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Autore Discussione: Marco TRAVAGLIO -  (Letto 123420 volte)
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« Risposta #75 inserito:: Settembre 05, 2008, 11:00:31 pm »

Marco Travaglio


Niente conflitto solo interessi

Archiviato come un tema non più centrale, non occupa più gli interventi dei politici all'opposizione alla ricerca di alleanze con Pdl. Quindi meglio tacere. 

Archivio Ansa, quattro mesi di governo Berlusconi. Maggio: 36 dichiarazioni dall'opposizione sul conflitto d'interessi del premier (19 Di Pietro & C., 11 Pd, 4 Sinistre, 2 Udc). Giugno: il conflitto d'interessi è citato 16 volte (7 Idv, 7 Pd, 1 Pdci, 1 Udc). Luglio: sarà il caldo, ma nel mese del lodo Alfano le citazioni scendono a 7 (4 Pd, 2 Di Pietro, 1 Diliberto). Agosto, appena 5: 3 Idv, 2 Pd. Una è di Veltroni, ma per costrizione: il 4 agosto, presentando la fantomatica tv Youdem, a domanda risponde: "Non serve questa occasione per rilanciare un tema che va affrontato come regola del gioco democratico e non come un coltello da brandire contro qualcuno". Il perché è noto: il conflitto d'interessi ha stufato, meglio cose più concrete.

Già, ma intanto i conflitti d'interessi impediscono di parlar chiaro anche su quelle. Tipo la berluscordata Alitalia, che è tutta un conflitto d'interessi. Si attende la vibrante denuncia del ministro-ombra all'Industria. Ma arrivano solo balbettii e pigolii, perché il ministro-ombra è Matteo Colaninno, figlio del capo della berluscordata. Dimettersi, manco a parlarne. Poi c'è la giustizia: difficile trovare qualcosa di più concreto della necessità di processi più rapidi, indagini più efficienti, pene più certe. Il governo parla d'altro: separazione delle carriere, reati scelti dal Parlamento, più politici (ancora!) nel Csm, niente intercettazioni sulla criminalità diffusa (e dunque su quella dei colletti bianchi). Tutta roba che non abbrevia di un minuto i processi.

Qui il ministro-ombra, Lanfranco Tenaglia, parla abbastanza chiaro. Ma la sua voce si perde nel chiacchiericcio dei troppi esternatori piddini che fanno a gara a 'dialogare' col governo, dunque sono ricercatissimi dai giornali. I più loquaci sono Luciano Violante, Nicola Latorre e Guido Calvi. Violante strapazza l'Anm e lancia l'idea, subito raccolta dal ministro Alfano, di ribaltare il rapporto politici-magistrati nel Csm: oggi i primi sono solo un terzo, lui vuole raddoppiarli con un altro terzo "indicato dal capo dello Stato" (che potrebbe presto essere Berlusconi: non è meraviglioso?). Violante è candidato alla Corte costituzionale, ma gli occorrono voti dal Pdl. Se ce la farà, dovrà valutare la costituzionalità delle norme che oggi suggerisce. Basta, come conflitto d'interessi? Non ancora: Latorre attacca l'Anm ("Esagera", "Minacce corporative" al povero governo, "Stendiamo un velo pietoso"). Invoca sul 'Giornale' "un accordo sul garantismo" con Berlusconi. E chiede, con Calvi, una stretta su intercettazioni e diritto di cronaca.

Opinioni rispettabilissime, se non fosse che Latorre, sorpreso nel 2005 a trafficare al telefono con Consorte e Ricucci nel pieno delle scalate illegali a Bnl ed Rcs, è stato salvato sei mesi fa dal Senato, che ha rispedito al mittente la richiesta del Tribunale di Milano di usare contro di lui le conversazioni. Richiesta ancora pendente all'Europarlamento per D'Alema: difeso, guarda un po', dall'avvocato Calvi. Ecco, meglio stendere un velo pietoso anche sul conflitto d'interessi

(05 settembre 2008)


espresso.repubblica.it
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« Risposta #76 inserito:: Settembre 06, 2008, 09:04:48 am »

Marco Travaglio


Malpensa vergogna, firmato Bossi


"L'ampliamento di Malpensa deciso dalla Regione Lombardia è un affare colossale che rischia di far precipitare la vivibilità della zona. A chi non interessano la qualità della vita del cittadino? La salvaguardia dell'ambiente? Il bene sociale?

