto, credo di intendere, per le nuove generazioni, specialmente di donne, che si avvicinino al mondo della politica e delle istituzioni.

Ho avuto modo di ripercorrere ampiamente in alcune occasioni quel tratto lungo e altamente impegnativo della vita e dell’attività di Nilde Iotti, che fu costituito dalla sua partecipazione più che cinquantennale alle legislature del Parlamento repubblicano. E prima ancora ella partecipò alla esperienza unica e impareggiabile dell’Assemblea Costituente.

Ma oggi, nel momento in cui sta per prendere forma la Fondazione a lei intitolata, vorrei dedicare qualche parola più in particolare alla sua persona e al mio personale rapporto con lei. La incontrai per la prima volta nel 1949, ancora giovanissima, in occasione di una sua vacanza pasquale con l’uomo cui si era legata di intensa passione e autentico affetto, Palmiro Togliatti, allora leader indiscusso di un grande partito, prima di governo e poi di opposizione, e personalità tra le maggiori della nuova politica italiana, dopo la caduta del fascismo e il ristabilimento delle libertà democratiche. In quei giorni di privata vicinanza, e in quelli che più a lungo di nuovo trascorsi con lei e col suo compagno nell’autunno del 1950, ebbi modo di scoprire le sue qualità umane, l’autenticità del suo tratto e del suo modo di atteggiarsi, e, tra l’altro, la straordinaria intensità del calore materno che manifestava verso la piccola Marisa, divenuta appunto, nel 1950, sua figlia adottiva. Ricordo, e posso dire, che era una donna radiosa.

E luminosa restò la sua personalità anche dopo avere attraversato momenti difficili e dolorosi sul piano personale e avere conosciuto - quando aveva appena 44 anni - la perdita del compagno e il destino della solitudine. Naturalmente, l’intensificarsi e il crescere qualitativamente del suo impegno politico e istituzionale la resero più matura e più «grave», ma mai ella smarrì la carica umana che aveva da giovane, quale mi fu possibile cogliere nei primi tempi della nostra amicizia.

Si ricordi dunque, nella ricchezza e complessità delle tante espressioni del suo impegno pubblico la «madre della nostra Repubblica», come voi l’avete definita, la combattente della Resistenza di colpo proiettata nella grande stagione dell’Assemblea Costituente, la parlamentare sempre più qualificata, la deputata europea, la straordinaria Presidente della Camera dei Deputati - prima Presidente donna, e Presidente più longevo, nella storia del Parlamento italiano - ma si ricordi nello stesso tempo Nilde Iotti donna come le altre.

In fondo, per le ragazze che oggi sentano nascere nel proprio animo il senso della politica e la voglia di fare politica – e mi auguro che siano molte e sempre di più, perché l’Italia ne ha drammaticamente bisogno - è bene che l’immagine della politica, e della donna in politica, anche una volta assurta ai più alti livelli di responsabilità e di autorità, non appaia in alcun modo paludata né chiusa in quel ruolo, coprendo i suoi tratti umani più intimi e profondi. La politica, anche per chi vi si dedichi a pieno tempo, anche per chi possa farne - come un tempo si diceva e accadeva - una «scelta di vita»; non può mai diventare un’ossessione totalizzante né imprigionare la persona in una corazza.

Ecco, ho visto così nei decenni - al di là delle affinità politiche e delle comuni battaglie che ci hanno legato, e attraverso i rapporti affettuosi che poi abbracciarono anche mia moglie Clio e il mio più giovane figlio Giulio - Nilde Iotti, grande figura politica dell’Italia repubblicana, grande punto di riferimento per gli ideali e per le conquiste delle donne, sempre persona, sempre donna, umanamente libera e ricca.

06 ottobre 2010
http://www.unita.it/news/il_ricordo/104298/nilde_iotti_una_grande_politica_ma_sempre_donna_e_libera
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« Risposta #17 inserito:: Gennaio 04, 2011, 04:15:13 pm »

NAPOLI

Napolitano e il caso Fiat "Serve dialogo più costruttivo"

Il presidente auspica il confronto e sottolinea la necessità che venga affrontato il nodo della rappresentanza sindacale.

La Fiom alla Cgil: "Nessuna firma tecnica sull'accordo di MIrafiori". L'Idv aderisce allo sciopero del 28. Fiat spa corre in Borsa


NAPOLI - "C'è un rapporto difficile, un confronto che è diventato molto duro. Mi auguro che nelle relazioni industriali, oggetto di contenzioso alla Fiat, si trovi di nuovo un modulo più costruttivo di discussione". Così il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha risposto ai giornalisti sul fatto che il piano Marchionne sia stato ben accolto dai mercati ma sia molto discusso dai lavoratori. Secondo Napolitano "ci deve essere confronto", ma "tutte le parti in causa debbono riconoscere l'essenzialità di questo impegno ad aumentare la produttività del lavoro ai fini della competitività internazionale della nostra economia".

Il rapporto tra lavoratori e vertici della Fiat in questo momento, dice Napolitano, "è difficile, un confronto che è diventato molto duro. Credo", aggiunge il capo dello Stato, "che nessuno possa negare che esiste un problema di bassa produttività nel lavoro. Però non è una questione legata esclusivamente al rendimento lavorativo delle maestranze. La produttività dipende in larga misura anche dall'innovazione tecnologica, dalle scelte di organizzazione del lavoro, e quindi ci deve essere un confronto e si deve assumere questo obiettivo. Tutte le parti in causa debbono riconoscere l'essenzialità di questo impegno ad aumentare la produttività del lavoro ai fini di competitività internazionale della nostra economia. Poi, il modo di affrontare questo problema, soprattutto
il punto delle modifiche che ne possono derivare nelle relazioni industriali sono oggetto di contenzioso. Mi auguro che si trovi di nuovo un modulo più costruttivo di discussione".

Il presidente ha anche commentato le dichiarazioni rilasciate dal ministro Sacconi a Repubblica sull'accordo inteconfederale del 1993: "Il ministro del lavoro dice nell'accordo del '93 erano sanciti diritti che bisogna fare salvi. Mi pare che questo sia un aspetto importante - ha detto Napolitano - . Per quanto siano cambiate le cose e si possa vedere quanto dell'accordo del '93 rimanga valido, però vi sono dei punti importanti che riguardano senza dubbio il diritto di rappresentanza, tutta una materia che ormai va affrontata".

Fiom e Cgil divise - Intanto il caso Mirafiori resta una ferita aperta tra la Fiom e la Cgil. Maurizio Landini, segretario generale della federazione dei metalmeccanici, ha escluso nuovamente qualsiasi firma tecnica in caso di vittoria dei sì al referendum sull'accordo, come aveva ipotizzato dal segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, per salvare la rappresentanza Fiom nello stabilimento torinese: "Gli accordi si firmano o non si firmano - ha detto Landini in una conferenza stampa con Antonio Di Pietro - ; inoltre lo statuto della Cgil vieta di firmare accordi che sottraggono diritti ai lavoratori".

Landini ha spiegato poi che l'incontro in programma domenica con i vertici della Cgil non riguarderà soltanto la questione Fiat, ma servirà a "mettere a punto iniziative complessive perchè gli accordi di Mirafiori e Pomigliano mettono in discussione l'esistenza l'esistenza stessa del sindacato confederale".

Referendum il 13 e il 14 - Quanto al referendum sull'accordo sottoscritto da Fim e Uilm, con ogni probabilità si terrà giovedì 13 e venerdì 14 gennaio. Le date saranno ufficializzate stasera. Dal voto dei circa 5.800 lavoratori di Mirafiori sull'intesa, secondo le parole dell'ad Sergio Marchionne, dipenderà il rilancio dello stabilimento torinese in joint venture con Chrysler. Lunedì prossimo, le sigle firmatarie dell'intesa distribuiranno un volantino davanti ai cancelli della fabbrica per spiegare i contenuti dell'accordo.

L'Idv sciopera - Di Pietro ha annunciato la partecipazione dell'Italia dei valori allo sciopero del 28 gennaio, accanto alla Fiom. "Chiediamo un tavolo unico in cui il governo chieda alla Fiat di mantenere la produzione in Italia anche offrendo incentivi e sgravi  - ha detto Di Pietro - , ma dall'altra parte chieda all'azienda un passo indietro sull'attacco ai diritti costituzionali e fondamentali dei lavoratori". Poco più tardi è arrivata la frenata dal presidente dei deputati Idv, Massimo Donadi: "L'Italia dei valori - ammonisce Donadi - non può sposare acriticamente le posizioni della Fiom. Il prossimo esecutivo sarà l'occasione giusta per aprire un confronto sulla nostra posizione riguardo alla vicenda" Fiat.

Fiat in Borsa - Intanto, in una giornata positiva per tutte le Borse europee, a Piazza Affari sono ancora protagonisti i titoli delo spin off del Lingotto, soprattutto Fiat spa che al giro di boa della giornata è arrivata a guadagnare oltre il 7%, mentre Fiat Industrial ed Exor segnano un leggero calo.

(04 gennaio 2011) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/economia/2011/01/04/news/napolitano_sulla_fiat_dialogo_pi_costruttivo-10837432/?ref=HRER1-1
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« Risposta #18 inserito:: Agosto 22, 2011, 04:23:23 pm »

22/8/2011

Napolitano al meeting Cl Ecco l'intervento integrale

GIORGIO NAPOLITANO

Colgo in questo incontro, nella sua continuità con l'ispirazione originaria e la peculiare tradizione del Meeting di Rimini, l'occasione per ridare respiro storico e ideale al dibattito nazionale. Perché è un fatto che ormai da settimane, da quando l'Italia e il suo debito pubblico sono stati investiti da una dura crisi di fiducia e da pesanti scosse e rischi sui mercati finanziari, siamo immersi in un angoscioso presente, nell'ansia del giorno dopo, in un'obbligata e concitata ricerca di risposte urgenti. A simili condizionamenti, e al dovere di decisioni immediate, non si può naturalmente sfuggire. Ma non troveremo vie d'uscita soddisfacenti e durevoli senza rivolgere la mente al passato e lo sguardo al futuro. Ringrazio perciò voi che ci sollecitate a farlo.

D'altronde, anche nel celebrare il Centocinquantenario dell'Unità, abbiamo teso a tracciare un filo che congiungesse il passato storico, complesso e ricco di insegnamenti, il problematico presente e il possibile futuro dell'Italia. Ci siamo provati a tessere quel filo muovendo da quale punto di partenza ? Dal sentimento che si doveva e poteva suscitare innanzitutto un moto di riappropriazione diffusa - da parte delle istituzioni e dei cittadini - delle vicende e del significato del processo unitario. Si doveva recuperare quel che da decenni si era venuto smarrendo - negli itinerari dell'educazione, della comunicazione, della discussione pubblica, della partecipazione politica - di memoria storica, di consapevolezza individuale e collettiva del nostro divenire come nazione, del nostro nascere come Stato unitario. E a dispetto di tanti scetticismi e sordità, abbiamo potuto, nel giro di un anno, vedere come ci fosse da far leva su uno straordinario patrimonio di sensibilità, interesse culturale e morale, disponibilità a esprimersi e impegnarsi, soprattutto tra i giovani. Abbiamo visto come fosse possibile suscitare quel "moto di riappropriazione" di cui parlavo : e non solo dall'alto, ma dal basso, attraverso il fiorire, nelle scuole, nelle comunità locali, nelle associazioni, di una miriade di iniziative per il Centocinquantenario. Lo sforzo è dunque riuscito, e rendo merito a tutti coloro che ci hanno creduto e vi hanno contribuito.

Ma "l'esame di coscienza collettivo" che avevamo auspicato in occasione di una così significativa ricorrenza, non poteva rimanere limitato al travaglio vissuto per conseguire l'unificazione, e alle modalità che caratterizzarono il configurarsi del nostro Stato nazionale. Esso doveva abbracciare - e ha in effetti abbracciato - il lungo percorso successivo, dal 1861 al 2011 : in quale chiave farlo, e per trarne quali impulsi, lo abbiamo detto, il 17 marzo scorso, con le parole che l'on. Lupi ha voluto ricordare.

Si, con le celebrazioni del Centocinquantenario ci si è impegnati a trarre, senza ricorrere ad alcuna forzatura o enfasi retorica, ragioni di orgoglio e di fiducia da un'esperienza di storico avanzamento e progresso della società italiana, anche se tra tanti alti e bassi, tragiche deviazioni pagate a carissimo prezzo, e dure, faticose riprese. Ma perché abbiamo insistito tanto sulle prove che l'Italia unita ha superato, sulla capacità che ha dimostrato di non perdersi, di non declinare, né dopo l'emorragia e le conseguenze traumatiche di una guerra pure vinta, né dopo la vergogna di una guerra d'aggressione e l'umiliazione di una sconfitta, e quindi di fronte all'eredità del fascismo e alla sfida del ricostruire il paese nella democrazia ? Perché abbiamo sottolineato come l'Italia abbia poi saputo attraversare le tensioni della guerra fredda restando salda nelle sue fondamenta unitarie e democratiche e infine reggere con successo ad attacchi mortali allo Stato e alla convivenza civile come quello del terrorismo?

Ebbene, abbiamo insistito tanto, e con pieno fondamento, su quel che l'Italia e gli italiani hanno mostrato di essere in periodi cruciali del loro passato, e sulle grandi riserve di risorse umane e morali, d'intelligenza e di lavoro di cui disponiamo, perché le sfide e le prove che abbiamo davanti sono più che mai ardue, profonde e di esito incerto.

Questo ci dice la crisi che stiamo attraversando. Crisi mondiale, crisi europea, e dentro questo quadro l'Italia, con i suoi punti di forza e con le sue debolezze, con il suo carico di problemi antichi e recenti, di ordine istituzionale e politico, di ordine strutturale, sociale e civile. Nel messaggio di fine anno 2008, in presenza di una crisi finanziaria che dagli Stati Uniti si propagava all'Europa e minacciava l'intera economia mondiale, dissi - riecheggiando le famose parole del Presidente Roosevelt, appena eletto nel 1932 - "l'unica cosa di cui aver paura è la paura stessa". Ma dinanzi a fatti così inquietanti, dinanzi a crisi gravi, bisogna parlare - e voglio ripeterlo oggi qui, rivolgendomi ai giovani - il linguaggio della verità : perché esso "non induce al pessimismo, ma sollecita a reagire con coraggio e lungimiranza".

