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Autore Discussione: GIORGIO BOCCA.  (Letto 141069 volte)
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« Risposta #75 inserito:: Dicembre 05, 2008, 10:58:26 pm »

Giorgio Bocca.


Il mestiere delle banche


Da sempre i monarchi hanno limato le monete d'oro per il bene loro e del loro casato, da sempre applauditi dai sudditi. Perché le banche non dovrebbero fare altrettanto?  Una lettrice, impiegata di banca, mi scrive lamentando che faccio di ogni erba un fascio dei bancari, come il ministro Brunetta degli statali, tutti fannulloni. E per due fitte pagine mi spiega come gli impiegati vengano letteralmente schiacciati dai dirigenti esosi e dai clienti avidi e ignoranti.

"Che ne sa lei delle giornate infernali di lavoratrici e lavoratori bancari che sono letteralmente perseguitati dai vari manager con tutti i mezzi possibili, sms sui telefoni personali, mail, telefonate, continui rimbrotti, riunioni a tutte le ore, con l'unico sacro obiettivo di raggiungere il budget? Che ne sa lei di quello che in questi anni abbiamo subito con tutte le fusioni, incorporazioni, tagli aziendali, riconversioni, mutamenti di mansioni, spinte commerciali insopportabili, pretese da nuove generazioni di capetti che anziché i globuli rossi hanno nel sangue un fiume di dollari? Le ultime leggi aumentano le nostre responsabilità nel rapporto con i clienti come se fossimo dei banchieri responsabili delle strategie e degli strumenti. E che dire dei clienti, dei risparmiatori? Ho speso ore e ore a spiegare a massaie e pensionati che le azioni Parmalat e Cirio erano più rimuneratrici perché più rischiose. Ma le massaie e i pensionati volevano guadagnare molto e subito, e ora che si sono bruciati, sono i più accaniti ad accusarci".

Così la mia lettrice. Qui vorrei dirle che mi metto anch'io nell'elenco dei clienti colpevoli, e non solo per avidità, ma anche per altri peccati più veniali come la pigrizia e la vanità. Mi spiego: sono cliente di due grandi banche. La prima a Milano, a due passi dalla casa in cui abitavo, la seconda, dopo un trasloco, sempre a due passi da casa; non perché avessi bisogno di due banche, ma perché vicine a casa.

Quando partì la nuova 'filosofia aziendale' o bancaria di trasformare gli impiegati in procuratori di affari, la nuova banca arrivò per prima, mi mandò a casa la bancaria di fiducia accompagnata dal direttore di filiale. Mi spiegarono che era il momento di fare degli investimenti e mi fecero firmare un contratto per una assicurazione sulla vita. La pigrizia per cui avevo scelto per due volte la banca vicino a casa mi punì. Come? Per pigrizia non avevo letto le due pagine fitte del contratto al comma dove si diceva che esso era legato al corso delle operazioni di Borsa. La Borsa crollò poco dopo e presi il primo bagno.


La seconda banca si fece viva quando avrei dovuto tener conto della prima fregatura. Ma venne da me l'impiegato simpatico che conoscevo da vent'anni, un impiegato letterato, che leggeva i miei libri. Non ricordo di preciso quale investimento mi propose, ma fu un secondo bagno. Ero amico dell'ad, cioè amministratore delegato della grande banca, lo avevo difeso sul giornale nei giorni di Mani Pulite. Gli scrissi della mia disavventura. Non mi rispose perché, come è noto, la prudenza è una virtù dei banchieri.

Il direttore di filiale della prima banca è stato trasferito in provincia, e non mi ricordo nemmeno come si chiamasse, l'impiegato letterato è andato in pensione sostituito da una donna prudente con cui fatico a comunicare per via della privacy per cui ogni filiale è più segreta e inavvicinabile di Fort Knox.

Morale della storia? Da sempre i monarchi hanno limato le monete d'oro per il bene loro e del loro casato, da sempre applauditi dai sudditi.

Perché le banche, che sono del mestiere, non dovrebbero fare altrettanto?

(05 dicembre 2008)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #76 inserito:: Dicembre 12, 2008, 03:31:25 pm »

Giorgio Bocca.


Alleanza criminale

Sui rifiuti a Napoli si è creato il perverso legame tra industria del Nord e Camorra con la complicità di funzionari comunali e regionali, e di alti ufficiali  Una strada di Napoli ricoperta di rifiutiLa struttura della società mafiosa è un mistero solo per chi, essendone complice, si rifiuta di vederla. Prendiamo il caso dei rifiuti industriali. L'industria che li produce non sa come smaltirli a basso costo, è inevitabile che chieda o accetti la collaborazione delle mafie. Sappiamo cosa è accaduto a Napoli e nella Campania: i terreni agricoli e il sottosuolo urbano sono stati riempiti di veleni. La complicità dello Stato è indispensabile: amministrazioni pubbliche, polizia, carabinieri, guardia di finanza devono partecipare.

La prova? La prova sta nel fatto che l'operazione è avvenuta, che le burocrazie e le polizie statali l'hanno subita e anche in parte assecondata. Ci vuole pure la complicità dell'informazione, e infatti ogni giorno giornali, radio e televisioni raccontano d'interi apparati statali, ultimo quello del Molise, coinvolti nel ladrocinio, ogni volta fingendo che questa collaborazione sia casuale, e non sistematica.

A Napoli e in Campania si racconta come di cosa notoria che al piano alto dell'operazione ci stanno anche alti ufficiali dei carabinieri e alti funzionari comunali e regionali. La scoperta che anche gli alti servitori dello Stato possono essere complici della delinquenza o della sovversione, noi italiani l'abbiamo fatta in modo traumatico negli anni del terrorismo e delle trame nere, quando abbiamo saputo che anche prefetti e questori potevano partecipare a operazioni illegali, nascondere le prove, tacitare i testimoni, favorire i potenti e i loro affari. Si è costituito un tessuto mafioso parallelo o sovrastante quello legale.

A Napoli si è scoperto che la camorra era presente in tutti i lavori per la nuova litoranea, da Palazzo Reale allo stadio del calcio; per tutti i permessi e le modalità dei lavori c'è, documentata, la presenza della camorra, quasi sempre su carta intestata a un ente pubblico, scritta con i computer della Regione o del Comune.

L'informazione eroica alla Saviano è meritoria ma sostanzialmente impotente di fronte a un apparato che unisce la delinquenza organizzata allo Stato. Per portare a termine la gigantesca operazione dei rifiuti industriali e ospedalieri si è creata la perversa alleanza fra la grande industria del Nord e l'organizzazione malavitosa locale, e ora l'avvelenamento del territorio non è più riparabile, tutte le norme igieniche e sanitarie sono state violate impunemente per anni. Si conoscono i nomi e i titolari delle società che hanno compiuto lo scempio, è di poche settimane fa la scoperta che il sottosuolo di Napoli, la Napoli dei cunicoli e delle grotte, è stato riempito di rifiuti.

Per compiere il misfatto c'è voluta la complicità di centinaia di funzionari e anche di poliziotti tutt'ora in servizio, corrotti in due modi: con il denaro e con la vita salva, e magari con le informazioni camorriste grazie alle quali potevano far carriera arrestando spacciatori di droga o piccoli rapinatori.

Oggi è impossibile nascondersi l'amara verità: il sistema camorristico si è allargato a intere province, le centinaia di arresti, le operazioni monstre celebrate dalla televisione sono lì a dimostrare che il cancro malavitoso si è diffuso: un esercito di delinquenti che non si sa come arrestare e come custodire, riciclato in continuazione dagli indulti e dalle assoluzioni.