Non interessano a quei partiti che sanno che con Malpensa gonfieranno le loro casse intrallazzando con la speculazione. Nell'interesse del popolo lombardo, la Lega Autonomista si impegna a intervenire perché i megaaeroporti imposti da questa vergognosa classe politica non possano più oltre degradarre l'uomo" (Umberto Bossi, leader della Lega Autonomista Lombarda, "Lombardia Autonomista", 1982. Citato in "Romanzo Padano", di Parenzo e Romano, ed. Sperling & Kupfer in uscita a metà settembre).

"La musica purtroppo non cambia mai per il Nord: schiavi di Roma eravamo e schiavi restiamo. Per questo Malpensa è la madre di tutte le battaglie per noi.
E' necessaria una reazione forte a questa nuova violenza dello Stato romano che alza il tiro. Vogliono il Nord in ginocchio, penalizzato e più schiavo. Non bisogna cedere, però. Ora più che mai vogliamo al nostro fianco anche la società civile" (Umberto Bossi, leader della Lega Nord, "La Padania", 27 dicembre 2007).

(4 settembre 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #77 inserito:: Settembre 06, 2008, 06:53:27 pm »

5 settembre 2008, in Marco Travaglio

Visto, si indaghi

Ora d'aria

l'Unità, 4 settembre 2008


La notizia che la Procura di Milano intende indagare Nicola Latorre, vicecapogruppo del Pd al Senato, per l’ipotesi di reato di concorso nell’aggiotaggio contestato a Ricucci e Consorte nelle scalate del 2005 non è nuova. Almeno per i pochi che si sono ostinati a tenersi informati. Purtroppo, mai come nel caso di quest’indagine bipartisan, la politica s’è rivelata incompatibile con la verità delle carte.

Breve riepilogo. Il 20 luglio 2007 il gip Clementina Forleo chiede al Parlamento, su istanza della Procura di Milano, l’autorizzazione a usare 60 telefonate intercettate fra alcuni furbetti del quartierino e sei parlamentari, 3 di Forza Italia (Cicu, Comincioli e Grillo) e 3 Ds (D’Alema, Fassino e Latorre). Di questi solo Grillo è già indagato, perché contro di lui pendono elementi diversi dalle telefonate. Su Fassino, Cicu e Comincioli, nessun sospetto: le telefonate con le loro voci servono a corroborare le accuse a Consorte e a Ricucci, ma la presenza di quelle voci rende necessario - in base alla demenziale legge Boato - l’ok del Parlamento anche per usarle contro non parlamentari.

Restano D’Alema e Latorre, che per il gip Forleo potrebbero essere “consapevoli complici del disegno criminoso”: l’aggiotaggio contestato a Consorte per la scalata Bnl e a Ricucci per l’assalto al Corriere. Dunque la gip chiede al Parlamento di autorizzarne l’uso a carico sia dei due furbetti, sia dei due politici. La Casta insorge come un sol uomo, accusando la Forleo di aver abusato del suo potere, “scavalcando” la Procura nell’accusare due politici non ancora indagati. Il pm Greco dichiara al Sole-24 ore che la Procura è sulla stessa linea del Gip: senza l’ok delle Camere, non si possono indagare due politici in base a telefonate non ancora autorizzate. Ma contro la Forleo, abbandonata dall’Anm e costretta a difendersi da sola, continua l’iradiddio di attacchi culminati al Csm in un procedimento disciplinare e in una procedura per trasferirla. Dal primo viene assolta, la seconda viene accolta a gentile richiesta della Casta, tant’è che oggi Clementina sta traslocando a Cremona.