Abbiamo, noi qui, in Italia, parlato in questi tre anni il linguaggio della verità ? Lo abbiamo fatto abbastanza, tutti noi che abbiamo responsabilità nelle istituzioni, nella società, nelle famiglie, nei rapporti con le giovani generazioni ? Stiamo attenti, dare fiducia non significa alimentare illusioni ; non si da fiducia e non si suscitano le reazioni necessarie, minimizzando o sdrammatizzando i nodi critici della realtà, ma guardandovi in faccia con intelligenza e con coraggio. Il coraggio della speranza, della volontà e dell'impegno. Dell'impegno operoso e sapiente, fatto di spirito di sacrificio e di massimo slancio creativo e innovativo.

Impegno che non può venire o essere promosso solo dallo Stato, ma che sia espresso dalle persone, dalle comunità locali, dai corpi intermedi, secondo quella concezione e logica di sussidiarietà, che come ha sottolineato il Presidente Vittadini e come documenta la Mostra presentata a questo Meeting, ha fatto, di una straordinaria diffusione di attività imprenditoriali e sociali e di risposte ai bisogni comuni costruite dal basso, un motore decisivo per la ricostruzione e il cambiamento del nostro Paese.

Si può ben invocare oggi una simile mobilitazione, egualmente differenziata e condivisa, se si rende chiaro quale sia la posta in giuoco per l'Italia : in sostanza, ridare vigore e continuità allo sviluppo economico, sociale e civile, far ripartire la crescita in condizioni di stabilità finanziaria, non rischiando di perdere via via terreno in seno all'Europa e nella competizione globale, di vedere frustrate energie e potenzialità ben presenti e visibili nel Paese, di lasciare insoddisfatte esigenze e aspettative popolari e giovanili e di lasciar aggravare contraddizioni, squilibri, tensioni di fondo.

Le difficoltà sono serie, complesse, per molti aspetti non sono recenti, vengono dall'interno della nostra storia unitaria e anche, più specificamente, repubblicana. Ad esse ci riporta la crisi che stiamo vivendo in questa fase, nella quale si intrecciano questioni che a noi spettava affrontare da tempo e questioni legate a profondi mutamenti e sconvolgimenti del quadro mondiale. Ma se a tutto ciò dobbiamo guardare, anche nel momento in cui ci apprestiamo a discutere in Parlamento nuove misure d'urgenza, bisogna allora finalmente liberarsi da approcci angusti e strumentali.

Possibile che si sia esitato a riconoscere la criticità della nostra situazione e la gravità effettiva delle questioni, perché le forze di maggioranza e di governo sono state dominate dalla preoccupazione di sostenere la validità del proprio operato, anche attraverso semplificazioni propagandistiche e comparazioni consolatorie su scala europea ? Possibile che da parte delle forze di opposizione, ogni criticità della condizione attuale del paese sia stata ricondotta a omissioni e colpe del governo, della sua guida e della coalizione su cui si regge ? Lungo questa strada non si poteva andare e non si è andati molto lontano. Occorre più oggettività nelle analisi, più misura nei giudizi, più apertura e meno insofferenza verso le voci critiche e le opinioni altrui. Anche nell'importante esperienza recente delle parti sociali, giunte ad esprimere una voce comune su temi scottanti, ci sono limiti da superare nel senso di proiettarsi pienamente oltre approcci legati a pur legittimi interessi settoriali. Bisogna portarsi tutti all'altezza dei problemi da sciogliere e delle scelte da operare.

Scelte non di breve termine e corto respiro, ma di medio e lungo periodo. E' da vent'anni che è, sempre di più, rallentata la crescita della nostra economia ; è da vent'anni che si è invertita la tendenza al miglioramento di alcuni fondamentali indicatori sociali ; è da vent'anni che al di là di temporanee riduzioni del rapporto tra deficit e prodotto lordo, non siamo riusciti ad avviare un deciso abbattimento del nostro debito pubblico. La crescita è rallentata fino a ristagnare, la competitività della nostra economia, in un mondo globalizzato e radicalmente trasformato nei suoi equilibri, ha particolarmente sofferto del calo o ristagno della produttività.

La recente pubblicazione di una lunga accurata ricerca sull'evoluzione del benessere degli italiani dall'Unità a oggi, ci consente di apprezzare pienamente il consuntivo - superiore a ogni immaginabile previsione iniziale - del prodigioso balzo in avanti compiuto dall'economia e dalla società nazionale dopo l'Unità e in special modo grazie all'accelerazione prodottasi nel trentennio seguito alla seconda guerra mondiale. Ma se i dati reali smentiscono i detrattori dell'unificazione, è innegabile che il divario tra Nord e Sud è rimasto una tara profonda, non è mai apparso avviato a un effettivo superamento ; e venendo a tempi più recenti è un fatto che da due decenni è in aumento la diseguaglianza nella distribuzione del reddito dopo una marcia secolare in senso opposto, e lo stesso può dirsi per il tasso di povertà.

Si impone perciò un'autentica svolta : per rilanciare una crescita di tutto il paese - Nord e Sud insieme ; una crescita meno diseguale, che garantisca una più giusta distribuzione del reddito ; una crescita ispirata a una nuova visione e misurazione del progresso, cui si sta lavorando ormai da anni, su cui si sta riflettendo in qualificate sedi internazionali. Al di là del PIL, come misura della produzione, e senza pretendere di sostituirlo con una problematica "misura della felicità", in quelle sedi si è richiamata l'attenzione su altri fattori : "è certamente vero che, nel determinare il benessere delle persone, gli aspetti quantitativi (a cominciare dal reddito e dalla speranza di vita) contano, ma insieme a essi contano anche gli stati soggettivi e gli aspetti qualitativi della condizione umana". E' a tutto ciò che bisogna pensare quando ci si chiede se le giovani generazioni, quelle già presenti sulla scena della vita e quelle future, potranno - in Italia e in Europa, in un mondo così trasformato - aspirare a progredire rispetto alle generazioni dei padri come è accaduto nel passato. La risposta è che esse possono aspirare e devono tendere a progredire nella loro complessiva condizione umana. Ecco qualcosa per cui avrebbe senso che si riaccendesse il motore del "desiderio".

Sia chiaro, la situazione attuale di carenza di possibilità di lavoro, di disoccupazione e di esclusione per quote così larghe della popolazione giovanile, impone che si parta dal concreto di politiche per il rilancio della crescita produttiva, di più forti investimenti e di più efficaci orientamenti per la formazione e la ricerca, di più valide misure per l'inserimento dei giovani nel mercato del lavoro. Ma si deve puntare a una visione più complessiva e avanzata degli orizzonti di lungo termine : e chi, se non voi, può farlo ?

Quell'autentica svolta che oggi s'impone passa, naturalmente, attraverso il sentiero stretto di un recupero di affidabilità dell'Italia, in primo luogo del suo debito pubblico. E qui non si tratta di obbedire al ricatto dei mercati finanziari, o alle invadenze e alle improprie pretese delle autorità europee, come dicono alcuni, forse troppi. Si tratta di fare i conti con noi stessi, finalmente e in modo sistematico e risolutivo ; ho detto e ripeto che lasciare quell'abnorme fardello del debito pubblico sulle spalle delle generazioni più giovani e di quelle future significherebbe macchiarci di una vera e propria colpa storica e morale. Faccia dunque ora il Parlamento le scelte migliori, attraverso un confronto davvero aperto e serio, e le faccia con la massima equità come condizione di accettabilità e realizzabilità.

Anche al di là della manovra oggi in discussione, e guardando alla riforma fiscale che si annuncia, occorre un impegno categorico ; basta con assuefazioni e debolezze nella lotta a quell'evasione di cui l'Italia ha ancora il triste primato, nonostante apprezzabili ma troppo graduali e parziali risultati. E' una stortura, dal punto di vista economico, legale e morale, divenuta intollerabile, da colpire senza esitare a ricorrere ad alcuno dei mezzi di accertamento e di intervento possibili.

L'Italia è chiamata a recuperare affidabilità non solo sul piano dei suoi conti pubblici, sul piano della cultura della stabilità finanziaria, ma anche e nello stesso tempo sul piano della sua capacità di tornare a crescere più intensamente. E questo è anche il contributo che come grande paese europeo siamo chiamati a dare dinanzi al rallentamento dello sviluppo mondiale, al rischio o al panico - fosse pure solo panico - di una possibile onda recessiva. In questo quadro, è importante che l'Italia riesca ad avere più voce, in termini propositivi e assertivi, nel concerto europeo. Che da un lato appare troppo condizionato da iniziative unilaterali, di singoli governi, fuori dalle sedi collegiali e dal metodo comunitario ; dall'altro troppo esitante sulla via di un'integrazione responsabile e solidale, lungo la quale concorrere anche alla ridefinizione di una governance globale, le cui regole valgano a temperare le reazioni dei mercati finanziari.

Una svolta capace di rilanciare la crescita e il ruolo dell'Italia implica riforme : dopo l'avvio, in senso federalista, della concreta attuazione del Titolo V della Carta, riforme del quadro istituzionale e dei processi decisionali, delle pubbliche amministrazioni, di assetti e di rapporti economici finora non liberalizzati, di assetti inadeguati anche del mercato del lavoro. Ma non starò certo a riproporre un elenco già noto : mi piace solo notare come in queste settimane, sospinto da alcuni impulsi generosi, si stia prospettando in una luce più positiva il tema della riforma - in funzione solo dell'interesse nazionale - e del concreto funzionamento della giustizia. Anche perché alla visione del diritto e della giustizia sancita in Costituzione repugna la condizione attuale delle carceri e dei detenuti.

Comunque, più che ripetere un elenco di impegni o di obbiettivi, vorrei rispondere alla domanda se sia possibile realizzare, com'è indubbiamente necessario, riforme di quella natura su basi largamente condivise. E', in sostanza, parte della stessa domanda postami in termini più generali da Eleonora Bonizzato e da Enrico Figini. Ai quali dico innanzitutto che ho molto apprezzato il metodo seminariale col quale, insieme con molti altri studenti, hanno esplorato i temi della Mostra dedicata al Centocinquantenario e in modo particolare l'esperienza della straordinaria stagione dell'Assemblea costituente, non abbastanza studiata nelle nostre scuole e Università.

E' possibile, mi si chiede, che si riproduca quella grande tensione, quello stesso impegno verso il bene comune ? La mia risposta è che può la forza delle cose, può la drammaticità delle sfide del nostro tempo, rappresentare la molla che spinga verso un grande sforzo collettivo come quello da cui scaturì la ricostruzione democratica, politica, morale e materiale del nostro Paese dopo la Liberazione dal nazifascismo. I contesti storici sono, certo, completamente diversi ; la storia, nel male e nel bene, non si ripete. Ma la storia che abbiamo vissuto in 150 anni di Unità, nei suoi momenti migliori, come quando sapemmo rialzarci da tremende cadute e poi evitare fatali vicoli ciechi, racchiude il DNA della nazione. E quello non si è disperso, e non può disperdersi. I valori che voi testimoniate ce lo dicono ; ce lo dicono le tante espressioni, che io accolgo in Quirinale, dell'Italia dell'impegno civile e della solidarietà, dell'associazionismo laico e cattolico, di molteplici forme di cooperazione disinteressata e generosa. E, perché si creino le condizioni di un rinnovato slancio che attraversi la società in uno spirito di operosa sussidiarietà, contiamo anche sulle risorse che scaturiscono dalla costante, fruttuosa ricerca di "giuste forme di collaborazione" - secondo le parole di Benedetto XVI - "fra la comunità civile e quella religiosa".

Ma potrà anche l'apporto insostituibile della politica e dello Stato manifestarsi in modo da rendere possibile il superamento delle criticità e delle sfide che oggi stringono l'Italia ? Ci sono momenti in cui - diciamolo pure - si può disperarne. Ma non credo a una impermeabilità della politica che possa durare ancora a lungo, sotto l'incalzare degli eventi, delle sollecitazioni che crescono all'interno e vengono dall'esterno del Paese. Il prezzo che si paga per il prevalere - nella sfera della politica - di calcoli di parte e di logiche di scontro sta diventando insostenibile. Una cosa è credere nella democrazia dell'alternanza ; altra cosa è lasciarla degenerare in modo sterile e dirompente dal punto di vista del comune interesse nazionale. Ci fa riflettere anche quel che accade nel grande paese che è stato, con le sue peculiarità istituzionali, il luogo storico di una democrazia dell'alternanza capace di far fronte alle responsabilità anche di un determinante ruolo mondiale. Negli Stati Uniti vediamo appunto come, nell'attuale critico momento, il radicalizzarsi dello spirito partigiano e della contrapposizione tra schieramenti orientati storicamente a competere ma anche a convergere, stia provocando danni assai gravi per l'America e per il mondo, in una congiuntura difficile pure per quella causa della pace, dei diritti umani, dell'amicizia tra i popoli - si pensi alla tragedia del Corno d'Africa - che è iscritta nella stessa ragion d'essere del vostro Meeting.

Qui in Italia, va perciò valorizzato ogni sforzo di disgelo e di dialogo, come quello espressosi nella nascita e nelle iniziative, cari amici Lupi e Letta, dell'Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà. Ma bisogna andare molto oltre, e rapidamente. Spetta anche a voi, giovani, operare, premere in questo senso : e predisporvi a fare la vostra parte impegnandovi nell'attività politica. C'è bisogno di nuove leve e di nuovi apporti. Non fatevi condizionare da quel che si è sedimentato in meno di due decenni : chiusure, arroccamenti, faziosità, obbiettivi di potere, e anche personalismi dilaganti in seno ad ogni parte. Portate nell'impegno politico le vostre motivazioni spirituali, morali, sociali, il vostro senso del bene comune, il vostro attaccamento ai principi e valori della Costituzione e alle istituzioni repubblicane: apritevi così all'incontro con interlocutori rappresentativi di altre, diverse radici culturali. Portate, nel tempo dell'incertezza, il vostro anelito di certezza. E' per tutto questo che rappresentate, come ha detto nel modo più semplice la professoressa Guarnieri, "una risorsa umana per il nostro paese". Ebbene, fatela valere ancora di più : è il mio augurio e il mio incitamento.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9111
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« Risposta #19 inserito:: Marzo 14, 2013, 03:51:17 pm »

Napolitano: non ho offerto nessuno scudo

di GIORGIO NAPOLITANO

Gentile Direttore,
nell'articolo "Un premio ai sediziosi", Massimo Giannini ha dato una versione arbitraria e falsa dell'incontro con una delegazione del Pdl da me tenuto in Quirinale martedì mattina. E' falso che mi siano stati chiesti "provvedimenti punitivi contro la magistratura": nessuna richiesta di impropri interventi nei confronti del potere giudiziario mi è stata rivolta, come era stato subito ben chiarito nel comunicato diramato alle ore 13.00 dalla Presidenza della Repubblica. Comunicato che Giannini ha ritenuto di poter di fatto scorrettamente smentire sulla base di non si sa quale ascolto o resoconto surrettizio. Né la delegazione del Pdl mi ha "annunciato" o prospettato alcun "Aventino della destra". L'incontro mi era stato richiesto dall'on. Alfano la domenica sera nell'annunciarmi l'annullamento della manifestazione al Palazzo di Giustizia di Milano (poi svoltasi la mattina seguente senza preavviso, da me valutata "senza precedenti" per la sua gravità).
L'incontro in Quirinale con i rappresentanti della coalizione cui è andato il favore del 29 per cento degli elettori, era stato confermato dopo mie vibrate reazioni - di cui, del resto, il suo giornale aveva ieri dato conto - espresse direttamente ai principali esponenti del Pdl per la loro presa di posizione.

