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« Risposta #150 inserito:: Luglio 31, 2010, 05:06:50 pm » |
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Il limite dell'indecenza di Giorgio Bocca Nel mondo dei consumi trionfanti, della corsa al furto e al privilegio sta tornando un bisogno di misura, di moderazione, di etica (30 luglio 2010) C'è un modo razionale, scientifico per prendere atto che la terra è troppo piccola per il numero crescente di uomini che ci vivono su. Il modo per esempio di Giovanni Sartori che scrive sul "Corriere" per informarci che se tutti consumassero i prodotti della terra come gli americani o i francesi o anche noi italiani, ci vorrebbero non uno ma tre pianeti come il nostro per sopravvivere. Ma questo modo scientifico, razionale, lascia, a quanto pare, il tempo che trova: leggiamo, ci pensiamo un attimo, ma dimentichiamo come se fosse passata una nube, un buio subito cancellato dallo splendore dei consumi trionfanti. Forse più della ragione e della buona informazione conta l'arcano istinto di sopravvivenza per cui fra gli esseri umani va pian piano diffondendosi una crescente nausea per il consumismo dissennato, non certo fra chi deve vincere la fame e la sete, ma almeno fra noi dei paesi ricchi e spreconi. Lo dico perché sono sazio e vecchio? Può essere, ma credo che ci sia altro, che fra i sazi vada diffondendosi o tornando un bisogno socratico o evangelico di leggerezza fisica e mentale, una nausea per questa soffocante abbondanza, un desiderio di magrezza che forse viene dallo spettacolo dell'umanità super sazia e ultra pingue visibile in qualsiasi bagno di folla televisivo: pance enormi, seni deformi, culi straripanti, esseri traballanti sotto il loro peso, ansimanti sotto i loro grassi. Giovanni Sartori scrive che nei paesi ricchi la superficie bioproduttiva necessaria a mantenere i super consumi è ormai arrivata a 2,2 ettari a persona, ma anche chi non lo sa deve aver capito che c'è qualcosa di sbagliato in questa corsa a consumare pur di consumare, che l'uomo ha bisogno di cibo e di panni ma anche di leggerezza, non di restare soffocato, schiacciato sotto il numero e il peso delle cose. Nel sonno della morale pubblica, nella corsa generale delle classi dirigenti al furto e al privilegio forse la nausea da consumismo può giocare il ruolo che in passato ebbero le religioni. Forse l'unico freno, l'unico rimedio alla follia consumistica degli uomini del fare e del consumare è il rifiuto dell'attivismo frenetico. Una delle ragioni per cui dovunque nel mondo dei consumi trionfanti e della finanza divorante sta tornando un bisogno di misura, di moderazione, di etica è lo spettacolo indecente della società come l'hanno voluta e imposta gli adoratori del vitello d'oro. Filippo Ceccarelli ha scritto un saggio per Feltrinelli che ha per titolo: "La Suburra. Sesso e potere. Storia breve di due anni indecenti". Ceccarelli è uno scrittore erudito e brillante, non un Savonarola o uno Jacopone da Todi, ma il ritratto della nostra società, dell'Italia come la vogliono gli uomini del fare e del rubare è quasi incredibile nella sua assurdità. Ci vuole molto a capire che la vita dei ladri, dei prosseneti, dei servi, dei ruffiani è una vita infame? Ci vuole molto a capire che far parte della Cricca ha un prezzo altissimo anche fisico, che i ladri come i mafiosi sempre in attesa di carcere o di vergogna hanno vita breve e disonorata? Cresce la noia, il fastidio, la ripugnanza per la Suburra, per questa Italia miserabile per cui si aggirano come topi di fogna affaristi, avventurieri, profittatori. C'è qualcosa che viene prima della morale, prima del rispetto delle leggi, prima dell'onorabilità: il disgusto per la Suburra, cioè per la servitù agli appetiti, ai vizi più degradanti. Ha ragione Ceccarelli. L'aggettivo giusto, calzante per questo tipo di classe dirigente è: indecente. Anche il demonio, anche i peccati mortali non possono superare il limite dell'indecenza, del gusto pessimo, del ripugnante. © Riproduzione riservata http://espresso.repubblica.it/dettaglio/il-limite-dellindecenza/2131636/18
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« Risposta #151 inserito:: Agosto 12, 2010, 08:29:04 am » |
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Torna il pallone, dio della follia di Giorgio Bocca Gianni Brera diceva che il calcio era matematica, logica, e gli piaceva lo zero a zero. Tutto sbagliato: io amo questo sport perché è irrazionale, imprevedibile, perfino assurdo, E basta un colpo di vento o un grumo di terra a cambiare tutto Perché il gioco del calcio è il più bel gioco del mondo? Perché è affidato al caso, perché nessuno ne possiede il segreto, perché ricomincia sempre da capo, perché è affidato a una palla rotonda che può cambiar direzione a un soffio di vento, perché la forza di una squadra ora sembra invincibile, il giorno dopo scompare, perché nel calcio non esistono i per sempre o i mai che nella vita reale sono le nostre condanne, perché la dea fortuna può arrivare quando non te lo aspetti, e così la dea sfortuna, senza regole precise, a capriccio a sollevare gli umili e a punire i superbi. Perché, come nel gioco del lotto, tutti alla fine perdono pensando di vincere, perché ci sarà sempre un Casanova capace di "correggere la fortuna" anche a costo di finire ai Piombi, come il giocatore dell'Uruguay che con la mano ha impedito la rete certa degli avversari ed è diventato un eroe perché gli avversari hanno sbagliato il rigore e la sua squadra ha passato il turno. Il calcio è il gioco più bello del mondo, il più appassionante, perché è lo specchio degli uomini, dei loro difetti, delle loro vanità. La punizione fatale che il gioco del calcio riserva ai primi della classe, ai secchioni, ai fortunati è una consolazione del genere umano. Il Brasile produce campioni in continuazione, dopo essere stato il migliore all'attacco diventa più forte anche in difesa, le maglie giallo-oro dei suoi tifosi colorano già gli stadi per il sicuro trionfo, le bellissime tifose carioca sono pronte alla samba della vittoria, e il dio del calcio inventa un olandese di statura media che improvvisamente si avvita nell'aria come un missile e segna la rete che in un attimo distrugge l'imbattibilità, la superiorità, la perfezione quasi divina delle maglie giallo-oro e le riduce a un gregge sconfitto e piangente. Quale altro gioco premia i mediocri, gli invidiosi, i fanatici meglio del calcio? Quale colpisce meglio i presuntuosi e i superbi? Ci sono al mondo milioni, miliardi di persone senza qualità e senza fortuna che devono sorbirsi per mesi, per anni il rimprovero vivente dei campioni, degli eroi, dei superdotati. Prendete un tipo come l'allenatore dell'Inghilterra Fabio Capello. È un friulano emigrato in Inghilterra, che ha fatto una carriera incredibile, allenatore della Nazionale inglese, la più blasonata del mondo, del Paese che ha inventato il calcio. Un uomo di ferro, intelligente, capace. Un primo della classe. E finalmente anche lui a strapparsi i capelli, a maledire il mondo, a uscire scornato e furente dal campo perché l'ultimo dei tifosi del Pizzighettone possa dire agli amici del bar sport: "Ve lo avevo detto, anche lui è un montato". Il gioco del calcio è popolarissimo come il gioco del lotto. Alla fine vince solo il banco, lo Stato padrone, ma non muore mai la speranza. Il gioco del calcio è la vendetta quotidiana dei tifosi ignoranti sui tecnici sapienti, lautamente pagati, che hanno ridotto il gioco più bello e imprevedibile del mondo a una matematica arida e soffocante. Il calcio non è più il gioco dove una palla impazzita deviata da un grumo di terra, da un filo d'erba può decidere di una vittoria. Il calcio raccontato dagli esperti è una barbosissima matematica di quattro quattro due o quattro tre uno due. Il massimo teorico del gioco, il lombardo Gianni Brera, era arrivato al punto massimo della follia matematica scrivendo e predicando che la migliore partita possibile, la più razionale, era quella che si concludeva in un pareggio, zero a zero, avendo gli allenatori, i teorici, risolto tutti i possibili errori. Ma il calcio è ben altro, il calcio è il dio orfico misterioso e pazzo che rinnova a ogni partita le sue sorprese e i suoi misteri. (10 agosto 2010) © Riproduzione riservata http://espresso.repubblica.it/dettaglio/torna-il-pallone-dio-della-follia/2132228/18