Quanti decenni o secoli dovranno passare prima di uscire dal disastro?

(12 dicembre 2008)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #77 inserito:: Dicembre 19, 2008, 12:44:59 am »

Giorgio Bocca

Giustizia addio


In questo mutevole tempo la sacralità della magistratura è svanita. Ora avanza un modello pragmatico, cangiante, opportunista, dove tutto è possibile: 'Il tempo del fare', come lo chiama Berlusconi  Nei giorni di Mani Pulite, inverno del 1992, la magistratura italiana sembrava onnipotente. Ricordo la mattina che andai al palazzo di giustizia per intervistare il grande accusatore Antonio Di Pietro, e nel corridoio della Procura c'era la coda dei milanesi doc: industriali, avvocati, amministratori, costruttori, finanzieri, che mi conoscevano, mi salutavano perché prima di quella mattina intervistavo loro per sapere come andavano le faccende del potere, e ora invece erano lì in attesa di essere introdotti nell'ufficio di colui che poteva decidere della loro libertà, della loro vita, nell'ufficio de 'l'uomo violento', come lo chiama ora Berlusconi.

E spesso mi chiedo: come è possibile che quella magistratura allora onnipotente, la stessa che mandò a giudizio e condannò Bettino Craxi, mise alla berlina Forlani, tolse colore e vita all'amministratore della Dc Citaristi, disfece il sistema del centro-sinistra, come è possibile che poi non sia riuscita a disfarsi di Berlusconi che oggi la attacca e la insulta ogni giorno, parlando di magistrati boia, di magistrati assassini? E come è possibile che nel programma di governo di prossima attuazione ci siano come punti base la riforma della magistratura, la separazione delle carriere, la supremazia della politica?

La risposta non è facile, ma possiamo provarci. Per dirla marxianamente, la sovrastruttura del potere, le sue forme politiche sembrano ancora quelle di allora, ma è la struttura di base che è profondamente mutata: il potere degli Stati nazionali è sottoposto ai condizionamenti dell'economia globale, i cui alti e bassi si trasferiscono rapidamente da un continente all'altro, le ideologie sono morte o in gravissima crisi, gli Stati comunisti hanno fatto loro le imprevedibilità del capitalismo, quelli liberisti riconoscono la necessità degli interventi statali.

Il tempo delle istituzioni immutabili, dei poteri eterni e indiscutibili si allontana. Il modello attuale è il pragmatismo di Barack Obama, che essendo stato eletto nel nome del cambiamento è già intento a rimettere assieme l'America che conta e che decide, non più quella repubblicana dei petrolieri e dei banchieri, ma il suo facsimile della Fondazione Clinton.

In questo mutevole tempo la sacralità della magistratura è svanita, la sua funzione al servizio dello Stato, la mitica funzione della quadratura del cerchio, dei contrasti irrisolvibili dalla società civile non è più indispensabile. Il tempo della giustizia sovrana è quello immutabile scritto a caratteri giganteschi sulle facciate dei tribunali, non questo pragmatico, cangiante e opportunista dove tutto è possibile, anche che il capo dell'anticomunismo italiano sia amico fraterno e alleato dei comunisti russi allevati dal Kgb, o che l'onorevole Villari del Partito democratico si faccia eleggere al comitato di vigilanza della Rai da Forza Italia e che anche radicali e socialisti approvino questa libertà da re Travicello.

La cosiddetta opinione pubblica, diciamo l'opinione della minoranza che in Italia si occupa ancora di politica, è sempre divisa fra il ruolo della grande personalità e il corso della storia, fra l'individuo che s'impadronisce del potere e la storia che gliene offre l'opportunità; Berlusconi lo chiama 'il tempo del fare'. Un tempo in cui le istituzioni millenarie cedono agli appetiti e alle avidità insopprimibili e risorgenti. Da noi un uomo abile e ricco giunto alla guida del governo ricorda ogni giorno alla magistratura che il suo fare non sopporta gli intralci dell'onorata istituzione.

(18 dicembre 2008)

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #78 inserito:: Dicembre 27, 2008, 09:53:03 am »

Giorgio Bocca


Chi ci salva dalla crisi


Non gli economisti che hanno le mani in pasta, non Paulson, il 'mago' della Federal Reserve, non questi manager che mettono in piazza le loro follie e le loro violenze  Traders a Wall StreetMa che cosa è questa crisi?, ironizzavano i canzonettisti degli anni Trenta. Sulla crisi attuale non potrebbero: oggi tutti sanno che cosa è, è una crisi immedesimata, stampata sui difetti umani elementari quali avidità, impazienza, disonestà, voglia di potere, di sfruttamento altrui e di stupidità, che risulta difficile, spesso impossibile ignorarlo.

Gli economisti che hanno le mani in pasta sono i meno adatti a spiegarla, riescono meglio i letterati, gli artisti. Il vecchio Tolstoj, per dire: "Il diavolo del perfezionamento tecnico ha convinto gli uomini che più oggetti fabbricheremo e più rapidamente e meglio sarà per tutti. E così gli uomini perdono la vita per fabbricare un numero di oggetti perfettamente inutili sia per coloro che li hanno prodotti, sia per coloro che si sono indebitati per averli".

La crisi è chiara, chiarissima per chi l'ha ogni giorno voluta, ma è questa chiarezza la ragione prima di umiliazione, l'ammissione, l'evidenza che ci siamo rovinati con le nostre mani. Viviamo, dice il sociologo Edgar Morin, con una bomba a scoppio ritardato nel nostro armadio. C'è da stupirci se ci divora l'angoscia? Ogni mattino apriamo giornali e radiotelevisioni con un fiero proposito: questa volta voglio proprio capire perché oggi tutto va storto, tutto è in perdita se facciamo le stesse cose di ieri quando tutto era guadagno, sviluppo. E la prima constatazione scoraggiante, ma che dico, disperante, è che stiamo facendo di tutto per riprodurre i guasti e gli errori di ieri.

Chi sono gli esperti, i dottori emeriti, le teste fini a cui chiediamo di rimettere in sesto la baracca dell'economia? Oggi il primo ad apparire sugli schermi, sui fogli, è stato un gigante di nome Henry Paulson, dalla voce cavernosa e tremante, uno dei maghi della Federal Reserve che hanno perseguito per decenni l'indebitamento gigantesco, la vendita di 'azioni spazzatura', il trasferimento a paesi esteri del debito commerciale americano, e il consumismo folle che sta mettendo a rischio finale la nostra sopravvivenza, in un vortice irresistibile in cui qualsiasi cosa si faccia è sbagliata: se consumi ti indebiti, se non consumi l'economia si ferma, se segui la corsa tecnologica inquini, se non la segui fallisci.

E guardando al mattino appena alzati e già depressi questi manager che mettono in piazza le loro follie e le loro violenze, questi primi della classe che ci ritroviamo, ci vien di pensare che forse per gli umani di un altro millennio le cose cambieranno in meglio, ma che per noi il peggio è assicurato. Per giunta, essendo persone scolarizzate sappiamo anche che tutto era prevedibile, evitabile. Non è noto dai tempi di Tacito che "la debolezza umana fa sì che i rimedi vengano sempre dopo il male"? Non è arcinoto che uno dei grandi pensatori del capitalismo americano, il signor Taylor del famoso metodo produttivo, diceva amabilmente agli operai: "Non vi chiedo di pensare. C'è gente pagata per questo". La tecnica come toccasana! Ma fa anche parte della tecnica il colpo partito che non può tornare indietro, le dighe colossali che hanno compromesso per sempre i sistemi idrici cinesi, egiziani o danubiani.