Quel rammarico, ovvero deplorazione, è stato da me rinnovato, insieme con un richiamo severo a principi, regole e interessi generali del paese che, solo con tendenziosità tale da fare il giuoco di quanti egli intende colpire, Giannini ha potuto presentare come "riconoscimento al Cavaliere di un legittimo impedimento automatico, o di un 'lodo Alfanò provvisorio". Nell'incontro di ieri sera (martedì sera-ndr) con il Comitato di Presidenza del Csm - incontro da me promosso, in segno del mio costante rispetto verso la magistratura e il suo organo di autogoverno (e semplicemente omesso nell'articolo di Giannini) - è risultato ben chiaro che nessuno "scudo" è stato offerto a chi è imputato in procedimenti penali da cui non può sentirsi "esonerato in virtù dell'investitura popolare ricevuta".

Mi auguro che da parte di Giannini, anziché deplorare aggressivamente il Capo dello Stato per non avere manifestato lo "sdegno" e la "forza" che il bravo giornalista avrebbe potuto suggerirgli, ci siano in ogni occasione rigore e zelo nei confronti di tutti i sediziosi, dovunque collocati e comunque manifestatisi.
Cordialmente.

(14 marzo 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/03/14/news/lettera_napolitano-54521583/?ref=HRER3-1
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« Risposta #20 inserito:: Marzo 30, 2013, 11:17:13 pm »

L'intervento integrale di Napolitano

«Gli incontri svoltisi in Quirinale nella giornata di ieri con i rappresentanti delle forze politiche presenti in Parlamento mi hanno permesso di accertare la persistenza di posizioni nettamente diverse rispetto alle possibili soluzioni da dare al problema della formazione del nuovo governo. Ciò è d'altronde risultato chiaro pubblicamente attraverso le dichiarazioni rese al termine da ciascun gruppo. Ritengo di dover ancora una volta sottolineare l'esigenza che da parte di tutti i soggetti politici si esprima piena consapevolezza della gravità e urgenza dei problemi del paese e quindi un accentuato senso di responsabilità al fine di rendere possibile la costituzione di un valido governo in tempi che non si prolunghino insostenibilmente, essendo ormai trascorso un mese dalle elezioni del nuovo Parlamento».

«Non può sfuggire agli italiani e all'opinione internazionale che un elemento di concreta certezza nell'attuale situazione del nostro paese è rappresentato dalla operatività del governo tuttora in carica, benchè dimissionario e peraltro non sfiduciato dal Parlamento : esso ha annunciato e sta per adottare provvedimenti urgenti per l'economia, d'intesa con le istituzioni europee e con l'essenziale contributo del nuovo Parlamento attraverso i lavori della Commissione speciale presieduta dall'on. Giorgetti».

«Nella prospettiva ormai ravvicinata dell'elezione del nuovo Capo dello Stato - che mi auguro veda un'ampia intesa tra le forze politiche - sono giunto alla conclusione che, pur essendo ormai assai limitate le mie possibilità di ulteriore iniziativa sul tema della formazione del governo, posso fino all'ultimo giorno concorrere almeno a creare condizioni più favorevoli allo scopo di sbloccare una situazione politica irrigidita tra posizioni inconciliabili. Mi accingo a chiedere a due gruppi ristretti di personalità tra loro diverse per collocazione e per competenze di formulare - su essenziali temi di carattere istituzionale e di carattere economico-sociale ed europeo - precise proposte programmatiche che possano divenire in varie forme oggetto di condivisione da parte delle forze politiche. Ciò potrà costituire comunque materiale utile : voglio dire anche per i compiti che spetteranno al nuovo Presidente della Repubblica nella pienezza dei suoi poteri».

«Continuo dunque a esercitare fino all'ultimo giorno il mio mandato, come il senso dell'interesse nazionale mi suggerisce : non nascondendo al paese le difficoltà che sto ancora incontrando e ribadendo operosamente la mia fiducia nella possibilità di responsabile superamento del momento cruciale che l'Italia attraversa»

30 marzo 2013 | 14:30

da - http://www.corriere.it/politica/13_marzo_30/napolitano-esperti-testo-integrale_f75ff94e-993d-11e2-be8a-88dcfd04ece6.shtml
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« Risposta #21 inserito:: Aprile 18, 2013, 06:11:36 pm »

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Napolitano dixit, le parole di un settennato: tutti i moniti di Re Giorgio

Da Botteghe oscure al Colle, dal comunismo alla Nato. Berlusconi, la giustizia, i diritti civili, la magistratura, le missioni di pace, le grazie.

Ecco tutti i temi dell'ultimo presidente della Repubblica attraverso le sue esternazioni

di Thomas Mackinson | 18 aprile 2013


Per tutti è stato un presidente politico. Anzi, il più politico. Per molti resterà l’uomo della Provvidenza, il Capo dello Stato che, con imparzialità e coraggio, ha retto le sorti della Repubblica nel generale discredito delle istituzioni e della politica. Per i critici, invece, è andato oltre i limiti e le prerogative del suo ruolo. E lo ha fatto per garantire gli interessi della partitocrazia. Nella confusione delle celebrazioni e delle (poche) polemiche, una voce più autorevole di altre può raccontare la biografia politica di Giorgio Napolitano senza inzupparla nella retorica: la sua. Seguendola, fatalmente, si finisce per trovare anche le macerie che lascia sul Colle: le leggi ad personam firmate sebbene fossero palesemente incostituzionali e poi bocciate dalla Consulta, le missioni internazionali di pace armata, figuracce planetarie alla Marò, il rapporto ad alta tensione con la magistratura, le ceneri della tecnocrazia fallita del rigore che ha appeso l’Italia al chiodo del direttorio europeo, i moniti rimasti sempre inascoltati. Sul finire, il mezzo incarico a Bersani e l’alchimia istituzionale dei “saggi a termine”: 10 personalità tra cui spiccano quattro garanti dei partiti e dinosauri dell’italica burocrazia nominati perché in quota. Non un outsider della politica, non un under 40 e neppure una donna. Sono stati loro l’ultima scialuppa per traghettare Pd e Pdl verso un accordo e il suo stesso artefice alla scadenza naturale dell’incarico. Non prima, però, d’aver dato chiare indicazioni ai sudditi sul suo successore, un’altra figura di garanzia che possa traghettare il Paese verso la Terza Repubblica con un nuovo, storico, compromesso tra partiti. Re Giorgio, titolò il New York Times. Ecco moniti e proclami che hanno scandito il suo regale settennato, dall’esordio all’ultimo giorno.

2006-2008 – Da Botteghe Oscure al Colle. Napolitano e le convergenze a destra
Lo aveva chiarito subito, “sarò super partes”. Che per Giorgio Napolitano, primo capo dello Stato ex Pci eletto coi voti della sola Unione, significa “operare all’insegna delle più ampie convergenze” (discorso d’insediamento del 10/5/2006). Dieci giorni dopo, nella sua Napoli, è ancora più esplicito con un invito al futuro governo a “non distruggere gli atti di quello precedente” e “avviare un dialogo col centro destra sulla giustizia”. Si spinge oltre: il mondo politico si scontra da settimane sulle intercettazioni della Procura di Potenza, Napolitano è sul Colle da due settimane e si dichiara “non contrario a un decreto” (20/6/2006) auspicando un “Intervento equilibrato del governo per tutelare diritto all’informazione e tutela della privacy”. La polemica corre sul filo anche per la vicenda delle intercettazioni illegali Telecom. Napolitano firma senza batter ciglio (“Non ho nulla da dire”, 15/9/2006) il decreto Mastella che ne dispone la distruzione. La Consulta, tre anni più tardi, dichiara parzialmente illegittima la formulazione che era stata approvata con voto bipartisan e firma del Capo dello Stato. La vicenda intercettazioni, come si sa, lo avrebbe investito personalmente qualche anno dopo.

Nei due anni di coabitazione con il governo di centro sinistra Napolitano è impegnato a dimostrare in tutti i modi la sua imparzialità, assumendo prese di posizione che finiscono per lacerare la risicata maggioranza di Romano Prodi. Uno dei temi spinosi è l’immigrazione. Napolitano assume posizioni incompatibili con l’ala radicale della sinistra. Una distanza che era già stata suggellata dalla legge Turco-Napolitano che ha istituito i Cpt, strutture bocciate anche in sede europea per violazione dei diritti umani, che Napolitano continuerà a difendere (“Non sono dei lager”). Così non è difficile scovare esternazioni che provocano il maldipancia a sinistra e incassano il plauso a destra: “Chi viene in Italia riconosca le nostre regole” (5 sett. 2006). Anche su temi etici e diritti civili Napolitano darà del filo da torcere alla maggioranza che lo ha eletto. Nei dibattiti più delicati il capo dello Stato si erge a garante delle posizioni della Chiesa e del centro destra. Sul testamento biologico, ad esempio, richiama la maggioranza a “scelte non partigiane su etica e famiglia” (20/11/2006), “Trovare regole condivise con la Chiesa” (24/11/2006).

Quando la maggioranza cambia e Berlusconi diventa premier esplode forse uno dei casi di coscienza più drammatici e dibattuti anche in sede politica, quello di Eluana Englaro. C’è un’Italia mossa a pietà umana che sta con il padre e chiede che i riflettori e le macchine per l’alimentazione forzata si spengano e un’altra che si accanisce per tenerli accesi. Napolitano in quella occasione farà muro alla smania del centro destra di cavalcare il caso facendo sapere però per tempo, con una lettera al governo, che non firmerà un decreto ai suoi occhi palesemente incostituzionale. Ma darà così tempo all’esecutivo di riorganizzarsi presentando notte-tempo un disegno di legge identico al decreto. Napolitano la sera stessa ne autorizza la presentazione alle Camere.

Tra i momenti qualificanti di questa stagione anche l’indulto di Mastella. Napolitano non si stancherà mai di denunciare il sovraffollamento delle carceri e le deprivazioni che comporta. Il ministro di Ceppaloni, sensibile al tema, predispone un provvedimento generoso. Votato da tutti (tranne che da Idv, Lega e Pdci), il provvedimento liberò 30mila carcerati ed evitò che altrettanti finissero dentro, costringendo i magistrati a fare indagini e processi costosissimi per erogare pene meramente virtuali. Salvo poi scoprire sei mesi dopo che le carceri erano più piene di prima. Ma c’è un altro fronte su cui Giorgio Napolitano scarica il peso della propria biografia politica e personale sulla coalizione che lo ha eletto. Il fronte di guerra.

L’elmetto presidenziale porta l’Italia in guerra
Venticinque missioni, 6.500 militari schierati nelle aree del conflitto e della tensione internazionale. C’è anche questa eredità per il nuovo inquilino del Colle. Durante il suo mandato Napolitano esercita un’influenza enorme sulla politica estera dell’Italia, spingendola – suo malgrado – in prima fila fra le missioni di “pace armata”, compresi Iraq, Afghanistan, Libia e Libano. Un interventismo che deriva anche da una biografia politica e personale che vede Napolitano evolvere dalla stretta osservanza del blocco comunista (che lo portò ad applaudire all’intervento sovietico in Ungheria) fino al socialismo europeo. In anni recenti sono emersi i tentativi di Napolitano di accreditarsi presso gli Usa. Più volte i suoi visti saranno rifiutati, in occasione della visita di Ted Kennedy a Roma (1976) l’incontro venne accuratamente evitato. Finalmente nel 1978, complice un aiuto di Giulio Andreotti, Napolitano corona il sogno di essere il primo dirigente del Pci a mettere piede negli Usa. Da questa evoluzione politica e personale discendono le posizioni assunte dal capo dello Stato nel contesto internazionale che vede l’Italia, spesso suo malgrado, impegnata nelle zone di conflitto sotto le insegne dell’Onu e della Nato. Con non pochi contraccolpi interni. Già dieci anni fa, da alto dirigente dei Ds, zittì la sinistra che protestava contro la guerra in Iraq (“No alla guerra è pura propaganda, reagire all’antiamericanismo”, 2003).

Una volta eletto esercita la sua influenza, quasi un uomo d’ordine degli Usa nel blocco occidentale (lo confermerà anni dopo un cablo di Wikileaks alla vigilia del G8 dell’Aquila tra l’ambasciata a Roma e l’amministrazione Obama “Ambasciatore, Napolitano punto di riferimento per Usa”). Non si contano i moniti ad approvare e finanziare le missioni nei teatri del conflitto (“Chi sfida l’Onu desista”, “No a ritiri unilaterali”). Anche i tributi di sangue non gli fanno cambiare idea. Quando sei militari muoiono a Kabul (17/9/2009) dichiara il lutto nazionale, ma il giorno dopo chiude la porta ad ogni ipotesi di ritiro che si leva a sinistra (“Nulla da rivedere in missione”, 18/9/2009). E quando l’ala pacifista della sinistra decide di manifestare contro la missione, Napolitano congeda l’iniziativa in modo sprezzante: “Una becera e indegna manifestazione che non conta” (28/9/2009). Sulla Libia è Bossi a rivelare “Berlusconi non voleva la guerra, Napolitano sì” (Monza, 29/7/2011). Deve aver cambiato idea il capo dello Stato. Nei due anni prima aveva accolto più volte il leader libico col picchetto d’onore (“Gheddafi, utile conoscere la sua visione”, 6/10/2009). Qualcuno, poi, lo convince che non si possa starne fuori (“Libia, non possiamo sottrarci”, 21/3/2011). E si dichiara stupito, poi, quando la Germania si sottrae (“Non capisco scelta della Merkel”, 30/3/2011). Altra patata bollente il caso dei due Marò, accusati dell’omicidio di due pescatori, ricevuti in pompa magna al Quirinale come eroi nazionali (“Ingiustamente trattenuti”, 8/6/2012) e rispediti in India dopo una pazza gestione, culminata con le dimissioni del titolare della Farnesina. Il settennato a stelle e strisce si chiude con l’inchino della grazia al colonnello Joseph Romano, condannato a 7 anni per il rapimento di Abu Omar.