Intanto le giunte di Camera e Senato autorizzano l’uso delle telefonate per Fassino e Cicu (che non rischiano di esser indagati) e salvano gli “indagabili” D’Alema e Latorre. Per D’Alema si ricorre a un cavillo: siccome nel 2005 era europarlamentare, la richiesta va inoltrata a Bruxelles, dov’è ancora pendente in commissione (presieduta dal forzista Gargani). Per Latorre il Senato, dopo 10 mesi di melina, decide di non decidere e rispedisce la richiesta al mittente. Cioè ai giudici di Milano. Qui, a fine luglio, la Procura ha chiesto e ottenuto dal gip Gamacchio (Forleo era assente per malattia) una nuova istanza al Senato per usare le telefonate di Latorre con Ricucci e Consorte “al fine di valutare la posizione del senatore Latorre”, visto che esse sono l’unica fonte per “l’innesco di una investigazione”. Non si può indagare su Latorre finchè il Senato non sbloccherà le intercettazioni. Su Ricucci e Consorte, invece, l’ok del Parlamento non serve più in quanto nel frattempo la Consulta ha dichiarato incostituzionale la legge Boato là dove richiedeva il permesso delle Camere anche per le telefonate contro i privati cittadini a colloquio con parlamentari. Il che dimostra che la Forleo era in perfetta linea con le richieste della Procura e non aveva scavalcato nessuno né commesso alcun abuso. Sarebbe il caso che qualcuno le chiedesse scusa, a cominciare dal Pg della Cassazione e dal Csm che l’han cacciata in malomodo, trattandola come una mezza matta. Ma soprattutto sarebbe il caso che il Senato accogliesse quanto prima la richiesta, consentendo alla Procura di fare le indagini necessarie a stabilire se Latorre abbia commesso reati o no.

L’interessato si rimette al voto del Senato, “qualunque cosa deciderà per me va bene”. Eh no, troppo comodo. La maggioranza l’ha il Pdl che prevedibilmente, con la consueta e pelosa solidarietà di casta, tenterà di salvare Latorre perché una mano lava l’altra, cane non morde cane, oggi a te domani a noi. Il Pd dovrebbe, per mostrarsi davvero alternativo, respingere il gentile omaggio sulla linea Prodi: “Nulla da nascondere, si indaghi pure”. Un anno fa Veltroni dichiarò a MicroMega: “Fassino e D’Alema han chiesto alla Camera di autorizzare le intercettazioni che li riguardano. Dunque nessun limite verrà frapposto all'azione dei giudici”. Dunque anche per Latorre il Pd chiederà il via libera del Senato, o è cambiato qualcosa?

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« Risposta #78 inserito:: Settembre 08, 2008, 08:42:34 am »

29/07/2008



Renato Schifani, impelagato con la mafia ed ora ripagato per questo suo
"impegno" con la seconda carica dello Stato, ha querelato Marco Travaglio
per quanto detto dal giornalista durante la trasmissione "Che tempo che fa",
come voi gia' sapete.



Lo Schifani pero' passava il suo tempo ad insultare gli altri, prima di
diventare "rispettabile". Ecco alcune chicche ripescate dal grande Marco
Travaglio (su micromega.net potete leggere l'articolo completo)