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« Risposta #152 inserito:: Agosto 14, 2010, 10:48:24 pm » |
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Giorgio Bocca: «Napolitano parli più spesso, l'Italia rischia» di Oreste Pivetta Bocca, il vecchio giovane partigiano, il grande giornalista che ha insegnato quanto il mestiere di giornalista possa essere importante quando s’esercitano le armi della critica e quando si sa difendere l’indipendenza di giudizio (e Bocca potrebbe ricordare, per questo, infiniti attacchi da destra e da sinistra). Bocca mi dice del suo «pessimismo totale, apocalittico» nel descrivere un paese alla deriva, con rimpianto per le occasioni che questo paese ha avuto (e costruito) per essere una democrazia, vera, moderna: Ma la democrazia – dice Bocca – è pratica assai difficile, impegnativa. Forse troppo difficile e impegnativa per gli italiani. Hai letto l’intervista al presidente Napolitano sull’Unità? «Mi sembra solo che il presidente abbia tutto il diritto di intervenire quando e dove vuole». Dopo l’intervista, si sono uditi in coro gli strepiti degli ultrà berlusconiani contro la scelta del presidente di affidare il suo pensiero a un giornale di partito come l’Unità… Gasparri ha sentenziato che Napolitano avrebbe tradito il suo mandato: non sarebbe più un presidente super partes… «Stupidaggini. Questioni di lana caprina. Che cosa vuol dire super partes? Peraltro, è giustificato rimanersene super partes quando tutto ti rotola attorno? Se ho una critica per Napolitano, è proprio per la sua freddezza, per la sua distanza. Francamente, certe volte, non capisco il suo silenzio. Di fronte a un’emergenza come quella che stiamo vivendo, popolata di ladri e truffatori, credo che dovrebbe sentire il bisogno di intervenire più spesso» . Anche sull’Unità, quindi? «E dove, altrimenti? Nella crisi devastante del paese, ci sta anche la crisi dell’informazione. Informazione di regime: televisioni, giornali… asserviti, con rare eccezioni. Berlusconi riesce a imporre ovunque la sua visione propagandistica delle cose. Gli basta mezzo punto in percentuale in più di qualcosa per gridare al miracolo, alla rinascita, al successo. Naturalmente per merito suo. Poi si leggono le classifiche internazionali che compaiono sugli organi di stampa di tutto il mondo e ci ritroviamo al quarantesimo posto, al cinquantesimo o non so a che gradino delle graduatorie che dovrebbero riassumere il grado di civiltà o di benessere di un paese. Ma la sua versione intanto passa tra gli italiani, per responsabilità della stampa e delle televisioni, che hanno rinunciato al loro compito, che non è far da megafono a tutte le banalità di Berlusconi, ma è indagare seriamente la realtà. Pensa al successo del gossip: ti viene proposto un mondo in cui specchiarti, che ti viene proposto di imitare, senza che nessuno ti dica che quella è solo una brutta cartolina». Sei pessimista. Eppure qualche cosa si muove. Fini, ad esempio, dà segni di rottura… «Fini è stato uno dei capi del Msi e non lo dimentico. Il figlio di una socialista. Non capisco come abbia potuto seguire quella strada. Ma io non riesco a pensare al presente italiano come una sfida Berlusconi-Fini. Intanto Berlusconi ha sempre la maggioranza e il suo codazzo di dipendenti e di ministri, caricature di ministri. Ripeto: è in crisi la democrazia, che vive di equilibrio di poteri e di esercizio del controllo, in un paese dominato da un tardo capitalismo che non sopporta più i controlli. Berlusconi è l’interprete sommo di questo capitalismo di rapina: chi più di lui ha dimostrato ostilità a qualsiasi tipo di controllo, da imprenditore o da politico, allo stesso modo? Questo è il paese dove alcuni comitati d’affari si sono organizzati in un sistema, o in un regime, omertoso, con garanzie di impunità, come mostrano le tante leggi ad personam approvate o tentate, per rapinare soldi allo Stato. Fare affari in Italia significa prendere soldi allo Stato: questa è la verità, come si dimostra ogni giorno». Ma è un problema solo nostro? «Nostro, direi, con una spiccata originalità. Perché anche altrove rubano, ma tutto sommato è forte un costume democratico che ovviamente genera una reazione diffusa, produce anticorpi al malaffare. Qui pare che vada bene così. Tutti rubano, tutti si illudono di poter rubare: tutto sommato la crisi è da abbondanza… o da illusione di abbondanza. Mi pare che questo sia uno dei peggiori momenti della nostra storia, che ti conduce alle più amare riflessioni. Come ci si può spiegare tanta ammirazione degli italiani per Berlusconi? Che cosa ha fatto Berlusconi se non i propri interessi, sempre? Se cerchi di dare una spiegazione, devi concludere che gli italiani sono un popolo di immaturi, suggestionati da alcune immagini pubblicitarie. È la storia della passione nazionale per il gossip, di cui si diceva prima. Ma forse questa non è una spiegazione sufficiente, se penso all’ultimo, o quasi, secolo di storia, al fascismo, alla Resistenza, alla Liberazione, alla ricostruzione dopo la guerra. In fondo gli italiani sono stati capaci di liberarsi dai nazisti e dai fascisti, di conquistarsi la democrazia, di avviarsi al benessere. E adesso? Il disastro, il baratro, il rischio di nuove dittature. Come spiegare la mutazione? Diciamo che gli italiani sono imponderabili. O, più tragicamente, che gli italiani sono un popolo negato alla democrazia, storicamente, salvo straordinarie reazioni di alcuni momenti della sua storia, e che questo è un paese dove le mafie hanno incontrato più fortuna della democrazia. Dicono che sono pessimista perché sono vecchio. Sono vecchio, è vero, ma sono pessimista perché sono vissuto molto, ho imparato a conoscere questo paese, Berlusconi e la gente che gli sta attorno». 14 agosto 2010 http://www.unita.it/news/italia/102383/giorgio_bocca_napolitano_parli_pi_spesso_litalia_rischia
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« Risposta #153 inserito:: Agosto 21, 2010, 12:53:58 pm » |
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Che bel mestiere il faccendiere di Giorgio Bocca Oggi essere un ladro non è più un'eccezione, un'insopportabile vergogna, ma una normalità. Rubano imprenditori e giudici, banchieri e generali (20 agosto 2010) Ci sono giorni in cui si ha paura di uscire di casa per non essere trascinati via dalla fiumana impazzita dei corrotti, dalla folla di ladri e scrocconi e parassiti. Proprio come ha scritto Michele Ainis su "La Stampa": "Ci sono dentro il poliziotto e il giudice, l'imprenditore e il generale, il direttore della Asl come il prefetto, il banchiere e i professori. Tutti affaccendati in faccende deplorevoli ma ben retribuite. Il faccendiere ormai incarna il mestiere con la maggior schiera di seguaci". Perché? Cosa è accaduto per fare di questo mondo un mondo tutto di ladri, imbroglioni, servitori infidi, profittatori, complici? La risposta più semplice è: l'abbondanza della modernità. Le macchine della produzione moderna, dell'automazione, della globalizzazione, delle scoperte scientifiche, della logistica hanno creato quei mostri produttivi che ci lasciarono sbigottiti al principio del secolo di fronte al fordismo e alle fabbriche di automobili, di fronte a quel nuovo dio di Valletta, e Marchionne