2008-2011 – Re Giorgio alla corte del Cavaliere
“Bisogna garantire al Cavaliere la partecipazione politica”, così l’Ansa sintetizza nel titolo il senso del Quirinale per Silvio Berlusconi. L’ultimo favore, forse, è stato fare spallucce sulla questione dell’ineleggibilità, in barba alla legge (Sturzo, 1957) e alle 200mila firme raccolte da Micromega. Col centrodestra al governo Napolitano si impegna al massimo per dimostrare di aver rotto i ponti col passato comunista e concede a Silvio Berlusconi quanto neppure un cattolico di centrodestra come Scalfaro gli aveva mai dato. Restano le leggi vergogna, il legittimo impedimento e i tanti interventi per tenere in sella un Cavaliere ormai disarcionato che la parte più intransigente dell’opinione pubblica antiberlusconiana non gli perdona. Emblematiche alcune risposte date fuori dall’etichetta, a bordo strada, a chi non capiva tanta accondiscendenza. “Non firmare? Non significa nulla, me lo ripresentano” (3/10/2009) risponde a chi lo supplica di non promulgare lo scudo fiscale di Tremonti che garantisce anonimato e di conseguenza impunibilità a mafiosi ed evasori. “Stop a processo breve? Faccio quello che posso”, risponde a una madre di una delle 32 vittime della strage di Viareggio del 2009. Si ricordano anche la finanziaria che raddoppia l’Iva a Sky, i pacchetti sicurezza Maroni con norme xenofobe, il decreto salve-liste del Pdl con tanto di viatico per Berlusconi: “Non era sostenibile l’esclusione del Pdl” (6/3/2010). Un mese dopo promulga il legittimo impedimento (legge 51 del 7/4/2010) che consente al solo presidente del Consiglio e ai suoi ministri di non comparire in aula per 18 mesi e far slittare i processi a carico verso la prescrizione. Napolitano firma nonostante fosse palesemente incostituzionale, come aveva già sancito la Consulta con due sentenze (nel 2001 sugli impedimenti accampati da Cesare Previti, nel 2008 bocciando il lodo Alfano). E sostiene davanti alle persone per bene che “non poteva fare altrimenti”.

Eppure per altri provvedimenti, non incostituzionali ma che semplicemente non condivide, Napolitano si rifiuta di firmare: è successo con il ddl sul welfare che estende l’arbitrato ai rapporti di lavoro. L’impedimento non solo è legittimato da Napolitano ma è anche accompagnato da un monito a distanza di 20 giorni che toglie ogni dubbio sulla propensione a mettere sullo stesso piano politici aggressori e pm aggrediti: l’invito per i magistrati è a “non cedere a esposizioni dei media” e “fare autocritica” (27/4/2010). Ma saranno proprio dei giudici, quelli della Corte Costituzionale, a decretare la breve vita del provvedimento dichiarandone illegittima una parte (l’altra sarà cancellata dai cittadini con il referendum del giugno successivo).

Le concessioni a Berlusconi vanno oltre gli atti formali. Poco o per nulla incline a stigmatizzare concentrazione di potere e pretese di impunità del re del conflitto di interessi, Napolitano si cimenta al contrario in inaspettati salvataggi del Cavaliere proprio mentre sta finendo disarcionato. Clamoroso quello del novembre 2010, quando la pattuglia di Fini sfoltisce le file della maggioranza. Il capo dello Stato si adopera direttamente per evitare la chiusura anticipata della legislatura (“Cercherò di evitare lo scioglimento della camere”, 23/12/2010) e consente a Berlusconi di reclutare i deputati che gli servono (“Da Berlusconi ipotesi di rafforzamento governo”,  16/3/2011). Due anni il rafforzamento del Cavaliere è materia per i magistrati. Anche quando il governo viene bocciato sul rendiconto generale dello Stato Napolitano si precipita a chiarire che “Non c’è obbligo giuridico di dimissioni” (14/10/2011). Quando poi è lo spread a chiedere di staccare la spina, Napolitano dal Colle si mobilita (“Mio dovere intervenire per evitare ora le urne”,  31/12/2011). E evita a Berlusconi un voto che lo avrebbe seppellito definitivamente, rendendo possibile quello che solo un anno prima non lo era, lo scivolo dei tecnici. Nel 2010 Napolitano lo aveva escluso tassativamente (“Non esistono governi tecnici”, 14/12/2010). Un anno dopo cambia idea e dal cilindro presidenziale tira fuori Monti, previa nomina a senatore a vita.

2011-2013 – Il montismo e l’ipoteca sul successore
I partiti affondano negli scandali, inizia la dittatura dello spread che accredita l’emergenza dei conti e il rischio Grecia (“Non possiamo giocare con fallimento”, 15/11/2011). Il governo è ormai murato sullo sfondo, Berlusconi è screditato anche aldilà delle Alpi. Napolitano allora prende in mano il pallino e si accredita personalmente presso il direttorio europeo come garante della stabilità e dei conti. La ricreazione è finita, l’Italia rischia di mandare in tilt la zona Euro. L’ex dirigente comunista è al centro della scena politica mondiale, l’uomo della Provvidenza (Re Giorgio, titola il New York Times). Forte dell’acquiescenza dei partiti, del pressing dei mercati e delle direttive dell’Europa decide di lanciarsi nell’alchimia istituzionale di un governo tecnico. L’unica che consente di non staccare la spina a Berlusconi (che intanto si ricarica per successive imprese) ed evitare il voto a Bersani. Lo spiegherà lo stesso Napolitano di lì a poco (“Non c’era spazio per crisi parlamentare”,   22/12/2012). Dal cilindro presidenziale – con il consenso della parte prevalente della stampa – esce dunque il governo Monti che in 15 mesi porta il Paese dove è oggi, dopo averlo appeso al chiodo della Bce e del Fondo Monetario. Le parole d’ordine sono tagli e rigore, pareggio in bilancio nella Costituzione, fiscal compact e programmi decennali di contenimento del debito sovrano. Ma la cura non sembra funzionare: il debito pubblico aumenta, il contenimento della spesa alimenta la crisi e la disoccupazione, gli stessi impegni assunti con l’Europa si rivelano condizione per l’impoverimento degli italiani. Il tutto per effetto di decisioni di un governo che non è espressione della volontà popolare. Napolitano capisce come cambia il vento e lancia precisi (e inascoltati) moniti: “No tagli alla cieca, impatto su crescita”(31/1/2012), “Spending review ma no tagli indiscriminati” (1/5/2012).

Dietro al duo Monti-Fornero si accumulano però macerie del rigore cui Napolitano – dalla sua posizione di demiurgo e tutore del governo – poco può concedere (“Esodati, tema da chiarire”, 1/5/2012). Mentre i tecnici si fanno sempre più impopolari anche lo spread (il differenziale tra i tassi, termometro della febbre italiana) smentisce la bontà della scelta tecnica. Napolitano lo registra, malcelando un imbarazzo crescente (“Spread inspiegabile, con Monti fiducia cresce”, 5/9/2012). Impossibile per lui fare retromarcia (“Crisi, Italia farà sua parte”, 8/9/2012) e ammettere il fallimento (“Nessuna contraddizione tra austerità e crescita”). Alla fine è Berlusconi a staccare la spina mentre il capo del governo in provetta è folgorato da proprie ambizioni che al Colle causano più di un imbarazzo.

Le urne sanciscono lo stallo e l’irruzione sulla scena politica nazionale del M5S che Napolitano ha ignorato (“Boom? Ricordo solo quello degli anni Settanta”, 8/5/2012) e poi relegato tra le forze eversive e demagogiche (ancora pochi giorni fa, nel riferimento – senza nomi e cognomi ma univocamente interpretato – ai “Moralizzatori fanatici e distruttivi”). Del resto Napolitano non ha mai amato le battaglie dell’antipolitica contro la casta. E infatti i suoi moniti saranno per chi la denuncia, non contro chi la alimenta (“attenti a imprecare contro la casta, dietro c’è il buio di regimi totalitari”, Palermo 8/9/2011). E lo stesso metro ha usato in casa. Il Quirinale, al di là di pochi tagli che sono stati poi riduzioni di personale comandato da altre amministrazioni, è continuato a costare 624mila euro al giorno, 23mila l’ora (in un anno 240 milioni di euro, la Casa Bianca ne costa 136,5, l’Eliseo 112,5 e Buckingham Palace 57). Impossibile fare di più, così Napolitano decide di dare un segnale di persona: il 7 luglio dell’anno scorso una nota del Colle informa della sua rinuncia all’aumento di stipendio su base Istat. Si scoprirà poi che il risparmio era di 68 euro al mese, una rinuncia dal forte valore simbolico.

Sono gli ultimi flash di una presidenza della Repubblica che sembra una monarchia e si chiude invece nel segno dell’impotenza, con un incarico a Bersani fallito (ma non revocato), e l’espediente dei “saggi” a termine, scialuppa per traghettare Pd e Pdl verso un accordo e il suo stesso artefice alla scandenza naturale dell’incarico. Una polemica, tra le altre, ha investito le figure scelte da Napolitano per prender tempo: il numero di donne pari a zero. Quando è stato fatto notare il presidente non ha battuto ciglio, polemica stucchevole. E chi la persegue è in malafede. Proprio un anno fa, del resto, lo stesso Napolitano aveva lamentato davanti ai ragazzi delle scuole di Firenze che “a vedere le percentuali di donne elette in Parlamento in Italia cadono le braccia” (12/5/2011). Quelle tra i saggi sono ancora meno, zero. Il settennato si chiude e Napolitano esce di scena. Non prima d’aver dato ai partiti chiare indicazioni sul suo successore, un presidente che continui il lavoro di tutore dei partiti all’insegna del compromesso, in attesa che il vento dell’ “antipolitica” smetta di soffiare così forte. Re Giorgio, fino alla fine.

Magistratura-Colle. Le entrate a gamba tesa
Un fulmine a ciel sereno, di più, uno schiaffo. Il capo dello Stato, che presiede anche l’organo di autogoverno della magistratura, che interferisce con le indagini sulla trattativa Stato-Mafia, il nodo cruciale di tutta la storia repubblicana. Quando la vicenda investe direttamente il Colle, Napolitano, almeno a parole, si tiene alla larga (per poi sollevare il conflitto di attribuzione con la Procura di Palermo). In realtà già quattro anni prima, nel dicembre 2008, ci fu un suo intervento a gamba tesa con la richiesta alla Procura di Salerno di acquisire gli atti delle indagini che Luigi De Magistris conduceva sul numero due del Csm, Nicola Mancino. Due settimane dopo, quando la polemica esplode sui giornali, Napolitano sceglie la cerimonia di scambio d’auguri con le più alte cariche dello Stato per invocare un guinzaglio ai pm scomodi: “Si pongono con urgenza problemi di equilibrio istituzionale nei rapporti tra politica e magistratura ed esigenze di misure di riforma volte a scongiurare eccessi di discrezionalità, rischi di arbitrio e conflitti interni alla magistratura nell’esercizio della funzione giudiziaria, a cominciare dalla funzione inquirente e requirente” (17/12/2008).

Ma a ben vedere sono innumerevoli i richiami, i moniti, le ruvide prese di posizione verso i magistrati impegnati nelle inchieste su potenti e politici, Berlusconi in primis. Ai tirocinanti ricevuti al Quirinale nel 2008 – presenti il ministro Alfano e il vice del Csm Mancino – Napolitano raccomanda di “non cedere al protagonismo dei media” (12/5/2008). Due mesi dopo nel pacchetto sicurezza di Pdl-Lega spunta un emendamento salva-processi cui manca solo il nome del beneficiario. Il Csm esprime forti perplessità ma ci penserà una lettera di Napolitano a rimettere in riga i consiglieri (“Giustizia, Csm non è giudice costituzionale”,  1/7/2008). E Alfano ringrazia Napolitano perché “riporta il Csm nell’alveo”. Venti giorni dopo un altro monito (“No a spettacolarizzazione dei processi”, 21/7/2008). Ancora due giorni e Napolitano promulga il cosiddetto Lodo Alfano, poi dichiarato incostituzionale. Cinque giorni dopo la firma rincara la dose, offrendo stavolta una sponda al centrodestra sulle intercettazioni (“No all’uso voyeristico”, 28/7/2008). E via con “l’altamente dannoso protagonismo dei pm” e successivi richiami perché “la Magistratura si attenga alle sue funzioni” (27/8/2009).

Quando si tratta però di difendere i magistrati dalla accuse di Berlusconi, Napolitano non inverte il canone, ma continua a richiamare loro. Sul tavolo del Csm a un certo punto si materializzano quattro pratiche che riguardano gli attacchi del premier ad altrettanti magistrati impegnati nei suoi processi.  Napolitano manda una lettera, non per esprimere loro solidarietà ma per invitare l’assemblea a “discutere in modo equilibrato (…) e di fare un uso responsabile e prudente dell’istituto delle pratiche a tutela dei magistrati (…) il cui uso si giustifica solo quando è indispensabile garantire la credibilità dell’istituzione giudiziaria nel suo complesso da attacchi cosi denigratori da mettere in dubbio l’imparziale esercizio della funzione giudiziaria e da far ritenere la sua soggezione a gravi condizionamenti” (Lettera Csm, 9/10/2009). A fronte di tanti moniti pesano infine tanti atti mancati, silenzi ingombranti. Uno per tutti, la condanna a metà dell’irruzione del Pdl al Tribunale di Milano. Restano invece quelle grazie concesse al di là delle prerogative del Capo dello Stato.