-- inizio inoltro



...molti l'han già dimenticato, nel Paese dei Senza Memoria. Ma Schifani è
lo stesso che per dodici anni, prima da semplice senatore forzista (dal 1996
al 2001) e poi da capogruppo azzurro al Senato (dal 2001 al 2008), passava
le sue giornate a insultare magistrati onesti e giornalisti liberi; ad
architettare leggi-vergogna (suo il lodo dell'impunità per le cinque alte
cariche dello Stato, varato nel 2003 e cancellato dalla Consulta nel 2004;
sua la proposta di ripristinare l'immunità parlamentare e di estenderla
addirittura ai consiglieri regionali, nonché quella di abrogare il concorso
esterno in associazione mafiosa); ad attaccare il capo dello Stato
Napolitano, il presidente del senato Marini, il presidente della Camera
Bertinotti, l'ex presidente della Repubblica Scalfaro, il Csm e la Corte
costituzionale; a cavalcare le peggiori calunnie su Telekom Serbia e
Mitrokhin contro i leader del centro-sinistra, a negare l'evidenza e a
mentire spudoratamente in difesa di Berlusconi e dei suoi complici, a
coprire i peggiori misfatti come la mattanza del G8 di Genova, e soprattutto
a infangare con epiteti irriferibili tutti i principali esponenti del
centro-sinistra e chiunque osasse formulare anche la più timida critica al
Cavaliere e alla sua banda. Compresi in senatori a vita che osavano votare
per Prodi (Schifani l'anno scorso firmò un disegno di legge per privarli del
diritto di voto), compreso il grande poeta Mario Luzi, comprese Maria
Falcone e Rita Borsellino. E compresi pure i Violante e le Finocchiaro e i
Gentiloni, che oggi, in preda a una galoppante sindrome di Stoccolma,
corrono a dargli la solidarietà contro il diritto-dovere di cronaca. La
parola, dunque, a Renato Schifani, statista per caso.

«La polizia a Genova ha dato prova di grande efficienza, mentre Vittorio
Agnoletto [il mitissimo leader del Genoa Social Forum] ha coperto in modo
diretto o indiretto gli anarchici insurrezionalisti e i violenti. Dietro di
lui c'è un disegno politico. Il centro-sinistra cerca di offuscare i
positivi esiti del G8 con altre vicende» (Ansa, 27-7-2008).

«Fassino bara sapendo di barare» (Ansa, 1-8-2001).

«D'Alema ha una impudenza inaccettabile. I Ds, per coprire la propria
inconsistenza politica e le drammatiche divisioni interne, sono ricorsi agli
appelli di piazza e alle dichiarazioni cilene dal sapore eversivo. L'opposizione
estremista è la malattia senile di un post-comunismo senza identità né
progetto. Sono stati i Ds a contrapporsi frontalmente alle forze dell'ordine
con le loro oscillazioni guidate dalla rincorsa verso gli antiglobal» (Ansa,
2-8-2001).

«La sinistra tenta di destabilizzare le istituzioni e continua ad essere
suddita e cortigiana di certe Procure della Repubblica, che temono di dover
ripetere inchieste perché queste si basano su acquisizioni irregolari di
prove, quindi potenzialmente false, la cui autenticità non è assolutamente
provata. Con le fotocopie false non si può condannare nessuno» (Ansa,
3-10-2001. Offesi dall'accusa di inviare ai colleghi italiani carta straccia
e prove false, i giudici svizzeri protestano e il governo elvetico congela
la ratifica del trattato di collaborazione giudiziaria con l'Italia).

«La macchina della disinformazione italiana contagia anche la Svizzera.
Magistrati e politici di Berna purtroppo si sono lasciati ingannare dai
professionisti italiani della menzogna» (Ansa, 10-10-2001).

«Il sedicente moderato Fassino non ha perso l'occasione per usare le vecchie
tecniche di mistificazione legate ai sistemi totalitari del socialismo
reale» (Ansa, 25-10-2001).

«Massimo Brutti e gli esponenti dell'Ulivo fanno i sovietici. E nella
migliore tradizione dell'Urss pretendono di scrivere la storia a uso e
consumo della loro parte politica. Ma i fatti sono chiari: dal 1992 al 1994
l'intera classe dirigente dei partiti democratici, quella che aveva
garantito libertà e benessere agli italiani lottando proprio contro il Pci
finanziato da Mosca, fu spazzata via dalle inchieste di alcuni pm. E dal
1994 alcune procure hanno prescelto come loro bersagli prediletto il leader
di Forza Italia che aveva la colpa di aver rotto le uova nel paniere della
sinistra» (Ansa, 31-10-2001).

