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Autore Discussione: DENISE PARDO  (Letto 12289 volte)
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« inserito:: Novembre 25, 2008, 11:50:12 pm »

Operazione Forza Rai

di Denise Pardo


Il pasticcio della Vigilanza è solo l'inizio. Il Cavaliere e i suoi falchi lavorano alla conquista della tv pubblica. Terza rete in testa.

Se tanto ci dà tanto, ce n'est qu'un debut. Il blitz di Palazzo San Macuto che passerà alla storia come il giorno in cui Berlusconi dribblò il Pd, con il voto a Riccardo Villari, uomo dell'opposizione non designato dall'opposizione alla presidenza della Vigilanza Rai, è lo spot significativo della Rai che verrà. Un colpo di teatro poi culminato con l'intesa sul nome di Sergio Zavoli. Ma un piccolo aperitivo di quello che ha in mente il Cavaliere. Un uomo che sa come sostituirsi alla Provvidenza e alle leggi democratiche, quando loro sono distratte dai suoi interessi. Qualcuno ricorda, forse, l'invenzione, agli albori degli anni Ottanta, di utilizzare la rete di tv locali come un'unica emittente nazionale e di mandare in onda i programmi pre registrati in contemporanea in tutta Italia, aggirando le norme che glielo proibivano? Per una mente del genere, il pasticciaccio della Vigilanza è una sciocchezzuola. Ma rappresenta anche il copione da applicare alla Rai non depurata dal vecchio vertice. Ai programmi che irridono a lui e i suoi ministri. Alle sabbie mobili in cui si è impantanato il servizio pubblico. Ancora non privato né personale, come invece sogna lui.

Intanto, il Cavaliere è ridens. E così tutti gli uomini del Pdl in Rai. Nei corridoi di viale Mazzini, dove si assiste alla ciclica trasformazione dei dirigenti in zombi e viceversa a seconda della maggioranza che va al governo, ritornano dalle tenebre dello stallo in Vigilanza, gli uomini legati al centrodestra. Ecco Gianfranco Comanducci, ex capo del Personale, passato alla direzione Acquisti, uomo di Forza Italia, corrente 'Forza Cesare!' (l'urlo che accompagnava ogni, maldestra, esibizione calcistica di Previti), appena tornato dalla maratona di New York, destinato, come minimo, alla vice direzione generale. Nei mesi dell'esilio dal potere con la p maiuscola, si è molto speso nel faticoso compito, fondamentale per il servizio pubblico, di ristrutturare il Circolo Rai di Tor di Quinto e di dare vita a tornei di calcetto di grande successo.

Ecco Agostino Saccà, che fiducioso confida la speranza di una sentenza favorevole (sul caso delle intercettazioni telefoniche tra lui e il Cavaliere) al suo reintegro a Rai Fiction. Ecco l'avvocato Rubens Esposito, capo dell'ufficio legale e vicino a An da secoli, vestito a festa e circondato da un codazzo visto che le sue quotazioni per una poltrona in cda sono certe. Ecco Alessio Gorla, fedelissimo del Cavaliere, ex capo dei palinsesti, parcheggiato nel cda di Rainet, che saluta come un pontefice chi gli va incontro, con l'aureola di possibile presidente, qualora la bagarre politica destinasse a un consigliere anziano il ruolo di 'facente funzioni'. Ululati di gioia al passaggio di Simonetta Faverio, vice direttore di Rai Parlamento, ex portavoce di Umberto Bossi, nell'ombra con la vittoria di Romano Prodi, di nuovo in auge con il ritorno di Berlusconi a Palazzo Chigi. Lunghi appostamenti per imbattersi, come per caso, in Antonio Marano, nel cuore del Senatur, stufo di RaiDue, anch'esso in odore di nuovi prestigiosi incarichi (una vice direzione pure per lui?) dopo che Guido Paglia, direttore delle Relazioni Esterne, nero che più nero non si può, ha dichiarato che questa volta, la Lega farà la voce grossa su viale Mazzini.

Mezza Rai in festa. Palazzo Grazioli al tavolo della strategia d'attacco. Berlusconi è una pasqua per come sono andate le cose. Anche perché, Zavoli o non Zavoli, qualunque cosa accada in seguito, comunque ha costretto il Pd a un accordo. Ha portato a galla malesseri e spaccature, il nodo Antonio Di Pietro, la guerriglia alla leadership di Walter Veltroni. Chi conosce bene il premier, sottolinea come la mossa di Villari cavallo di Troia, sia stata l'ulteriore segnale di una sicurezza politica diventata spavalderia. Nel '94 o nel 2001 non avrebbe mai attaccato in modo così sfacciato la prassi istituzionale della Vigilanza presieduta da un deputato scelto e indicato dall'opposizione. Ma c'è anche da dire che le fanfare delle elezioni europee cominceranno presto a suonare. E subito dopo anche quelle delle presidenze di regioni importanti come il Lazio. E non c'è più tempo da perdere.

Nel mirino, le reti e l'informazione, compresa la Tgr. Denis Verdini, potente coordinatore nazionale e il suo entourage che girano l'Italia a portare il verbo e a fare proseliti per il Popolo della Libertà, gli sottolineano l'importanza della Testata regionale. Governata da Angela Buttiglione, sorella di, gestita dai capi redattori delle sedi locali più bianchi e rossi che azzurri, verdi o neri, è il vero serbatoio del potere politico e del rapporto dei deputati con il territorio. Un passaggio nei tg nazionali è formidabile. Ma vuoi mettere l'apparizione costante in quelli regionali? Semplicemente vitale. Soprattutto sotto campagna elettorale.

Insieme alla Tgr, come ha detto urbi et orbi, il premier, nell'obiettivo anche la Terza rete, trasformata, secondo lui, in un cabaret a senso unico. In cima ai sogni delle tricoteuses della Pdl, c'è il rotolare della testa di Paolo Ruffini, direttore di quella rete che manda in onda l'odiato Fabio Fazio. E Paola Cortellesi nell'imitazione di Maria Stella Gelmini, ministro androide. E Serena Dandini che ospita Caterina Guzzanti anche lei travestita da Gelmini in versione calabrese. E le copertine di 'Ballarò' firmate da Maurizio Crozza, mirabile infilzatore di Renato Brunetta.

Maledetto terzo canale. Per non parlare del giovedì di Rai Due, con l''Annozero' di Michele Santoro. Tutto il governo alla berlina. "E tutta la Rai è ansiogena e i suoi conduttori appecoronati sulla sinistra", ha lanciato l'allarme il Cavaliere. A ruota il giudizio di Marcello Dell'Utri sui "giornalisti 'dark' del Tg3" e l'inquietante dichiarazione: "Con la nuova Rai qualcosa cambierà".

I falchi attorno al Cavaliere, Paolo Romani, sottosegretario con delega alle Comunicazioni, Maurizio Gasparri, capogruppo Pdl al Senato, braccio dell'operazione Villari, e Dell'Utri e Comanducci (e fuori alla porta a rumoreggiare Giuliano Urbani, Fabrizio Del Noce, Giuliana Del Bufalo) volano più in alto. Qualcuno ha azzardato "Ma chi l'ha detto che RaiTre deve essere appannaggio del centrosinistra. Perché non scambiarla con la seconda rete? È ora di sparigliare, di rompere le fila". Il Cavalier approva ma tentenna su questo. Mentre Gianni Letta, alfiere del dialogo e delle intese, al solo pensiero, si mette (con cautela) le mani sulla chioma perfetta.

Ma il pasticciaccio Villari-Zavoli è il preludio della vera posta in gioco. Anche perché la commissione, al di là delle battaglie politiche, è lo strumento per la nomina del cda e del presidente Rai (oltre ad aver il potere di indirizzo, solo di indirizzo, sulla tv pubblica). Per il resto, conta così poco che Claudio Petruccioli ha fatto spallucce quando, più di un anno fa, la Vigilanza lo ha sfiduciato, con tanto di richiesta di dimissioni. Le prossime tappe, quindi, sono le nomine dei consiglieri (si prevede una nuova rissa) e del presidente. Il dialogo Veltroni-Letta sembrerebbe essere risorto non solo sulla Vigilanza. Ma anche sul nome di chi presiederà il cda. Secondo alcuni Raiwatchers, Pietro Calabrese sarebbe posizionato piuttosto bene. Per altri, la candidatura Petruccioli non sarebbe affatto tramontata. Ma, in caso di impasse, non c'è da preoccuparsi: per fortuna, l'Italia è ancora piena di padri nobili arzilli e pacificatori.

(24 novembre 2008)
da espresso.repubblica.it

« Ultima modifica: Luglio 09, 2010, 05:13:14 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Dicembre 03, 2008, 04:19:50 pm »

Caccia rossa ai collaborazionisti

di Denise Pardo


Il summit D'Alema-Fini ha aperto i sospetti. Il pizzino di Latorre li ha aumentati.

E ora l'opposizione si scatena.

Mentre la tentazione di dialogare con il centrodestra diventa contagiosa.


L'afflato è nato con 'lo spirito di Asolo'. Sotto ai fumi del baccalà e delle sarde in saor. In quella colazione confidenziale dell'8 novembre, coda dell'incontro, nella cittadina veneta, di cento under 35 selezionati dalle loro due fondazioni, Italianieuropei e Farefuturo, e chiuso con l'intesa bipartisan di un asse sulle riforme, Massimo D'Alema e Gianfranco Fini hanno parlato a lungo. Di cosa non si sa. Si sa che, dopo solo sei giorni, Maurizio Gasparri e Italo Bocchino portano a casa l'elezione di Riccardo Villari del Pd alla presidenza della Vigilanza Rai facendo scoppiare una zuffa mai vista prima in natura. Al blitz segue lo scoop: la rivelazione tv di Antonello Piroso del bigliettino mandato in soccorso all'amico Bocchino in un dibattito su La7 proprio da Nicola Latorre, longa manus (è il caso di dirlo) di Massimo D'Alema.

Gli uomini dell'uno. L'uomo dell'altro. Gli afflati viaggiano. Svolazzano. E magari, interpretati con troppo zelo, finiscono per portare a galla umori in circolazione. La solidarietà Latorre- Bocchino, per esempio: due che dovrebbero guardarsi in cagnesco. L'asse Villari-Gasparri-Bocchino: tre alla Blues Brothers niente male. Tutte punte dell'iceberg Partito democratico attraversato da una faglia che lo può spaccare irrimediabilmente. Da una diaspora tafazziana di posizioni contrastanti. Dagli indiziati di complicità con il nemico in aumento. Dove la collaborazione sotterranea tra maggioranza e opposizione, a volte, è più amichevole che tra uomini dello stesso partito, immersi in un clima da guanti di paraffina e di sospetti di doppio gioco. Dopo il patto, in fin dei conti più borghese, della crostata a casa Letta, ora, il patto, tellurico per il Pd, del baccalà?

Patto o non patto, il problema è che il coperchio è stato sollevato. Nessuno ha mai saputo che tipo di marmellata avesse usato la signora Maddalena (mirtilli, albicocche?) per la sua crostata. Il pizzino di Latorre, invece, è andato in onda con il bello della diretta. Così, passato il tempo del consociativismo, dell'inciucio, e del trasformismo, è arrivato anche quello del collaborazionismo. Vichy nel Parlamento italiano? Un sospetto da Tribunale del popolo? Però, la parola serpeggiava, eccome, lungo le infide vasche di Montecitorio. Serpeggiava e basta. Perché solo pronunciarla, dava corpo al fantasma del Transatlantico più temibile di questa legislatura: l'esistenza di una falange che fa l'occhiolino al nemico. Eppure. Il primo fautore del 'collaborazionismo' nobile con il cappello dell'interesse del paese, era stato proprio Walter Veltroni, che aveva segnato la sua nuova leadership con l'apertura al dialogo e la non demonizzazione dell'avversario.

Poi, era stato costretto a fare marcia indietro a causa, sì, del ritorno delle leggi ad personam e di un governo mandato avanti a colpi di fiducia, ma anche dei mugugni degli oltranzisti del Pd (pure di D'Alema, perché quando l'uno apre, sarà un caso, l'altro chiude) e degli altolà di Antonio Di Pietro. A sua volta, Giuliano Amato, dopo aver accettato l'invito del sindaco di Roma Gianni Alemanno di far parte della Commissione Attali de' noantri, non era stato costretto a declinare dopo che su di lui si erano abbattuti gli strali dei democratici benpensanti, sospettosi di un accordo tra ex e attuale primo cittadino (io ti do Amato e ti legittimo, tu non attacchi più la mia amministrazione)? Un caso di collaborazionismo represso? E quale era stato il pericolo ventilato dai bagnanti dell'Ultima spiaggia di Capalbio, nota enclave della sinistra, quando ombrellone e sdraio erano stati occupati dalla gentile e compianta signora Erminia Fini, madre di contanto Gianfranco, se non quello di venir tacciati come i frequentatori di uno stabilimento collaborazionista?