che sforna milioni in macchine meravigliose e complesse come i panini di un fornaio. In misura tale da creare abbondanza non per la società intera, ma per le classi alte al potere, per almeno il 60 per cento degli abitanti e, per il loro stato, un emporio in cui servirsi e rubare con grande facilità, proprio come sta accadendo. Una seconda ragione è che sia avvenuta senza che ce ne rendessimo conto una trasformazione antropologica della specie umana capace di cancellare antichi modi di pensare e di essere. Come la sacrosanta paura dei carabinieri, l'incancellabile vergogna dell'arresto, della galera, l'onta del fallimento, dei debiti, che per quelli della mia generazione, diciamo del secolo borghese, erano ancora dominanti. Faccio un esempio per me illuminante: negli anni di piombo incontrai in carcere dei terroristi, per scrivere un libro. Uno era stato sorpreso dalla polizia mentre rubava un'automobile per fare un attentato, e subito si era proclamato brigatista. Gli chiesi: ma perché ti sei subito confessato brigatista, cioè passibile di ergastolo? Non potevi dire che eri solo un ladro di automobili? Mi rispose: "Come potevo con i miei parenti, con gli amici del paese dire di essere un ladro di automobili? Che vergogna!". Insomma, oggi essere un ladro non è più un'eccezione, un'insopportabile vergogna, ma una normalità, un fare "come fanno tutti". Una terza spiegazione è che la classe media al potere, nuova borghesia del denaro e degli affari, abbia preso atto e coscienza dei suoi effettivi diritti e privilegi di classe. Esattamente come prima di lei fece l'aristocrazia del sangue, delle armi e della proprietà terriera: a chi era libero guerriero e proprietario erano concesse libertà e prepotenze ai cittadini comuni negate. Forse senza che ce ne accorgessimo è avvenuta una trasformazione antropologica per cui la società moderna è progredita nelle tecniche e nelle conoscenze e arretrata nei rapporti civili, è ritornata a privilegi e differenze sociali per cui una parte dei cittadini si sente autorizzata a derubare lo Stato, a usarlo per i suoi arricchimenti e le sue carriere lasciando la paura dei carabinieri agli altri che soldi e potere non ne hanno. Dite che esagero? Non credo. Lo specchio del mattino, il guardarsi allo specchio per la pulizia del mattino non è più l'appuntamento traumatico con una cattiva coscienza, è una semplice faccenda di lozioni e di creme, dopodiché usciamo tranquilli da casa per ricominciare a rubare fra il generale consenso. © Riproduzione riservata http://espresso.repubblica.it/dettaglio/che-bel-mestiere-il-faccendiere/2132767/18
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« Risposta #154 inserito:: Agosto 29, 2010, 09:13:11 am » |
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Per le stragi niente paura di Giorgio Bocca Il temuto crollo dello Stato italiano per le rivelazioni giudiziarie sui delitti di mafia è una finta minaccia. Perché non vi è nulla di più solido, di più certo, di più intoccabile della disonestà al potere (27 agosto 2010) Strage di Capaci Strage di CapaciCi si chiede se la politica, se la società reggeranno allo sfascio criminale del paese, alle rivelazioni sulle stragi mafiose del '93, sugli stretti rapporti fra chi governa questo paese e chi lo deruba e lo uccide. E la risposta è ovvia: ce la farà, resisterà, sopravviverà perché in questo paese non esiste una separazione netta, precisa fra il criminale e l'onesto e fra il legale e il mafioso. I due italiani che mi hanno spiegato con le parole e con l'esempio l'ineluttabilità di questa condanna eterna sono stati due siciliani assassinati dalla mafia, due giudici, Falcone e Borsellino. Essi erano l'incarnazione di questa condanna. Falcone apparteneva alla specie dei siciliani ironici fatalisti che combattono la mafia sapendo che prima o poi ne saranno uccisi. "Il mio conto con Cosa nostra - mi disse quando venne a Milano per interrogarmi sulla mia ultima intervista con il generale Dalla Chiesa - il mio conto - disse - resta aperto. Lo salderò con la mia morte, naturale o meno. Tommaso Buscetta mi ha messo in guardia. Verrà il suo turno, prima o poi ci riusciranno". Lo sapeva anche Paolo Borsellino la volta che lo incontrai nel suo studio a Palermo. Diceva: "Il rapporto tra Stato e mafia non ha misteri: controllano entrambi lo stesso territorio, a volte fanno finta di non vedersi, a volte si uccidono". La società, lo Stato reggeranno alla verità sulle stragi del '93, sulle collusioni tra Stato e mafia tra legalità e crimine? Ma certo che resisteranno, dato che si portano nel sangue le complicità e le omertà, dato che i soldi di cui vivono le loro tre economie sono comuni. C'è un'economia propriamente mafiosa che esercita direttamente il suo potere criminale, un'istituzione con la sua cultura, le sue regole, i suoi delitti e castighi. Accanto c'è un'economia legale-mafiosa che offre le sue mediazioni professionali e fa buoni affari assieme alla mafia senza sporcarsi le mani. È denaro proveniente dai crimini, dal saccheggio dello Stato. Infine c'è l'economia legale che ogni giorno sfiora l'illecito, spesso complice della malavita in un mercato mondiale, globale, che non riconosce il diritto internazionale, dove l'unica regola valida è quella dello sfruttamento del lavoro altrui. Ragion per cui ogni operazione economica in questo deserto della legalità va garantita da accordi illegali di potere. È la pratica per cui si arriva alle transizioni più assurde, come i commerci con i regimi autoritari libici o iraniani, che vengono pagati con armi o con droga contro l'interesse della società civile. Se con la droga alcuni paesi del Terzo mondo possono pagare i loro debiti con l'industria avanzata questi soldi vanno bene a tutti, anche se il danno finale è la distruzione del diritto internazionale. È il diabolico intreccio di cui ha parlato Beria D'Argentine: "Dove l'illecito è costretto a lasciar mano libera al delitto, la giustizia è impedita". In parole povere: la mafia dominante in Italia non è una favola, un'invenzione, un babau, ma uno dei poteri fondamentali con cui tutti devono fare i conti. Ecco perché il temuto crollo dello Stato italiano per le rivelazioni giudiziarie sui delitti di mafia è una finta minaccia. Non vi è nulla di più solido, di più certo, di più intoccabile che la disonestà al potere. © Riproduzione riservata http://espresso.repubblica.it/dettaglio/per-le-stragi-niente-paura/2133299/18
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« Risposta #155 inserito:: Settembre 04, 2010, 09:10:12 am » |
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Attenti al ladro di Giorgio Bocca Gli onesti vivono in Italia come in un paese straniero, cercando di passare inosservati, di non incorrere nelle ire e nelle vendette dei padroni che non accettano il minimo dissenso (03 settembre 2010) Due Italie separate e incomunicanti. L'Italia delle caste e delle cricche e quella che si guadagna onestamente la vita. Lontane una dall'altra anni luce, nel modo di vivere, di pensare, nei modelli di morale e di estetica. Come sia possibile la loro convivenza senza una dura resa dei conti resta un mistero. Forse per l'istinto di sopravvivenza, di stare comunque sulla stessa barca, nello stesso mare infido. Ogni mattina giornali, radio e televisioni informano gli italiani onesti, rispettosi delle leggi, attenti alla morale corrente e al giudizio del prossimo che nell'altra Italia centinaia, migliaia di concittadini hanno sfidato la prigione, il disonore, i carabinieri e i poliziotti per arricchirsi a mezzo della politica e ai danni dello Stato, e lo hanno fatto senza provare vergogna rimorso, anzi con il compiacimento di chi si sente parte della classe ladrona che finge di essere classe dirigente. Il paese Italia vive in stato di schizofrenia, anche se i