Ogni mattino apriamo i giornali o le televisioni per sapere se i nostri governanti e salvatori sono in arrivo. Lo spettacolo non è incoraggiante: giocano con le montagne di dollari o di sterline come era di moda negli anni del miracolo economico giocare a Monopoli con i dadi e i soldi falsi. L'economia in genere e quella globale in particolare danno vita a meccanismi al di fuori di ogni controllo, sensibili a tutti gli umani desideri, a tutte le umane debolezze. Apprezzabili soprattutto se fuori da ogni controllo. E allora di che ci lamentiamo?

(24 dicembre 2008)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #79 inserito:: Gennaio 01, 2009, 10:37:15 am »

Giorgio Bocca.

C'è un ufo alla rai


L'Italia si sta popolando di uomini senza dimensioni. Come certi politici dell'opposizione pronti a salire sul carro della maggioranza  Riccardo VillariL'Italia va popolandosi di uomini senza dimensioni. Cosa intendiamo per dimensioni? Tutto ciò che dà la misura di un uomo, lo definisce, lo qualifica, gli impone dei rispetti: la sua cultura, i suoi amici e maestri, i suoi principi morali e politici. Stanno scomparendo. I cittadini campano a quanto pare benissimo, indefinibili, imprendibili. L'esempio più chiaro, scolastico, è il senatore Riccardo Villari. Viene eletto presidente della Commissione di vigilanza Rai dai nemici del suo partito, Partito democratico. Avesse un minimo di dimensione politica si dimetterebbe immediatamente, ma non ce l'ha, tutto ciò che si sa di lui è l'aspetto pacioso, il pulloverino di cachemire, il tifo per il Napoli, e neppure la sua professione di medico delle malattie del fegato è per lui qualificante. Perciò resta dove è, sulla poltrona che gli hanno regalato per fare un danno al suo partito, cioè al partito che lo ha fatto senatore. Dice di non essere il solo a mancare di dimensioni impegnative. E in questo ha ragione: la politica italiana va riempendosi di personaggi che ricordano i palloni aerostatici della guerra, non sai se per essere abbattuti dal nemico o per abbatterlo.

Che dimensioni hanno gli oppositori del premier Silvio Berlusconi? Spesso è impossibile dirlo. Fanno parte dell'opposizione, ma si capisce lontano un miglio che gli andrebbe benissimo salire sul carro della maggioranza. Gli ex comunisti napoletani alla Bassolino, per dire: arriva a Napoli il Cavaliere per ripulirla dalla immondizia nelle strade del centro, mentre la regione intera si è riempita della immonda camorra sino a soffocarne il respiro civile, sino a farne una città civilmente morta, e Antonio Bassolino con i suoi aiutanti pencola, ha una gran voglia di fare il salto, di ritrovarsi nella tribuna d'onore del Napoli accanto a Villari. E il pencolare rientra nella più antica tradizione politica italiana, nel trasformismo che dura dai secoli bui delle dominazioni straniere: 'Francia o Spagna purché se magna'. Forse ci sono ancora italiani a cui questa mancanza di dimensioni precise, di riferimenti, dà il voltastomaco: come vivere in un paese senza indicazioni stradali, senza divieti d'accesso, senza leggi, senza regole rispettabili e rispettate.

Che idea ha della politica il senatore Villari? Che un uomo politico, cioè un rappresentante dei cittadini, non rappresenta che se stesso, le sue piccole ambizioni, i suoi comodi, i suoi viaggi gratis in ferrovia o in aeroplano: un politico così è accettabile? Eppure lo è, il senatore Villari viene fischiato ma anche applaudito se appare in pubblico, e nonostante gli inviti ad andarsene da tutte le parti, resta al suo posto.

Ma non solo i politici. Che dimensioni, che amici e maestri, che punti di riferimento hanno i magistrati delle Procure di Catanzaro e Salerno, che si sono fatti la guerra come due bande di malfattori, con violenze e sopraffazioni reciproche? Quali dimensioni civili, quali modelli hanno gli amministratori di città come Catania che non pagavano l'elettricità per la pubblica illuminazione e tutti gli altri che hanno usato le unità sanitarie per sistemarci i parenti e fare bottino? Si fa sempre più difficile in questo paese rispettare la dimensione, la misura, la qualifica che va sotto il nome di cittadino italiano, di cui spesso ci si vergogna.

(31 dicembre 2008)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #80 inserito:: Gennaio 09, 2009, 04:44:10 pm »

Giorgio Bocca.


Ragazze sposate un miliardario


Perché gli italiani hanno rivoluto Berlusconi al governo? Che cosa ha in più degli altri politici il premier, visto che l'unico consiglio di vita che ha saputo dare alle donne è di trovare un buon partito?  Antonio Di Pietro, a chi lo rimprovera di occuparsi ossessivamente di Silvio Berlusconi, risponde: ma non è lui che ha il potere, non è lui che sta massacrando la nostra democrazia, la giustizia, tutto? Se così è, alla risposta di Antonio Di Pietro si dovrebbe aggiungere: ma in cosa consiste questo grande potere di un parvenu della politica, perché la maggioranza degli italiani lo ha chiamato al governo per la terza volta, perché gli conserva il suo appoggio? Non è certamente la capacità reale di governare, di dettare le linee dello sviluppo economico, di una ragionevole politica estera, di una giustizia giusta.

In materia economica Berlusconi continua a negare l'evidenza della crisi, l'attribuisce al catastrofismo degli italiani, li invita a consumare mentre, colpiti dalla crisi, cercano di risparmiare, a comprare azioni mentre le Borse crollano, a comportarsi cioè, nel migliore dei casi, come dei grandi speculatori che non sono, come degli spericolati rialzisti essendo dei risparmiatori spaventati. La responsabilità della crisi mondiale non è evidentemente solo di questo imprenditore milanese che ha fabbricato quartieri residenziali e creato reti televisive, ma certamente ha cavalcato in questi anni tutti i rischi e le pazzie del liberismo senza controlli e del produttivismo alla cieca. Tanto che l'unico consiglio di vita che sinceramente ha potuto dare alle concittadine è stato: "Sposate un miliardario".

Ma allora, perché gli italiani lo hanno riconfermato al governo? Che cosa gli dà che altri politici non sappiano dargli? È una domanda che mi sono posto da quando l'ho incontrato per la prima volta nella sua casa milanese di via Rovani, prima che si trasferisse nella reggia di Arcore. E lì mi sono reso conto che ciò che la gente chiede a un politico sono molte cose diverse dal buon governo, molte cose che appartengono più all'innamoramento, alla seduzione e anche alla magia, che al buon governo. Quasi tutti coloro che lo conoscevano e a cui chiedevo di spiegarmi le ragioni del suo successo, mi dicevano: "Ha una marcia in più. Una forza in più".

Anche quella di apparire più che di essere, o le due cose insieme. A conferma che la vita è sogno e che il sogno è teatro. Che cosa può realmente fare uno come Berlusconi al governo dell'Italia nella grande crisi finanziaria ed economica che attanaglia il mondo? Praticamente nulla di concreto. Non è con le parole, con le barzellette, con le battute, con i gesti a sorpresa che puoi rianimare un mercato saturo, una finanza impazzita, un'avidità senza limiti. E neppure con l'attivismo senza soste, con la mobilità leggendaria, in viaggio continuo da Roma a Mosca, da Bangkok a Washington, nel gesto continuo di chi si mette a posto la cravatta o si chiude la giacca mentre sfila davanti ai picchetti d'onore. Ma forse la fascinazione della politica, per cui Berlusconi era nato e a cui si è dato anima e corpo, è proprio questa mescolanza di teatro e di azione, di realtà e di sogno a tempo indeterminato.