Il sottosegretario alla presidenza.
Collaborazionismo. O ouverture, come preferisce la grandeur del presidente Nicolas Sarkozy infilando nel suo governo due socialisti e un centrista che non ci hanno pensato un attimo a dire sì, per amore della Francia, beninteso? Nel bel paese di Gianni Letta, il confine è sottile. Quando Goffredo Bettini, plenipotenziario Pd, in nome di un'amicizia nota a tutti, incontra, parla, si telefona con Gianni L., di cosa si tratta? È strizzare l'occhio al nemico, è confronto o pura gestione del potere? Come funziona la faccenda, dato che in un'intervista a 'La Stampa', Bettini ha ricordato una massima di sua nonna: "Troppa confidenza fa malacreanza"? Però si riferiva al caso Latorre. Non al suo rapporto con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio. E che dire del suo leader Walter, pubblico confesso dell'invidia nei confronti di Berlusconi per la grazia ricevuta di avere al suo fianco Letta? Il confine è sottile, dicevamo. La questione è delicata. Non per tutti, però. "È solo una questione di palle", ha detto così 'lord' Gaetano Qaugliariello, senatore Pdl quando si è affrontato il filosofico dilemma: "Se un partito ritiene che su alcuni punti si debba trovare l'accordo si fa e basta". Attributi, insomma. Il problema è quello. Non il collaborazionismo.

Non più convergenze, dunque, ma complicità parallele. Suona meglio. Così, nell'opposizione, è l'ora della caccia alle streghe. Francesco Pionati, l'ex mezzobusto di Avellino, portavoce dell'Udc, ma lato filo Cavaliere, è stato sollevato dal ruolo di portavoce da un Lorenzo Cesa furibondo per la scoperta di una colazione cheek to cheek con Berlusconi (c'era pure la segretaria di Cesa). Non ci sta a essere processato Antonio Bassolino che non ha sottoscritto la mozione del Pd contro il governo, trincerandosi dietro un ferreo principio ("Collaboriamo sul piano istituzionale, non sarebbe corretto firmarla", ha spiegato). Sogghigna sulla vicenda Villari-Latorre & C. Claudio Velardi, assessore della giunta campana, teorico della terza via, quelli che stanno di qua, ma trafficano di là, che per comodità ha piazzato il suo ufficio a Palazzo Grazioli: in ascensore, si sa, non ti ascolta nessuno. Franco Bassanini, rimasto a piedi, cioè non ricandidato dal Pd alle ultime elezioni, cooptato, invece, in Francia nella Attali autentica, non accetta le critiche (Franco Debenedetti è ricorso papale papale alla categoria del collaborazionismo) per la nomina a presidenza della Cassa depositi e prestiti, vera cassaforte del governo.

Non solo non ci sta, ma ricorda che il suo nome è stato scelto dalle Fondazioni bancarie e non dal ministro dell'Economia Giulio Tremonti. Non solo non ci sta, ma ribadisce che, secondo lui, le grandi riforme hanno bisogno almeno di un rapporto costruttivo tra maggioranza e opposizione, se non addirittura di una grande coalizione. E in un'intervista al 'Corriere della Sera' si mette pure a dire la sua, alquanto acida, sulla presidenza di Romano Prodi. Apriti cielo! Sfruculiare i prodiani, i più allergici all'espressione 'rapporto costruttivo', che se uno la dice lo spruzzano con il Ddt. "Bassanini voleva costruire un alibi al suo zelo collaborazionista con l'attuale governo", ha dichiarato, in risposta, pari pari, il deputato Franco Monaco, fedelissimo del Professore: "La cosa impressionante è l'entusiasmo con il quale parla sul Ponte sullo Stretto di Messina. Ma come? È l'opera più controversa e lui esordisce con l'impegno a finanziarla?". A peggiorare le cose, è arrivata la difesa di Sandro Bondi, ministro dei Beni culturali, che tira in ballo gli zulù: "Contro Bassanini logiche tribali". E non è piaciuto nemmeno il confronto, considerato troppo collaborativo, sulla riforma della pubblica amministrazione che Linda Lanzillotta, ministro ombra della P. A. nello shadow cabinet, e moglie di Bassanini, ha instaurato con Renato Brunetta: infatti, ha diradato.

Le parole che fanno drizzare le antenne ai maccartisti del Palazzo sono due: 'Dialogo' e 'Clima diverso'. Altro che lettera scarlatta. "Inutile fare la voce grossa", Massimo Cacciari, l'eretico doge di Venezia, barba lunga, lingua affilata, affonda il coltello nella ferita: "Il dialogo è nelle cose". "Ma dialogare insieme non è collaborazionismo", scrive 'Avvenire', il quotidiano della Cei. E non ne parliamo del 'Riformista' di Antonio Polito: "Le opinioni politiche di Alemanno possono essere oggetto di dura e severa critica ma non ne fanno un appestato cui non si può stringere la mano, pena diventare un collaborazionista". Così, nella Commissione del Campidoglio presieduta alla fine da Antonio Marzano, sono entrati giulivi Andrea Mondello, che praticamente viveva con Veltroni. Pier Luigi Celli, ex direttore generale della Rai voluto da D'Alema, ora capo della università Luiss ("Non è collaborazionismo, Roma è di tutti", ha tenuto a precisare). Luigi Abete, il banchiere veltronian-rutelliano. Giancarlo Elia Valori, idolo delle passate amministrazioni romane.

Tira aria di sospetto sui teo dem e sui cattolici del Pd, guardati a vista perché attratti peccaminosamente da una sirena di nome Domenico Fisichella che certo di centrosinistra non è. E che cerca collaborazione per varare al più presto una legge condivisa dal Pd sul testamento biologico. È quel che vuole la corte di San Pietro, di cui è diventato un sorta di ambasciatore ombra. E la vuole velocemente prima che, vedi il caso Eluana, si aprano troppi precendenti nella sfera laica dei diritti individuali. Una nobile causa può giustificare la complicità? Certo è che Paola Binetti, Luigi Bobba, Franco Marini 'inciuciano' con il seduttore Fisichella. Ma i laici del Pd sono allertati e monitorizzano.

Ogni volta che Giuseppe Giulietti, cazzutissimo e indimenticato leader del sindacato dei giornalisti Rai, un tipo molto socievole ora deputato dell'Idv, deve bacchettare Paolo Boaniuti, l'alter ego del Cavaliere, ai dipietristi doc gli viene l'orticaria. Perché prima del richiamo, gli tocca sentire frasi come: "Conosciamo Bonaiuti e sappiamo che è persona capace di sottile ironia e di profonda autoironia...". I due si piacciono, si sa. Ma la loro entente cordiale, invece, ai più non piace.

Come le posizioni sulla giustizia di Luciano Violante che sul tema ha pronunciato, e per più volte, la famigerata parola "dialogo con il Pdl" incassando gli anatemi del mullah Di Pietro. Ma gli applausi delle truppe di là. Capo claque il solito Maurizio Gasparri, che tiene molto al rapporto con l'amico Luciano. Così tanto da salvarlo, anche lui con un 'pizzino', da una figuraccia da Bagaglino, quando l'ex magistrato, relatore nella commissione Affari costituzionali per la riforma dei servizi segreti, voleva chiamare l'agenzia per la sicurezza esterna con l'acronimo Sise. Da buon torinese, l'ignaro Violante non sapeva che nel Meridione è uno dei nomi con cui viene chiamato il femmineo décolleté. Un salvataggio da riconoscenza eterna. La trasversalità è mobile. La politica debole. Il collaborazionismo seduttore e molto tentatore.

(01 dicembre 2008)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #2 inserito:: Aprile 19, 2009, 04:57:58 pm »

Criticare è legittimo

di Denise Pardo


Troppi riflettori su Berlusconi. E Rai più faziosa di Mediaset. Il 'padre' di RaiTre giudica i programmi sul sisma. Difende 'Anno zero' e promuove Vespa.

Colloquio con Angelo Guglielmi

Nella rappresentazione del terremoto in Abruzzo, l'informazione Mediaset è stata più indipendente di quella della Rai. E Bruno Vespa "è stato il più composto nel racconto della tragedia". Mentre infuria la polemica sulla puntata di 'Anno zero' definita "indecente" dal presidente della Camera Gianfranco Fini, e sul suo conduttore, Angelo Guglielmi, ora assessore uscente alla Cultura della giunta bolognese di Sergio Cofferati e mitico direttore della gloriosa RaiTre che diede i natali televisivi proprio a Michele Santoro, assolve la trasmissione della sua creatura ("essenziale") e commenta la copertura mediatica televisiva del sisma.

Informazione televisiva e terremoto: quale giudizio dà?
"Francamente ho avuto l'impressione che tutte le tv sembrassero impegnate in un fondamentale obiettivo: valorizzare al massimo la presenza costante di Silvio Berlusconi, le sue lacrime, le sue parole, i suoi abbracci. Come presidente del Consiglio la sua presenza era necessaria, anche se non c'era bisogno che fosse così ostinata. Come uomo era anche necessario che si commuovesse. Ma è successo a molti altri di emozionarsi, però non hanno visto le loro lacrime andare in onda".

Se Berlusconi non fosse andato, sarebbe stato sommerso dalle critiche.
"Non è un problema di quantità di presenza. Il problema è come viene raccontata, enfatizzata, moltiplicata. È il modo in cui si passa e si taglia l'informazione. Ma devo riconoscere che nonostante il Berlusconicentrismo, la dignità, il dolore, l'umanità delle vittime era ben percepibile".

La puntata di 'Anno zero' sul terremoto e il suo conduttore sono ancora una volta alla sbarra.
"Qualunque giudizio si possa dare della trasmissione di Michele Santoro non si può che assolverlo e giustificarlo. Tanto più i disastri sono drammatici tanto più chiedono un'informazione critica che si ponga delle domande. I soccorsi approntati erano rispondenti alla gravità dei danni o in quei soccorsi, pur nell'apparente tempestività ed efficacia, si nascondevano ombre o insufficienze? Sono domande legittime. E in questo clima di conformismo e beatificazione, l'informazione di Santoro è assolutamente essenziale. Anzi: anche se avesse fatto fatto il furbo, andrebbe assolto".


L'accusa è sempre la solita, la faziosità. Forse il diritto alla critica è stato cancellato.
"Fazioso! Perché Bruno Vespa non lo è? E Report della brava Milena Gabanelli non è forse costruito per denunciare? È giusto che i linguaggi siano diversi. Ma questa volta lo sa chi è stato il più composto?".

Chi?
"Proprio il conduttore di 'Porta a porta'. Si è fatto riprendere nei sopralluoghi della tragedia con l'elmetto in testa, ed era un po' imbarazzante, ma si è dedicato poco a Berlusconi e molto di più al racconto del disastro. L'Abruzzo e il suo programma erano diventati una stessa cosa, senza soluzione di continuità. Bruno Vespa ha una sua bravura e ha fatto più informazione degli altri".

Ha rilevato differenze tra la rappresentazione fatta dalla Rai rispetto a quella di Mediaset?
"Sì. La Rai era più fastidiosa nella costanza di voler dimostrare devozione verso il presidente del Consiglio. Forse Mediaset può permettersi di non dichiararla continuamente. Invece, la tv pubblica, per mille motivi, paura del nuovo vertice, vigilia delle nomine, si sente più in dovere di eccedere nello zelo. Le tv del premier, in effetti, hanno meno bisogno della Rai di dimostrare fedeltà"

(17 aprile 2009)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #3 inserito:: Maggio 08, 2009, 11:47:47 pm »

L'harem di Silvio

di Denise Pardo


Attrici. Parlamentari. Premier straniere. Operaie. Il gallismo di Berlusconi non risparmia nessuno. Tra feste. Regali. Bigliettini. E gaffe internazionali

Anche nell'intellettuale blog 'Attrici e modelle' (sottotitolo: 'Purché sian porcelle'), la notizia ha fatto sensazione. Tanto da far impallidire scoop come la sfida a poker di Paris Hilton contro la coniglietta italiana di Playboy. «Donne esultate! Silvio Berlusconi è single!», questo era l'euforico titolo d'apertura dell'artistico blog, notevole punto di riferimento delle sempre più numerose amicizie del nostro premier. La decisione sofferta e spettacolare di Veronica Lario, esausta di aspiranti euroveline e di adoranti piccine cinguettanti 'Papi' (che sarebbe lui), di chiedere il divorzio e di lasciarsi alle spalle un rapporto di 30 anni, spalanca, in effetti, interessanti prospettive e speranzosi interrogativi: «Silvio ne approfitterà per abbandonare la politica e darsi alla pazza gioia?», si torturano sul blog. Non si sa. Quel che è certo è che nessun leader al mondo ha occupato per anni le prime pagine della stampa del globo con le sue vicende matrimoniali segnate sia pubblicamente che privatamente dalla sua ossessione per l'universo femminile.

Un'ossessione antropologica nel migliore dei casi da film anni '60. «Venite in Italia a investire: ci sono delle gran belle segretarie», ha allettato così gli imprenditori americani. «Amo la Francia. Basta contare le fidanzate che ho avuto», si è pavoneggiato. «Noto delle gambe da sballo che circolano», ha sospirato a un congresso di An. In pratica, sembra di assistere alla versione (anche da esportazione) dell'italiano bulimico dell'altro sesso, occhi strabuzzati e il fischio in tasca. L'alfiere unico e autentico della rediviva corrente politica: il gallismo berlusconiano.