«Nelle parole di Angius c'è odore di disinformacija leninista» (Ansa,
1-11-2001).

«Di Pietro è un patetico buffone. Anziché vergognarsi del suo passato zeppo
di coni d'ombra, cerca disperatamente la prima pagina seminando veleni e
menzogne. Questo comunque non lo salverà dal naufragio che lo ha già
travolto. È stato condannato dalla Storia e bocciato dagli italiani » (Ansa,
2-11-2001).

«Rutelli mente sapendo di mentire: dà i numeri e cerca di intorbidire le
acque e di truccare i conti» (Ansa, 21-11-2001).

«Ci eravamo illusi che Fassino fosse di un'altra pasta. Invece in pochi
giorni ha già vestito il solito abito del terrorista mediatico e del
comunista mistificatore» (Ansa, 23-11-2001).

«Se il Csm dovesse davvero sindacare un atto sovrano del parlamento, ci
troveremmo di fronte a una violazione della Costituzione. Ciò ci conferma
ancora una volta l'estrema urgenza di una riforma elettorale di questo
organo al fine di superare il suo sistema correntizio. Questo Csm, alla
vigilia della scadenza del suo mandato conferma le nostre perplessità sulla
sua esasperata politicizzazione che oggi rischia di portarlo ad assumere
clamorose iniziative contro il parlamento democraticamente eletto dai
cittadini» (Ansa, 6-12-2001).

«L'unica vera vergogna dell'Italia è D'Alema. Il presidente dei
post-comunisti, servendosi di una bassa disinformazione di stampo sovietico,
getta fango sul presidente Berlusconi e sull'Italia, con menzogne di infimo
livello. Le sue affermazioni non sono degne di replica, ma danno la conferma
di un fatto ormai incontestabile: l'esistenza del filo diretto tra
Pci-Pds-Ds e i procuratori militanti, meglio conosciuti come toghe rosse,
dediti all'uso politico della giustizia. C'è una guerra intergalattica della
sinistra post-comunista, fondata anche sull'uso politico della giustizia,
contro Berlusconi e il governo della Cdl fatta solo di mistificazioni,
menzogne e bugie, in cui D'Alema, da buon compagno del Cominform stalinista,
è un vero professionista» (Ansa, 7-12-2001).

«Nel palazzo di Giustizia di Milano, con il processo Sme, si sta
organizzando un tentativo di golpe che Forza Italia denuncerà in tutte le
sedi internazionali. Si calpestano clamorosamente le regole di democrazia e
di giustizia. Si vuole attentare alla volontà degli italiani. Ormai tutto il
paese ha capito come certi giudici, con la spudorata complicità delle
sinistre, vogliono mettere in discussione il risultato del 13 maggio con uno
scandaloso uso politico della giustizia. Siamo in presenza di un processo
politico. Denunceremo presso tutte le comunità internazionali il tentativo
di golpe che si sta organizzando nelle plumbee stanze dell'ormai famoso
palazzo di giustizia di Milano, protagonista indiscusso dei più grandi
errori ed orrori giudiziari nella storia del nostro paese. Quanto basta per
denunciare il pericolo di una diagnosi letale per la nostra democrazia e per
il nostro Stato di diritto» (Ansa, 3-1-2002).

«Ormai Rutelli naviga tra cialtronate e comicità talmente pacchiane da non
meritare quasi risposta» (Ansa, 5-1-2002).

«Fassino e Violante dovrebbero solo vergognarsi. Le loro menzogne di oggi
non fanno altro che coprire le spalle a chi ha commesso un vero e proprio
atto d'insurrezione» (Ansa, 13-1-2002, il riferimento è al discorso del
triplice «resistere» di Borrelli all'inaugurazione dell'anno giudiziario).