Quanto dura la fortuna di un demagogo come Silvio? Fino a quando anche i suoi difetti appariranno straordinari ai suoi cortigiani? Anche il rischio della fortuna mutevole fa parte della politica, di questa pretesa o presunzione di diventare, come li chiama Omero, "pastori di popoli".

(09 gennaio 2009)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #81 inserito:: Gennaio 16, 2009, 11:41:30 pm »

Giorgio Bocca.


Il potere alle macchine


L'auto che ci ha cambiato la vita ha il diritto di dominarla: ogni giorno c'è un massacro sulle strade e la nostra complicità con i delitti è totale, al massimo l'accusa è di omicidio colposo  Fra le macchine che dominano la nostra vita, l'automobile è la più potente: non solo ci uccide, ma ci dà licenza di uccidere. Il giovane che ha fatto strage d'innocenti a Milano con la sua auto ha dichiarato tranquillamente: "Pioveva e la visibilità era minima, ho sterzato e sono piombato sul gruppo, che non avevo visto. Mi spiace per le vittime". Un giudice l'ha già mandato libero, l'omicidio colposo è un omicidio quasi normale nella società in cui l'automobile è la macchina sovrana, indispensabile, se si ferma la sua produzione non solo perdono il lavoro quelli che la fabbricano, ma si ferma anche l'indotto, il laborioso formicaio che partecipa alla produzione.
Noi leggiamo sui giornali, seguiamo alla televisione le notizie del massacro quotidiano senza stupore e condanna. Se c'è un omicidio premeditato con l'aggravante dei futili motivi è proprio quello di chi è alla guida di quel proiettile vagante che è un'auto che corre ad alta velocità, magari ubriaco, magari assonnato. Certo però che sarà l'infernale, l'ingovernabile macchina a farlo perdonare e rimandarlo libero perché possa subito mettersi al volante di un'altra macchina omicida.

Una volta entrati in questa alienazione non se ne esce più. La macchina che ha cambiato la tua vita ha il pieno diritto di dominarla. Tutto l'ordine sociale va sottomesso alla sua crescita, alla sua straripante moltiplicazione. La nostra complicità con i suoi delitti è totale: come può un giudice raziocinante mandare libero un giovanotto che ha fatto strage d'innocenti, accusandolo al massimo di omicidio colposo? Ma è chiaro, anche il giudice condivide il patriottismo automobilistico, anche lui sa benissimo che l'automobile è sacra, ha liberato l'umanità dalla fatica del camminare e dalla schiavitù delle distanze, gli ha regalato l'ubiquità, la sua enorme forza motrice, il poterti sentire solo dentro la folla, la libertà di decidere in una vita già decisa dagli altri.

Per ritrovare un minimo di coscienza sul nostro stato di dipendenza assoluta dalle macchine, possiamo contare su qualche black out energetico. Nulla di drammatico, intendiamoci, un piccolo avviso in portineria: causa lavori l'elettricità sarà interrotta dalle nove alle dodici. Ed eccovi alle nove in punto riportati di colpo non alla preistoria, non alla clave e alle pelli ferine, ma all'assoluta impotenza, a uno stato prenatale. Tutto spento, tutto immobile, la casa come una sorda prigione: nel buio non potete leggere, le macchine per scrivere e per calcolare sorde, inerti come pietre, freddi i termosifoni, muti i telefoni, inchiodate le saracinesche.

Pazienza, tre ore passano in fretta, vi resta il letto per riposare. I black out passano, l'energia ritorna, il moto continuo riprende, ma quel panico da mancanza di energia, quel ritrovarvi incapaci di sopravvivenza, di autonomia, non vi abbandonerà presto, vi siete resi conto della fragilità estrema di questo modo di vivere protetti dalle macchine, sostituiti dalle macchine, complici delle macchine.
E ogni tanto gli annunci di catastrofi totali irreparabili, città come New Orleans coperte dalle acque, mutamenti climatici catastrofici con un'umanità che non sa più fare manualmente le cose più semplici.
Ogni giorno a Milano c'è un incidente tramviario, il più sicuro dei mezzi di pubblico trasporto su rotaie si rompe, esce dai binari, investe qualcosa.
Che sia già iniziata la rivolta delle macchine?

(16 gennaio 2009)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #82 inserito:: Gennaio 24, 2009, 04:30:04 pm »

Giorgio Bocca.

Corruzione modello Romeo


L'imprenditore ha spiegato che il suo Global Service, svelto di mano e di 'dazioni', era però indispensabile a far funzionare Stato ed economia. Che oggi non sono più capaci nemmeno di aggiustare fogne e strade  Alfredo RomeoSiamo alla corruzione continua, andata e ritorno. Poteva spiegarcelo solo un napoletano svelto e intelligente, il signor Alfredo Romeo, gestore della Global Service, che già dal nome sembra indicare un servizio totale, pubblico-privato, onesto-ladro, individuale-collettivo, diciamo qualcosa di più simile all'Urss di Leonid Breznev che al liberismo di Luigi Einaudi.

Vediamo la corruzione di andata: gli amministratori dello Stato, la burocrazia statale e quella dei partiti, per rubare meglio hanno rinunciato alle scuole di ornato urbano come a quelle di pubblica amministrazione. Un esercito famelico di monsù Travet, un tempo fiero di servire i sovrani e la patria in onorata miseria, ha preteso la sua parte di bottino. Il Partito socialista di Bettino Craxi ha trovato la quadratura ideologica di questa pretesa universale alla ricchezza o almeno al sussidio statale. Gli amministratori socialisti di Torino hanno spiegato per primi alla nuova Italia che un pubblico amministratore capace compiva la stessa funzione di un tecnico o di un imprenditore e che dunque andava retribuito come un professionista. E se non era retribuito si aggiustava. Dopo aver sostituito l'aborrito servizio militare con il mercenariato e la pubblica amministrazione con le consulenze e i privilegi di partito, i signori delle segreterie hanno occupato le banche e gli enti pubblici, pretendendo di essere finanziati al di fuori da ogni controllo. Sembrava che, finito il regno e il fascismo, nascesse la nuova Italia democratica. È nata invece l'Italia delle mafie politiche-criminali, che non è una nostra specialità, ma un portato di questo capitalismo globalistico che è riuscito nel capolavoro di mettere in crisi anche le residue economie comuniste.

Silvio Berlusconi ha creduto di potersi caricare sulle spalle questa squinternata società e pensa di cavarsela con il suo populismo fronteggiato da un vecchio socialista per bene come il presidente Giorgio Napolitano, che almeno sa parlare in lingua e in civili maniere. In questa situazione un napoletano svelto come questo Romeo della Global Service, inquisito dai magistrati napoletani per avere le mani in pasta con la burocrazia partitica di mano lesta, ci ha spiegato con le prime deposizioni che la corruzione italiana, è diciamo pure, epocale, mondiale, del tipo 'andata e ritorno', come dimostra il fatto certo che il sistema mafioso sta risalendo la Penisola come la linea delle palme, e che è il sistema politico ed economico del Nord ricco ad alimentarlo.