Un gallismo molto rappresentato. Un gallismo 'del fare', capace di trascinare il primato dell'avvenenza, il bello, nel senso femmineo, della diretta nel Parlamento nostrano, solcato, ante lui, dai polpacci robusti di madri della patria dai baffi politicamente rassicuranti. E di introdurre nel suo attuale business, la politica, l'assalto di bellone e sellerone al Palazzo (Chigi e Grazioli). Con al seguito: il via vai di costosi bouquet di fiori dai colori passionali (Veronica ci tenne a puntualizzare pubblicamente: non erano indirizzati a me»). La pioggia di regali preziosi e non solo natalizi (a collaboratrici, mogli di notabili, deputate e ministre). Lo sventolio di bracciali di diamanti a maritate ma molto avvenenti annunciatrici tv (Virginia Sanjust di Teulada, sorriso indimenticabile ma marito spione). Senza dimenticare i bigliettini a giovani promesse della politica, passati clandestinamente, come durante i compiti in classe più o meno all'asilo e non a Montecitorio (a Nunzia De Girolamo e Gabriella Giammanco, neo elette grazie a lui che, ben educate, gli rispondono: «Accettiamo inviti galanti solo da te, caro presidente!»).

E poi lo sciame sempre più nutrito di donne azzurre e di rango, promosse e candidate da lui, quindi in estatica ammirazione sulle quali fioccano complimenti decisamente tecnici. «Come sei bella. Sembri una bambina» (a Maria Stella Gelmini, ministra dell'Istruzione, nota per avere la flessuosità di una scopa). «Che sberla di donna» (di Daniela Santanchè, di destra e non docile che prima delle lezioni, e senza azzeccarci, gli risponde: «Se continui così la sberla te la daranno gli italiani»). Per non parlare della sciaguratissima frase a Mara Carfagna, assurta a ministro delle Pari opportunità («Se non fossi sposato, ti sposerei» smentita come criminosa distorsione bolscevica e sostituita in: «Sei una ragazza perbene e da sposare»), detonatrice dell'esplosiva lettera con pubblica richiesta di scuse da parte di Veronica.

Fenomenologia di Berlusconi e le donne. Che siano giovani ( molto meglio) o attempate, attrici o donne comuni, indigene o forestiere, su tutte il premier che punta al plebiscito, specialmente femminile, prova, esercita, saggia il suo dépliant seduttivo. Una saga infinita. Con molteplici ruoli in commedia. Dalla mammasantissima come il sindaco di Milano Letizia Moratti alla rossa ex inchiestista Mediaset delle notti sado maso di Ibiza, il sottosegretario al Turismo Michela Vittoria Brambilla, l'unica, dicono, a non doversi fare annunciare presso il Capo, ringhiosa candidata alla poltrona di ministro. Fino alle anonime protagoniste dei racconti leggendari di cene da Alì Babà nelle sale affrescate e barocche della residenza romana, versione invernale delle notti brave in Costa Smeralda tra finti vulcani in piena eruzione, cactus e fanciulle in fiore, ora riconoscibili, pare, nell'appartenenza alla setta di Silvio perché tutte omaggiate da un certo modello di macchinetta inglese e dal ciondolo a forma di farfalla da appendere al collo.

«Ah, se applicasse fioretti e promesse anche al suo rapporto con le donne», avrebbe detto il probo Gianni Letta una sera a conclusione di un racconto del Cavaliere sul suo giuramento, mantenuto, di smettere di fumare e di giocare a carte. «L'attrazione per il gentil sesso? È solo galanteria. Esuberanza. Non c'è nient'altro», ha assicurato don Antonio Zuliani dall'alto del suo mezzo secolo di confessore e guida spirituale della real casa.

Ma nel Pantheon berlusconiano la figura femminile è lo specchio di Narciso. E quindi, il premier non può farne a meno. Da quando è sceso in campo, ha sparso umanità femminile nei vari angoli del suo percorso come fosse il sale della sua vita. «Per svecchiare la politica», ha spiegato lui incompreso, elencando lauree e competenze di floride e dotate fanciulle, le Elvira Savino (eletta Miss Montecitorio) le Annagrazia Calabria, delle deputate folgorate nel cono di luce del premier Beatrice Lorenzin o Laura Revetto, ora in grande spolvero nella corte berlusconiana e quindi molto invidiata. Sacre o profane, Penelopi o Bagatelle, il Cavaliere incasella la variopinta e leggiadra collezione, di anno in anno più gonfia di un soufflé, nel suo modo ordinato, preciso fino all'inverosimile e degno di un vero lombardo. Prima o poi, per ogni fortunata che intercetti la sua strada, arriva un ruolo e l'appartenenza ben delineata a un gruppo.

Certo, l'iconografia prediletta è più 'Wilma dammi la clava' che tendenza Obama. Anni fa, ma non ha cambiato di una virgola l'ardita tesi, spiegò, inaugurando un nido per bambini: «Nella coppia, i compiti sono divisi: il padre pensa a mantenere la famiglia e la mamma sta a casa con i bambini». Un'apertura (mentale) pari a una serranda socchiusa. Ma in fondo non potrebbe essere altrimenti per uno strutturato com'è lui, convinto che le donne siano niente di più che «una categoria». A pensarci bene, è già qualcosa. Una conquista per chi, sotto sotto, dovrebbe ringraziare per la sua nascita una costola. Non a caso il punto più alto dell'Olimpo femminile del Cavaliere è occupato, ovvio, dall'indimenticabile, e scomparsa, Mamma Rosa. Un vuoto incolmabile. Con lei tutti i lunedì, pranzo ad Arcore mano nella mano. Tutti i Natale a guardare insieme il bellissimo presepe e Silvio modesto e sempre tenero che commenta:«Guarda, io sono il bambinello e tu la Madunina».

Mai valchiria, Mamma Rosa è solo angelo. E massaia icona per le votanti di Silvio, impoverite dall'euro ed esortate, dopo l'orgogliosa rivelazione filiale, a trasformarsi come lei in rabdomanti della spesa alla ricerca del ravanello e della zucchina più convenienti. Naturalmente, sacre anche le zie suore mai bene identificate (numero variabile: a volte due, a volte tre, persino sei, a seconda dell'uzzolo del momento e del gradimento del Cavaliere in Vaticano).

E anche le figlie, riservate e brave mamme come Marina e ora Barbara, al settimo mese della sua seconda gravidanza, e giudiziose come Eleonora, che con discrezione si è data alla grande, andando a studiare in America. Un'aureola spetta di diritto alle mogli. Certamente all'ex Carla Elvira Dall'Oglio (che lo folgorò alla fermata dell'autobus), esiliata poi a Londra e che nessun umano ha mai più sentito parlare dopo la separazione: nel mondo delle Berlusconidi il silenzio diventa davvero d'oro. Regola che ora è apparsa inaccettabile a Veronica Lario, secondo lui «bella, intelligente, indulgente », ma in tempi non sospetti, prima di dare il via alla guerra d'indipendenza dal marito incontenibile. La signora al momento è sospesa, si pensa, dall'ambito e intoccabile Eden della sacra famiglia e rischia grosso ora che ha dato prove inaudite da matrioska o ancora peggio da sufraggetta.

E non fa nulla se il Cavaliere poi venga fotografato a Villa Certosa in Sardegna in grande relax e con le ginocchia occupate (per esempio da Angela Sozio, ex del 'Grande Fratello', aspirante delusa a un'eurocandidatura). O che si scopra la sua interessante amicizia con Loredana Lecciso o con Eleonora e Imma De Vivo, pestifere gemelle napoletane dell''Isola dei famosi' («Siamo il suo portafortuna», hanno rivelato). O ancora: che venga intercettato mentre raccomanda le certamente talentuose Evelina Manna, Elena Russo, Antonella Troise, Camilla Ferranti ad Agostino Saccà, rivelando come il Capo, cioè lui, abbia bisogno di risollevare il morale. Meno male che Silvio può contare sulle vestali, le custodi dell'essenza berlusconiana. Sacerdotesse come Marinella Brambilla, storica e implacabile segretaria, figlia della governante del premier, votata al credo: «Non è ancora nato chi può far fare al dottore qualcosa contro la sua volontà».

O come Mity Simonetto, fidatissima porta-beautycase (con tutto il make up del Cavaliere compresa la pittura e gli stencil per dipingersi i capelli), inventrice dell'adorabile aspetto da 'muppet' del premier, grazie a calze e filtri sulle telecamere, e collezionista di tutte le foto in circolazione del Capo, comprate a suon di dobloni per assicurarsi il controllo totale dell'immagine. Hanno fatto parte del clan anche Deborah Bergamini, ex assistente del Cavaliere, poi passata in Rai a più alti incarichi, anche quello di trait d'union segreto tra viale Mazzini e Mediaset, ora deputata azzurra tra le più fanatiche e Francesca Impiglia. Un tempo anch'essa assistente di Berlusconi, fotografata sempre in estate, sempre in Sardegna mano nella mano con il suddetto, rappresenta un'altra possibilità del buonismo berlusconiano. Non la strada politica, ma quella del giornalismo, dove è atterrata felice al Tg4 di Emilio Fede, dopo essersi sposata, onorata dal premier come testimone (lo ha fatto pure per l'onorevole Savino). Anche in Abruzzo, nonostante la tragedia e il suo spendersi, l'entusiasmo nei confronti del genere femminile non si è fermato. Il 25 aprile ha chiesto se poteva palpare l'assessore provinciale trentina Lia Beltrami, trasformandola in una statua di sale. Ha regalato una novella dentiera alla sua coetanea Anna Di Carlo che l'aveva persa.

A due ottantenni sotto choc ha promesso due tailleur, ottimi per trovare nuovi fidanzati, anzi ci poteva pensare lui avendo vari amici centenari. Ma l'editore delle ragazze Fast food di 'Drive in' e delle ragazze Cin cin di 'Colpo grosso', prime avvisaglie del modello femminile dell'universo berlusconiano, certo non demorde nemmeno fuori dai confini. Nell'incontro con il presidente venezuelano Hugo Chávez estrae il cellulare, fa un numero e gli passa l'apparecchio con aria complice. In linea c'è Aida Yespica, la bella venezuelana alla quale dice: «Con te andrei dovunque ». Nessuno ancora è riuscito a dimenticare il premier-cucù che ha messo a dura prova Angela Merkel alla quale continua a stampare baci affettuosi, pur avendo ricevuto il messaggio, in via confidenziale e diplomatica, che il cancelliere non gradisce essere baciata.

E come non ricordare la gaffe con la presidente finlandese Tarja Halonen dopo il racconto corale sul fatto che, grazie alle sue arti da playboy, si era convinta di come Parma sarebbe stata la sede ideale per l'Authority del cibo. «How do you say gnocca?», chiede a proposito di Margaret Thatcher (per dire che non lo era), scatenando lo scandalo dei giornali inglesi. A Mosca, nello stabilimento della Merloni rincorre un'operaia («La più bella») che tenta di sfuggirgli per dimostrare la sua benevolenza baciandola. Nessuna aveva mai osato stopparlo. Finché ora in campo è scesa Veronica.

(07 maggio 2009)
da espresso.repubblica.it
« Ultima modifica: Maggio 08, 2009, 11:49:49 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #4 inserito:: Gennaio 14, 2011, 11:14:07 am »

La clava del Cavaliere

di Denise Pardo

Oggi arriva la sentenza della Consulta sul Legittimo impedimento. "L'espresso" vi invita a ingannare l'attesa con questo ritratto-verità dell'uomo che meglio rappresenta la plumbea fase finale di Berlusconi: Alessandro Sallusti

(13 gennaio 2011)

Ha spinto a tavoletta sul Caso Boffo. Per non parlare della campagna contro i fedifraghi Gianfranco Fini e Italo Bocchino più relative famiglie. E ora, dopo anni e anni di lavoro gomito a gomito, da eterno numero due, la guerriglia tra lui e Vittorio Feltri. Il "Giornale" versus "Libero", i due quotidiani d'area e riferimento: editoriali velenosi, rivendicazioni perfide, "io amo Silvio più di te", questo in pratica il senso insieme all'obiettivo copie, con panni pericolosamente sempre più sporchi e non lavati in una famiglia giornalistica di destra in disgregazione, tale e quale quella politica. Per uno come Alessandro Sallusti che racconta di aver fatto il volontario nei lagunari, i marines dell'esercito italiano, appassionatosi alle operazioni stile commandos, elmetto con alghe d'ordinanza in testa, coltello in bocca, l'aria che tira è da sballo.

Dopo una vita da sottomarino negli abissi delle redazioni, da dicembre direttore unico e solo al comando del "Giornale", sgominato un duro come Feltri, è diventato il più fulgido, contemporaneo e sfrontato esempio di berlusconiano da combattimento. Agente provocatore e artificiere al centro delle polemiche più roventi dell'ultima stagione del Cavaliere. Si è diviso da Feltri, ma ha fatto di più.

Ha stretto un sodalizio di ferro, di vita e business con Daniela Santanchè, sottosegretario- sexy, seguace del fai-da-te che ne ammazzi tre, pugnace consigliori del premier e - che comodità - pure titolare della concessionaria di pubblicità del "Giornale". Accusata da Stefania Prestigiacomo di essere una specie di Madeleine Forestier di "Bel Ami" ovvero il direttore occulto del "Giornale", sarà stata lei l'artefice della trasformazione di Sallusti da culo di pietra da redazione a giornalista più presenzialista e più invitato del centrodestra?