Quella grazia che sfida senso comune e costituzione
Signori si grazia. Per 21 volte Giorgio Napolitano ha fatto ricorso ai propri poteri per concedere altrettanti provvedimenti di clemenza individuale. Non tanti, a dire il vero, i predecessori furono più “generosi” (Scalfaro 339, Ciampi 114). Ma più che i numeri a far discutere sono stati i soggetti beneficiari di una indulgenza che segue esattamente i binari sui quali Napolitano fa scorrere buona parte del suo settennato: quello a destra e quello che corre verso l’Atlantico. Il primo caso che ha fatto discutere ruota intorno al direttore de Il Giornale, quotidiano della famiglia Berlusconi, Alessandro Sallusti. Non di grazia si tratta ma di commutazione della pena, si è subito precisato. Ma il risultato è lo stesso: il capo dello Stato di fatto annulla la sentenza di condanna, definitiva, emessa da un giudice a 14 mesi di reclusione per il reato di diffamazione. Solo un disturbo il fatto che nel giorno della grazia la procura di Milano avesse dato parere contrario alla medesima richiesta avanzata da Ignazio La Russa insieme a 328 parlamentari (primo firmatario il segretario del Pdl Angelino Alfano). Sallusti potrà tornare in libertà versando una penale di 15.532 euro. Altrettanto clamorosa la grazia concessa da Napolitano al colonnello Usa Joseph Romano (condannato nel settembre scorso dalla Cassazione a 7 anni per il sequestro Abu Omar).

In occasione di quest’ultimo provvedimento è emersa una questione rimasta a lungo defilata, ovvero se gli atti di clemenza del Capo dello Stato siano conformi alla Costituzione oppure no e quali limiti e prerogative debbano seguire. Risalendo nelle cronache politiche il tema era divenuto oggetto di scontro proprio qualche settimana prima che Napolitano ereditasse il Quirinale da Ciampi. Un anno prima del passaggio di testimone, l’ex capo dello Stato aveva inoltrato al guardasigilli Roberto Castelli la pratica per la grazia a Ovidio Bompressi, ex di Lotta continua condannato a 22 anni con Adriano Sofri per l’omicidio Calabresi. Di fronte al rifiuto di Castelli Ciampi sollevò il conflitto di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale per dirimere un punto controverso: a chi spetta il potere di grazia? Quando e come deve essere esercitato? A rispondere fu una sentenza del 3 maggio 2006 che chiarisce come la grazia presidenziale sia attribuibile per motivi “umanitari” ed “eccezionali” essendo una deroga di fatto al principio di uguaglianza. Chiarisce anche che la scelta non può in nessun modo essere “politica” e precisa infine che debba avvenire a debita distanza di tempo dalla sentenza perché non suoni come una sconfessione del lavoro dei giudici. Ecco, nei casi di Sallusti e di Joseph Romano, la clemenza di Napolitano sembra discostarsi da quei paletti e infrangerli. Ma nella grazia, a volte, quello che conta è chi ringrazia.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/04/18/napolitano-parole-di-settennato-tutti-moniti-di-re-giorgio/565725/
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« Risposta #22 inserito:: Giugno 11, 2013, 11:34:31 am »

Napolitano: "Basta bandiere ora serve fare le riforme"

A Repubblica delle Idee il colloquio del Capo dello Stato con Eugenio Scalfari. "Volevo lasciare, rielezione accettata per senso delle istituzioni".
"Perché aderii al Pci nel dopoguerra, perché Togliatti non si staccò mai dall'Urss".

"Sull'Ungheria ho avuto torto". "Ora non possiamo non dirci liberali"  

a cura di LUCA FRAIOLI


FIRENZE - Standing ovation nel Salone dei Cinquecento, al momento dell'ingresso di Eugenio Scalfari sul palco della Repubblica delle Idee. Il fondatore, e per vent'anni direttore del quotidiano, ha mostrato per la prima volta a Firenze una videointervista a Giorgio Napolitano, realizzata al Quirinale pochi giorni dopo la rielezione. "I vecchi si applaudono", scherza Scalfari. "Non tutti, però", gli fa osservare Claudio Tito, capo del settore politico di Repubblica. "Questi sono applausi meritati".

Parte con una rivelazione il racconto della genesi di questa intervista. "Andai a proporre a Napolitano di essere nostro ospite a Firenze", spiega Scalfari. "Nessuno dei due allora immaginava che lui sarebbe stato di nuovo eletto presidente della Repubblica, poi lo scenario è cambiato ma l'impegno preso è stato mantenuto, seppure a condizione che nell'intervista non si affrontassero temi di stretta attualità. In quella occasione ero anche latore di un messaggio che mi era stato affidato da due alte personalità del Pd, convinte che nessuno potesse prendere il posto di Napolitano e decise a chiedergli di accettare un secondo mandato". I due nomi adesso Scalfari li svela: "Erano Enrico Letta e Walter Veltroni".

...

Come reagì Napolitano alla richiesta? "Mi spiegò le ragioni per cui non riteneva assolutamente di ripresentarsi, anche se la Costituzione non lo vieta. Mi disse che la prassi era favorevole al cambiamento e che sette anni sono un periodo molto lungo, quasi quanto il doppio mandato dei presidenti americani".

Su questo punto Napolitano torna nella parte finale della videointervista, quando racconta perché ha accettato la rielezione. "Abbiamo avuto un momento terribile d' incertezza sulla possibilità di dare un governo all'Italia", dcie il presidente. "E abbiamo assistito a qualcosa a cui non avevamo mai assistito. Io ho vissuto tante elezioni, ricordo i 16 scrutini per Pertini e i 23 per Leone ma mai si era avuto il senso dell'impotenza parlamentare e istituzionale. E allora ho detto di sì, per senso delle istituzioni e perché effettivamente ho ritenuto che si trattasse di salvaguardare la continuità istituzionale. Il che non significa conservare l'esistente", mette in chiaro, "ma trovare un'intesa sul terreno delle regole e delle riforme. A 40 giorni dalla nascita del governo", aggiunge Napolitano, "sento balenare la preoccupazione che questa alleanza possa durare troppo o addirittura per l'eternità e resto stupefatto. E' chiaro che a un certo punto ciascuno riprenderà la sua strada ma le riforme vanno fatte, a cominciare da quella elettorale.

...

"Se ognuno adesso sventola la sua bandiera - continua il presidente - io non sono intenzionato a rivivere l'incubo di quei mesi durante i quali nella commissione Affari costituzionali del Senato si è pestata l'acqua nel mortaio e non si è stati capaci di partorire nessuna riforma elettorale avendo tutti i partiti giurato che bisognava farla".

Scalfari ha fatto partire l'intervista a Napolitano dalla riflessione di una frase da lui pronunciata nel 1995, ad un convegno del Gabinetto Vieusseux, "Perché non possiamo non dirci liberali", in cui parafrasava Benedetto Croce. Da lì parte un lungo racconto in cui il presidente della Repubblica ripercorre la sua intera attività politica, dai tempi delle frequentazioni del Guf all'università di Napoli fino alla sua attività di dirigente del Pci, parlamentare, presidente della Camera e Capo dello Stato. Due volte si commuove Napolitano durante il racconto, la prima ricordando la delusione di Di Vittorio dopo i fatti di Ungheria, la seconda pensando all'amico Enrico Berlinguer. E proprio sull'Ungheria il Capo dello Stato sottolinea: "Ho avuto torto".

Nel dialogo con Tito, Scalfari affronta le questioni della politica di oggi e della durata del consenso che Berlusconi riscuote ancora in una parte dell'elettorato. "In Europa non esiste un venditore del calibro e della capacità di Berlusconi", dice Scalfari. "Aveva detto agli italiani nella tv di Vespa che se non avesse realizzato in pieno i suoi cinque impegni non si sarebbe più ripresentato. Ha preso in giro milioni di persone eppure continuano a votarlo. Questo è un paese singolare, che per una buona parte non ha mai creduto nello Stato, c'è chi non vuole regole e preferisce fare da sé imbrogliando".

Ribadisce anche quale sia l'atteggiamento di Repubblica nei confronti della politica: "Siamo un giornale autoreferente, quando appoggiamo una forza politica è perché quella forza si sta accostando a noi e non viceversa". Scalfari difende la necessità del governo Letta: "Nella strana maggioranza di governo abbiamo un Pd accucciato, frustrato, diviso in correnti e un Pdl che obbedisce al suo proprietario, che talvolta si avvicina ad Alfano ma più spesso alla Santanché. Il tentativo di Letta è far sì che il governo si comporti indipendentemente dalla strana maggioranza, anche se a volte per farlo lascia qualche livido sull'uno o sull'altro dei suoi componenti. Le sentenze dei tribunali non riguardano Letta ma il privato cittadino Berlusconi", aggiunge. "Se poi lo sospendono dai pubblici uffici... mi dispiace", dice tra le risate del pubblico. "Dicono che la politica senza l'etica non può andare ma da Aristotele a Leopardi passando per Machiavelli e Guicciardini la politica è autonoma e ha una sua etica che non è quella delle dieci tavole di Mosè ma è un servizio da rendere al bene comune".

L'ultima domanda è sull'ipotesi del presidenzialismo. "Sono contrario", dice Scalfari senza esitazioni, "e questa è anche la linea del giornale.
Anche Napolitano l'anno scorso disse di non voler imboccare questa strada. Del resto è difficile che uno sopra le parti possa fare propaganda elettorale per se stesso. E poi col sistema attuale abbiamo eletto dei presidenti di primissimo ordine come Pertini, Scalfaro, Ciampi e lo stesso Napolitano. Perché cambiarlo?".

(09 giugno 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/06/09/news/napolitano_basta_bandiere_ora_serve_fare_le_riforme-60734456/
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« Risposta #23 inserito:: Febbraio 10, 2014, 05:03:30 pm »

Rivelazioni

Già nell’estate del 2011 Napolitano sondò Monti come premier
Berlusconi lasciò a novembre

La torrida estate del 2011 è un momento molto importante e storico per l’Italia.
Il capo dello Stato è preoccupato per le sorti del Paese. La crisi della zona euro è in pieno svolgimento. Le conseguenze del salvataggio della Grecia portano la speculazione a puntare sui debiti sovrani dei Paesi in difficoltà: inizia a essere minacciata anche l’Italia. In agosto arriverà la famosa lettera della Banca centrale europea che chiede - ma assomiglia più a un’imposizione – misure drastiche di finanza pubblica. La Germania della Merkel non ama il primo ministro in carica, Silvio Berlusconi. Lo spread tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi punta pericolosamente verso l’alto. Sui mercati finanziari le operazioni spregiudicate si moltiplicano.

Ma tra giugno e settembre di quella drammatica estate accadono molte cose che finora non sono state rivelate. E questo riguarda soprattutto le conversazioni tra il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e Mario Monti, che precedono di quattro o cinque mesi la nomina dell’allora presidente della Bocconi a Palazzo Chigi il 13 novembre 2011. Per il grande pubblico Monti è quasi uno sconosciuto all’epoca. L’élite politico-economica lo stima, è un economista, un editorialista del Corriere della Sera, un ex-commissario europeo, e in quel momento guida una delle più prestigiose università italiane.

Per gli annali della storia il presidente Napolitano accetta le dimissioni di Berlusconi il 12 novembre e avvia, come si conviene, le consultazioni con i gruppi parlamentari e politici. Poi, ventiquattro ore dopo, Monti viene indicato come premier al posto di Berlusconi.

Proprio mercoledì scorso, Napolitano, durante un incontro con gli eurodeputati italiani al Parlamento europeo di Strasburgo, e riferendosi ai governi Monti e Letta, ha detto che «sono stati presentati quasi come inventati per capriccio dalla persona del presidente della Repubblica». Questo, ha tenuto a precisare il presidente della Repubblica, non è vero perché non si tratta di nomi diversi da quelli indicati nel corso delle «consultazioni con tutti i gruppi politici e parlamentari, come si conviene». Stando alle parole di Carlo De Benedetti e Romano Prodi, entrambi amici di Monti, e per ammissione dello stesso ex premier, in una serie di video interviste rilasciate per il libro «Ammazziamo il Gattopardo» (in uscita per Rizzoli il 12 febbraio) le cose sono andate diversamente.

De Benedetti dice che in quell’estate del 2011 Monti, in vacanza vicino casa sua a St. Moritz, è andato a chiedergli un consiglio, se accettare o meno la proposta di Napolitano sulla sua disponibilità a sostituire Berlusconi a Palazzo Chigi, in caso fosse stato necessario. Romano Prodi ricorda una lunga conversazione con Monti sullo stesso tema, ben due mesi prima, a giugno 2011. «Il succo della mia posizione è stato molto semplice: “Mario, non puoi fare nulla per diventare presidente del Consiglio, ma se te lo offrono non puoi dire di no. Quindi non ci può essere al mondo una persona più felice di te”».

Durante oltre un’ora di domande e risposte sotto il calore insistente delle luci allestite nel suo ufficio alla Bocconi per la registrazione video dell’intervista, Monti conferma di aver parlato con Prodi (nel suo ufficio alla Bocconi a fine giugno 2011) e con De Benedetti (nella sua casa di St. Moritz nell’agosto 2011) della sua possibile nomina. Ammette anche di aver discusso con Napolitano un documento programmatico per il rilancio dell’economia, preparato per il capo dello Stato dall’allora banchiere Corrado Passera tra l’estate e l’autunno del 2011. E quando chiedo e insisto: <Con rispetto, e per la cronaca, lei non smentisce che, nel giugno-luglio 2011, il presidente della Repubblica le ha fatto capire o le ha chiesto esplicitamente di essere disponibile se fosse stato necessario?», Monti ascolta con la faccia dei momenti solenni, e, con un’espressione contrita, e con la rassegnazione di uno che capisce che è davanti a una domanda che non lascia scampo al non detto, risponde: «Sì, mi ha, mi ha dato segnali in quel senso». Parole che cambiano il segno di quell’estate che per l’Italia si stava facendo sempre più drammatica. E che probabilmente porteranno a riscrivere la storia recente del nostro Paese.

10 febbraio 2014
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Alan Friedman

Da - http://www.corriere.it/politica/speciali/2014/ammazziamo-il-gattopardo/notizie/gia-nell-estate-2011-napolitano-sondo-monti-come-premier-aef23796-91b0-11e3-a092-3731e90fe7ac.shtml
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« Risposta #24 inserito:: Febbraio 11, 2014, 05:29:43 pm »

LA LETTERA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

«Monti era una risorsa. Complotto? Solo fumo»
L’intervento del presidente Napolitano dopo le rivelazioni di Friedman sui contatti tra il Colle e Monti nell’estate del 2011


Gentile Direttore,
posso comprendere che l’idea di «riscrivere», o di contribuire a riscrivere, «la storia recente del nostro Paese» possa sedurre grandemente un brillante pubblicista come Alan Friedman. Ma mi sembra sia davvero troppo poco per potervi riuscire l’aver raccolto le confidenze di alcune personalità (Carlo De Benedetti, Romano Prodi) sui colloqui avuti dall’uno e dall’altro - nell’estate 2011 - con Mario Monti, ed egualmente l’avere intervistato, chiedendo conferma, lo stesso Monti.