mezzi di informazione si affannano ogni mattino a informare gli onesti che i loro vicini di casa appena possono rubano o malversano. La coesistenza delle due Italie è permessa dalla naturale ritrosia degli onesti a frequentare i ladri, una scelta spesso a fiuto, a istinto, e viceversa la diffidenza e più ancora il fastidio dei ladri per le persone oneste. Fatto sta che spesso accade che un onesto alla notizia di una nuova ennesima retata di ladri si chieda: ma è possibile che io non ne conosca e riconosca mai uno, che incontri per il mio lavoro capi ufficio, direttori, pubblici ufficiali, imprenditori e mai una volta mi renda conto che sono dei ladri? O forse accade proprio il contrario, che a fiuto, a vista, lo riconoscono subito il ladro, ma si accontentano di girare alla larga. Quando si è giovani con figli piccoli la presenza della razza ladrona la vedi facilmente, perché i figli vanno a scuola e hanno molti amici, devi andare alle loro feste con i parenti dei loro compagni e non puoi non riconoscerli, i ladroni e i cortigiani. Ma avanti negli anni il rischio di incontrarli diminuisce o si annulla, la cerchia dei tuoi amici si riduce ai pochi e fidati, sicché poi, ogni mattino quando arriva l'informazione, ti sorprendi a chiederti: ma è possibile che sia questa la società in cui vivo, questa in cui si è perso non solo il più elementare rispetto della pubblica opinione, ma di ogni tipo di vergogna, di pentimento, di disagio? L'Italia dei ladri non solo è priva di vergogna, ma proterva e protetta. Il noto impresario costruttore dichiara a muso duro che si avvarrà della facoltà di non rispondere a quei menagramo filocomunisti dei magistrati, e quasi tutti appena colti con le mani nel sacco minacciano agli incauti giornalisti querele miliardarie. Su tutti i media padronali s'impartiscono lezioni a misura dei ladri. Non esistono più datori di lavoro che si giovano del lavoro e dei talenti dei loro dipendenti, ma benefattori che accusano i loro dipendenti di "sputare nel piatto in cui mangiano". Ragion per cui uno scrittore che ha fatto guadagnare una fortuna al suo editore viene accusato di tradimento e fellonia: che vergogna! Ha scritto un libro di un milione di copie, ha fatto guadagnare al suo editore miliardi e questi osa criticarlo o essere di diversa opinione. Spesso gli italiani dell'Italia onesta vivono nel loro paese come in un paese straniero, cercando di passare inosservati, di non incorrere nelle ire e nelle vendette dei padroni, che al minimo dissenso li accusano di essere dei sovversivi, iscritti al partito dell'odio. © Riproduzione riservata http://espresso.repubblica.it/dettaglio/attenti-al-ladro/2133578/18
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« Risposta #156 inserito:: Settembre 17, 2010, 02:10:56 pm » |
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Il paese delle storie eterne di Giorgio Bocca Apri i giornali al mattino e sai già tutto: la noia spessa della società ladra. La scoperta che lo Stato è la vera banca dei ladroni (17 settembre 2010) Il segreto di una lunga vita sta nel trovarla interessante non solo dopo le prime volte, ma sempre, anche dopo la centesima, nel conservare la curiosità dei bambini anche se gli anni passano. Le prime volte sono intense e memorabili: il primo amore ricordato per tutta la vita come l'unico, il più grande; il primo lutto familiare, la terribile scoperta che la morte non risparmia i cari, i più amati; il primo schiaffo ingiusto di tuo padre per un errore commesso da un altro; il primo desiderio sessuale. Anche la montagna della prima gita. Può essere una montagna qualsiasi, brulla, modesta, ma sognerai per tutta la vita la sua neve che si alzava sotto i tuoi sci, le curve che disegnavi come in una danza. Forse per conservare il piacere della prima volta vengono in nostro soccorso le abitudini che ci fanno desiderare come la prima volta la sigaretta di ogni giorno, il cognac di ogni dopo pranzo. I giovani pensano che la lode del tempo passato sia mancanza di fantasia, di desiderio del nuovo, di gioventù. Ma il suo nome giusto è che si è esaurito lo stupore della prima volta, dell'emozione della prima volta di un colpo di fucile, di un mare in tempesta, di un fulmine che ti esplode a un passo. Saper vivere, imparare a vivere è sapere che il mondo continua anche dopo la prima volta, che alla sorpresa dell'ignoto seguiranno quelle della conoscenza, delle sue complessità, dei suoi dubbi. Ma non è facile. La sorpresa della prima volta è vibrante, bruciante, forte, ha il segno dell'immortalità, il segno dell'evoluzione che non si ferma, della vita che continua. Solo le prime volte dei bambini possono far riscoprire ai vecchi il calore della vita che continua. La condanna a una vita fatta solo di seconde, di terze, di centesime volte, quella che a volte colpisce anche i paesi di lunga e ricca storia, anche come il nostro che più volte sono stati guida del mondo: la noia del risaputo e dell'inevitabile, la profondissima noia dei paesi dove il fare della minoranza al potere è rubare, ingannare, mentire. Apri i giornali al mattino e sai già tutto ciò che vi è scritto, la noia spessa della società ladra. Che cosa ha fatto il ministro dello Sviluppo economico? Ha sviluppato le ristrutturazioni dei suoi alloggi con i soldi degli impresari favoriti negli appalti. Che cosa può aver combinato il direttore delle opere pubbliche che decide i finanziamenti per la produzione di energie rinnovabili? Si è messo d'accordo con un noto faccendiere in odor di mafia e di massoneria deviata, un amico di "Cesare", del politico onnipotente, e a forza di faccende inconfessabili se non al magistrato ha fatto miliardi sui terremoti, sulle alluvioni e sulla siccità perché l'utile e il dilettevole della società ladra è far soldi con le imprese più facili, ultima quella di privatizzare l'acqua. Altro che sorpresa delle prime volte, questo è diventato il paese delle storie eterne, a ben vedere sempre la stessa, la scoperta che lo Stato è la vera banca dei ladroni, la grande cassaforte da cui possono tirar fuori i soldi a palate, ma che diciamo, a colline, a montagne con una facilità inaudita. Basta trovare o farsi trovare dal capo cordata, dal ducetto di turno, dall'uomo della fortuna, dall'incantatore e tutte le porte del tesoro si aprono, anche quelle delle sciagure e dei disastri nazionali e mondiali, come nella storia esemplare dei costruttori di alloggi che si felicitano l'un l'altro per gli ottimi affari che faranno sull'Abruzzo terremotato. La vita non è fatta così? La stagione giovanile delle prime volte emozionanti e poi le centinaia, le migliaia di seconde volte sicure come la morte, nella società ladrona.© Riproduzione riservata http://espresso.repubblica.it/dettaglio/il-paese-delle-storie-eterne/2134375/18
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« Risposta #157 inserito:: Settembre 21, 2010, 05:22:06 pm » |