Da lui mai un no, anche a una richiesta dell'ultimo momento: gli acchiappa ospiti dei salotti tv lo adorano, e in più, la fissità dello sguardo e della mandibola, le randellate di parole, che arte nel far uscire dai gangheri chiunque! Ma appena spente le luci dei set, uno zucchero, dicono tutti, baciamani, inchini, pacche affettuose, «stai bene, caro?». Difficile definirla responsabilità della pigmalione Santanchè in tutto questo. Però se un bel giorno il colonnello Kurtz, quello di "Apocalypse Now" (ma nel Web, le due principali e malvagie correnti di pensiero accreditano Sallusti fisiognomicamente a cavallo tra Nosferatu e lo zio Fester, famiglia Addams) si imbatte in una Sarah Palin (prima della furia di Daniela verso Fini, via della Scrofa, sede di An, il suo ex partito, era quasi l'Eden) è un miracolo che non piova napalm.

Così, nonostante la disapprovazione non silente delle colombe Pdl, il premier va in brodo di giuggiole non solo per la coppia ma soprattutto per le pubbliche dichiarazioni di lui. D'altra parte, difficile non andare pazzi di uno che, nei talk show, senza battere ciglio e senza fourire, sbuffa: «Ma cosa c'entra Dell'Utri con Berlusconi?». Un portento per il Cavaliere. Un fenomeno capace di provocare azioni e reazioni paradossali.

A La7 raccontano che l'8 gennaio è arrivata una telefonata alla redazione del programma "In onda": «Ma avete invitato Sallusti senza contraddittorio? », ha chiesto Maurizio Belpietro, direttore di "Libero" ora alleato, socio (con la famiglia Angelucci) di Feltri, tornato amico, nel suddetto quotidiano. «Perché? È diventato un esponente di un partito? », è stata la risposta-domanda. Eppure nonostante elaborati editoriali e ardite argomentazioni televisive, i nemici annidati dietro le colonne del Palazzo romano sostengono che il direttore del "Giornale" non capisca un'acca di politica. A proposito di Santanchè, si diceva: il potere degli incontri. Vero. Anche se a lui, prima di conoscere lei, non mancava né l'indole né la vocazione. Un nonno repubblichino, due matrimoni, un figlio, il nostro nasce a Como, classe 1957, e dopo diploma e leva, sceglie la strada del giornalismo. Sa maneggiare bene i fucili, confida ai colleghi nelle lunghe notti dei turni in redazione. Ha esperienza con gli esplosivi. Come si è visto, anche se solo sulla carta, certe tecniche gli sono comunque tornate utili. Fatto sta. Passa da un giornale all'altro.

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #5 inserito:: Maggio 10, 2011, 10:40:45 pm »

Intervista

(09 maggio 2011)

Contro B. restiamo uniti

di Denise Pardo

L'opposizione si è autoflagellata tre anni, con divisioni assurde. Facendo il gioco del premier.

Adesso basta. Ripartiamo dalla legalità per tallonare senza sosta il premier e vincere nel 2013.

Parla Emma Bonino

Da una parte il test delle elezioni milanesi cavalcato da Massimo D'Alema. Dall'altra il dibattito che tormenta l'opposizione, il centrosinistra e affini, sul percorso per tornare a battere Berlusconi e vincere di nuovo. E poi la battaglia sui referendum.

Emma Bonino, giacimento di consenso non proprio nel cuore del Pd, vessillo radicale e non solo, vice presidente del Senato, ha idee chiare sulla strada da intraprendere "prima che il Paese si perda per sempre". Cita Arendt, Gandhi e Sciascia e lancia la "rivoluzione legalità".


Allora, elezioni milanesi e opposizione. Massimo D'Alema ha stressato l'appuntamento: se Berlusconi perde deve andare a casa. E se vince?
"D'Alema è recidivo. Già nel 1999 si infilò in un trabocchetto: considerare la sfida elettorale delle regionali un referendum su Berlusconi. Perse e dopo si dimise. Come è possibile che caschi nello stesso gigantesco trappolone teso ancora dal Cavaliere? Sa perché succede? Perché ancora una volta non si rispettano i livelli istituzionali. Anch'io credo che le elezioni milanesi abbiano una valenza incisiva, infatti presentiamo Marco Cappato capolista della lista Bonino-Pannella per Pisapia. Ma, attenzione, stiamo parlando di elezioni locali, molto significative, ma locali. E i temi per contestare duramente l'infinita gestione formigoniania e morattiana abbondano. Dall'Expo al fatto straordinario che Milano, patria della libera impresa, si stia trasformando nella capitale del pubblico. C'è perfino Milano Ristora: le pare che la famosa imprenditoria meneghina non sappia più fare neanche i panini?".

Le nuove Partecipazioni statali proprio nel cuore della Padania.
"L'altro giorno ero a un dibattito con l'imprenditore siciliano Ivan Lo Bello e si diceva proprio come questo modello abbia funzionato ben poco al Sud. Ora pari pari lo ritroviamo al Nord?".

Tornando alle elezioni, il sostegno del Pd a Giuliano Pisapia, candidato non ortodosso, è virtuale o reale?
"Mi sembra che nelle ultime settimane ci sia una reale mobilitazione. Spero solo che non gli capiti quello che è successo a me: a dieci giorni dalle elezioni Dario Franceschini e Rosy Bindi ebbero il piacere di dire che non ero la loro candidata ideale".

Le lotte fratricide, altro problema grave. Ma al di là dell'anti-berlusconismo, cosa dovrebbe fare l'opposizione per riuscire a essere più convincente?
"Per esempio, ora: siamo di nuovo in campagna elettorale. E l'Agcom ha dimostrato quanto siano già debordanti i tempi delle apparizioni di Berlusconi in televisione. Non è il caso di mobilitarci per questo? Di fare degli esposti, andare in piazza, presentarci in tribunale, chessò, fare qualcosa. Vogliamo che finisca come le regionali, come in Sardegna, con lui tutti i giorni in tutti i tg - questa volta probabilmente presenterà pure il meteo - fino alla vittoria finale?".

Sbandierare la sua supremazia mediatica non ha portato grandi risultati. Evidentemente il percorso è un altro. C'è crisi, c'è disoccupazione, la gente non arriva alla fine del mese.
"Il percorso è uno solo. O si capisce che la battaglia delle battaglie è il rispristino della legalità e che le leggi scritte vanno rispettate oppure tutto è inutile, il Paese è perso. Non si tratta di optional. E io mi rifiuto di essere trascinata a parlare di grandi riforme, a disegnare piani straordinari per lo sviluppo e per il lavoro, importantissimi certo, se prima, però, non si stabilisce questo principio. I nostri problemi sono enormi, giustizia, immigrazione, economia, come stare in Europa e nel mondo: temi sui quali non sempre la sinistra ha dato risposte e se le ha date non sono state sempre convincenti. Per questo l'alternativa radicale è attuale e credibile. Da noi, ormai, non esiste legge politica o economica che non venga infranta. Eppure sembra che l'opposizione non percepisca quanto la situazione sia grave. Tutto finisce per tradursi in quella che Hannah Arendt ha chiamato la banalità del male".

E quindi, quale formula?
"Non spallate, né scorciatoie, vedi il Terzo polo, come fu a suo tempo la Lega costola della sinistra o ultimamente il compagno Fini. Dobbiamo attrezzarci a battere Berlusconi alla scadenza naturale, lasciando fare alla politica il suo corso, facendo opposizione in Parlamento, tallonando senza requie governo e maggioranza in commissione come in aula. Gutta cavat lapidem, non bisogna mai dimenticarlo".

Alberto Asor Rosa ha invocato l'esercito. Rosy Bindi l'Aventino...
"Quando a Milano assessori e consiglieri comunali di destra e di sinistra siedono nei cda delle aziende pubbliche, quando ottenere l'anagrafe degli incarichi pubblici diventa impossibile, quando non c'è trasparenza, perché mai la signora Maria o la signora Amelia dovrebbero appassionarsi di nuovo alla politica? Naturalmente la malattia endemica della politica italiana viene da lontanto, vedi Mani pulite. Berlusconi ne è stato frutto e anche potentissimo acceleratore. La mia sarà pure un'ossessione einaudiana, ma la democrazia è legalità e la vera rivoluzione può essere solo questa".

La scelta della leadership è prioritaria? Al tempo, venne individuato Romano Prodi. Poi arrivò il resto.
"Si vagheggia di governi di decantazione (Veltroni-Pisanu) o tecnici, di comitati di liberazione nazionale, di angeli esterni come Luca di Montezemolo. Bah. C'è un segretario, Pier Luigi Bersani, dunque... La verità è che il Pd ha un problema di leadership ma anche troppe posizioni diverse che lasciano spazio ai Di Pietro, Vendola, rottamatori, grillini... Ci si dovrebbe concentrare su una politica nuova, non discutere a vuoto sulla leadership in termini di autoflagellazione".

Forse il collante per tenere radicali, vendoliani, anime cattoliche, è proprio un leader condiviso e autorevole.
"Il leader non è secondario. Ma viene dopo. Non sottovaluto il carisma, purché rappresenti qualcosa. Mario Draghi, per esempio, è simbolo di serietà e non è nemmeno noioso. Se va alla Bce lascerà un grande vuoto e mi preoccupa molto chi lo riempirà. Ma non ci sono formule magiche per unire. Basterebbe la volontà. Gandhi sosteneva che prima si è derisi, poi combattuti e alla fine si vince. Ma li vedo ancora tesi a trovare il deus ex machina, la spallata o un giudice qualunque, soluzioni solo perdenti".

Quando dice "noi" e poi "li" a chi si riferisce?
""Noi" è noi radicali. "Li", sono loro, il Pd. Sa, trovo veramente stupefacente che non ci sia nessun contatto politico tra noi e loro. Ho provato tante volte a rincorrere Bersani, a stabilire una comunicazione. Nulla. Eppure facciamo un lavoro parlamentare che tutti riconoscono serio non servile ma certo leale. Quando dissento, informo Anna Finocchiaro "Presento quest'emendamento, questa mozione". Ma non siamo stati mai oggetto di consultazione o di rapporto. Evidentemente ritengono poco interessante il nostro contributo politico".

Eppure il Pd con Antonio Di Pietro...
"Forse con "loro" valgono solo i rapporti di forza, che dire: tanti auguri. Fu Veltroni nel 2006 a dare l'apparentamento all'Idv, se no la storia sarebbe stata diversa..".

Il mistero Bonino. Il consenso su di lei è notevole e trasversale, anche a livello internazionale. E' donna ed è una risorsa, eppure...
"Eppure. Non so nemmeno io perché. Prendiamo la Rai. Per "Ballarò" non esisto. C'è, invece, una compagnia di giro di una ventina di persone: Di Pietro, Bindi, Castelli, La Russa, Fitto sono loro a essere sempre invitati. Sono grata, invece a Fabio Fazio che mi ha resuscitata a " Vieni via con me" e a "Che tempo che fa". E non è che gli ascolti in tv non mi premino, anzi. Forse la ragione sta nel mio essere non organica e non rispettosa di certe ortodossie. So che alla sinistra non piaccio perché non voglio battere Berlusconi sul bunga bunga. Per me la condizione femminile è ben più complicata e articolata. Preferisco dimostrare che il premier non sa governare e non ne ha azzeccata una".

Secondo molti, il problema è il cordone ombelicale con Marco Pannella.
"Per carità di Dio: la famiglia radicale è sacra. L'altro giorno in aereo un signore mi sommerge di apprezzamenti: come ho fatto bene da ministro del Commercio, etc etc. Poi come molti sbotta: "E però Pannella digiuna di nuovo". E io: "Le fa qualche danno? No. Ne condivide le ragioni? Sì. E allora perché la irrita l'azione di un signore che accetta la derisione e il peso di un digiuno in nome di un'idea? Non sarà che è questo a metterla in difficoltà?". Risposta: "Non ci ho mai pensato, mi irrita e basta". Credo che il clima del Paese, e la brutalità in giro, rendano queste forme di protesta non violenta insopportabili".

Come i referendum, a quanto pare. Qualunque cosa pur di bloccarli.
"La storia dei tradimenti referendari ha una lunga tradizione. Quelli vinti sono stati ignorati. Una cinquantina non sono stati ammessi dalla Corte costituzionale. Per cinque volte si è andati alle elezioni anticipate per evitarli. Berlusconi è l'ottimo allievo dei maestri del passato: moratoria sul nucleare, inserimento della norma sulla acqua nel dl sviluppo...".

In un dibattito D'Alema ha detto che il ventre del Paese ha sempre partorito i Berlusconi.
"Penso che avesse invece ragione Leonardo Sciascia. Sosteneva che l'Italia non vede l'ora di essere governata. E che non esiste Paese più paziente, capace di mettersi in fila di fronte a un qualunque servizio che naturalmente non funziona. C'è piuttosto per molti una grave responsabilità di non governo e non è che la sinistra al governo sia stata così brillante. Non voglio tirare in ballo il caso della Campania ma insomma...".

Intanto lo spettro è che dopo il presidente Napolitano, al Quirinale arrivi il Cavaliere.
"Veramente andrei io al Quirinale. Perché no? Anzi, perché no, lo so. Non faccio parte di "noi".

Noi chi, questa volta?
""Noi" nel complesso".


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« Risposta #6 inserito:: Maggio 21, 2011, 10:18:27 am »

Politica

Voglio un Pd come Jack Sparrow

di Denise Pardo

«Un partito all'arrembaggio, tipo il pirata dei Caraibi. Per costruire l'alternativa al berlusconismo con chi ci sta.