«Con le proprie trasmissioni in campagna elettorale la Rai fece calare l'indice
di consenso e di fiducia del paese nei confronti di Berlusconi di ben 17
punti percentuali. Le trasmissioni faziose di quei due mesi sono sotto gli
occhi di tutti. In Rai nessuno deve sentirsi intoccabile: il consenso su
Biagi è calato perché il verdetto inappellabile è dei telespettatori.
Personalmente penso che se questo verdetto c'è stato, è probabilmente dovuto
alla concorrenza di Striscia la notizia. Ma anche perché i cittadini hanno
cominciato a rendersi conto che dietro al tentativo baricentrico di
informazione di Biagi, vi è ormai una silente e sempre più evidente
faziosità dell'informazione» (Ansa, 1-2-2002).

«Rutelli fa terrorismo mediatico e dice bugie. Quando si perde il controllo
delle parole, si diventa un pericolo per la democrazia» (Ansa, 20-2-2002).

«Ieri sera ho visto Sciuscià e devo dire che Michele Santoro ha fatto un uso
criminoso della tv pubblica pagata con i soldi di tutti i contribuenti»
(Ansa, 1-3-2002, anticipando di 40 giorni l'editto bulgaro di Berlusconi
contro Biagi, Santoro e Luttazzi).

«Fassino è il direttore del grande menzognificio della sinistra» (Ansa,
15-7-2002).

«Li abbiamo fregati! Siamo cresciuti e siamo diventati più furbi di loro!»
(Ansa, 1-8-2002, commentando l'approvazione al Senato della legge Cirami).

«Rutelli dimostra il volto antidemocratico di chi, come la sinistra, non
riesce ad accettare le regole della democrazia» (Ansa, 31-8-2002).

«Il regista Moretti straparla. Le sue affermazioni su una presunta e
fantomatica estraneità del presidente del Consiglio alla democrazia sono
pericolose e pesano come macigni. Il regista dimostra una totale ignoranza
delle regole. Per agitare la piazza si atteggia a capopopolo, calunniando
Berlusconi che è la naturale espressione della democrazia» (Ansa, 14-9-2002,
sulla manifestazione dei girotondi contro la legge Cirami).

«Se c'è qualcuno che non conosce la democrazia è proprio Scalfaro, visti i
suoi precedenti. Scalfaro ha avallato il più grande tradimento della volontà
popolare. Ha cambiato la storia d'Italia consentendo che venissero
politicamente ingannati i cittadini. Quindi non accettiamo lezioni da chi è
troppo abituato alle congiure di palazzo, ai "non ci sto" su vicende che
sono ancora avvolte da fitte nebbie. Lui è l'ultimo che può fare la predica.
Non ci sono dubbi il senatore Scalfaro sta invecchiando male» (Ansa,
26-9-2002).

«Rutelli ormai è peggio di una comare. La sua falsa indignazione è tipica di
un trombone che strilla solo per il gusto di strillare» (Ansa, 26-11-2002).

«D'Alema farebbe meglio a pensare alle sue scarpe. Non accettiamo lezioni da
chi, come lui, ha condiviso l'ideologia comunista e le atrocità di questa
dittatura sanguinaria e spietata che ha seminato lutti e provocato centinaia
di milioni di morti nel mondo. Evidentemente non sa che le scarpe le ha chi
lavora. Questo sfugge a D'Alema che quando era presidente del Consiglio
grazie a congiure di Palazzo, invece, si vantava di portare scarpe pagate
fior di milioni» (Ansa, 10-5-2003).

«Il modello italiano di propaganda ulivista esportato in Europa. Il vero
scandalo di oggi è che, per la sinistra, all'europarlamento c'è libertà di
killeraggio politico, ma non c'è diritto di replica. Il presidente del
Consiglio ha doverosamente risposto agli attacchi inaccettabili e
premeditati inscenati dai compagni ulivisti di Strasburgo» (Ansa, 2-7-2003,
a proposito di Berlusconi che ha dato del «kapò nazista» al
socialdemocratico Martin Schulz che aveva osato evocare il suo conflitto d'interessi).