Cosa ha detto di preoccupante, ma di vero, lo svelto Romeo? Che il suo Global Service svelto di mano e di 'dazioni' è però indispensabile a far funzionare Stato ed economia; è un po' e non a caso, come i Tolkac sovietici, i comunisti miliardari che rimettevano in moto la produzione, trovavano i ricambi, gli operai specializzati, le materie prime introvabili nel piano quinquennale. Ignoriamo nei particolari le attività di Romeo, ma ci pare più che credibile che la rete dei suoi affari si allargava perché le pubbliche amministrazioni corrotte avevano dimenticato la corretta amministrazione del territorio e dei beni pubblici, non sapevano più aggiustare né le fogne né le strade, non sapevano progettare delle buone città, una buona igiene. Il populismo di Berlusconi fa il pari con la frenetica attività festaiola dei partiti, mostre, festival del cinema, sorrisi di belle donne e canzoni imperversanti nel paese dei balocchi. Romeo come un Tolkac?

(23 gennaio 2009)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #83 inserito:: Febbraio 06, 2009, 05:24:29 pm »

Giorgio Bocca

No alla gara delle fazioni


Di fronte al dramma di Gaza non siamo certo per l'indifferenza ma neppure per la faziosità irragionevole  Donne beduine scappano dalla loro casa
in fiamme a Beit LahiaLa rissa in televisione fra Santoro e la Annunziata ha segnato il punto più deludente di una bassissima stagione politica. Una rissa tra faziosità che non riescono a capire che stanno affrontandosi su una sciagura storica comune a entrambi i popoli, palestinese e israeliano. Per il primo la sorte amara dei deboli che i potenti e i ricchi hanno lasciato sconfiggere per indifferenza o comodo, per il secondo l'ultimo, millenario processo di 'caccia all'ebreo', ricorrente nella storia.

Nei mesi che trascorsi in Israele per la guerra dei Sei giorni e per il processo Eichmann, il sentimento d'impotenza di fronte alla tragedia storica che si ripresentava davanti a me era desolante. Mi facevo portare in taxi da David, il marito della proprietaria del ristorante La Gondola, che parlava un po' d'italiano perché era stato nella brigata ebraica che aveva risalito l'Italia con gli Alleati angloamericani. Con David non parlavo dei palestinesi perché sapevo come la pensava: "Con arabi - diceva ogni tanto come se il pensiero gli salisse dai precordi - io così...", e faceva il gesto del tagliagole.

Ho deciso allora di non partecipare più alla gara delle fazioni e dei loro giudizi, per una semplice e forse pavida riflessione: cosa puoi dire tu che sei comodo spettatore delle spaventose sofferenze altrui? Come puoi intervenire tu che stai al sicuro, al caldo, ben nutrito, su guerre senza prigionieri, su inimicizie millenarie?

Poco dopo il processo Eichmann è uscito il libro di uno scrittore ebreo che accusa Israele di aver usato il processo a fini politici, per il risarcimento economico da parte dei persecutori più che per avere giustizia. Una tesi che impressiona, ma semplicistica. Certo il processo serviva a Israele in lotta per la propria esistenza a far tacere l'ostilità dei paesi arabi, a ottenere finanziamenti tedeschi e americani. Ma chi assisteva al processo non poteva fermarsi a questi retroscena, lo seguiva con atterrito stupore, come la testimonianza di quel fatto orrendo, incredibile: che nell'Europa moderna fosse avvenuto un massacro razzista, milioni di uomini sterminati per delle teorie risibili.

Ogni giorno arrivavano in aula gli ebrei superstiti dei paesi occupati dai nazisti: francesi, norvegesi, olandesi, belgi, danesi, italiani, ogni volta si saliva nei cieli alti della tragedia e della malvagità senza senso, che non è affatto banale come sostiene Hannah Arendt, ma opera del Maligno, del diavolo tentatore, del peccato originale che non ci abbandona. La perfezione organizzativa di un eccidio demenziale, il colossale trasporto dei condannati a morte che ostacolava lo sforzo bellico nazista, fino all'ultimo viaggio di una tradotta di ebrei da Budapest a Vienna mentre le avanguardie dell'Armata Rossa erano già vicine alla città. Non avevo mai partecipato a un lutto, a un pianto così totale e unanime. Sotto il cielo basso di Gerusalemme, il cielo che è la casa di Dio, sembrava annunciarsi il Giudizio Universale.

E lo stesso invito al silenzio, a non sentenziare, a non giudicare di fronte all'immane sventura altrui mi viene dalle cronache di migliaia di morti, soprattutto bambini e donne indifese, e alla loro storia che, come quella degli ebrei, è una lunga storia di persecuzioni e di prepotenze altrui, le grandi potenze, la Francia e l'Inghilterra, che hanno giocato con freddo cinismo sulle guerre del Medio Oriente, e noi dell'Asse nazi-fascista che volevamo passare a El Alamein per arrivare fino in Siria e in Iraq per altri massacri.

Non siamo certo per l'indifferenza di fronte al dramma di Gaza, ma non siamo neppure per la faziosità irragionevole.

(06 febbraio 2009)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #84 inserito:: Febbraio 14, 2009, 12:07:55 am »

L'ANALISI

Una corazza contro la dittatura nata da una guerra di popolo

di GIORGIO BOCCA


 CI SONO due recenti dichiarazioni pubbliche del premier Berlusconi che servono a capire il personaggio e il suo populismo: che Eluana Englaro dopo diciassette anni di vita artificiale potesse partorire, e che i costituenti italiani del '48 erano degli stalinisti che s'ispiravano alla costituzione dell'unione Sovietica. Due dichiarazioni che sono la negazione dell'impossibilità umana di sopravvivere alla morte della coscienza e dell'intelligenza, e la negazione della dittatura come annullamento della democrazia.

Generazioni di comunisti europei hanno saputo benissimo, sin dalla sua promulgazione nel '36, che la costituzione staliniana era un sogno e un'impostura per coprire la dittatura, che il socialismo reale era quello dei piani quinquennali e della modernizzazione forzata, ma nella convinzione e nella speranza che quello fosse il solo percorso possibile. Come Togliatti scrisse in risposta alle critiche di Gramsci: "Dobbiamo riconoscere che l'azione del partito comunista russo, la rivoluzione russa sono stati il più grande fatto di organizzazione e di propulsione delle forze rivoluzionarie. Oggi questa propulsione è ancora attiva e crescente nel proletariato mondiale, all'evidenza è ancora attiva nelle classi operaie del mondo, nel mondo intero c'è la convinzione che in Russia, dopo la conquista del potere, il proletariato può costruire il socialismo e sta costruendolo".

Nella generazione dei comunisti dell'era staliniana restava cioè la profonda convinzione che con tutte le sue deviazioni autoritarie Stalin restava nel profondo un socialista, e che la dittatura sovietica, nonostante i suoi spaventosi prezzi, aveva tenuta aperta la via al socialismo, come era stato confermato dalla vittoria contro il nazismo. Siamo cioè di fronte a uno dei grandi paradossi della storia: i comunisti europei sanno che il socialismo in un solo paese si è trasformato in una dittatura spietata, ma pensano che sia ancora possibile riparare l'errore di percorso, costruire un socialismo democratico.

Togliatti è il testimone politico più autorevole di questa ambiguità. Rappresentante del Comintern in Spagna durante la guerra civile, detta i tredici punti di una costituzione repubblicana che entrerà in vigore a guerra vinta contro il franchismo: autonomie regionali, rispetto della proprietà e dell'iniziativa private, e dei diritti civili, libertà di coscienza e di fede religiosa, assistenza alla piccola proprietà, riforma agraria per la creazione di una democrazia rurale, rispetto delle proprietà straniere non compromesse con il franchismo, ingresso della Spagna nella Società delle Nazioni, amnistia per tutti gli spagnoli che hanno partecipato alla guerra di liberazione. In sintesi il progetto di rimettere assieme un paese diviso fra anarchici, socialisti, comunisti e conservatori, un paese, si badi, dove la polizia politica stalinista continuava ad arrestare e fucilare i nemici, presunti o reali.