Evitando pasticci come quelli che abbiamo combinato a Napoli e in Sicilia». Parla Enrico Letta

(18 maggio 2011)


Aspettavamo un momento come questo da cinque anni, un tempo infinito". Nella stanza che fu di Beniamino Andreatta all'Arel, proprio dove fu offerta la leadership a Romano Prodi, Enrico Letta, vice segretario Pd, commenta i risultati delle amministrative, Milano in testa, inaspettati, dunque esaltanti.

La lezione di questo voto?
"Dobbiamo fare il grande sforzo, noi in primis, per cambiare la bussola, tarata proprio da Silvio Berlusconi sui punti cardinali della guerra fredda: destra, centro, sinistra, radicali, moderati. E puntare su comportamenti, persone, valori. E sobrietà, soprattutto. Oltre che sul metodo con cui si viene designati, Torino e Milano sono frutto delle primarie. C'è stato il pasticcio di Napoli, è vero, ma lì sono state inquinate".

A proposito di bussola, nessuna esplosione del Terzo Polo. Lei, sostenitore del centro, che ne dice?
"Il Terzo Polo non ha ancora un profilo definito. In più, il voto trasformato da Berlusconi in un test sulla sua persona ha tolto lo spazio a un'altra posizione. Detto questo, penso come lo pensa Bersani, che si debba trovare un'intesa con Casini. Paradossalmente ora è più fattibile: le elezioni hanno dimostrato che le prospettive di un centro solitario si sono ridimensionate rispetto alle aspettative".

Eppure persino Romano Prodi ha detto che l'alternativa non parte da lì.
"Ha ragione Prodi. Partiamo da noi stessi. Mettiamo il progetto e l'idea di Italia al centro. Apriamo una grande piazza virtuale e fisica da cui con Bersani, Di Pietro, Vendola e Casini lanciare l'invito a persone non professioniste della politica, come fu ai tempi dell'Ulivo, e come è stato per Giuliano Pisapia. E far partire tre priorità: i giovani da rimettere nel motore del paese, la politica da riformare, i saperi sui quali investire per una crescita basata su imprese solide e di qualità. Sono convinto che si farà un'intesa costituente in vista di una prossima legislatura per un buon governo e per riscrivere le regole di una nuova sobrietà, anche e soprattutto verso i privilegi pubblici. Oggi sappiamo che l'alternativa ci può essere, e che gli italiani la chiedono. Ma questo è un discorso di prospettiva".

E ora, invece?
"Primo, concentrarci sui ballottaggi. E oltre a Milano, ci sono tante altre città da vincere. Secondo, portare uno come Sergio Chiamparino nella cabina di guida del Pd e lanciare subito Nicola Zingaretti alla riconquista di Roma. Terzo, soprattutto non pensare che per il centrosinistra sia fatta. Al Nord sta andando bene. Ma c'è un problema molto profondo al Sud, in Calabria, in Campania dove abbiamo governato e male. Per non parlare della bella confusione in corso in Sicilia. Non dobbiamo né possiamo sbagliare l'analisi".

Prodi ha anche detto, e lui se ne intende, basta con le alleanze spurie e strane. Casini e Di Pietro, per esempio?
"Stanno già insieme in regioni e città, vedi le Marche. Ma io non sono ossessionato dalle alleanze, anzi basta parlarne. Verranno da sé.
Due anni fa, lei avrebbe immaginato che in queste elezioni Fini e Casini avrebbero fatto di tutto, come hanno fatto, per buttare giù Berlusconi? E che non si sarebbero schierati né con Moratti né con Lettieri? La politica è un percorso e parlare ora di future alleanze può sembrare azzardato ma la mia previsione è che si faranno".

Il Pd ha un bel problema di lotte fratricide ripetute all'infinito.
"Il vero punto di forza è che oggi siamo più uniti. Alla riunione del coordinamento, dopo la sua relazione Bersani ha avuto un applauso caloroso. Tutti hanno detto inutile discutere, chiudiamo qui. Abbiamo imparato. Negli ultimi tempi nei confronti dell'opposizione, il sentimento comune si era trasformato da solidarietà ad atto di accusa. Questo è stato salutare. E forse ci aiuterà a cambiare quell'atteggiamento precisino e sgobbone che abbiamo spesso e che non va bene. La politica non può essere gestita con la logica dell'amministratore di condominio. Dobbiamo essere un po' meno Forrest Gump. Vorrei che provassimo io in primis, a somigliare di più a Jack Sparrow, pirata dei Caraibi".

Chi è il vincitore delle elezioni?
"Se il premier è lo sconfitto, il vincitore è Bersani, persona determinata e generosa. In questi anni è stato molto sottovalutato.
Ma è riuscito a tenere il rapporto con il Terzo Polo e a ottenere disciplina da Vendola e Di Pietro, due politici molto talentuosi ma spesso indisciplinati. In queste amministrative si è vista la generosità del Pd che si è fatto carico (sospiro) anche di vicende faticose, vedi Napoli, Bologna...".

Bersani è uno Jack Sparrow?
"Ognuno è quello che è. Intanto, però, facciamogli vedere il film".

Dietro l'angolo c'è Montezemolo.
"Sono convinto che ci sia spazio e posto per chi non viene dalla politica. Lui il leader? Noi proponiamo Bersani, il nostro segretario.
Quel che conta è che l'aria è cambiata perché l'abbiamo cambiata noi. C'è dell'orgoglio oggi, e lo voglio sottolineare. Siamo riusciti a mettere insieme larghezza di coalizione, generosità, buoni candidati, buoni programmi e unità. Forse la chiave è stato il tricolore, la sintonia con il sentimento di patriottismo dell'anniversario dei 150 anni interpretato in modo straordinario da Giorgio Napolitano.
E credo che il voto basso della Lega sia anche dovuto non solo a problemi nella maggioranza, ma all'aver toppato il feeling con gli italiani che nella vita di tutti i giorni appendevano la bandiera sul terrazzo di casa".

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« Risposta #7 inserito:: Giugno 20, 2011, 08:41:51 am »

Intervista

Vendola: 'Così vince la sinistra'

di Denise Pardo


Le amministrative e i referendum hanno parlato chiaro: primarie sempre, dialogo con tutti, consultazioni dalla base per decidere il programma. E basta negoziati tra i leader nei corridoi. Parla il leader di Sinistra Ecologia e Libertà

(16 giugno 2011)

Nichi Vendola Nichi VendolaQuando l'antropologia politica studierà miracoli e colpi di scena - le amministrative, i referendum - al tempo del berlusconismo ma al di fuori da esso, Nichi Vendola, leader di Sel, governatore di Puglia per ben due volte fuori ortodossia, vate delle primarie sempre, sarà al primo posto. Dopo di lui, Giuliano Pisapia sindaco - stesse radici - e il botto referendario. Vittorie sulle quali Nichi ha molto puntato e si è molto speso, a volte nel timore di tanti. "Potere al popolo", per lui è più che mai vero, nel senso di consultarlo, per andare oltre il vecchio modello di partito. Vendola parla di questo, del programma del centrosinistra da dare in outsourcing, dei rapporti con Bersani e Di Pietro, della possibile interlocuzione con Pier Ferdinando Casini.

Il successo delle amministrative. I referendum ben oltre il quorum. Improvvisamente, in Italia, la svolta.
"Bisogna considerare lo scenario globale e guardare con molta attenzione le novità dei segni che dalla piazza Puerta del Sol alla piazza Tahrir raccontano un network planetario, una rete della libertà e un linguaggio che declina l'alfabeto dei diritti, l'espressione dell'indignazione. E' la fine di un'epoca e di un'egemonia della destra che ha cucito insieme integrazione economica e disintegrazione socio-culturale usando un vocabolario cinico e maschilista, mercantile e predatorio che va dalla saga dei petrolieri texani a quella di Arcore con Apicella. Questo per ricordare in che mondo è capitato quello che è capitato in Italia".

Bene. Allora cosa ha determinato la svolta?
"Non il centrosinistra. Non i partiti. Ma i tanti movimenti che hanno lavorato alla semina, dissodato una terra molto pietrosa e inquinata dal berlusconismo".

Quali?
"In primis le donne che a febbraio, manifestando, hanno messo a fuoco la natura del berlusconismo: non una malattia ma una fisiologia, in qualche modo, l'autobiografia della nazione. I giovani, quelli dello slogan del "futuro è adesso", assillati da una gigantesca crisi sociale, dall'urgenza della precarietà del lavoro, della dequalificazione degli apparati formativi. Fiom e Cgil. I piccoli comitati territoriali, migliaia, l'associazionismo, il volontariato, la mobilitazione frontale del mondo cattolico. E l'impegno di due grandi cattedre: quella di papa Ratzinger e quella del papa laico, Mario Draghi. Ambedue hanno colto nella precarietà un dato di crisi globale della nostra società. Il mondo mette in movimento tanti mondi. Tanti mondi mettono in movimento il mondo".

Un patrimonio. Come capitalizzarlo?
"Un centrosinistra che lascia alle spalle l'immobilismo e la conservazione, è un centrosinistra che torna a vincere. Attenzione: torna a vincere perché è sospinto da un formidabile processo di critica verso le oligarchie. Vince perché ha vinto l'ingerenza democratica. Abbiamo assistito a una bella lezione sul modo di dirimere le controversie più incandescenti, no? Se avessimo convocato gli stati maggiori del centrosinistra per assumere una linea comune sull'acqua bene comune, non ci saremmo mai riusciti. Come abbiamo risolto, allora? Con la democrazia, con la partecipazione e la discussione collettiva. Sono stati i referendum a riscrivere un pezzo del programma del centrosinistra".

Ultimamente, lei ha prefigurato la nascita di un unico partito con Pd e Sel.
"Sarebbe un errore riprendere l'ordinario cammino dei partiti. Considero i partiti necessari ma non esaustivi, inadeguati per certi versi a rappresentare le domande di cambiamento. Su ciascun problema, continuiamo ad esibire le nostre magliette: io sono un radicale, tu sei un riformista, quello è un antagonista e tu sei un moderato. Vale solo il posizionamento simbolico. Ma poi la discussione come la facciamo? Mettiamola così: è cambiato il mondo. Lo so è una dichiarazione apodittica. Ma oggi il mio radicalismo consiste davvero soltanto nella considerazione che è finito il Novecento, a Fukushima, al Cairo, a Tripoli. Risolvere i problemi di oggi con gli occhiali di ieri, rischia di farci parlare con codici diventati arcaici. "


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« Risposta #8 inserito:: Agosto 02, 2011, 06:36:53 pm »

Politica

Maroni pronto per il dopo B.

di Denise Pardo

Lui continua a smentire, per carità. Ma tutte le sue mosse dell'ultimo mese non lasciano dubbi: il ministro dell'Interno si sta preparando a sostituire Silvio. Tessendo una tela che va da pezzi del Pdl al Pd

(29 luglio 2011)

E vedrai quando sarò presidente della Repubblica!". La dedica di tanto tempo fa racconta bene le ambizioni del giovane Bobo. E' scritta nitida sulla copia della biografia "Maroni, l'arciere", di Carlo Zanzi, l'autore, suo compagno al liceo Cairoli di Varese. Ma alla luce di quello che è successo negli ultimi giorni - il nome di Maroni evocato e approvato a destra e a sinistra (da Gianfranco Fini a Enrico Letta), la freddezza della combriccola Pdl (Denis Verdini ha il calore di una granita), il sorriso molto Udc di Roberto Rao (plenipotenziario casiniano) - il sottotitolo di quel libro appare ancora più significativo: "Scocca la freccia diplomatica del vice di Bossi, il "Barba" della Lega, l'uomo delle alleanze impossibili".

A quanto pare, è proprio così, a tanti anni di distanza. Roberto Maroni, quotazioni vertiginose nel caso di una futura premiership, ministro dell'Interno che ha portato ai padani lo scalpo promesso a Pontida, cioè lo smarcamento dal Pdl (l'autorizzazione a procedere nei confronti di Alfonso Papa votata con il centrosinistra), futuro ospite d'onore della festa dei Democratici a Pesaro a fine estate, quella freccia l'ha scoccata, ora. E ha centrato la mela della leadership berlusconiana in bolletta.

Sarà lui l'arciere (è davvero bravo con l'arco) liberatore e salvifico di una macro stagione repubblicana che sta portando il Paese dritto dritto verso un default finanziario, economico, politico, etico? La faretra di Maroni, avvocato, tastierista, fondatore insieme a Umberto Bossi della Lega lombarda, in gioventù simpatizzante di Democrazia proletaria e questo conta, è piena di frecce. Le usa con molta parsimonia e per forza: per Silvio Berlusconi, affatto rassicurato da Umberto Bossi ("E' solo un ragazzo") è diventato il certificatore delle congiure di Palazzo. C'è Pier Ferdinando Casini sul piede di guerra (e la base della Lega approverebbe). C'è il Terzo Polo che non aspetta altro. E soprattutto il popolo della Lega non ci sta più a perdonare le gesta berlusconiane. Grandi manovre, certo. Bloccate in fieri da Fini e con gran mal di pancia di tutti, reo di aver lanciato l'apertura a un "governo Maroni", rovinando il lavoro delle segrete diplomazie.
Di fronte al consenso che monta, il ministro-arciere (figura che nella mitologia leghista ha un segno profondo, vedi la Robin Hood tax di Giulio Tremonti) non batte ciglio. E' uomo accorto tanto simpatico e suadente in privato quanto affilato e scaltro nella strategia. Diffidente come un poliziotto in servizio (al ministero raccontano che ha le stimmate di un capo della Polizia). Mai contaminato dalla Roma dei poteri apparenti, né da quelli del Cupolone, laico fino al midollo. Sfiorato però dai clamori di compleanni piuttosto sfavillanti della sua portavoce Isabella Votino, molto bella, giovane e campana (un'anti valchiria padana), inseparabile amica dell'imprenditrice Luisa Todini, e dalle dichiarazioni di Fabrizio Corona (poi querelato) che l'aveva "paparazzato" con la suddetta Votino.