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Democrazia e satrapia di Giorgio Bocca La scissione di Fini dal berlusconismo, l'idea politica, sta nella parola legalità. Che è il punto di separazione irrinunciabile fra Stato di diritto e sultanato (10 settembre 2010) Che cosa è questa crisi? Nessuno lo sa. Quando finirà? E chi lo sa? Si direbbe che la specie umana abbia perso il controllo dell'economia, non sappia più quanti beni produce e perché, se in misura giusta o eccessiva. L'altro giorno, per dire, ho smarrito il cavetto di alimentazione del mio rasoio elettrico. Non ho trovato un ricambio, la ditta che li fa li cambia di continuo, quelli in commercio non si adattavano al vecchio rasoio, ho dovuto comprare un rasoio nuovo. Possibile? Possibilissimo, gran parte della produzione è affidata alla variazione continua dei prodotti, all'eliminazione forzata dell'usato. Se l'economia, anche la più semplice come quella di sostituzione è affidata a un inganno, a un furto, al togliere a un possessore di un utensile la possibilità di tenerlo in funzione, la comprensione della funzione economica che va sotto il nome di finanza, acquisto e vendita di beni, gestione di interessi e di debiti è così complicata e irraccontabile che di fatto tutta o quasi l'informazione finanziaria stampata o radio-televisiva è incomprensibile a una persona di media cultura, riservata a specialisti che comunicano in modo cifrato, specializzato. Ne risulta che giornali e telegiornali non sono più in grado di spiegare al cittadino comune che cosa è una manovra finanziaria, che cosa una politica di sviluppo o di antirecessione, che cioè la maggior parte della politica, della pubblica amministrazione è una serie di pacchetti confezionati dagli esperti. Economia e finanza non sono più materia per i cittadini ma per gli esperti, che nell'ignoranza generale diventano uomini del miracolo, veggenti in un mondo di ciechi. Come ha fatto Marchionne a risanare la Chrysler? Come uomo di economia? No, come uomo dei miracoli che va in giro vestito da uomo dei miracoli, con un maglione scuro e pantaloni cascanti. A forza di invenzioni e di progressi l'umanità si è riconsegnata ai furbi e ai truffatori. Che cosa sono l'economia e la finanza nel sultanato berlusconiano? Un lavoro assiduo, instancabile e, a volte, maniacale del ceto al potere, del sultano e della corte a servire lo Stato derubandolo. Che cosa era la specialità del faccendiere Carboni? L'antica abitudine a organizzare furti del pubblico denaro con tutte le trovate possibili. Per esempio il piano della produzione di energia eolica, cioè per ottenere dagli amici della regione Sardegna i permessi per impiantare i moderni mulini a vento dello Stato, i sussidi per pagare e per collegare la produzione alla rete elettrica. Un gioco da gran furfanti ma anche da bambini nella sua semplicità: basta mettere d'accordo gli amici che stanno alla regione con quelli che stanno al governo e con gli altri che stanno nell'informazione, nella magistratura e in tutti i nodi e i passaggi che contano, e il gioco è fatto. Deve essere anche, finché non arrivano le manette e la galera, un gioco appassionante per un ometto come Carboni, convinto di essere un maestro nella fabbrica di soldi, e degli altri della nuova loggia P3, che se non esiste per statuto e per cerimonie misteriose esiste di fatto. Il fenomeno politico del berlusconismo sta tutto qui, nell'applicazione alla politica e al governo della mentalità mercuriale, affaristica sempre alla ricerca del denaro pubblico, a volte guadagnato in modo onesto, spesso, se i controlli mancano, in modo truffaldino. Il programma politico, l'idea politica, la scissione dal berlusconismo di Fini stanno nella parola legalità, che è la sua bandiera, la legalità è il punto di separazione decisivo e irrinunciabile fra la democrazia e il sultanato, fra lo Stato di diritto e la satrapia. © Riproduzione riservata http://espresso.repubblica.it/dettaglio/democrazia-e-satrapia/2133964
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« Risposta #158 inserito:: Settembre 24, 2010, 06:34:43 pm » |
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Ma che noia la tivvù di Giorgio Bocca Ci arriva una marea dell'ovvio, del ripetuto, dello stolto, del volgare. Persino i bollettini del tempo che notoriamente è mutevole sono sempre uguali (24 settembre 2010) Miss Italia 2010 Miss Italia 2010Un illustre collega scrive in una sua rubrica sul "Corriere della Sera": "Giorgio Bocca si lamenta perché la televisione è noiosa. Gli diamo un consiglio: la spenga". Non è così facile come pensa spegnere il mondo: le sue voci incessanti dirette e di sottofondo, le sue infinite voci che ci arrivano da mille fonti visive, auditive e dalle loro incessanti eco. Un tempo eremiti e trappisti si ritiravano in qualche romito per non udirle, ma ora ti arrivano dovunque, come le particelle che penetrano anche nella roccia profonda del Gran Sasso. Sono le voci irresistibili della pubblicità, la padrona del creato, la padrona degli uomini moderni. Che tipo di voci sono? Ripetitive fino all'ossessione, come la pubblicità altrimenti detta "l'anima del commercio", se questa è un'anima e non un orrendo rimbombo. Le voci che arrivano dal mondo riempiono le nostre ore, si ripetono all'infinito per la semplice ragione che la comunicazione continua deve ripetersi. Cominciamo dal notiziario sportivo, il cui pezzo forte è il mercato dei calciatori. Alcuni sciagurati senza nome e senza futuro devono in continuazione occuparsi di brocchi senza fama e senza futuro, essendo i campioni rari e prenotati, e per darsi un tono farciscono questo vuoto delle loro spiritosaggini e di scambi di complimenti chiamandosi per nome, "cara Tania, cara Gioia". Poi arriva la specialista dell'economia e della finanza, che dovendo occuparsi dei ladrocini e delle truffe mondiali dei suoi padroni usa un linguaggio specialistico, incomprensibile a tutti salvo che ai suoi invitati che parlano il loro cinese fra sorrisi d'intesa. Caro collega illustre: tu dici che basta spegnere la televisione e la radio e non leggere i giornali per salvarsi dalla schiacciante, aggressiva ripetitività del mondo? Io ebbi la precisa e scoraggiante prova della nostra passività di fronte alle voci mercuriali del mondo in un viaggio negli Stati Uniti. Passavamo da uno Stato all'altro, per campi sterminati, lasciando alle spalle nuvole di grattacieli e fiumi di automobili, ma la radio continuava a ripetere una parola come un continuo schiaffo, un continuo sputo, una continua invocazione o condanna: la parola dollaro, per ricordarti di continuo che quella moneta era l'unità di misura della tua vita, di tutta la nostra vita. Non basta spegnere le televisioni e buttare i giornali per scampare alla marea dell'ovvio, del ripetuto, dello stolto, del volgare che riarriva dal mondo. Il quale con le nuove tecniche ha scoperto i nuovi mezzi di comunicazione, inesauribili, ma non le notizie, le informazioni, le invenzioni, la poesia, le consolazioni di cui si nutre l'uomo, e non sapendo inventarne di nuove le ripete all'infinito: la maggior parte delle trasmissioni campa di vecchi film, di vecchie inchieste, di vecchi spettacoli, di cadaveri illustri che ricompaiono sugli schermi fluorescenti. Non illudiamoci che si tratti di una riscoperta della nostra storia e della vita del nostro pianeta, di quello che siamo stati e che possiamo essere. Questi sono argomenti complessi, difficili, che la fabbrica televisiva affronta solo con rievocazioni elementari, con il solito Egitto di cartapesta presentato da qualche guida improvvisata, e le presentazioni servono a riciclare il già visto, le "nevi del Kilimangiaro" e i gorilla della montagna sono sempre gli stessi e un presentatore vale l'altro, una bonazza a cui purtroppo la televisione sforma un po' le curve vale l'altra. Persino i bollettini del tempo che notoriamente è mutevole sono sempre uguali. © Riproduzione riservata http://espresso.repubblica.it/dettaglio/ma-che-noia-la-tivvu/2134796/18
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« Risposta #159 inserito:: Ottobre 01, 2010, 03:55:45 pm » |