Naturalmente non poteva abbandonarsi ad analoghe confidenze (anche se sollecitate dal signor Friedman), il Presidente della Repubblica, che «deve poter contare sulla riservatezza assoluta» delle sue attività formali ed egualmente di quelle informali, «contatti», «colloqui con le forze politiche» e «con altri soggetti, esponenti della società civile e delle istituzioni» (vedi la sentenza n.1 del 2013 della Corte Costituzionale).

Nessuna difficoltà, certo, a ricordare di aver ricevuto nel mio studio il professor Monti più volte nel corso del 2011, e non solo in estate: conoscendo da molti anni (già prima che nell’autunno 1994 egli fosse nominato Commissario europeo su designazione del governo Berlusconi), e apprezzando in particolare il suo impegno europeistico che seguii da vicino quando fui deputato al Parlamento di Strasburgo. Nel corso del così difficile - per l’Italia e per l’Europa - anno 2011, Monti era inoltre un prezioso punto di riferimento per le sue analisi e i suoi commenti di politica economico-finanziaria sulle colonne del Corriere della Sera. Egli appariva allora - e di certo non solo a me - una risorsa da tener presente e, se necessario, da acquisire al governo del paese.

Ma i veri fatti, i soli della storia reale del paese nel 2011, sono noti e incontrovertibili. Ed essi si riassumono in un sempre più evidente logoramento della maggioranza di governo uscita vincente dalle elezioni del 2008. Basti ricordare innanzitutto la rottura intervenuta tra il Pdl e il suo cofondatore, già leader di Alleanza Nazionale, il successivo distacco dal partito di maggioranza di numerosi parlamentari, il manifestarsi di dissensi e tensioni nel governo (tra il Presidente del Consiglio, il ministro dell’economia ed altri ministri), le dure sollecitazioni critiche delle autorità europee verso il governo Berlusconi che culminarono nell’agosto 2011 nella lettera inviata al governo dal Presidente della Banca Centrale Europea Trichet e dal governatore di Bankitalia Draghi.

L’8 novembre la Camera respinse il rendiconto generale dell’Amministrazione dello Stato, e la sera stessa il Presidente del Consiglio da me ricevuto al Quirinale convenne sulla necessità di rassegnare il suo mandato una volta approvata in Parlamento la legge di stabilità. Fu nelle consultazioni successive a quelle dimissioni annunciate che potei riscontrare una larga convergenza sul conferimento a Mario Monti - da me già nominato, senza alcuna obiezione, senatore a vita - dell’incarico di formare il nuovo governo. Mi scuso per aver assorbito spazio prezioso sul giornale da lei diretto per richiamare quel che tutti dovrebbero ricordare circa i fatti reali che costituiscono la sostanza della sotria di un anno tormentato, mentre le confidenze personali e l’interpretazione che si pretende di darne in termini di «complotto» sono fumo, soltanto fumo.

Con un cordiale saluto.
Giorgio Napolitano
10 febbraio 2014

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/politica/14_febbraio_10/monti-era-risorsa-complotto-solo-fumo-ae384d6a-9271-11e3-b1fa-414d85bd308d.shtml
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« Risposta #25 inserito:: Febbraio 11, 2014, 05:51:06 pm »

Monti sondato da Colle nel 2011, Fi tentata da impeachment.
Napolitano: "Solo fumo"

Dure reazioni alle anticipazioni di un libro di Alan Friedman, confermate dall'ex premier: "Sì, segnali da capo dello Stato già a giugno, ma dov'è l'anomalia?". Romani e Brunetta: "Siamo sgomenti". E Minzolini rincara: "Potremmo aderire all'iniziativa del M5S". Che oggi ha presentato al Comitato nuovi documenti e denuncia: "Vogliono insabbiare tutto". La difesa del Pd: "Sconcertante gazzarra"


ROMA - Forza Italia contro Napolitano dopo le anticipazioni del Corriere della sera sul libro scritto da Alan Friedman. Nel volume il giornalista americano ricostruisce le modalità con cui si arrivò all'avvicendamento a Palazzo Chigi, nel novembre del 2011, tra Silvio Berlusconi e Mario Monti: il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano avrebbe contattato il Professore già nel corso dell'estate. Circostanza confermata dallo stesso ex Commissario europeo in un'intervista al Tg1. "In quell'estate ho avuto dal presidente della Repubblica dei segnali: mi aveva fatto capire che che in caso di necessità dovevo essere disponibile. Ma è assurdo che venga considerato anomalo che un presidente della Repubblica si assicuri di capire se ci sia un'alternativa se si dovesse porre un problema", osserva Monti.

Ma il presidente della Repubblica replica: "Fumo, solo fumo", scrive in una lettera inviata al Corriere sulle rivelazioni riguardo all'estate 2011, negando che sia stato un "complotto" come accusa Forza Italia.

Le novità sulla crisi che portò alla fine del governo Berlusconi hanno spinto il senatore Augusto Minzolini a ventilare la possibilità di sostenere la richiesta di messa in stato d'accusa del capo dello Stato presentata nei giorni scorsi dal M5S. "Di fronte a queste nuove rivelazioni andrà valutata sempre con maggiore attenzione - non fosse altro come occasione per ricostruire quei mesi e gettare una luce di verità sulla Storia del nostro Paese -  la procedura di impeachment nei confronti del presidente Napolitano promossa da altri gruppi politici in Parlamento".

Letta difende Quirinale. A difesa del presidente interviene il premier Enrico Letta: "Nei confronti delle funzioni di garanzia che il Quirinale ha svolto nel nostro Paese in questi anni, in particolare nel 2011, è in atto un vergognoso tentativo di mistificazione della realtà", si legge in una nota del presidente del Consiglio. "Il Quirinale, di fronte a una situazione fuori controllo, si attivò con efficacia e tempestività per salvare il paese ed evitare - sottolinea Letta - quel baratro verso il quale lo stavano conducendo le scelte di coloro che in queste ore si scagliano contro il presidente Napolitano". Poi ha aggiunto: "Stupisce la contemporaneità di queste insinuazioni con il tentativo in corso da tempo da parte del M5s di delegittimare il ruolo di garanzia della presidenza della Repubblica. A questi attacchi si deve reagire con fermezza. E si devono semmai ricordare agli smemorati le vere responsabilità della crisi del 2011, i cui danni economici, finanziari e sociali sono ancora una zavorra che mette a repentaglio la possibilità di aggancio della auspicata ripresa economica", ha aggiunto.

M5s all'attacco. Rivelazioni, quelle pubblicate oggi, che il Movimento 5 Stelle interpreta come una conferma della validità della sua campagna contro il Quirinale. "Cosa altro dobbiamo scoprire perché si apra un'indagine? Dobbiamo forse aspettare ulteriori rivelazioni? Non bastano tutti questi dubbi per avallare la nostra richiesta di aprire un indagine?", afferma Vito Crimi, senatore M5S membro del Comitato parlamentare per i procedimenti di accusa che proprio questa mattina ha ricevuto nuove memorie esplicative e integrative rispetto alla denuncia iniziale.

"Tra ieri e oggi - spiega Luigi Di Maio, deputato 5 Stelle e vicepresidente della Camera - due rivelazioni a mezzo stampa sottolineano le ingerenze di Napolitano negli equilibri di governo (il tentativo di insediare monti a Palazzo Chigi gia a metà 2011) e nelle fasi processuali della trattativa stato-mafia (la richiesta di un provvedimento disciplinare nei confronti di Nino Di Matteo)". "I fatti - aggiunge Di Maio - sono gravissmi, ma il Comitato ha una fretta maledetta di insabbiare tutto entro domani. È Inaccettabile. Dalle notizie apprese oggi può dipendere il futuro del governo e di questa legislatura (se accertate). Il comitato avvii le indagini e lavori senza pregiudizi".

Forza Italia tentata da impeachment. Posizioni solo in parte condivise all'interno del Comitato da Forza Italia. Secondo il senatore Andrea Mandelli, le argomentazioni mosse dai 5 Stelle, quelle che hanno portato alla convocazione del Comitato parlamentare per la messa in stato d'accusa del Capo dello Stato, possono, tutto sommato, lasciare il tempo che trovano. Meglio, invece, sostiene "approfondire" le rivelazioni nelle anticipazioni del libro di Friedman.
 
Tra gli indignati anche i presidenti dei gruppi parlamentari di Fi, Renato Brunetta e Paolo Romani. "Apprendiamo con sgomento - denunciano - che il capo dello Stato, già nel giugno del 2011, si attivò per far cadere il governo Berlusconi e sostituirlo con Mario Monti. Lo conferma lo stesso Monti. Le testimonianze fornite da Alan Friedman non lasciano margine a interpretazioni diverse o minimaliste. Tutto questo non può non destare in noi e in ogni sincero democratico forti dubbi sul modo d'intendere l'altissima funzione di presidente della Repubblica da parte di Giorgio Napolitano".

"Ci domandiamo - proseguono - se sia rispettoso della Costituzione e del voto degli italiani preordinare un governo che stravolgeva il responso delle urne, quando la bufera dello spread doveva ancora abbattersi sul nostro Paese. Chiediamo al capo dello Stato - concludono - di condurre innanzitutto verso i propri comportamenti un'operazione verità. Non nascondiamo amarezza e sconcerto, mentre attendiamo urgenti chiarimenti e convincenti spiegazioni".

Il consueto "Mattinale", la nota politica redatta dallo staff del gruppo Forza Italia della Camera, conclude infine con una domanda: "Presidente Napolitano, osa ripetere ancora che sarebbe stata la consultazione di partiti ad aver fatto uscire il nome Monti? Chiediamo un'operazione verità dalla cattedra più alta". E il senatore e componente del comitato 'impeachment' Lucio Malan fa sapere che "se domani si dovesse arrivare al voto sulla manifesta infondatezza" della richiesta di messa in stato d'accusa del capo dello Stato "noi voteremo no. Questa - aggiunge - sarebbe una grave forzatura. Noi abbiamo chiesto più tempo perché sarebbe oltremodo sospetto chiudere tutto domani".

Pd con Napolitano. A prendere le difese del Quirinale è invece il Pd.  "Sconcertante l'ennesima gazzarra sollevata contro il Presidente Napolitano. Il 2011 è stato uno degli anni più difficili e la situazione economica e politica preoccupava giustamente la massima istituzione dello Stato", ricorda in una nota il capogruppo del Pd alla Camera, Roberto Speranza. "La verità che Forza Italia deve ricordare - sottolinea - è che Berlusconi e Tremonti hanno nascosto per anni la crisi portando il paese sull'orlo del baratro e ancora oggi gli italiani sono costretti a pagare gli errori di quel disastroso governo".

© Riproduzione riservata 10 febbraio 2014

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/02/10/news/reazioni_napolitano_monti-78180198/?ref=HREA-1
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« Risposta #26 inserito:: Aprile 13, 2014, 11:46:14 pm »

Napolitano intervistato da Fazio | TESTO INTEGRALE
13 aprile 2014

Fazio: Buonasera Presidente e grazie per l'onore di questo incontro. Dovrei porgere la prima domanda in modo diretto: a che cosa serve l'Europa?

Presidente: Mi permetta di ringraziarla innanzitutto per l'attenzione e per la trasferta : uno spazio in una trasmissione che ho sempre continuato a seguire è un piacere per me. A che cosa serve l'Europa? È importante dire innanzitutto a che cosa è servita perché talvolta si ha l'impressione che l'Europa per molti rappresenti soltanto la politica di austerità degli ultimi cinque anni. Ma l'Europa è nata sessant'anni fa ed è servita in primo luogo a garantire la pace nel cuore dell'Europa, una pace che era stata brutalmente strappata due volte nel corso del Novecento, e al centro del conflitto, dei due conflitti, c'era stata soprattutto la terribile contrapposizione tra Francia e Germania. Riconciliare Francia e Germania fu il primo capolavoro di coloro che progettarono l'Europa unita.

Fazio: ...e che è stato sintetizzato in qualche modo dall'abbraccio fra Lei e il Presidente Gauck a Sant'Anna di Stazzema.

Presidente: Quella è stata una cosa molto importante. C'era stato già qualche precedente, cioè quello del Presidente tedesco quando gli si è raccontato ciò che è accaduto a Sant'Anna di Stazzema e io gli feci avere la lettera di un superstite. Una cosa molto bella : un superstite della strage, un ragazzino di cinque anni che per miracolo si salvò - tutti i suoi rimasero vittime - e poi per ragioni di lavoro, per necessità, emigrò in Germania. E quando ebbe figli che dovevano scegliere la lingua lui gli fece scegliere il tedesco e scrisse questa lettera al Presidente Gauck - io gliela consegnai - che spiegava: perché a partire da quegli anni mi sono sentito europeo. E il Presidente tedesco è venuto a dire che, dal canto suo, non dimentica quali sono state le responsabilità terribili della Germania nella seconda guerra mondiale.

Fazio : Lei diceva giustamente : "Oggi diamo per scontate delle conquiste che invece sono state lunghe, faticose e dolorose". Se dovesse spiegare che cosa significa sentirsi europei, essere europei, che cosa ci direbbe?

Presidente : Significa innanzitutto avere consapevolezza di una storia e di una cultura comune. La storia dell'Europa ha attraversato anche periodi oscuri, ha presentato lati molto negativi, però c'è un filo, che è quello della grande cultura europea, ed è il filo che in Italia si è richiamato Rinascimento, e non solo. C'è un insieme dunque di valori che hanno rappresentato il tessuto connettivo venuto poi in primo piano anche nella consapevolezza di molti quando si è trasformato in progetto politico : stare insieme all'inizio solo sei paesi europei, quelli dell'Europa occidentale, e poi siamo arrivati a ventotto, poi si è unificato l'intero continente.

Fazio : Nel suo libro non evita nessun argomento anche spinoso, compreso quello che potremmo riassumere nella sensazione di una delusione diffusa nei confronti dell'Europa oggi. Si parla in vari modi addirittura di euroscetticismo. Ci aiuta a trovare le ragioni di questa delusione?