La costituzione togliattiana fu naturalmente criticata sia dalla sinistra trozkista come un tradimento della rivoluzione, sia dai conservatori come un cavallo di Troia dello stalinismo. Ma essa resta nel 1938 come uno dei punti più alti del rilancio democratico. Aggiungiamo che anche il cinico Togliatti si era illuso sulla possibilità di correggere lo stalinismo: è proprio di quell'anno la svolta machiavellica di Stalin, che cessa gli aiuti alla rivoluzione spagnola per preparare le nuove alleanze con le grandi democrazie minacciate dal nazismo. Sconfitto in Spagna il riformismo togliattiano ritorna nell'Italia democratica dopo il '45, e questa volta è l'intero arco costituzionale, dai comunisti ai democristiani ai liberali, in un paese che ha conosciuto la ferocia nazista, a volere una costituzione democratica, di cui Piero Calamandrei può dire "lo spirito della Costituzione deve tradursi in questi caratteri essenziali: la democrazia come sistema politico delle libertà, e il lavoro come sostanza di una libertà non solo formale. In sostanza il programma dei fratelli Rosselli e del movimento Giustizia e libertà". Il progetto spagnolo di costituzione scritto da Togliatti deve adattarsi al mutamento della società italiana: il partito comunista e le sue pretese egemoniche sono state fortemente ridimensionate dalle elezioni, il primo partito italiano è il socialista seguito dal democristiano, il peso dei cattolici nella società italiana è determinante, e il partito comunista ne prende atto facendo approvare anche ai compagni più riottosi l'articolo sette, cioè la conferma dei patti lateranensi che riconoscono alla chiesa una posizione di assoluto privilegio.

Due compagni, La Noce e Terracini, negano il loro voto, ma il partito compatto approva. E qui si chiude il mito del partito della rivoluzione o della "terza ondata", che ancora turba i sogni del nostro premier, e che viene ripetuto sino all'ossessione nella sua propaganda elettorale. La Costituzione repubblicana e democratica non è nata solo da un accordo politico fra i partiti. È nata dalla guerra di liberazione, dalla presa di coscienza che il paese era socialmente imperfetto e antico, che l'Italia regia e fascista aveva compiuto una modernizzazione tecnica e in parte economica, ma non aveva risolto le divisioni sociali, restava una società divisa in cui gli operai, i contadini e in genere i poveri restavano diversi anche nel modo di vestire, di parlare, e persino nel pubblico passeggio, oltre che nella giustizia e nei diritti umani. La guerra partigiana non fu una rivoluzione politica, ma come guerra di popolo, a cui partecipavano italiani di ogni ceto, fu una rivoluzione sociale, per fare finalmente del popolo italiano un popolo unito.

I critici della Costituzione si dividono fra quelli che la giudicano troppo prudente e quelli per cui è troppo avanzata. È difficile però disconoscerne i meriti, essa è stata nel dopoguerra una corazza che ha protetto il paese da cedimenti autoritari, da ipocrisie populistiche e demagogiche, cioè dalle tentazioni cui il nostro premier spesso cede.


(13 febbraio 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #85 inserito:: Febbraio 14, 2009, 03:19:11 pm »

Giorgio Bocca.

No alla gara delle fazioni


Di fronte al dramma di Gaza non siamo certo per l'indifferenza ma neppure per la faziosità irragionevole  Donne beduine scappano dalla loro casa
in fiamme a Beit LahiaLa rissa in televisione fra Santoro e la Annunziata ha segnato il punto più deludente di una bassissima stagione politica. Una rissa tra faziosità che non riescono a capire che stanno affrontandosi su una sciagura storica comune a entrambi i popoli, palestinese e israeliano. Per il primo la sorte amara dei deboli che i potenti e i ricchi hanno lasciato sconfiggere per indifferenza o comodo, per il secondo l'ultimo, millenario processo di 'caccia all'ebreo', ricorrente nella storia.

Nei mesi che trascorsi in Israele per la guerra dei Sei giorni e per il processo Eichmann, il sentimento d'impotenza di fronte alla tragedia storica che si ripresentava davanti a me era desolante. Mi facevo portare in taxi da David, il marito della proprietaria del ristorante La Gondola, che parlava un po' d'italiano perché era stato nella brigata ebraica che aveva risalito l'Italia con gli Alleati angloamericani. Con David non parlavo dei palestinesi perché sapevo come la pensava: "Con arabi - diceva ogni tanto come se il pensiero gli salisse dai precordi - io così...", e faceva il gesto del tagliagole.

Ho deciso allora di non partecipare più alla gara delle fazioni e dei loro giudizi, per una semplice e forse pavida riflessione: cosa puoi dire tu che sei comodo spettatore delle spaventose sofferenze altrui? Come puoi intervenire tu che stai al sicuro, al caldo, ben nutrito, su guerre senza prigionieri, su inimicizie millenarie?

Poco dopo il processo Eichmann è uscito il libro di uno scrittore ebreo che accusa Israele di aver usato il processo a fini politici, per il risarcimento economico da parte dei persecutori più che per avere giustizia. Una tesi che impressiona, ma semplicistica. Certo il processo serviva a Israele in lotta per la propria esistenza a far tacere l'ostilità dei paesi arabi, a ottenere finanziamenti tedeschi e americani. Ma chi assisteva al processo non poteva fermarsi a questi retroscena, lo seguiva con atterrito stupore, come la testimonianza di quel fatto orrendo, incredibile: che nell'Europa moderna fosse avvenuto un massacro razzista, milioni di uomini sterminati per delle teorie risibili.


Ogni giorno arrivavano in aula gli ebrei superstiti dei paesi occupati dai nazisti: francesi, norvegesi, olandesi, belgi, danesi, italiani, ogni volta si saliva nei cieli alti della tragedia e della malvagità senza senso, che non è affatto banale come sostiene Hannah Arendt, ma opera del Maligno, del diavolo tentatore, del peccato originale che non ci abbandona. La perfezione organizzativa di un eccidio demenziale, il colossale trasporto dei condannati a morte che ostacolava lo sforzo bellico nazista, fino all'ultimo viaggio di una tradotta di ebrei da Budapest a Vienna mentre le avanguardie dell'Armata Rossa erano già vicine alla città. Non avevo mai partecipato a un lutto, a un pianto così totale e unanime. Sotto il cielo basso di Gerusalemme, il cielo che è la casa di Dio, sembrava annunciarsi il Giudizio Universale.

E lo stesso invito al silenzio, a non sentenziare, a non giudicare di fronte all'immane sventura altrui mi viene dalle cronache di migliaia di morti, soprattutto bambini e donne indifese, e alla loro storia che, come quella degli ebrei, è una lunga storia di persecuzioni e di prepotenze altrui, le grandi potenze, la Francia e l'Inghilterra, che hanno giocato con freddo cinismo sulle guerre del Medio Oriente, e noi dell'Asse nazi-fascista che volevamo passare a El Alamein per arrivare fino in Siria e in Iraq per altri massacri.

Non siamo certo per l'indifferenza di fronte al dramma di Gaza, ma non siamo neppure per la faziosità irragionevole.