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La lezione di Gheddafi di Giorgio Bocca La visita del colonnello ci ha mostrato come la strada verso un mondo civile è ancora lunga e non resta che rafforzare e rispettare quel poco di diritto internazionale che ci siamo dati (01 ottobre 2010) In occasione della visita in Italia del dittatore libico Gheddafi abbiamo avuto la conferma del nostro peccato originale, della vocazione del genere umano al male, del perenne trionfo del diavolo o maligno. Personaggi dei più diversi ceti sociali, delle più diverse educazioni, hanno ripetuto con forza come ineluttabile il teorema della perdizione, la corsa di tutti al peggio. Gheddafi è un dittatore arcaico, feroce e astuto, parodia della politica, ma ha il petrolio e il metano, è il padrone dell'energia a buon prezzo senza la quale il nostro consumismo delirante non può durare. I più agghiaccianti erano i superstiti del sessantotto, delle utopie comuniste più ardite, quelli che avevano superato Gesù Cristo nel messaggio evangelico della onesta povertà e dell'amor del prossimo. Ed eccoli, fra i più decisi a seguire la nuova legge, il nuovo testamento: il nostro dio è Mammona, non c'è altro dio che quello dei buoni affari, se vuoi convertire peccatori fai come loro, frequentali, trattali bene e naturalmente cogli l'occasione per fare soldi. Il colonnello Gheddafi e le sue oscene amazzoni con gli occhiali neri, il tiranno libico arrivato in Italia con il suo circo equestre di cavalli berberi (ma pensate, il campione dell'anticolonialismo, della rivincita islamica, che si presenta ai feroci italiani dell'impero con una "fantasia" equestre, cioè con il più colonialista dei festeggiamenti) e fa meglio dei missionari europei che compravano le anime con le collane di specchietti: lui incarica una società di convertire centinaia di fanciulle con 200 euro a testa, fa meglio di tutti i ricattatori, chiede i soldi all'Europa bianca minacciandola di aprire le porte all'immigrazione di colore. Lui conosce l'arte della diplomazia da colpo sicuro, diventare socio in affari dei corrotti, usare le società anonime per coprire i furti comuni. Gli intellettuali democratici con la puzza sotto il naso? Niente paura, basta promettergli borse di studio, finanziamenti per le loro università, per le loro pubblicazioni. L'effetto boomerang? Lo sdegno e il rifiuto per quest'islamismo dozzinale e corrotto? Non contateci, il furbo Gheddafi conosce i nostri punti deboli. Alla fine dei conti: che dire? Che proporre? Che la strada da percorrere verso un mondo civile è ancora lunga e irta di ostacoli, ma che non c'è altro da fare che cercare di rafforzare e di rispettare quel poco di diritto internazionale che ci siamo dati, che questa e non altra è la conquista, il progresso che dobbiamo compiere. Non il partito del fare che tanto piace al Cavaliere di Arcore e ai suoi ammiratori laburisti, ma il partito dei diritti umani, della legge internazionale eguale per tutti. La lezione di Gheddafi è stata chiara: non si rende civile la specie umana incoraggiando i suoi vizi, non si regola l'avidità incoraggiandola, ricevendo con tutti gli onori despoti feroci in cambio di petrolio e coltivando le false giustificazioni che non c'è altro modo per convincerli, che bisogna persuaderli invece che fargli il viso delle armi. © Riproduzione riservata http://espresso.repubblica.it/dettaglio/la-lezione-di-gheddafi/2135278/18
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« Risposta #160 inserito:: Ottobre 08, 2010, 12:56:28 pm » |
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Le gambe delle modelle di Giorgio Bocca Siamo assillati da paure e incertezze. A tenerci in corsa in questo mondo c'è la vanità ma sono di più le forze che ci dominano. Le mode per esempio, l'appartenenza al gregge (08 ottobre 2010) C'è chi si sente padrone di sé e del mondo e chi vive di paure e di misteri. Io fra essi, piccoli e grandi. Uno piccolo è quello del citofono. Per tutta la giornata l'elettricista ha trafficato in casa, per le scale, nel cortile per aggiustare il citofono, cioè il filo che collega l'ingresso al piano terreno con il mio studio. Pare che stiamo per tornare sulla Luna per andare su Marte, ma il filo del mio citofono è sempre rotto. Funziona per qualche ora e poi si sentono dei crac, dei frrr, niente altro. Sono in questa casa da 15 anni e da altrettanti il citofono si rifiuta di funzionare, tiene in scacco me, la segreteria del condominio, gli elettricisti di turno, insomma la tecnica. È una stupidaggine ma mi dà un grande fastidio e aumenta la mia insicurezza. Poi ci sono le grandi impotenze, i grandi buchi neri. L'economia per esempio, il mistero delle crisi economiche. Se ne occupano giornali e televisioni, esperti di ogni tipo e grado presentati da fanciulle di gradevole aspetto. Gente che ha studiato anni, che ha un cervello fine e computer prodigiosi a sua disposizione, ma cosa sanno dirti? Su per giù cose del genere: "Forse siamo fuori dalla crisi ma potremmo tornarci. Io l'avevo prevista ma non sapevo come evitarla. Un giorno o l'altro se ne andrà ma non sappiamo quando. Roosevelt la curò con il New Deal e il comunismo con i piani quinquennali, ma al momento non abbiamo rimedi convincenti". Sarò un debole, un pauroso, ma le incertezze di questo mondo per me sono troppe: dal classico vaso che può caderti in testa, al fulmine che può inchiodarti, alla Borsa valori che sale e scende a suo comodo. Dite che sono un pauroso? Un fragile? Ma chi è che non ha sentito un brivido di angoscia salendo in un ascensore al pensiero che la fune d'acciaio potrebbe rompersi? A tenerci in corsa in questo mondo c'è la vanità. C'è sempre qualcuno che per diventare famoso è pronto a entrare in una capsula metallica che sarà lanciata nel cosmo. Ma sono di più le forze che ci dominano, che ci schiacciano. Le mode per esempio, l'appartenenza al gregge e a ciò che il gregge ci impone. Quest'anno vanno di moda gli abiti blu e tutte le donne si vestono di blu. Pare che lo abbia deciso Armani o qualche altro santone della moda, ma non perché sia un padrone dei colori, è padrone del fatto che un colore di moda viene adottato da tutti finché non arriva una nuova moda. Così è anche delle capigliature. Quest'anno quelle maschili seguono la moda della capigliatura: tutti quelli che non sono calvi sono costretti a seguirla, ciocche di capelli caduti sulla fronte, l'opposto della moda di 120 anni fa quando regnava Umberto I che aveva i capelli a spazzola, i capelli alla Umberto, e tutti lo copiavano. Le mode non sono casuali, le impongono di solito quelli che sulle mode campano: sarti, parrucchieri, venditori di effimero, fotografi. Quest'anno i fotografi hanno cambiato le gambe delle modelle: da tonde, polpose e diritte che erano, le impongono magre e arcuate, tutte quelle che appaiono sugli schermi e sui giornali devono tenerle un po' storte. Le taglie grandi sono bandite, anche se la maggior parte delle persone è grossa e cicciona e nei negozi di abbigliamento non si trovano più magliette e camicie di taglia grande, bisogna farsele fare su misura. E questo spiega in parte la moda: bisogna trovare il modo di aumentare i consumi e di vincere la noia del già visto, del già pensato, e così succede che le persone più sottomesse alla legge del gregge, alle abitudini e ai luoghi comuni del gregge, passino per le più eleganti. Sono le più obbedienti ai valori delle masse e passono per snob. © Riproduzione riservata http://espresso.repubblica.it/dettaglio/le-gambe-delle-modelle/2135937/18
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« Risposta #161 inserito:: Ottobre 15, 2010, 10:51:45 pm » |