Presidente : Ho cercato in questo libro e in molti interventi che ho fatto da Presidente della Repubblica in questi anni di insistere su due aspetti : primo, la delusione motivata da fatti recenti o relativamente recenti, cioè l'incapacità dell'Unione Europea di dare una risposta soddisfacente alla crisi mondiale che è scoppiata nel 2008, quindi delusione in questo senso anche perché ci si era abituati all'idea che l'Europa significasse star meglio ogni volta rispetto all'anno precedente. Se si pensa ai primi trent'anni della Comunità europea, fino a quando è stata battezzata Unione ed è cambiata col Trattato di Maastricht, è stata una specie di marcia trionfale : ogni anno si cresceva di più, c'era più occupazione e c'erano più diritti. Qualche Paese come la Spagna si trasformò radicalmente, fece uno straordinario balzo in avanti grazie a questa capacità dell'Unione Europea di imprimere nuovo impulso, di esprimere un dinamismo, di trasmettere anche una solidarietà. Quindi per questo c'è delusione, perché invece, di fronte a una crisi di cui non c'erano precedenti nel mondo da molti decenni, l'Unione Europea ha reagito tardi, ha reagito tra molte difficoltà e in modo anche discutibile. L'altro motivo alla base di questa delusione è che l'Unione Europea non è riuscita, le Istituzioni dell'Unione non sono riuscite, a stabilire un rapporto più diretto con i cittadini innanzitutto in termini di informazione, di comunicazione come base di un coinvolgimento, del sentirsi in qualche modo partecipi delle decisioni e delle scelte che venivano fatte. Questo è un grosso tema che è oggi all'ordine

Fazio : Lei pensa che un'elezione a suffragio universale del Presidente o di un Presidente europeo, del Presidente del Consiglio europeo, potrebbe essere significativa per riavvicinare i cittadini europei all'Europa?

Presidente : Penso che questa sia una prospettiva da tenere aperta. Per il momento si fa, proprio ora in queste elezioni, un grosso passo in avanti con la designazione da parte dei partiti europei dei propri candidati al ruolo di Presidente della Commissione europea che sarebbe organo di governo dell'Unione Europea. Tanti anni fa Kissinger diceva : "voglio un numero di telefono per parlare con l'Europa", e si aveva l'impressione che non ce ne fosse nessuno, o meglio che ce ne fossero troppi. Poi si è arrivati, già da alcuni anni, ad avere un Presidente del Consiglio Europeo stabile per due anni e mezzo e che può arrivare fino a cinque anni. Quindi se si vuole un numero c'è, naturalmente sarebbe un numero più capace di rispondere a certe telefonate se fosse quello di un Presidente eletto dai cittadini o anche un Presidente il cui nome scaturisca dai risultati delle elezioni europee.

Fazio: Proprio in questo senso lei ha recentemente incontrato qui il Presidente Obama che riconosce un ruolo unitario all'Europa...

Presidente : Questa è una questione antica. Gli Stati Uniti debbono avere rapporti bilaterali con i Paesi europei e innanzitutto con i maggiori Paesi europei, l'Europa quindi deve apparire loro come - in un'espressione che hanno usato gli americani - una collection of national States, un insieme, una collezione di Stati nazionali e quindi scatta la logica dei rapporti bilaterali, oppure debbono avere un rapporto forte con l'Unione nel suo insieme, con l'Europa unitaria rappresentata dalle istituzioni comuni. Questa è la cosa cui io credo anche gli Stati Uniti tengono molto, sono molto interessati e non dimentichiamo che alle origini ci fu un sostanziale appoggio - parlo di Eisenhower - all'idea dell'Unità Europea. Parlo di Eisenhower che lasciava proprio allora l'Europa dopo essere stato Comandante generale delle Forze alleate in Europa.

Fazio: Visti i suoi rapporti eccellenti con il Presidente Obama mi era venuto in mente che lei in realtà nel 1975 non ottenne il visto per entrare negli Stati Uniti. Kissinger in qualche modo ebbe un ruolo in quella vicenda?

Presidente : Kissinger era Segretario di Stato. Essendo stato invitato da quattro o cinque delle maggiori università americane, presentai la domanda per avere il visto. Occorreva un nulla osta waiver del Segretario di Stato americano se il richiedente era un comunista o un fascista. Io ero il primo caso, ovviamente, e Kissinger non volle prendere in considerazione la concessione del visto. Lui era stato direttore del Centro di Studi europei di Harvard e c'era in quel momento il suo successore professor Stanley Hoffman che era uno dei firmatari dell'invito rivolto a me, e in effetti Kissinger gli fece sapere che era meglio che ritirasse l'invito. Hoffman non lo fece ma il visto non arrivò. I tempi sono molto cambiati. Con Kissinger poi abbiamo avuto uno straordinario recupero di rapporti amichevoli.

Fazio : Che cosa provoca in lei la frase : "ce lo chiede l'Europa" ?

Presidente : "Ce lo chiede l'Europa" non è una cattiva parola però suscita molti equivoci nel senso del significato più nobile o nell'uso più nobile che ne è stato fatto. Fu adoperata anche da uomini di governo italiani europeisti i quali ritenevano che per sbloccare certe situazioni in Italia, per determinare cambiamenti che erano necessari ma che tardavano a venire, occorresse una sollecitazione, una richiesta, una frusta dell'Europa.

Fazio : Tornando all'euroscetticismo, lei nel libro evoca la necessità di una controffensiva europeista. Nel caso di elezioni che vedessero protagonisti in percentuali sensibili i partiti euroscettici che cosa comporterebbe per l'Europa? Lei pensa che sarebbe messa in crisi l'idea d'Europa così com'è? In seconda battuta vorrei chiederle: questa controffensiva europeista da che cosa deve partire?

Presidente : La controffensiva europeista deve partire dalla forte valorizzazione di quello che si è costruito in Europa in questi sessant'anni. Non solo c'è stata la Comunità europea intesa come comunità economica, non solo c'è stato il Mercato Comune, non solo ci sono state tante relazioni di carattere economico-sociale, ma si è costruito un diritto comune ed è una cosa straordinaria perché avere un diritto comune e ventotto Paesi oggi membri dell'Unione Europea è qualcosa, nella sua latitudine, che ricorda il diritto romano. Siamo una comunità che può avere un ruolo internazionale molto serio e quindi si cerca di darci una politica estera comune, se andasse avanti il processo sarebbe un progresso straordinario. Il timore è che se si avessero forti rappresentanze euroscettiche nel Parlamento diventerebbe più faticoso il cammino. Io non credo ad un'Europa che torni indietro, anche con tutti coloro che arrivassero da euroscettici al Parlamento europeo ; forse qualcuno sarebbe anche conquistato da una conoscenza diretta, da una partecipazione diretta, poi ormai quello che si è costruito nei rapporti tra le società, tra le economie, tra le culture e anche tra i sistemi giuridici non può essere distrutto nemmeno da parte di chi lo voglia accanitamente.

Fazio : Lei diceva che uno dei valori fondamentali dell'Europa è il diritto e forse anche la democrazia, l'idea di democrazia così come la conosciamo oggi. Al tempo stesso, nel mondo di oggi la democrazia richiede tempi lenti, per l'appunto, per la sua attuazione, per modo di procedere. In un mondo invece così veloce e interconnesso la democrazia a volte rischia di apparire come un rallentamento, come un ostacolo e quindi c'è il pericolo che i diritti acquisiti, per esempio quello dello Stato sociale, siano a rischio?

Presidente : Senza dubbio sono esposti a un rischio, ma non tanto per la questione della velocità che si impone nei processi decisionali oggi, quanto per il costo che alcuni sostengono non essere più sostenibile da quando l'Europa si trova alle prese con delle altre formidabili grandi presenze economiche nel mondo molto competitive e alle quali deve riuscire a reagire positivamente. Ma quello che è stato scritto nei nostri trattati, il modello vero e proprio che è stato siglato, quello di una economia sociale di mercato, che significa precisamente combinare dinamismo economico, produttività, competitività dell'economia con diritti sociali, è qualcosa di irrinunciabile per l'Europa.

Fazio : Quando diciamo "valori identitari europei", anche secondo i suoi gusti personali, quali sono le cose con le quali lei si identifica con l'Europa? Lei per esempio è un grande intenditore e un grande appassionato di musica...

Presidente : La musica ha avuto più che mai negli anni dell'Unione Europea dei suoi luoghi in cui ci si è riconosciuti tutti europei : pensiamo che cosa è stato ad esempio Abbado direttore della famosa Orchestra Filarmonica di Berlino per tanti anni, oppure pensiamo all'attuale direttore dell'Orchestra di Santa Cecilia a Roma che è stato direttore del Covent Garden a Londra. È un linguaggio che particolarmente si presta alla universalità, ma alla base c'è una lunga evoluzione anche dei vari generi musicali che ha avuto i suoi punti di riferimento essenziali in Europa. E poi ho constatato in questi anni molto fortemente che cosa sia diventato il mondo europeizzato della ricerca scientifica : ho trovato centinaia di ricercatori italiani al Cern a Ginevra e altrettanti ne ho trovati a L'Aia, al Centro di tecnologie e ricerche spaziali. E non sono italiani più francesi, ecc., sono europei, sono ricercatori europei. Abbiamo d'altronde dei programmi quadro europei per la ricerca, abbiamo un Consiglio europeo della ricerca, c'è un approccio comune, c'è un'interconnessione straordinaria.

Fazio: Oggi in Europa ci sono quasi 20 milioni di disoccupati e lei nel libro dice una cosa molto intensa e molto forte, cioè a differenza della grande depressione, la crisi di oggi la pagano soprattutto i giovani con conseguenze imprevedibili anche rispetto alla percezione proprio dell'Europa...

Presidente : E' assolutamente così, è un problema che non può non essere posto in primissimo piano e dovrebbe essere posto in primissimo piano non soltanto a parole. Abbiamo avuto di recente iniziative interessanti, non risolutive ma interessanti, da parte delle istituzioni europee come la cosiddetta "garanzia per i giovani", cioè un programma per offrire lavoro, per offrire opportunità di lavoro ai giovani quando siano al termine del loro ciclo formativo. Vorrei però anche dire, per esempio, che quando si parla di necessità assoluta di ridurre il debito nostro, il debito pubblico in Italia, non si dice abbastanza che lo si deve fare non perché ce l'ha chiesto l'Europa ma perché è un dovere verso i giovani. Quando diciamo che dobbiamo sbarazzarci di questo fardello pensiamo soprattutto a loro, perché in Italia si è stati bravissimi nel gestire questa montagna di debito pubblico, bravissimi nel regolare le emissioni di titoli pubblici, nel controllare i tassi di interesse, ma ce lo portiamo sempre sulle spalle. Se lei pensa che oggi 80 miliardi di euro in un anno vanno pagati per gli interessi sui titoli del debito possiamo lasciare questo fardello sulle spalle dei giovani? Quindi, non solo ai giovani bisogna aprire delle prospettive di realizzazione e di lavoro, ma bisogna anche garantire che non debbano continuare a pagare per il debito che hanno contratto le generazioni più anziane.

Fazio : Vorrei proporle due ricordi personali : il primo risale al 9 novembre del 1989, quando lei incontrò a Bonn lo storico Cancelliere tedesco Willy Brandt a poche ore dalla caduta del muro di Berlino, che mi sembra un altro atto fondativo dell'Europa così come la conosciamo oggi...

Presidente: Io lo incontrai in quanto Presidente dell'Internazionale Socialista, ci eravamo visti in altre occasioni e in quel momento il Partito Comunista Italiano di cui era stato Segretario fino alla morte, nel 1984, Enrico Berlinguer, lavorava per il massimo di collaborazione con i principali partiti socialisti e socialdemocratici europei, anche con grandi partiti di governo come quello tedesco. Quindi ragionammo per due ore esatte, dalle 14:00 alle 16:00, su come realizzare questo avvicinamento col massimo rispetto reciproco tra Partito Comunista Italiano e Internazionale Socialista, e in quelle due ore non arrivò la minima onda di quello che stava per succedere, non si ebbe nessuna percezione. Naturalmente si parlava dei movimenti che si stavano sviluppando nella Germania dell'Est. Appena però terminai di parlare con Willy Brandt volli salutare il Presidente del Partito Socialdemocratico che si chiamava Vogel, e venne a salutarmi uscendo dall'emiciclo, dall'Aula del Bundestag, del Parlamento. Arrivò eccitatissimo ma non per dirmi : "sta per cadere il muro", ma per dire : "abbiamo notizie di straordinarie manifestazioni nella Germania orientale e di manifestazioni per la libertà", non disse "per l'unità", ma "per la libertà". Io partii poco dopo e forse, mentre ero in treno da Bonn a Colonia per prendere l'aereo, accadde quello che sappiamo. Quindi a me è capitato di dire che in quel colloquio fummo sfiorati dal vento della storia senza rendercene conto.

Fazio : Invece poi nella quotidianità, soprattutto in vista delle elezioni, sembra che gli interessi nazionali siano prevalenti nell'indirizzare le politiche complessive dell'Europa, cioè c'è una sorta di egoismo e una contrapposizione quasi rispetto all'Europa. È superabile o è giocoforza che sia così?

Presidente: Gli interessi elettorali o politico-elettorali dei singoli Paesi hanno sempre pesato molto, troppo, nelle elezioni per il Parlamento europeo. Si è finito per parlare molto più di Italia, di Francia, di Germania che di Europa, sono state quasi delle campagne nazionali. Questa volta no, questa volta non si può sfuggire al tema europeo che sarà al centro, magari sarà al centro perché ci sono più avversari del progetto europeo che cercheranno di guadagnare consensi su quella base e bisognerà che i partiti che credono nel progetto europeo e vogliono rilanciarlo, rimotivarlo, anche cambiarlo, non eludano questi temi dando la priorità alle faccende di casa. Poi il discorso degli interessi più sostanziali dei singoli Stati nazionali è sempre il problema centrale. Si è cercato di fare una comunità che potesse addirittura sfociare in una Federazione europea, si è fatta molta strada, però rimangono i particolarismi, anche la preoccupazione che il proprio Paese tragga meno benefici di un altro dalla politica europea. Vale quello che diceva tantissimi anni fa un principale ispiratore del progetto europeo, Jean Monnet : è chiaro che ci sono interessi che ciascun Paese tende a difendere, ma non si può scivolare sul terreno del mercanteggiamento, bisogna individuare l'interesse comune europeo e poi cercare di far convergere il più possibile, in uno spirito di solidarietà, gli interessi nazionali.

Fazio ...anche perché oggi la popolazione europea è rimasta invariata mentre la popolazione mondiale è enormemente cresciuta, rappresentiamo una piccola parte del mondo, quindi l'unione è necessaria...