(06 febbraio 2009)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #86 inserito:: Febbraio 14, 2009, 03:25:45 pm »

Giorgio Bocca

L'imperatore Barack Obama


Il giuramento del nuovo presidente Usa è stato uno spettacolo impressionante  e un po' preoccupante della potenza e della ricchezza americane che si mostravano al mondo  Il giuramento dell'imperatore d'America Barack Obama, un miliardo e passa di spettatori in ogni contrada del mondo, io a Milano, Lombardia, nell'Italietta. Cosa mi ha colpito della trionfale cerimonia? Non il discorso del nuovo presidente: non privo di buone novità e buone promesse, ma prevedibile, quasi dimesso, prudente verso i misteri del mondo e del futuro. I riti e i miti americani? Stranoti e un po' fastidiosi, con quella celebrazione dei coraggiosi, eroici pionieri che per la verità sterminavano gli indigeni armati di frecce e asce. Che cosa allora? Il volto raggiante e compiaciuto dell'impero, lo spettacolo impressionante e un po' preoccupante della potenza e della ricchezza americane che si mostravano al mondo, opulente e soddisfatte, raggianti e compiaciute negli auto elogi.

Veniva spontaneo il confronto con il nostro establishment, con la festa della Repubblica, i bersaglieri che corrono con il fiato grosso, la pattuglia aerea tricolore, le autorità in tribuna, tutti ingrassati dal banchetto governativo, grandi chiappe, giacche che non si chiudono, cravatte che strozzano, tutti in coda dietro il capo dello Stato a cerimonia finita verso pastasciutte e mozzarelle.

Senza paragone l'impero, l'imperatore e la sua corte, le centinaia, le migliaia di senatori, governatori, generali, ammiragli, miliardari, congressman, scienziati e belle mogli in un trionfo di colori, come dicono fossero i templi della Grecia o dell'Egitto: viola, verdi, gialli. A coppie, a file indiane, a gruppi festosi tutti ben nutriti, massaggiati, profumati, soddisfatti di far parte dei padri coscritti dell'unione, pronti al sorriso, alla stretta di mano, ai gesti affettuosi, hello vecchio McCain, una carezza alle gemelle Bush, un applauso anche a quella vecchia lenza di Cheney che arriva su una sedia a rotelle per via di un dolore alla schiena che si è fatto traslocando i libri; anche tu John, la tua signora, tua figlia, insieme con il nuovo imperatore, una fetta della grande torta per ognuno, centinaia di ministeri, supercomandi, missioni speciali, consigli di amministrazione, è il nostro turno di quattro anni, ma poi verrà il turno degli altri.

Le donne dell'impero! Ridano pure a Parigi o a Milano dell'abito di Michelle bianco come una meringa, dei suoi modelli da granatiere misura massima, rida pure la Carla parigina, ma noi siamo le signore del mondo, guardate la nostra ricchezza, centinaia di automobili giganti che avanzano a passo d'uomo verso il Campidoglio, ognuna seguita dagli agenti della sicurezza, un esercito, trentamila, quarantamila e per ognuna di noi: cameriere, cuoche, pettinatrici, truccatori, un'americana dell'impero la si riconosce subito dal trucco perfetto, preciso.

Guardate i coniugi Clinton, avanzano lentamente per assaporare gli applausi, lei circondata dalla gloria del dipartimento di Stato, tutti i paesi della Terra attenti a quello che dice e come si muove, lui con la sua fondazione, la più ricca del creato, migliaia di miliardi, lui che applaude, lei che sorride a lui. Dicono nel vecchio mondo che fra loro ci siano lotte feroci, invidie, vendette. Sì, ma li tiene assieme compatti, solidali, fedeli, l'idea che ci sarà un posto di privilegio e di comando per tutti, che già domani, dopo il giuramento, le danze, le feste, ognuno troverà il suo ufficio al piano più alto del grattacielo. Proprio come dicevano i giovani imprenditori americani che conobbi anni fa al congresso di Losanna. "Un posto al piano più alto - dicevano - c'è per tutti". Cioè per tutti loro signori del mondo.

(13 febbraio 2009)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #87 inserito:: Febbraio 22, 2009, 03:33:58 pm »

Giorgio Bocca


Testimoni per sempre

Il negazionismo dell'Olocausto del vescovo lefebvriano William Richardson è preoccupante non solo per lui ma per il genere umano  Il vescovo William RichardsonNuntio vobis gaudium magnum: il negazionismo non c'è. Papa Ratzinger lo ha condannato. Che cosa non può un sommo pontefice! Anche negare il nulla! Che altro è, se non il nulla, ripetere come il vescovo lefebvriano che le camere a gas non sono mai esistite, che non c'è la prova storica della loro esistenza? Ma questo accade al mondo. Chi può impedire al prossimo di affermare che è il sole che gira intorno alla terra e non viceversa? Reverendo Richardson, non ci sono le prove storiche delle camere a gas? Neanche i milioni di persone che ci morirono? Neanche le fosse comuni riempite con le migliaia di cadaveri trovate dai soldati alleati o sovietici?

Ha mai sentito parlare di un certo Eichmann, il capostazione della morte, l'ufficiale delle SS che dirigeva il traffico delle tradotte dirette ad Auschwitz o a Mauthausen? Ebbene, quel signor Eichmann, mi creda, è esistito per davvero, e io, inviato da un giornale a Gerusalemme, l'ho visto, l'ho sentito parlare, ho visto la gabbia di vetro in cui stava durante il processo, con i suoi quaderni di diverso colore in cui annotava ciò che dicevano il presidente e gli avvocati. Ho ascoltato per mesi le migliaia di testimoni, di sopravvissuti arrivati da ogni parte del mondo a raccontare come uscisse il fumo dal camino di quelli bruciati nei forni.

Sa perché gli aviatori alleati o russi non bombardarono mai i campi di sterminio (mistero storico ancora da risolvere)? Non certo perché quei campi non ci fossero, ma, è una delle ipotesi, perché si sarebbe fatta strage dei deportati. Lei reverendo dice che forse qualche ebreo è stato fucilato o strozzato o squartato negli anni della 'soluzione finale' decisa nella riunione nazista al lago di Wannsee, diretta da Heydrich. Ma lo sterminio era allo studio anche prima, proprio con le camere a gas che secondo lei non sono mai state in funzione.

Fu un geniale capitano delle SS nella Francia occupata a fare l'invenzione, a intuire che si potevano risparmiare le pallottole di fucile collegando il tubo di scappamento del gas all'interno dei camion. Uscì dalla prigione con uno dei camion genialmente adattati con un carico di deportati, e tornò senza aver sprecato neppure il colpo di grazia.

Uno dei lati misteriosi, diciamo pure demenziali, dell'Olocausto era il segreto da cui era circondato dai suoi autori, i capi del Terzo Reich, ma anche dai comuni cittadini, donne e bambini. Mauthausen non è in Siberia, Auschwitz non è al Polo nord, vicino ai campi di sterminio c'erano dei villaggi, delle città tedesche o polacche dove la gente viveva, parlava, sapeva quello che accadeva nei campi. Mi colpì durante una visita a Mauthausen che il mondo dei liberi, dei padroni tedeschi, fosse visibile dalle finestre delle baracche, in alto su un colle, che a vista fosse possibile, anzi certo, che i liberi e padroni si chiedessero che cosa stesse accadendo lassù nel lager.

Il negazionismo del reverendo Richardson è preoccupante non solo per lui, ma per il genere umano. Che cosa può spingere un essere normale dotato di buona salute mentale, di buona cultura, di normale sentimento dell'umano e del divino, del vero e del falso, dell'evidenza, a negare ciò che è certificato dalla più innegabile delle testimonianze: la morte.

Il fatto che in milioni sono partiti sulle tradotte del capostazione Eichmann e non sono tornati, che all'anagrafe su intere famiglie è stato tracciato il segno nero della scomparsa, che ci siano le fotografie delle vittime, le loro ultime parole e scritti, come si fa reverendo a dire che non ci sono le prove storiche?