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La nuova destra di Fini di Giorgio Bocca Dopotutto il liberismo opportunistico è meglio di un autoritarismo permanente e aggressivo. Ma c'è il rischio che ancora una volta si perda l'occasione per una solida e affidabile scelta democratica (15 ottobre 2010) Che Gianfranco Fini sia un politico in cui gli italiani si riconoscono è confermato dai seguenti dati di fatto: i suoi avversari Berlusconi e Bossi hanno subito cercato di toglierselo dai piedi nel modo sleale, all'italiana, che ci è proprio, depoltronarlo, cacciarlo dalla sedia autorevole su cui è seduto, la presidenza della Camera. E le sue svolte politiche, ultima quella del suo discorso a Mirabello, hanno confermato che egli è uno dei più arditi interpreti del trasformismo italiano, avendo osato, finora con successo, di mettere d'accordo fascismo e liberalismo che notoriamente sono come il bianco e il nero, il diavolo e l'acqua santa, e di essersi fatto applaudire toto corde sui temi della libertà da una platea fra cui i fascisti di sempre, gli squadristi eterni, erano chiaramente riconoscibili, a conferma, in questo caso, che da noi le idee contano pochissimo rispetto allo spirito di fazione e alla convenienza. Gli avversari di Fini hanno detto che il suo è stato un discorso abile pronunciato da un politicante abile nel parlar bene per non dire niente. È vero, ma che altro è, salvo rare e spesso tragiche eccezioni, il modo di far politica in Italia? Per me non è stata una sorpresa. Ho conosciuto Gianfranco Fini per un'intervista quando era segretario del Msi, erede prediletto di Giorgio Almirante. Andai alla direzione neofascista come in terra nemica, come la volta che a Monaco intervistai il maresciallo Kesselring. Chiesi a Fini quali fossero i valori del neofascismo. Mi rispose che erano la fedeltà alla parola data, l'onorabilità, la tradizione, insomma quello che un cittadino ben nato ha succhiato con il latte materno. Non mi spiego che cosa avessero a che fare questi valori con una fedeltà al nazismo che di questi e di altri grandi valori aveva fatto strame. Gianfranco Fini è un uomo politico e il suo mestiere è di trovare consensi oggi, e nel mondo di oggi la democrazia è di moda, non odiata e diffamata come negli anni dei fascismi nascenti. E si può anche pensare che dopotutto il liberismo opportunistico è meglio di un autoritarismo permanente e aggressivo. Resta però la sensazione che dietro queste facili conversioni italiane dal fascismo alla libertà ci siano gli antichi vizi, l'antica ignoranza, e gli antichi opportunismi. E che ancora una volta si perda l'occasione di consolidare questo vago desiderio di libertà in una solida, consistente, affidabile scelta democratica. Gianfranco Fini è un politico italiano, molto italiano. La sua scelta del luogo dove annunciare la sua svolta, il paesello del ferrarese, si colloca nella tradizione italiana. Anche i socialisti turatiani avevano il loro luogo contadino puro e fedele, e raccomandavano: "Nei momenti difficili aggrappati a Molinella". La Molinella della destra liberale si chiama Mirabello, e a Mirabello nella cerimonia d'investitura di Fini è tornato a galla anche il legame italiano con la civiltà contadina. A Fini hanno offerto il tradizionale bicchiere di vino del buon ritorno, e lui lo ha bevuto e apprezzato come si deve in visita ai parenti di campagna. E dove si è svolto il discorso-comizio? Nella piazza del paese sotto la canonica. Mancavano solo Peppone e don Camillo. Dicono che è un bene per l'Italia che finalmente nasca una destra "normale". È un desiderio comprensibile se si pensa alle occasioni perdute dal berlusconismo, alla sua stolta volontà di trasformare il governo in un buon affare. © Riproduzione riservata http://espresso.repubblica.it/dettaglio/la-nuova-destra-di-fini/2136447/18
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« Risposta #162 inserito:: Ottobre 24, 2010, 03:43:03 pm » |
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Ma poi danno il meglio di sè di Giorgio Bocca Gli italiani emergono nei momenti difficili. Però nei giorni di pace e abbondanza mostrano differenze abissali. E non sai dire se gli toccheranno tempi felici o nuove sventure (22 ottobre 2010) Fontana di trevi a Roma Fontana di trevi a RomaChi sono gli italiani? Esistono gli italiani come nazione diversa dalle altre, riconoscibile fra le altre per i suoi difetti e le sue virtù? A volte la conferma della loro esistenza è di un'evidenza lampante. Basta, per dire, passare il confine fra il Trentino e l'Alto Adige per capire che si è in mondi diversi, fra popoli diversi per lingua, costumi, senso geometrico del paesaggio, disegno dei campi, dei boschi, dei campanili, delle case, delle stufe, dei prosciutti, dei Cristi in croce, dei tabernacoli, del pane, di tutto. E se non sai di preciso che sono gli italiani come puoi rispondere sul loro futuro, predire le loro sorti sociali e politiche? Tu sei uno di quelli che credono nella vitalità, nel futuro, nella salvezza degli italiani. Ma perché ci credi? Per un forte senso di appartenenza, di solidarietà, di affinità? O per qualcosa di più generico e indefinibile come "lo stellone", la protezione divina accordata a questo popolo nel bene come nel male, nella buona come nella avversa fortuna? Hai dato a questa rubrica di giornale il titolo "L'Antitaliano", per dire l'italiano diverso da quello che il nazista Goebbels chiamava con disprezzo "un popolo di camerieri e di zingari", o Lamartine "un'espressione geografica", o Mussolini "un popolo che è inutile governare". Milioni di persone della stessa lingua, per cui "il sì suona" ma incapaci, messi assieme, di diventare società, Stato. E poi nelle tue recenti memorie passano gli italiani opposti, i montanari, i contadini, gli umili che durante la guerra stavano con te partigiano, anche se sapevano che le loro case sarebbero state incendiate e loro uccisi o deportati. Chi sono gli italiani? Quelli che hai conosciuto e stimato per gli imperativi etici, i Bobbio, i Gobetti, i Foa, quelli che scrivevano le lettere dei condannati a morte, e i montanari come il taglialegna Marella, che ti offriva il suo vino mentre la sua casa bruciava e diceva: "Un errore i nazisti lo fanno sempre, mi hanno bruciato la casa, mi hanno rubato le bestie, adesso non mi resta che combatterli fino alla fine". Dicono, ed è vero, che gli italiani danno il meglio di sé nei giorni difficili. Danno, ad essere più esatti, quello che non ti aspetti, dati i loro usi e costumi abituali . Per cui, come per improvviso miracolo, lo stesso che era pronto a ucciderti, a venderti per un interesse banale in difesa della "roba", di una gallina, di un frutto ora è pronto a perdere tutto, la vita compresa, contro l'occupante. E più erano italiani umili, poveri, abbandonati, più erano generosi, più si privavano del poco che avevano per aiutarti, durante i rastrellamenti ti ospitavano nonostante le minacce di fucilazione. In questa nazione che chiamano italiana, in questo popolo che abita la Penisola "ch'Appennin parte, e 'l mar circonda et l'Alpe" ci sono, specie nei giorni di pace e di abbondanza, differenze abissali, caricaturali tra gli italiani. I faccendieri amici dei politici al potere, i cortigiani dei ducetti di turno, gli amministratori della furbizia e dell'inganno che appaiono in televisione e sui giornali con il loro seguito di escort e di profilattici, nelle loro ville comprate con i soldi dello Stato, fra i loro legulei pronti a tutto, fra i faccendieri nati per frodare, che potrebbero fare professioni oneste ma sono attratti irresistibilmente dalle truffe e dai lenocini, insomma la scoperta che il peccato originale e il demonio non sono un'invenzione dei preti, ma la realtà incancellabile del mondo. E se allora qualcuno ti chiede che ne sarà degli italiani, se li aspettano tempi felici o nuove sventure non sai bene cosa rispondere, ti rivolgi anche tu allo stellone che dovrebbe proteggerci. Ma perché poi? © Riproduzione riservata http://espresso.repubblica.it/dettaglio/ma-poi-danno-il-meglio-di-se/2136838/18
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« Risposta #163 inserito:: Novembre 02, 2010, 06:33:52 pm » |