Sono anni che lavora alla costruzione di uno scacchiere di un potere grigio, da prima Repubblica paradossalmente: le nomine dei prefetti, simboli dell'odiato centralismo romano (i due fedelissimi, Angela Pria, capo dipartimento Affari interni e territoriali, e Giuseppe Procaccini, capo di gabinetto) condivise con l'opposizione che informa e consulta anche tramite il Pd Daniele Marantelli, detto il leghista rosso, ambasciatore di Pier Luigi Bersani (con cui il ministro è in ottimi rapporti), spesso in macchina insieme nei viaggi settimanali Varese-Roma. Il monitoraggio costante dell'Anci, l'associazione dei comuni italiani. Il cuore dello Stato, il cuore del Paese, il controllo del territorio. Sopravvissuto all'emergenza clandestini, sfumato il suo anti europeismo, non troppo speso sui ministeri al Nord, Maroni è riuscito a impersonare l'immagine di una Lega dialogante e non becera (anche se molti gli riconoscono una nascosta arroganza) trasformandosi nella negazione di quell'alibi sventolato da anni: non c'è alternativa al Cavaliere, e dunque così sia.

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« Risposta #9 inserito:: Novembre 22, 2011, 05:31:32 pm »

Attualità

Caccia al tesoro a casa Angiolillo

di Denise Pardo

Politici. Finanzieri. Industriali. Nei suoi riservati salotti sono sfilati i potenti degli ultimi decenni.

E ora arredi e opere d'arte del suo villino vanno all'asta

(31 marzo 2010)

(Ansa)Lei non c'è più. Ma c'è di nuovo movimento davanti al portoncino in legno chiaro. Un portoncino che per decenni non c'è mai stato né modo né lusinga per riuscire a forzarlo. Ora si è aperto, e per meno di 15 giorni, solo a visite privatissime e molto riservate, a un pubblico selezionato, come avrebbe voluto lei, di chi ha gusto e portafogli (almeno uno straccio di scudo fiscale, almeno un trust in Lussemburgo) per ammirare (e si spera ardentemente, per comprare) il prezioso contenuto di un villino, simbolo del Palazzo romano, inerpicato nel posto più bello del mondo, Trinità dei Monti, seguendo le curve barocche della scalinata di Piazza di Spagna.

E' lì nel villino Giulia che si custodisce la collezione di arredi e opere d'arte di Maria Angiolillo, scomparsa cinque mesi fa, gran sacerdotessa dei poteri e dei contropoteri, evidenti o occulti, capaci di inciuci, trappole e trame, che hanno gestito, forse più che governato, il Paese per oltre quarant'anni. Vedova di Renato, fondatore, editore del quotidiano 'Il Tempo', homo pre-berlusconianus in salsa fanfaniana che, agli inizi degli anni Sessanta, voleva fondare una tv commerciale, donna Maria, come amava essere chiamata, è stata custode di un format basato sulla segretezza, irremovibile di fronte a telecamere e obiettivi, al contrario di tante vanitose dame, nel non voler mostrare democraticamente il suo set. E il suo tesoro inviolato.

Ora se lo è accaparrato Christie's, ed è un gran bel colpo, ma sulla faccenda non una dichiarazione, non una conferma, non una smentita, insomma, bocche cucite, ancora una volta come avrebbe voluto Maria, e forse i suoi eredi, e così anche la fida governante Teresa e tutti i colf che custodiscono il villino, guai a parlare, ma chi ha visto e sa racconta che l'asta del tesoro si terrà a luglio e dove se non a Londra, crocevia del mercato più illustre e danaroso, e nel bel mezzo della season piena di miliardari di Mumbai, duchi di Bath, italiani d'oro e italiani in esilio dorato.

Quattro piani in tutto, ben tre destinati al karma di Maria: i pranzi e gli incontri che hanno dato celebrità al villino. A scandire il solfeggio degli inviti, un cerimoniale rigido. L'accoglienza del maggiordomo nell'ingresso dalla scala in ottone dorato, gli stucchi bianchi, i muri color burro.

Il vassoio d'argento con i bigliettini del placement dei tre tavoli, Alba, Meriggio e Tramonto a volte, Arcangelo Gabriele e angeli vari a Natale, Stella marina e simili in estate, nel giardino di limoni, pitosfori e violette selvatiche. Al centro dell'infilata dei salotti, uno, due e tre, damasco giallo, aragosta, verde acqua, nella cornice da hotel particulier degno del conte di Parigi, con mobili da palazzo reale, installazioni e opere dello scultore polacco Igor Mitoraj, grande amico, sfavillio di ori e argenti, c'era lei a salutare, sempre agitata: " Sai se Ferruccio sarà in ritardo?" domandava notizie di de Bortoli in arrivo da Milano con Francesco Micheli, ossessionata com'era dalla puntualità. Uno solo autorizzato a non assecondarla, l'amato Gianni Letta, cresciuto al 'Tempo', diventato direttore grazie a lei che lo suggerì a Carlo Pesenti, sempre al tavolo d'onore al suo fianco, ci fosse pure il papa in persona.

Poi arrivati tutti, e c'era sempre chi, e vedi com'è la vita, incontrava proprio quello che magari cercava da giorni, iniziava la discesa di due piani sotto, verso la sala da pranzo, alcuni a piedi, altri nell'ascensore dalle tende color cardinale, non più di due persone a volta, praticamente un confessionale. Un rito ripetuto all'infinito, sei, sette volte l'anno, appuntamenti fissi ottobre, dicembre, luglio, da quasi mezzo secolo.

Quasi una setta segreta i componenti, fino a quando Dagospia non le rovinò la festa, piazzandogli davanti al portoncino cena dopo cena Umberto Pizzi, un flash dopo l'altro ai big sulla Rampa Mignanelli, senza auto blu e quindi indifesi. La Angiolillo, soprannominata perfidamente da D'Agostino Maria Saura, si dannò per scoprire la talpa chiacchierona che spifferava la data dei suoi pranzi, controllando e incrociando la lista degli invitati seduta nel suo boudoir davanti allo strepitoso secrétaire di lacca rossa e oro, truccandosi nella salle de bain lillà. E consultandosi con alcuni dei suoi grandi suggeritori, Bruno Vespa, Carlo Rossella, Alfonso Dell'Erario, con i quali componeva il mix degli invitati, a seconda del momento e delle serate (tutte minuziosamente registrate in appositi diari, ah, averli!). Non ne venne mai a capo, semplicemente perché erano in tanti a dare la preziosa informazione sperando in future clemenze (di Dagospia).

Tavola delle due Repubbliche, prima noir, poi andreottiana, lib-lab, berlusconiana, ma soprattutto lettiana nel senso allargatissimo dell'affiliazione, la sala da pranzo di donna Maria, tappeti Aubusson, arazzi Gobelin, porcellane Meissen da Palazzo d'Inverno, petit point a go gò e chi più ne ha più ne metta, ne ha viste di cotte e di crude. Dall'Italia di Fanfani e Cossiga, del caso Calvi-P2 (sul quale inciampò Bruno Tassan Din di cui lei curava le pr), fino al Caf (Craxi, Andreotti, Forlani) e al dopo Tangentopoli. Ha sdoganato in società Gianfranco Fini. Ha accompagnato il ritorno nell'establishment di Francesco Bellavista Caltagirone, post scandalo Italcasse (mentre suo cugino Franco, editore del 'Messaggero', invitato per ben tre volte, non ha mai voluto varcare la soglia del villino).

Al suo desco, almeno metà di tutti, ma proprio tutti i governi, persino Umberto Bossi e Maria commentò come si era comportato bene anche se certo, non tutti possono essere dei lord, e si capisce. E poi Walter Veltroni (il debutto quando era direttore de 'l'Unità'), Massimo D'Alema (colazione con i poteri forti per dimostrare che l'uomo era civile), mezza sinistra insomma, Pier Luigi Bersani, Piero Fassino, Giovanna Melandri, a subire la prova del fuoco dei cinque bicchieri e delle quattro forchette o simili (sarà stato un caso, ma quando c'erano i 'comunisti' non mancava mai una strana posata a due rebbi, quella per 'les escargots' e chi l'aveva mai vista, diciamoci la verità, compagni). Forse proprio lì, varcando il famigerato portoncino, la falce e il martello di Fausto Bertinotti sono usciti davvero ammaccati.

Pochissime signore, in casi rari qualche moglie, mai ragazze senza fede (al dito) e fedifraghe potenziali, quindi. Mica erano serate di divertimento, lo scopo era diverso: chiacchierare senza occhi indiscreti, finalmente dopo la cena, rigorosamente francese, tornando su di un piano, dove un'ulteriore sinfonia di salotti e salottini di velluti gonfi di piume, preziose console e specchiere da papa re, aspettavano gli ospiti. Gianni Agnelli, Cesare Romiti, una volta Marco Tronchetti Provera, un'altra Emma Marcegaglia da presidente di Confindustria, il cardinale Agostino Casaroli e anche il cardinal Giovan Battista Re, il potere del passato e del presente, tutti in attesa di appartarsi per aiutare la Provvidenza, risolvere i problemi, fare ammenda, sussurrare emendamenti.

Un'atmosfera ovattata, un'architettura così discreta e perfetta (alla colazione per D'Alema, la padrona di casa, al caffè, lasciò soli i signori uomini) da rendere difficile il vedere chi è seduto nel salotto accanto. Negli anni, naturalmente non sono mancati neanche i grand commis, né Draghi, né Grilli, nel senso di Mario, nel senso di Vittorio.

Così, aggiudicarsi all'asta uno dei quadri della collezione di Lord Chesterfield (proveniente da Chesterfield House), o un pezzo di argenteria russa, o un bibelot di Capodimonte vorrà dire portarsi a casa un tassello di una perfezione estetica che ha fatto da sfondo ai molti misteri della vita politica italiana. Un pezzo di stanze gelosamente ignote finora come il terzo segreto di Fatima.

Il Quirinale si visita. A Palazzo Grazioli chiunque, ormai, può arrivare al lettone di Putin a occhi chiusi. Non parliamo poi di Villa Certosa, di cui si conosce il numero dei cactus presenti nei giardini di bagatelle di Berlusconiland. Il Villino Giulia, no: impenetrabile come Fort Knox. Per Gianni Letta, invece, il paragone azzeccato, scelto il giorno del funerale della sua grande amica, è quello del salotto di Anne Louise de Staël. Con la differenza che a frequentare madame erano Stendhal, Benjamin Constant, Paul Barras, Charles Talleyrand. Da donna Maria, Claudio Scajola, Angelino Alfano, Bruno Vespa.C'è da accontentarsi: di questi tempi è quello che passa il convento.

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« Risposta #10 inserito:: Febbraio 09, 2012, 11:48:35 pm »

'Giuro, la Rai non è morta'

di Denise Pardo

«I conti vanno meglio e a fine anno farò avere una gratifica ai dipendenti. Abbiamo il canone più basso e più evaso d'Europa, ma siamo riusciti a tenere botta. Santoro? Con lui ho un ottimo rapporto e aspetto i suoi progetti».

Parla Lorenza Lei, direttore generale della tv pubblica: accusata di essere ormai ingovernabile e senza futuro

(09 febbraio 2012)

Non bastava l'avvicinarsi della scadenza del cda in carica. Ci si è messo anche il governo Monti con l'annuncio di mettere mano alla governance a rendere l'atmosfera del settimo piano di viale Mazzini una bomba a orologeria, più del solito naturalmente. Per non parlare della ventilata possibilità di nominare un amministratore unico. Al centro della partita e di furibonde polemiche, dimissioni del consigliere Nino Rizzo Nervo, accuse e strali da parte di Giorgio Van Straten, tacciata di tessere la tela della Rai del centrodestra e dei desiderata del Cavaliere, il direttore generale in carica Lorenza Lei, prima donna a varcare il più ambito ufficio di viale Mazzini. Sui futuri assetti non si pronuncia. Ma per la prima volta parla di veleni e sospetti, degli insperati risultati di bilancio, dei lavori in corso e delle battaglie sulle nomine.

La Rai è ingovernabile ha detto il presidente Paolo Garimberti. Difficile dargli torto.
"Non intervengo sulle parole del presidente. Ma il non governo significa non aver fatto niente. Non è così. La Rai è servizio pubblico, quindi raccoglie e rappresenta in sé molte, moltissime anime. Il problema non è il governo semmai è la condivisione, la più ampia possibile".

Il premier Monti ha affrontato il tema spinoso della governance. Torna in ballo la figura dell'amministratore unico. Si candida?
"E' materia di cui può parlare il governo e il Parlamento. Ritengo più utile mettere le mie energie al servizio delle cose che posso fare realmente. Soprattutto ora che i mesi che ci separano dall'approvazione del bilancio sono fondamentali per assumere decisione necessarie per lo sviluppo dell'azienda".