(20 febbraio 2009)
da epresso.repubblica.it
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« Risposta #88 inserito:: Marzo 07, 2009, 12:32:04 am »

Giorgio Bocca.

I faziosi di Eluana


I cultori della vita a ogni costo in obbedienza a Dio non si accorgono di volersi sostituire a Dio  Uno dei cartelli all'esterno
della clinica La QuieteNei giorni in cui si spense Eluana Englaro l'informazione di ogni tipo, scritta, verbale, televisiva si è ingolfata in miriadi di contraddizioni. Il partito della vita sacra era poi lo stesso per cui è nobile e bello morire per la patria o per la fede e i sostenitori della morte naturale erano gli stessi che la allontanarono artificialmente con la scienza e con le sue sperimentazioni.

Facciamo un esempio: in una famiglia c'è un vecchio novantenne colpito da ictus ed entrato in coma. Si spegnerebbe in breve naturalmente, ma nella società moderna l'idea della morte naturale di cui parla la Chiesa è inaccettabile, i familiari, anche se religiosi, invece di vegliare pietosamente sull'agonia del parente chiamano l'autoambulanza che corra al pronto soccorso del più vicino ospedale, dove una squadra di medici cercherà in ogni modo di tenere in vita il moribondo per diversi motivi: il dovere di Ippocrate, certo, ma anche perché la sperimentazione fa parte della professione, e anche per non correre rischi di denunce e risarcimenti. Tal che il prolungamento artificiale della vita assume una parvenza di vita accettabile anche dai viventi normali e sani. Che accettata però in modo acritico diventa una colpevole e a volte indegna ignoranza, come si è visto a Udine, dove alla clinica di Eluana arrivava gente con bottigliette d'acqua e tramezzini al prosciutto per soccorrerla, lei che era tenuta in vita da pastiglie introdotte a forza nello stomaco.

I cultori della vita sacra, della vita a ogni costo non tengono il minimo conto delle sofferenze atroci di un essere prigioniero di un corpo inerte che con tutte le cure più avanzate non potrà mai riacquistare, non diciamo la normalità, ma un minimo di coscienza e di conoscenza. E dire, come si è detto, che in una società cristiana, cattolica, i parenti del ricoverato saranno assistiti dalla pubblica carità e dalle suore non è sempre vero, e certo è che le sofferenze, le lacerazioni che ne derivano ai familiari sono devastanti.


Il partito della vita, che dovrebbe rappresentare l'aspetto caritatevole del cristianesimo, è nei fatti composto soprattutto da intolleranti e faziosi. Il priore del monastero di Bose, Pietro Bianchi, uomo di grande carità, è stato colpito "dalla mancanza di stile evangelico" di quanti parlavano del padre di Eluana come di un assassino e di quanti si dolevano per la sua interminabile sofferenza come di suoi correi. E ha osservato che la facilità con cui la religione si trasforma in politica è la negazione della medesima.

Ha impressionato in certi cultori della sacralità della vita la voglia di mentire a se stessi, di rifiutarsi di prendere atto che la vita artificiale di Eluana non era più vita, che per 17 anni si era tenuta artificialmente in vita una che aveva la spina dorsale spezzata non guaribile e nessuna possibilità di riacquistare coscienza e conoscenza.

È lo stesso culto della vita a ogni costo che lascia perplessi i visitatori della Piccola casa della divina Provvidenza, la pia istituzione del Cottolengo, dove tengono in vita esseri mostruosi e deformi. Gli eccessi della carità fanno il paio con quelli dell'ideologia. I cultori della vita a ogni costo in obbedienza a Dio non si accorgono di volersi sostituire a Dio, massima empietà.

(06 marzo 2009)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #89 inserito:: Marzo 15, 2009, 09:49:50 am »

Giorgio Bocca


Rapiti da un raptus

Uccidere con ferocia piace agli umani. Da Hitler ai camorristi di Casal di Principe. All'undicenne che spara alla donna del padre e poi se ne va a scuola  A noi umani piace discutere, filosofare su ciò che ci è ignoto e magari inconcepibile come il Padreterno, la sacralità della vita, e dove sta il confine esatto tra la vita e la morte. Ma la cosa più difficile da spiegare è come mai questa temuta morte che sta nei nostri incubi con la sua falce minacciosa e le sue occhiaie vuote sia poi una delle nostre opere preferite.

Per millenni il premio più ambito dai conquistatori di città era lo sterminio degli uomini, lo stupro delle donne e il saccheggio. Ma anche in tempi storicamente recenti ha avuto grande notorietà, e un seguito non del tutto spento, l'imbianchino austriaco che dopo aver annunciato in un suo libro l'intenzione di voler conquistare uno 'spazio vitale', lo riempì con un numero enorme di morti: sei milioni di ebrei, altrettanti russi, una decina di europei del Vecchio e del Nuovo mondo, più gli asiatici da lui coinvolti nel massacro.

Ma non fu solo lui a volerlo, i suoi innumerevoli complici stavano in ogni classe sociale, prolungarono la strage per anni, fino al finale nibelungico, impiccarono e fucilarono quei pochi che volevano por fine al massacro.

Ci sono rimasti i 'discorsi a tavola', deliranti, che l'imbianchino faceva mangiando cavoli bolliti e pappette vegetariane ai generali, scienziati, filosofi, industriali della sua corte, il meglio di uno dei paesi più avanzati e progrediti del mondo. E oggi, in ogni angolo d'Europa ci sono giovanotti con il cranio pelato e le svastiche che lo vorrebbero di ritorno, 'ma questa volta cattivo', come dice l'atroce barzelletta.

La vita è sacra, ma la morte piace. A cominciare da chi predica la sacralità della vita ma continua a mandare patrioti a morire in guerra. La morte piace a chi, giovane, dovrebbe averne orrore più degli anziani. La morte da automobile è irresistibile nelle notti del sabato, e per chi dà morte con l'automobile l'indulgenza è grande, quasi un'approvazione generale, chi in automobile piomba su umili pedoni che si sono affidati a semafori o strisce è quasi esente da pene, viene subito liberato. Famiglie distrutte, bambini fatti a pezzi, assassini subito fuori.


La morte terrorizza gli umani, ma a molti di essi piace dare la morte agli altri, la morte sembra l'unico modo per ripagare i torti subiti, le umiliazioni. Una giovane immigrata che abita a Roma si sente offesa dalla corte di un amministratore di condominio. Quale miglior riparo all'offesa che ucciderlo a martellate, tagliarlo a pezzi e chiuderlo con l'aiuto dell'affettuoso marito in una valigia?

I camorristi di Casal di Principe che trafficano in droga sono disturbati dagli immigrati di colore arrivati in Campania per la raccolta dei pomodori. Che di più rapido e sbrigativo che finirli a raffiche di Kalashnikov?

Uccidere con ferocia piace agli umani, e ogni volta la vox populi spiega alle televisioni o nei giornali che "chi l'avrebbe mai detto! Era così gentile, così mansueto. Mai una parola dura, mai una violenza. E poi, chi sa, un raptus".

La comprensione degli umani per gli umani assassini è naturale nella scimmia assassina. Può capitare a tutti quel raptus per cui a uno che ti ha guardato la ragazza, superato in auto, detto un insulto, fatto delle avance sessuali viene il raptus omicida. È venuto anche a quell'undicenne americano che ha riconosciuto in una donna un'intrusa dei suoi affetti familiari, così è entrato in casa, ha preso una rivoltella del padre, ha ammazzato la donna e poi, appagato dalla morte, è andato come ogni mattino a scuola.

(13 marzo 2009)
da espresso.repubblica.it
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