Presidente : Ma questo cambiamento è la principale necessità di cambiamento che ci si pone e, nello stesso tempo, è la forte nuova motivazione per un balzo in avanti dell'integrazione europea. Se ci intendiamo meglio e di più avremo un ruolo per quello che abbiamo rappresentato storicamente come Europa e per quello che ancora possiamo dare al mondo nel processo di globalizzazione, altrimenti scivoleremo ai margini, declineremo.

Fazio: Un'ultima considerazione personale : qual è stata la prima volta in cui lei ha visto l'Europa, il suo primo viaggio fuori dall'Italia?

Presidente: Il mio primissimo viaggio fu quando da studente ero impegnato all'Università di Napoli - e lo stesso accadeva in altre università - in un movimento per dar vita all'elezione dei Consigli studenteschi. Si fece poi un Congresso nazionale universitario a Roma nel maggio del '46 che elesse una delegazione italiana al primo Congresso studentesco mondiale, nell'agosto 1946, a Praga. Praga non era oltre la cortina di ferro perché non c'era ancora la guerra fredda e infatti parteciparono tutti, anche gli americani, a quel congresso. Quella fu la mia prima uscita dai confini d'Italia. Poi ce ne fu una seconda qualche anno dopo, perché non è che si viaggiasse tanto spesso : andai nel '49 a Parigi al Congresso mondiale della pace, un grande evento a cui parteciparono molti italiani, uno dei relatori fu Pietro Nenni, e grandi personalità della scienza e della cultura. La scoperta di Parigi fu per me sensazionale, ma anche Praga era una bellissima città.

Fazio: Di quel viaggio a Parigi qual è la prima immagine che si ricorda, la primissima?

Presidente: Forse la prima immagine che mi ricordo fu quando, essendo stato invitato - perché era un po' un happening - un gigante nero, Paul Robeson, cantò "Old man river" di fronte a questa massa di delegati di tutti i paesi del mondo, e fu anche quello un momento di fraternizzazione straordinaria.

Da - Fazio ...anche perché oggi la popolazione europea è rimasta invariata mentre la popolazione mondiale è enormemente cresciuta, rappresentiamo una piccola parte del mondo, quindi l'unione è necessaria...

Presidente : Ma questo cambiamento è la principale necessità di cambiamento che ci si pone e, nello stesso tempo, è la forte nuova motivazione per un balzo in avanti dell'integrazione europea. Se ci intendiamo meglio e di più avremo un ruolo per quello che abbiamo rappresentato storicamente come Europa e per quello che ancora possiamo dare al mondo nel processo di globalizzazione, altrimenti scivoleremo ai margini, declineremo.

Fazio: Un'ultima considerazione personale : qual è stata la prima volta in cui lei ha visto l'Europa, il suo primo viaggio fuori dall'Italia?

Presidente: Il mio primissimo viaggio fu quando da studente ero impegnato all'Università di Napoli - e lo stesso accadeva in altre università - in un movimento per dar vita all'elezione dei Consigli studenteschi. Si fece poi un Congresso nazionale universitario a Roma nel maggio del '46 che elesse una delegazione italiana al primo Congresso studentesco mondiale, nell'agosto 1946, a Praga. Praga non era oltre la cortina di ferro perché non c'era ancora la guerra fredda e infatti parteciparono tutti, anche gli americani, a quel congresso. Quella fu la mia prima uscita dai confini d'Italia. Poi ce ne fu una seconda qualche anno dopo, perché non è che si viaggiasse tanto spesso : andai nel '49 a Parigi al Congresso mondiale della pace, un grande evento a cui parteciparono molti italiani, uno dei relatori fu Pietro Nenni, e grandi personalità della scienza e della cultura. La scoperta di Parigi fu per me sensazionale, ma anche Praga era una bellissima città.

Fazio: Di quel viaggio a Parigi qual è la prima immagine che si ricorda, la primissima?

Presidente: Forse la prima immagine che mi ricordo fu quando, essendo stato invitato - perché era un po' un happening - un gigante nero, Paul Robeson, cantò "Old man river" di fronte a questa massa di delegati di tutti i paesi del mondo, e fu anche quello un momento di fraternizzazione straordinaria.

Da - http://www.unita.it/politica/napolitano-intervistato-da-fazio-testo-integrale-1.563396?page=5
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« Risposta #27 inserito:: Dicembre 13, 2014, 04:34:17 pm »

Il confronto

Italia-Germania, Napolitano: «Il dissenso non sia mai meschinità»
Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, interviene all’inaugurazione dell’Italian-German High Level Dialogue, a Torino

Di Redazione Online

Italiani e tedeschi devono «reagire senza ulteriore indugio a un pericolo che chiamerei di immeschinimento del clima nel rapporto tra i nostri Paesi». Lo ha detto il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, intervenendo all’inaugurazione dell’Italian-German High Level Dialogue, a Torino. «Le difficoltà ci sono - ha ammesso Napolitano - i dissensi anche, ma occorre superarli attraverso una pubblica discussione che non smarrisca mai il senso del limite e soprattutto il valore dei tanti momenti alti della nostra collaborazione», ha aggiunto. Secondo il capo dello Stato, i buoni rapporti tra Italia e Germania sono fondamentali per la tenuta dell’Europa unita: «Non ci può essere un’Europa senza l’amicizia in pieno rispetto e un dialogo costante tra i nostri due Paesi. Non può esserci un futuro per un’Europa unita nel mondo di oggi e di domani”. Un concetto che commuove Napolitano, a cui la platea riserva un lungo applauso.

Anche le «tensioni nella ricerca di soluzioni condivise» non devono mai scivolare «in definizioni sommarie se non sprezzanti». «Liberiamoci da queste fuorvianti tendenze» e abbandoniamo «la diffidenza reciproca». Questo è il messaggio che il presidente Napolitano ha voluto trasmettere alla Germania, oggi a Torino rappresentata dal presidente federale Joachim Gauck. Il complesso dibattito tra crescita e riequilibrio dei conti «non dovrebbe conoscere polemiche unilaterali e produrre contrapposizioni paralizzanti». Gli obiettivi sono comuni, ricorda il presidente della Repubblica: perché c’è un impegno condiviso in Europa «a sconfiggere la recessione, scongiurare la deflazione, adottare misure idonee a rilanciare la crescita»: ma tutto ciò «senza trascurare la prospettiva del riequilibrio e risanamento delle nostre finanze pubbliche, dei nostri bilanci». E senza dimenticare l’importanza della moneta unica: «È paradossale che allo slancio che ci ha permesso di giungere alla moneta unica - cioè al traguardo finora più avanzato del nostro percorso di integrazione - siano seguiti momenti di massima divaricazione nella Ue», sottolinea il capo dello Stato.

Le cause e le soluzioni
Ma cosa ha deteriorato i rapporti e irrigidito le posizioni, snaturando nel tempo il senso dell’unione? Secondo Napolitano, «la perdita di contatto con il nostro passato che si è venuta da anni via via verificando nelle nostre società va considerata una delle più gravi malattia della nostra epoca. Un morbo contagioso anche per le classi dirigenti, come ci hanno dimostrato questi anni difficili, di crisi economica profonda». Inoltre c’è stata «una complessiva inadeguatezza a padroneggiare le implicazioni della creazione dell’euro e di una politica monetaria sovranazionale, a darvi tutte le proiezioni e gli sviluppi necessari sul piano delle politiche fiscali ed economiche e ad avanzare sul terreno di un’Unione politica». La soluzione? «Uscire da quei limiti fatali - sostiene Napolitano - e sciogliere in questa ottica i nodi di una crisi nata fuori d’Europa, ma degenerata in Europa nella più profonda e ostinata recessione, questa è la nostra responsabilità. Di Italia e Germania in particolare, per il peso che abbiamo avuto nei decenni più fecondi della costruzione europea”. Una posizione criticata fortemente da Renato Brunetta, il presidente dei deputati di Forza Italia.

Da - http://www.corriere.it/politica/14_dicembre_11/italia-germania-napolitano-il-dissenso-non-sia-mai-meschinita-9c297b8a-8168-11e4-98b8-fc3cd6b38980.shtml
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« Risposta #28 inserito:: Dicembre 14, 2014, 11:25:57 pm »

Napolitano: «Colpire infiltrazioni criminali e corruzione in politica»
10 dicembre 2014

«È ormai urgente la necessità di reagire» a una certa anti-politica, «denunciandone le faziosità, i luoghi comuni, le distorsioni impegnandoci su scala ben più ampia non solo nelle riforme necessarie», ma anche a «riavvicinare i giovani alla politica». Lo ha detto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, intervenuto a una iniziativa dell'Accademia dei Lincei su “Crisi di valori da superare e speranze da coltivare per l'Italia e l'Europa di domani”.

Colpire infiltrazioni criminali e corruzione in politica
«Non deve mai apparire dubbia la volontà di prevenire e colpire infiltrazioni criminali e pratiche corruttive nella vita politica e amministrativa che si riproducono attraverso i più diversi canali come in questo momento è emerso dai clamorosi accertamenti della magistratura nella stessa capitale», ha detto il presidente della Repubblica.

Grave decadimento della politica
Il capo dello Stat ha osservato come in Italia sia in atto una crisi «che ha segnato un grave decadimento della politica, contribuendo in modo decisivo a un più generale degrado dei comportamenti sociali, a una più diffusa perdita dei valori che nell'Italia repubblicana erano stati condivisi e operanti per decenni».

Alle Camere atti che stracciano valori vitali
«Pur essendosi registrati già in periodi precedenti casi gravi di strappi alle regole e al clima abituale nelle aule parlamentari, mai era accaduto quel che si è verificato nel biennio ormai alle nostre spalle, quando hanno fatto la loro comparsa in Parlamento metodi e atti concreti di intimidazione fisica, minaccia, di rifiuto di ogni regola ed autorità, e in sostanza tentativi sistematici ed esercizi continui di stravolgimento ed impedimento della vita politica e legislativa di ambedue le Camere», ha sottolineato il presidente della Repubblica.

Esistono focolai eversivi
In Italia «esistono, magari al di fuori di ogni etichettatura di sinistra - ha detto Giorgio Napolitano - o di destra, gruppi politici o movimenti poco propensi a comportamenti pienamente pacifici. Esiste un rischio nel nostro Paese di focolai di violenza destabilizzante, eversiva, che non possiamo sottovalutare, evitando allo stesso tempo l'errore di assimilare a quel rischio tutte le pulsioni di malessere sociale, di senso dell'ingiustizia, di rivolta morale, di ansia di cambiamento con cui le forze politiche e di governo in Italia debbono fare i conti».

No al carrierismo personale
«La moralità di chi fa politica poggia sull'adesione profonda, non superficiale, a valori e fini alla cui affermazione concorre col pensiero e con l'azione. Altrimenti l'esercizio di funzioni politiche può franare nella routine burocratica, nel carrierismo personale, nella ricerca di soluzioni spicciole per i problemi della comunità, se non nella più miserevole compravendita di favori, nella scia di veri e propri circoli di torbido affarismo e sistematica corruzione», ha detto il presidente della Repubblica.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-12-10/napolitano-colpire-infiltrazioni-criminali-e-corruzione-politica-173121.shtml?uuid=ABvS8mOC
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« Risposta #29 inserito:: Dicembre 14, 2014, 11:36:36 pm »

Napolitano: «L’anti-politica è ormai quasi una patologia eversiva»
Il capo dello Stato nel discorso all’Accademia dei Lincei: «Urgente riavvicinare i giovani».
E sull’inchiesta nella Capitale: «Fermare infiltrazioni criminali»

Di Redazione Online

«La critica della politica e dei partiti, preziosa e feconda nel suo rigore, purché non priva di obiettività, senso della misura e capacità di distinguere è degenerata in anti-politica, cioè in patologia eversiva». Arriva decisa la condanna del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ad un sistema politico che «da due anni è afflitto dalla patologia dell’antipolitica».Un messaggio che in qualche modo deve far fischiare le orecchie a Beppe Grillo. Che cosi regisce: «Napolitano deve stare molto attento rischia che lo denunciamo per vilipendio del Movimento».

«Necessario reagire all’antipolitica»
«È ormai urgente la necessità di reagire» ad una certa anti-politica, aveva detto il capo dello Stato, «denunciandone le faziosità, i luoghi comuni, le distorsioni impegnandoci su scala ben più ampia non solo nelle riforme necessarie, ma anche a riavvicinare i giovani alla politica» sottolinea ancora il presidente della Repubblica. Il capo dello Stato spiega come negli ultimi tempi, nei confronti della politica e delle istituzioni siano «dilagate analisi unilaterali, tendenziose, chiuse ad ogni riconoscimento di correzioni e di scelte apprezzabili, per quanto parziali o non pienamente soddisfacenti». Un’azione, sottolinea il capo dello Stato, cui non si sono sottratti «infiniti canali di comunicazione, a cominciare da giornali tradizionalmente paludati, opinion makers lanciati senza scrupoli a cavalcare l’onda, per impetuosa e fangosa che si stesse facendo, e anche, per demagogia e opportunismo, soggetti politici pur provenienti della tradizioni del primo cinquantennio della vita repubblicana».

Minacce
«Nel biennio appena trascorso - prosegue il capo dello Stato - c’è stata la comparsa di metodi e di atti concreti di minacce con il rifiuto del riconoscimento delle istituzioni e con l’impedimento» dell’attività parlamentare in entrambe le Camere», sostiene Napolitano, «E dubito che questo sia finito», aggiunge il capo dello Stato. Ultimamente vediamo «svalutazioni sommarie e posizioni liquidatorie» rispetto all’Unione Europea: «gli ingredienti dell’anti-politica si sono confusi con gli ingredienti dell’anti-europeismo» evidenzia ancora il presidente della Repubblica.

Infiltrazioni criminali
Intervenendo ad una conferenza all’Accademia dei Lincei il capo dello Stato ha lanciato anche un monito al sistema dei partiti, spiegando che «Non deve mai apparire dubbia la volontà di prevenire e colpire infiltrazioni criminali e pratiche corruttive nella vita politica e amministrativa che si riproducono attraverso i più diversi canali come in questo momento è emerso dai clamorosi accertamenti della magistratura nella stessa capitale».

10 dicembre 2014 | 17:36
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/politica/14_dicembre_10/napolitano-anti-politica-ormai-quasi-patologia-eversiva-29c54b94-8089-11e4-bf7c-95a1b87351f5.shtml
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