Paolo Romani avrebbe decretato: " Il direttore generale non si tocca".
"Lo ha detto a chi? A lei? Non ne sono informata e comunque non mi sento intoccabile; chiedo solo di essere valutata sul lavoro svolto. Sono stata nominata il 4 maggio, quando l'orizzonte pubblicitario non era certo rosa. La previsione di bilancio era di 70 milioni di rosso. Poi a luglio è arrivato il picco della crisi economica. Ciò nonostante dopo cinque anni di segno negativo, l'azienda è riuscita a invertire la rotta continuando ad alimentare i suoi 14 canali. Dico l'azienda, non dico io. E per questo al cda proporrò di dare una gratifica per il 2011 ai dipendenti. C'è stata una manovra di rientro che ha portato il bilancio in pareggio addirittura con un piccolo utile. Credo che non sia un dato secondario. Anche questa è governabilità, non crede?".


A causa di tagli e accorpamenti i sindacati sono sul piede di guerra. Gli italiani all'estero sono furiosi per la riduzione di Rai International con un risparmio minimo. Dietro l'angolo, la chiusura di otto sedi di corrispondenza con i giornalisti appoggiati presso le redazioni di Associated Press...
"Ci sono stati dei sacrifici, è vero. Ma senza questi e alla vigilia di un anno pari, quello in cui si pagano i diritti sportivi, la Rai avrebbe rischiato una crisi seria. E' stupefacente che il coro di chi gridava allo spreco di certi comparti è lo stesso che si indigna quando si riducono gli sprechi. Si continua a inneggiare a Bbc che però ha mandato a casa migliaia di persone. Il mondo è cambiato, è arrivata una rivoluzione, non si può continuare a concepire la Rai con i vecchi modelli analogici: bisogna pensare ormai in digitale".

E quindi?
"Bisogna sintonizzarsi su qualcosa di diverso, riferirsi a un servizio pubblico multimediale. Non ho mai parlato di "riduzione" ma di ristrutturazione. Esempi: Bruxelles verrà potenziata, verrà aperta una corrispondenza a Washington. La convergenza di Rainews, Televideo e Rai International non è un mero risparmio ma il concepimento di un nuovo, moderno progetto di all news. Non si pensa solo a ridurre e a tagliare ma ad immaginare sentieri di sviluppo sostenibile. E tengo a sottolineare che per la prima volta il Piano industriale verrà definito all'interno, senza avvalersi di consulenti esterni".

Ma la temperatura all'interno del cda è bollente. Nino Rizzo Nervo ha dato le dimissioni dopo la nomina al Tgr di Luca Casarin e la conferma al Tg1 di Alberto Maccari.

"Mi dispiace che Rizzo Nervo se ne sia andato e quasi alla scadenza del mandato, il suo contributo era importante. Segnalo anche che questo cda è in carica da quasi tre anni e, bufere a parte, le nomine da me proposte sono state presentate cercando la più ampia condivisione".

Casarin è vicino alla Lega e Maccari... Difficile non pensare che siano nomine telecomandate, frutto di un accordo Pdl e Lega, insomma una Rai assicurata al centrodestra.
"Un progetto di chi e per cosa? Ho privilegiato solo professionalità interne: Casarin era già condirettore della Tgr. Ha preso il posto di Maccari che è andato a dirigere il Tg1, dove sta facendo un buon lavoro. Peraltro, ha accettato una clausola di recesso senza penali che consentirà a questo o al prossimo Consiglio di valutare anche soluzioni definitive senza costi aggiuntivi. Avevo pensato anche a soluzioni esterne e al di sopra di qualunque parte, ma senza fortuna. Per amor di cronaca, vorrei ripercorre le votazioni del cda in questi mesi".

Quali?
"Per esempio: per Marcello Masi al Tg2 si sono astenuti Antonio Verro, Alessio Gorla, Guglielmo Rositani, Giovanna Bianchi Clerici. Per Pasquale D'Alessandro a Rai Due, per Carlo Freccero a Rai 4 e per Silvia Calandrelli a Rai Educazione si sono astenuti Verro, Rodolfo De Laurentiis e Rizzo Nervo. Antonio Di Bella a Rai Tre ha avuto un solo no, quello di Rizzo Nervo. Voti riportati da tutte le agenzie di stampa. C'è un disegno diabolico in tutto questo?".

Ha nominato anche Carlo Nardello alla Direzione Sviluppo, era l'uomo della struttura Delta all'interno della Rai.
"Sì, insieme a Valerio Fiorespino alla Direzione Risorse televisive, due seri e stimati professionisti in azienda. Per loro solo due voti contrari, Angelo Petroni e Bianchi Clerici. Quale progetto eversivo lascia intravedere? Chi vuole strumentalizzare faccia pure. Restano fatti e atti del cda".

Ma Rai Uno diretta da Mauro Mazza ha perso tre punti di share nel prime time. Dalla Rai sono andati via Michele Santoro, Serena Dandini... Giuliano Ferrara ha una striscia ma a Lucia Annunziata, non proprio nel cuore di Berlusconi, che ogni domenica finisce sulle prime pagine, è stata chiusa "La crisi. In 1/2 h".
"Intanto la Rai, nonostante polemiche, ingerenze, contestazioni, il canone più basso e più evaso d'Europa, ha vinto la stagione e tenuto la leadership degli ascolti. Per il resto, porte aperte: con Santoro ho un ottimo rapporto, aspetto i suoi nuovi progetti. E sono in attesa di ricevere proposte per la Annunziata dal direttore di rete Antonio Di Bella. E che dire di Fiorello? E' stato un successo senza precedenti negli ultimi anni".

Totalmente sottostimato da Sipra.
"Totalmente sottostimato anche da Fiorello. Doveva essere un evento è diventato un fenomeno. E c'è ancora tanto lavoro da fare sia da un punto di vista editoriale che produttivo. Ci sono potenzialità creative e straordinarie, bisogna concentrarsi su temi, linguaggi, formati, sulle conduzioni, su tutte le declinazioni degli strumenti televisivi. Non c'è solo il risanamento, c'è anche il rilancio".

Si è emozionata il giorno della nomina?
"Lo sono stati mia madre e mio figlio. Io no. Sono entrata diciotto anni fa a viale Mazzini. Sono stata direttore dello staff di vari dg, poi vice direttore generale. Ero altamente consapevole del grado di difficoltà. Sono stata votata all'unanimità dal cda al quale ho presentato il mio progetto di Rai. I consiglieri mi conoscevano molto bene".

Giorgio Van Straten ha detto di essersi pentito di quel voto, invocando nei suoi confronti l'apertura di un procedimento ai sensi del codice etico. Finora lei non ha mai risposto alle polemiche sulle assunzioni del suo autista, della sua portavoce e del suo ex marito.
"La mia addetta stampa era una precaria Rai da più di vent'anni, regolarizzata con transazione sottoscritta dall'Usigrai con il grado di capo servizio e non di capo redattore come è successo in altri casi. Così come altri ottimi professionisti interni all'azienda hanno ottenuto legittimi riconoscimenti secondo normali dinamiche retributive: penso a provvedimenti gestionali riconosciuti in particolare ai neo direttori".

E il suo ex marito Stefano Ferri?
"A parte la sgradevolezza del riferimento a vicende personali, anche dolorose, nessuno scandalo ma tutto trasparente: nel 2004 è entrato in Sipra come agente monomandatario e mi sono premurata di informarne, a norma di Codice etico, il direttore generale. Non ha mai evidentemente usufruito, anzi, di alcun trattamento di favore. Per questo, o forse per altro, ho subito e continuo a subire una feroce campagna fortemente denigratoria al limite del codice penale".

La domanda di prassi per un dg Rai: quanto è pressante la politica?
"Né più né meno di quanto la legge autorizzi. Io ho rispetto per la politica. Il nostro azionista è il governo, i consiglieri sono nominati dalla commissione di Vigilanza. Detto questo, ritengo di avere sufficiente autonomia e vivo questo lavoro come una missione".

Mi scusi Lei, quale missione? Questa è una poltrona di immenso potere.
"Non la vivo così, ho i piedi per terra. Il potere per una donna è capacità di persuasione per trovare sempre una sintesi condivisa. Certo non è sempre facile gestire riunioni molto maschie a forte dose di aggressività".

Cosa sarebbe disposta a fare per essere riconfermata?
"Sono disposta a lavorare sodo come ho sempre fatto. Ai primi di marzo presenterò il piano industriale 2012-2014, ci sono molte scelte da affrontare. Sarò felice di parlarne non appena il livello di condivisione e approfondimento con il cda me lo consentirà. Naturalmente su un piano di correttezza e di rispetto delle attribuzioni di ognuno".

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« Risposta #11 inserito:: Febbraio 12, 2012, 06:33:49 pm »

Pantheon

La giovane ombra di Monti

di Denise Pardo

Si chiama Federico Toniatti, non parla mai con nessuno e va a Palazzo Chigi con i mezzi pubblici.

Figlio di maestri elementari, boy scout cattolico, entrò nello staff del Senato per concorso

(09 febbraio 2012)

MUTI ALLA META. Non parla. Che sia un caso di mutismo selettivo tarato all'apparizione dei giornalisti? Mai una sillaba fuori posto (neanche dentro, però). Sorrisi, neanche a parlarne. Federico Toniato, vice segretario generale di Palazzo Chigi, una botta di fortuna senza pari, è l'ombra di Mario Monti. Alla prova di sirene e tentazioni (di conversazioni, per carità, mica altro si spera durante questo governo) di un gran potere improvviso, resiste cipiglioso come fosse una statua di sale. Cartellina sotto il braccio, occhio vitreo per non intercettare altri sguardi, trotterella lato premier, lo precede, lo segue, lo insegue. In un governo ultimamente piuttosto ciarliero, Toniato è l'uomo senza vanità.

MAGICI LOMBI Oltre che, al pari di Cenerentola nota per i formidabili lombi visto l'acchiappo del principe azzurro, è il testimonial che la fortuna esiste e a volte non è neppure cieca. Nel magic horror show del potere italiano, Toniato, che ha solo 36 anni, fa un figurone, è preciso, competente, l'uomo più veloce del West nell'estrarre da una montagna di fogli il documento che ci vuole. Non è stato un igienista dentale di Monti. Un suo infermiere. Un massaggiatore dell'alluce del premier. Macché, la triste verità è che Toniato è un secchione: si potrebbe persino osare una spiegazione sovversiva, possiede i requisiti.

BACI E ABBRACCI Che disastro, che guastafeste. A 18 anni, Toniato da Onara, frazione di Tombolo, vince una borsa di studio per la residenza universitaria di Roma, la Lamaro-Pozzani, finanziata dai Cavaliere del lavoro (solo 70 studenti sopraffini l'anno). In ventiquattro mesi finisce gli esami della facoltà di Giurisprudenza della Sapienza a Roma, 110 e lode, baci e abbracci accademici, tesi nel '98 con Nicolò Lipari. Passano due anni, ed ecco la vittoria al concorso per il Senato, dove scala di qua, scala di là, diventa capo della segreteria dell'assemblea di Palazzo Madama.

ARRIVA IL PRINCIPE L'incontro con il suo principe azzurro avviene un venerdì di novembre, quando Renato Schifani, presidente del Senato, lo assegna al neo senatore a vita, spaesato nel Palazzo romano e incaricato di formare il governo. Meno di un un mese e Monti lo porta con sé a Palazzo Chigi. Cenerentola non si sa. Ma Toniato avrà certo reso grazie al Signore. E' devoto e da lunga data attivissimo nel volontariato (servizio civile nella casa famiglia Il Tetto, consigliere tecnico dell'Associazione veneta scout cattolici). Per l'Opus Dei è anche uno di loro, per Comunione e liberazione pure, e sarebbe un protetto del cardinal Bertone. Di tutti e di nessuno, quanto di meglio.

GRAZIE, ZIO E' con Monti all'udienza dal papa (nel 2008 aveva organizzato quella di Renato Schifani ) insieme ai ministri Giulio Terzi, Enzo Moavero Milanesi, Antonio Catricalà. E' al fianco del premier negli incontri con i 25 capi dipartimento di Palazzo Chigi chiamati per la prima volta nella storia dei governi a dare conto di spese e personale. Toniato è abile, riservatissimo: doti non molto apprezzate negli ultimi tempi (basti pensare alle prodezze di un suo predecessore, l'indimenticabile Mauro Masi). Le povere anime perse del Palazzo tentano speranzose possibili interpretazioni: il premier in lui rivede se stesso da giovane. Oppure: il nostro somiglia a Monti, con tutto il rispetto per la First lady Elsa, che sia un figlio segreto? O forse: Toniato ha uno zio camorrista casalese? Un padre tangentista? Una cognata con parenti mafiosi? Nulla di tutto questo. I genitori sono due maestri elementari. E lui non usa neanche l'auto blu: preferisce il tram. Che pessimo esempio per quelli dell'Italia del fare.