«D'Alema è un pubblico mentitore di professione» (Ansa, 4-7-2003).

«Se l'onorevole Fassino avesse rispetto per la verità, dovrebbe chiedere
scusa al presidente del Consiglio. Le sue gravissime insinuazioni non
serviranno a nascondere lo scandalo politico dell'operazione Telekom-Serbia
firmata dal governo Prodi, che ha aiutato direttamente o indirettamente l'azione
criminale di Milosevic´ passata alla storia per le sue campagne di pulizia
etnica» (Ansa, 31-8-2003).

«Prodi non poteva non sapere. Comincia a crollare il castello "omertoso" dei
grandi silenzi dei governanti dell'epoca sulla vicenda. Dini scarica Fassino
e si tira fuori sostenendo che Fassino sapeva e lui no. Fassino viene poi
smentito dall'ambasciatore americano dell'epoca. Da questa sinistra non
accettiamo lezioni di moralità: è buona ad infangare ma poi si chiude a
riccio quando viene travolta dagli scandali assumendo atteggiamenti
omertosi. [.] Quelle di Lamberto Dini [sempre su Telekom Serbia] sono tesi
semplicemente incredibili. Lui mi invita poi a tacere, ma forse dovrebbe
rendersi conto che invece del mio silenzio gli italiani si aspettano una sua
ampia ed articolata spiegazione sul reale accadimento dei fatti. Giorno dopo
giorno le difese dei protagonisti dello scandalo Telekom Serbia diventano
sempre più imbarazzate, contraddittorie ed incredibili. Quanto durerà?»
(Ansa, 5-9-2003).

«Sono disgustato e amareggiato. Le signore Maria Falcone e Rita Borsellino,
con le loro dichiarazioni [sull'intervista di Berlusconi allo Spectator, in
cui il premier ha dato dei "mentalmente disturbati e antropologicamente
diversi dal resto della razza umana" a tutti i magistrati], hanno offeso la
memoria dei loro eroici fratelli. Le due signore, entrambi militanti a
sinistra, non solo hanno finto di non avere capito che il presidente
Berlusconi si è chiaramente riferito ad una ristrettissima cerchia di
magistrati ma, con una disinvoltura che preferisco non commentare, hanno
strumentalizzato due eroi civili che, per fortuna di tutti, sono patrimonio
della collettività. La signora Rita Borsellino, infine, nella sua
dichiarazione ospitata senza contraddittore al Tg3 e registrata in via D'Amelio,
ha detto di trovarsi sul luogo in cui era stato ucciso un uomo che il
presidente del Consiglio aveva definito un matto. Lascio a chiunque abbia
libertà di pensiero giudicare l'iniziativa della signora» (Ansa, 5-9-2003.
Le sorelle dei due giudici assassinati querelano Schifani per diffamazione).

«Oggi più che mai è evidente che la Corte costituzionale [che ha appena
cancellato il suo lodo dell'impunità] è un organo politico a maggioranza
ulivista. Molti magistrati della Consulta sono di nomina presidenziale, di
presidenti eletti dal centro-sinistra. È un verdetto politico contro Silvio
Berlusconi. Prendiamo atto che una grossa componente di poteri forti del
nostro paese è contro Berlusconi. Ma per fortuna la gente è con Berlusconi»
(Ansa, 13-1-2004).

«Fassino, anziché attaccare il premier con metodi maniacali, anziché fuggire
nascondendosi dietro scuse e pretesti, vada a deporre in commissione Telekom
Serbia, a dire la verità con un atto di onestà politica. O forse vuole
nascondere il malaffare firmato dal governo Prodi che ha fatto finire 900
miliardi pubblici nei conti del dittatore sanguinario Milosevic´?» (Ansa,
26-2-2004).