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Alla fiera dei luoghi comuni di Giorgio Bocca Dato che la politica italiana è sempre la stessa, fatta di retroscena e di conflitti di interessi noti a tutti ma che nessuno risolve, meglio tirare a campare e masticare gomma (29 ottobre 2010) Casa di Montecarlo Casa di MontecarloI luoghi comuni sono come la calcina per le case: se vuoi che i mattoni stiano assieme devi spalmarli come il burro su un tramezzino. Apriamo un giornale o una tv a caso e guardiamo cosa passa la cucina dei luoghi comuni. C'è sempre un Napolitano a doppia temperatura: "Gelo di Napolitano", "Napolitano (riscaldato) stringe la mano al nuovo ministro Romani". A che si deve questo mutamento di temperatura del nostro presidente? I media non lo spiegano, non per ragioni politiche ma di tira a campare: dato che la politica italiana è sempre la stessa, fatta di retroscena e di conflitti di interessi che tutti conoscono ma che nessuno risolve, meglio darli per noti e tirare avanti a masticare gomma. E così ogni giorno c'è un "piano di rilancio dell'industria", una "disoccupazione giovanile che sale" e "gli uomini della P3" che per altri è "la bufala della P3". Poi quello che ci vuole di orgasmo consumistico: "Ken Follet ha venduto cinquantasei milioni di copie", "la Coca-Cola senza zucchero è la più venduta negli Usa", "è uscito il sesto libro di Giampaolo Pansa sul sangue dei vinti che non dimenticano". Ci sono anche le imprevedibili sciagure naturali che però si ripetono regolarmente ogni anno negli stessi luoghi, dalla Costiera amalfitana al nord Milano, dove imperversa un fiumiciattolo di nome Seveso, piccolo, ma, se gli va, furibondo. E trattandosi di Milano non può mancare la scoperta di versi inediti di Alda Merini, poetessa proletaria. La casa di Montecarlo fa storia a sé. Mai un edificio che non sia il Colosseo è stato nominato e fotografato con maggior frequenza. La metà dei media, per via del fatto accertato che le donne hanno più tempo degli uomini per leggere, è riempito di argomenti cosiddetti femminili perché sono di evasione, spesso stranoti e insulsi, ma che ripetuti per la millesima volta tengono compagnia, come la cura dei malesseri che vanno e vengono per conto loro, la confezione delle marmellate che tutti conoscono dato che si tratta dell'operazione non ardita o complessa di far cuocere assieme frutta e zucchero. Temi che essendo di per sé corroboranti possono accompagnarsi bene ai consigli sul sesso, ai cento modi cinesi di fare l'amore e nei casi più arditi del sesso con gli animali. C'è poi quell'argomento senza fine che sono i cantanti, dal cupo Battiato alla misteriosa Mina, molto invidiata perché ha la residenza in Svizzera e che, come se non le bastassero le canzoni, tiene anche una rubrica settimanale sulla "Stampa" di sociologia varia e un po' ermetica. Molto spazio, si diceva, viene riservato alla cura dei malesseri incurabili o quasi, che consiste nell'indicare lenimenti e guarigioni impossibili o elementari, come la moderazione nel cibo o nel sesso, che per miliardi di uomini hanno altri nomi come la miseria o la fame. Molto curate, si capisce, le rubriche sull'astrologia e sugli oroscopi, la cui bontà è garantita dal fatto indiscutibile che sono vecchi come l'umanità, popolarissimi proprio perché fuori da ogni conferma logica e statistica. Ai lettori maschi sono dedicate le pagine dello sport, che per gli italiani è il calcio, dove il vaniloquio non solo è permesso, ma richiesto e illuminato perché di qualsiasi giocatore o partita o allenatore si può dire tutto e il suo contrario, inventando amori e odi, congiure o condanne, vizi e virtù che non hanno alcun riscontro nella realtà, pur di continuare l'etica fasulla di guerre immaginarie, di gloriose battaglie con una palla di cuoio che se ne va dove vuole a ogni soffio di vento. © Riproduzione riservata http://espresso.repubblica.it/dettaglio/alla-fiera-dei-luoghi-comuni/2137264/18
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« Risposta #164 inserito:: Novembre 05, 2010, 04:21:10 pm » |
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Giornalismo suicida di Giorgio Bocca Mai si era scesi così in basso: in una gara al reciproco dileggio fatta con inedita violenza. Causa il declino, se non la scomparsa, dei valori etici (05 novembre 2010) http://espresso.repubblica.it/dettaglio/giornalismo-suicida/2137664/18http://espresso.repubblica.it/dettaglio/giornalismo-suicida/2137664/18Mai il giornalismo italiano era sceso così in basso. Un fiume di diffamazioni reciproche, di attacchi personali, di finte rivelazioni su peccati veri o presunti anche se risalenti a trenta o a cinquant'anni fa del tipo "sei stato un fascista", "hai scritto lodi di Mussolini". In questa gara al reciproco dileggio i giornalisti sembravano voler apparire più accaniti, più feroci dei loro mandanti proprietari. Il direttore del "Giornale", per dire, sembra impegnato in una gara con il proprietario di fatto Silvio Berlusconi a chi è più accanito nella diffamazione degli avversari politici. Che si tratti di un giornalismo suicida che vuole morire in mezzo ai miasmi e ai veleni che sprigiona lo capiscono tutti, anche nella parte di uno dei protagonisti del conflitto. Nicola Porro, vicedirettore del "Giornale", ha detto in televisione: il "Giornale" parte ogni mattino con due condizionamenti pesantissimi, uno di essere il giornale del padrone, l'altro di avere un direttore che appena sveglio pensa a quali argomenti trovare per aumentare il numero dei lettori. È una descrizione perfetta di ciò che non bisogna fare nel buon giornalismo. Il padrone che usa il giornale anche per i bassi affari, per i mediocri conflitti della lotta politica, e il direttore che cerca gli argomenti scandalosi che piacciono ai lettori non possono ignorare che così si fa del giornalismo giallo, non del buon giornalismo. Il direttore editoriale del "Giornale" Vittorio Feltri non perde occasione per ricordare che con il suo modo di fare informazione ha diminuito i debiti e aumentato la vendita, ma ha fatto un giornale dichiaratamente fazioso, dichiaratamente punitivo degli avversari politici del suo padrone, un giornale che incute paura. Neppure negli anni della guerra fredda, dello scontro frontale con il comunismo staliniano si era arrivati a una simile violenza. Di De Gasperi, il leader democristiano, si scriveva al massimo che era un austriacante, un deputato di Trento al Parlamento viennese, di Togliatti che era l'uomo di Stalin, ma si rispettava la sua vita privata, la sua separazione dalla moglie, la sua relazione con la Iotti. Allora io facevo un giornalismo di inchiesta che suscitava scandalo presso i conservatori, ma scrivendo della famiglia del re del cemento Pesenti non andavo più in là dal rivelare che in casa chiudeva il frigorifero con un lucchetto e si faceva pagare l'usura come dagli amici cui imprestava l'automobile. Ma si dice: Berlusconi è stato sottoposto dalla stampa di sinistra a una persecuzione inaudita, a migliaia di attacchi, a volte di calunnie. Sì, ma come risposta a una sua ostilità senza precedenti verso la democrazia italiana, verso la magistratura, ad una sovraesposizione dei suoi piaceri e dei suoi amorazzi. Ma c'è sempre una ragione più profonda. Questa durezza polemica, questo colpire l'avversario senza esclusione di colpi derivano anche dal cambiamento della società e dal declino, se non dalla scomparsa, dei valori etici. Nel mondo industrializzato dopo la seconda guerra mondiale valori come l'onore, la fedeltà, il buon nome, la rispettabilità si sono affievoliti sino a scomparire, sostituiti da un unico dominante valore: il denaro-potere, la ricchezza che ti mette al di sopra delle leggi e dei giudizi. Chi fa bancarotta non si toglie più la vita per la vergogna, i colpevoli dei fallimenti dolosi non si nascondono ma continuano a godere dei privilegi della ricchezza. In questo deserto degli antichi valori, in questa società dell'homo homini lupus non ci sono più limiti al generale massacro. © Riproduzione riservata http://espresso.repubblica.it/dettaglio/giornalismo-suicida/2137664/18
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