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« Risposta #12 inserito:: Aprile 13, 2012, 11:47:59 am »

La Lega è finita tra gli Ufo

di Denise Pardo

Testi di occultismo, contatti con gli alieni, raduni esoterici: a leggere le intercettazioni, il tramonto del Carroccio pare una puntata di 'Voyager'. E i Bossi sembrano una specie di famiglia Addams lombarda

(12 aprile 2012)

C'è il tesoriere Belsito, detto con ragione da vendere "Bombolotto", che racconta in un'intercettazione come le forze occulte lo avvertano dell'arrivo di eventi disastrosi con un significativo prurito al naso. Prurito al naso? Al naso. C'è Monica della Valcamonica, al secolo Rizzi, assessore regionale Turismo, Giovani e Sport in Lombardia, tutrice elettorale dell'ex Trota che dialoga quotidianamente con gli extraterrestri. Con gli Ufo? Sì, con gli Ufo, in particolare con uno della galassia di Oron. Mica da sola ma con tanto di personal-maga al seguito, maga piuttosto smagata visto l'imbarazzante buco professionale di non aver previsto le chiassose indagini intorno alla Lega. E poi c'è la mansarda di Manuela Marrone, moglie di Umberto Bossi, pavimento coperto di libri di magia e astrologia, sue grandi passioni tanto da chiamare il figlio minore Eridanio Sirio: in onore della stella o del noto giornale del ramo? Non si sa. Comunque: meno male che non l'ha chiamato Branko. Va bene che sulla Lega sta indagando la magistratura e Roberto Maroni farà la dovuta pulizia etnica ma, si è domandato qualcuno, non sarebbe il caso di chiedere un consulto anche a un centro di strizzacervelli?

Abracadabra, ecco l'altra Lega, quella che si tenterà di epurare. Un album di famiglia in bilico tra il noir e il burlesque, una famiglia più Addams che celtica, a pezzi l'orgoglio padano, addio barbari dalla solida incorruttibile barbarie politica. Maroni ha promesso di spargere incenso e tagliare teste. Ma lo scandalo abbattuto sul Carroccio per l'uso privato del finanziamento pubblico ai partiti rivelato dal diluvio d'intercettazioni, presunte mazzette e relazioni pericolose persino con la 'ndrangheta, ha mostrato la faccia che scotta delle camicie verdi. A galla è emerso il ritratto di una corte bizantina, altro che palazzo romano, al centro il messia malato, intorno figurine, superstizioni, nomi e soprannomi in un clima a cavallo del Malleus maleficarum, il testo base dell'anti-stregoneria e la visione antropologica di Amelia la nota fattucchiera che ammalia. Il tutto nel microcosmo di Gemonio, Windsor della famiglia Bossi, un parroco con un nome che sembra una barzelletta: don Silvio Bernasconi.

Nella versione non autorizzata leghista, spunta una tribù dai nomi felliniani, Daniela, la segretaria di Umberto Bossi si chiama Cantamessa; Dalmirino Ovieni è un galantuomo padano con trascorsi giudiziari ex consigliere di una società presieduta da Rosi Mauro; Helga Giordano, ex contabile di via Bellerio, ha millantato credito con un'imprenditrice di nome Silvana Corrado Quarantotto. Nella calda pancia del potere si snoda un milieu matriarcale, complice e protettore di eredi al trono bamboccioni e furbacchioni in un insieme noir si diceva, ben poco verde come da valori e vessillo padano. E' nero il denaro, preoccupazione principe del tesoriere "più pazzo del mondo" (è un'autodefinizione) per soddisfare gli appetiti di familiari e famigli. E' nera la magia prediletta dalla first dama da studiare dall'ultimo piano di casa osservando il passaggio di streghe, corvi e corpi astrali. E' nera la lista dell'operazione pulizia di Maroni. Saranno pure padani i padani ma come somigliano agli arcitaliani.

Rosy Mauro nel 1992 e oggi Rosy Mauro nel 1992 e oggi E "nera" oltre che "Strega" è Rosi Mauro, sguardo assassino, taglia donnone, leader del sindacato Sinpa, un solo iscritto conosciuto, lei stessa, detta "la badante" per essere sempre stata al fianco del Senatur ma anche "Mamma Ebe" per via di una certa somiglianza. Mauro non è un campione in popolarità ma ci terrà a precisare che "la nera" non è lei bensì la fantomatica infermiera di Bossi, mai materializzata prima. Stesso soprannome affettuoso, "strega", anche per mrs Bossi, maestra con il sogno costoso di diventare la Montessori del Po, apprendista maga, accusata dopo l'ictus del marito di aver gestito il cosiddetto "cerchio magico" - ora si capisce perché si chiama così. La signora in questione, secondo il tesoriere e la segretaria amministrativa Nadia Dagrada (vatti a fidare delle segretarie) appare più tesa all'esoterismo celeste che al federalismo fiscale. Pronta a cedere a più provate espressioni scientifiche quando si tratta di raddrizzare denti e naso di

   
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« Risposta #13 inserito:: Novembre 04, 2012, 05:22:40 pm »

Pantheon

La parabola buffa di Oscar Giannino

di Denise Pardo

Voleva diventare il leader dei liberisti nostrani, è finito ad azzuffarsi con Montezemolo e a rilasciare mielose interviste insieme alla moglie

(01 novembre 2012)

Oscar Giannino Oscar GianninoNotizie dalla società civile che si impegna e che deve essere faro di buon esempio e serietà per gli sciagurati politici arruffoni. Deve. Dovrebbe. Per carità, tutta brava gente, ce ne fossero. Ma la rissa che si è scatenata è tale da minare persino il primato di sumo verbale mai surclassato finora di Daniela Santanchè. Allora proviamo a dipanare.

L'Oscar furioso. Il fatto è che Oscar Giannino l'ha presa male. Non ha gradito di non essere stato coinvolto nella stesura dei contenuti del Manifesto "Verso la terza Repubblica" dei moderati o neo centristi - non si è capito bene il loro nome - con cui da mesi sottoscrive appelli
e comunioni di intenti e prepara una mega convention il 17 novembre.

ANIME IN PENA. Queste anime farebbero riferimento a Luca di Montezemolo, personalità di rango che non si candida ma scende in campo ed è il leader, si immagina ma non è sicuro, di If, cioè Italia Futura.Insieme a loro si agitano i cosiddetti "Indipendenti" o Acipli (al secolo "Associazione cittadini indipendenti per l'Italia") presieduti da Ernesto Auci che interpellato dal"Corriere della Sera" chiama "Verso la terza Repubblica" con il nome di "Manifesto dei Cento". Chiaro, no?

CUORE DI EMMA. Bene. Giannino invece è il fondatore di Fid cioè "Fermare il Declino" (nome forse azzardato), una lista - o movimento - o nuova forza liberista assai nel cuore di Emma Marcegaglia che per ruggini confindustriali vecchie o nuove non ha firmato il suddetto Manifesto, sorta di documento post-convegno dei cattolici di Todi sottoscritto invece dal ministro Andrea Riccardi e da Raffaele Bonanni. Nella galassia civile ruotano anche i sottogruppi "Zero positivo", nato per riunire le migliori risorse del Paese, e "Libertiamo" fondato da Benedetto Della Vedova e chi sostiene che entrerebbero tutti in una cabina telefonica è un malefico rottamatore e non è un figlio di Maria.


FIAT PAX. Il fatto è che Giannino, liberal-riformista di carriera dopo essere stato repubblicano, è diventato una star. Arringa in comizi in giro per l'Italia, è icona radio e tv stilisticamente ironica, citazioni proustian-sabaude soprattutto pilifere, il barone Charlus in visita al circo, Vittorio Emanuele II ispirato da Formigoni. Spopola, è questo è il mantra del successo, nei popolar-nazionali come "Oggi" che si è accapparrato il reportage del matrimonio con la bella Margherita e i due in un'intervista coniugal-intimista al settimanale "A" hanno rivelato l'irrivelabile: tra loro si chiamano Topolì e Topolù, i tre gatti di conseguenza Topolà, Topolò, Topolè. Olè!

FERMARSI, PLEASE. La poca considerazione da parte di If, si diceva, ha innervosito Fid e così Giannino e Andrea Romano, super spin doctor di If, si sono scambiati tweet poco affettuosi. Non si può dire che la vicenda abbia giovato alla parabola istituzionale della società civile. Così il presidente degli Indipendenti Auci ha pregato If e Fid di fare la pace. E ha lanciato un appello «agli amici di "Fermare il Declino"», cioè «Fermiamoci a scrivere il programma di politica economica. Ad ora siano fermi solo al Manifesto». Ecco, fermi tutti per favore.

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« Risposta #14 inserito:: Maggio 24, 2013, 04:25:16 pm »

Intervista

'Sarò sindaco, malgrado il Pd'

di Denise Pardo


«Ho un'intesa eccellente con gli elettori democratici. Con i vertici del partito, diciamo, c'è più dialettica. Specie da quando ho votato Rodotà. Grillo? Nessun patto, non l'ho mai incontrato».

Parla Ignazio Marino

(23 maggio 2'13)

Pubblichiamo qui di seguito uno stralcio dell'intervista a di Denise Pardo Ignazio Marino, candidato sindaco di Roma.

L'intervista completa sul nuovo numero de 'l'Espresso'.


Marino, qual è secondo l'emergenza per la Capitale?
«E' il lavoro, per Roma come per l'Italia. Ieri alla fermata della metropolitana di Ponte Mammolo c'era una donna che piangeva, l'ho avvicinata. "Ho 45 anni e tre figli, sono senza lavoro, mio marito se ne è andato di casa e ho il mutuo da pagare, non so come fare", si disperava. Storie drammatiche, storie all'ordine del giorno. A San Basilio, i dati erano allarmanti: il 20 per cento degli studenti abbandona la scuola, non trova lavoro, finisce in mezzo a una strada. E diventa preda della criminalità e dello spaccio di droga».

Cosa propone?
«Aiuti concreti. L'Italia come Grecia e Ungheria non ha una legge sul reddito minimo di cittadinanza. Con Nicola Zingaretti, presidente della Regione Lazio, abbiamo studiato un pacchetto lavoro. Le elenco alcuni punti: un bando annuale da 500 euro recuperati da fondi Ue più altri 350 per mezzi pubblici gratuiti e accesso ai musei, destinati alla formazione o al tirocinio in laboratori di artigianato di 10 mila giovani. Poi l'opportunità di offrire i tanti spazi vuoti di proprietà del Comune a chi vorrà avviare un esercizio commerciale. Sarà uno scambio, un modo per far crescere l'economia della città e ridare speranza alle nuove generazioni. Il lavoro è il problema numero uno».

I tumulti all'interno del Pd non si placano. Che rapporto ha con il partito? «Ho un'intesa bellissima con gli elettori del Pd che in queste settimane mi hanno accolto con grande affetto. Con il partito il dialogo è come sempre... vogliamo definirlo dialettico? E' stato molto complicato nei giorni dell'elezione per il capo dello Stato. Prima Franco Marini, curriculum impeccabile, ma non un simbolo del Terzo millennio, infatti ho votato Stefano Rodotà. Poi l'offesa a Romano Prodi, l'unico ad aver battuto Berlusconi, affossato dal partito che ha fondato, il disagio di Rodotà... ».

Nella sua campagna elettorale il Pd è stato inesistente, molto più presente Sel.
«Mi sono ritrovato al centro di un partito disorientato e senza interlocutori. La leadership nazionale era polverizzata, quella romana dispersa e le elezioni erano a Roma. E' stato Nicola Zingaretti a impersonare una sorta di vicario generale delle funzioni venute a mancare. Mi ha dato una mano su tutto, anche nelle cose più semplici, perfino sul modo di comporre una lista, il notaio, le firme».

Una specie di miracolo per un partito segnato da lotte fratricide.
«Giorni fa, è stato lui a introdurmi in un incontro al palazzo delle Esposizioni. Ha detto: "Io e Ignazio non siamo amici, non abbiamo sviluppato un legame personale. Ma ci rispettiamo e ci stimiamo moltissimo". E' così, è la verità senza ipocrisia o finzioni

In piena campagna, è nato il governo Letta con il Pdl. Ha avvertito indignazione per "l'inciucio"?
«Ero convinto che mi avrebbe creato enormi problemi. Invece zero assoluto. Le persone hanno tutt'altre preoccupazioni. L'enorme fatica del vivere con l'incubo del non arrivare a fine mese, la disoccupazione, l'abbandono in cui versa chi ha parenti ammalati, il degrado, il traffico, il cattivo funzionamento della metropolitana B».

Condivide la strada delle larghe intese?
«No, e lo dico inascoltato dal 2010. Già allora bisognava cambiare la legge elettorale e votare. Qui rischiamo di ritornare alle urne con il Porcellum. Cosa fare per sostituirlo? Una risoluzione Onu? L'arrivo di caschi blu?».

Si dice che tra lei e Grillo ci sia un patto segreto per Roma.
«Quando Grillo prese la tessera Pd rivelando di volersi candidare alla segreteria Bersani e Franceschini gridarono allo scandalo. Non ero affatto d'accordo e penso che sarebbe stato tutto un altro film. Ma non l'ho mai incontrato, è una persona che da un lato m'incuriosisce, dall'altro mi spaventa per la violenza dell'approccio».

Nessuno grillino l'ha mai attaccata, è abbastanza strano.
«E' vero. Anzi. Al Senato dopo la mia dichiarazione di voto per la legge per la chiusura dei manicomi criminali che ho voluto con tanta forza i 50 grillini mi hanno applaudito con un calore inaudito. Moltissimi di loro hanno votato alcuni dei miei disegni di legge. Ma non c'è un patto per Roma con i 5S, spero di avere un patto sui contenuti con tutti, con gli elettori di Alfio Marchini, con chi è disgustato da Gianni Alemanno».

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