«Il contenuto e il tono incendiario di Prodi lo mettono purtroppo alla
sinistra di Bertinotti. La richiesta di ritiro dei nostri militari dall'Iraq
contrasta con il buon senso etico e politico. È un gravissimo regalo al
terrorismo internazionale» (Ansa, 11-10-2004).

«Le parole di Mario Luzi [il poeta e senatore a vita ha criticato
Berlusconi] sono gravi quanto l'aggressione fisica a piazza Navona perché
alimentano un pericoloso clima d'odio che non va affatto incoraggiato.
Parole pronunziate da un parlamentare di sinistra che, non essendo stato
eletto, non rappresenta una parte politica, ma dovrebbe testimoniare solo
valori alti ed esemplari. Di conseguenza questa gravissima intolleranza
verbale ci deve far riflettere sull'opportunità di rivedere l'istituzione
dei senatori a vita. Fa male alla democrazia concedere una totale
irresponsabilità a chi, come oggi Luzi, manifesta tutt'altro che alta
statura morale» (Ansa, 3-1-2005).

«Se c'è qualcosa di diabolico è il non pensiero del professor Prodi» (Ansa,
26-4-2005).

«Un piccolo tribuno senza avvenire. Così è apparso il professor Prodi a
piazza del Popolo. La violenza delle sue parole e la volgarità dei concetti
espressi sono state senza precedenti. Non sappiamo se sia frutto di
irresponsabilità o di disperazione, ma questo sostanziale incitamento allo
scontro civile di cui il paese non ha bisogno è respinto dalla maggioranza
degli italiani. Non crediamo che l'Unione meriti un leader così estremista»
(Ansa, 9-10-2005).

«Prodi è un coniglio, ha paura di andare in tv e confrontarsi con
Berlusconi. È un coniglio e i conigli non possono governare il paese» (Ansa,
28-1-2006).

«Il presidente Berlusconi non ha mai avuto a che fare con la mafia. Se
Violante tira fuori in campagna elettorale la vecchia storia dello stalliere
vuol dire davvero che è a corto di argomenti seri. Sa fare solo chiacchiere.
Un vizio di oggi e di ieri, quando fu costretto a dimettersi da presidente
della commissione Antimafia per aver anticipato alla stampa la notizia di un'indagine
in corso» (Ansa, 22-3-2006).

«Il vero Bertinotti oggi si è presentato con il suo preoccupante pensiero
politico liberticida. Disprezza la volontà popolare espressa con un
referendum e delinea la soppressione di reti Mediaset e la loro libertà di
palinsesto, mettendo a rischio migliaia di posti di lavoro. Le battaglie di
religione di Bertinotti, con il loro oscuro sapore fondamentalista e
veterocomunista dimenticano di non potere contare su una maggioranza al
Senato e ci motivano ancor di più per una opposizione durissima e senza
sconti. Bertinotti inizia male il suo ruolo preteso di presidente della
Camera» (Ansa, 23-4-2006).

«Quel che sta succedendo al Senato [per l'elezione del presidente Franco
Marini] è sconcertante. Il presidente facente funzioni della seduta, il
senatore Scalfaro, con un colpo di mano ha disposto d'autorità il rinvio di
una seduta già precedentemente fissata alle 20.15 per consentire a numerosi
parlamentari del centro-sinistra di tornare in tempo per votare. Un
atteggiamento gravissimo, che prosegue il vulnus di elezioni già inficiate
da irregolarità. Noi lanciamo un allarme, pensiamo alle regole che sono
state violate. Vogliamo che questa fase si svolga in un clima di regolarità,
trasparenza, serenità. Un clima che non c'è» (Ansa, 28-4-2006).

«Un atto di profonda ingiustizia. La sentenza che ha visto la condanna di
Cesare Previti si basa su teoremi che non hanno riscontri e motivazioni
credibili. La sua unica colpa è evidentemente quella di appartenere a Forza
Italia. L'estraneità di Previti alla vicenda è dimostrata anche dalla sua
coraggiosa decisione di dimettersi da parlamentare. A lui va tutta la mia
solidarietà personale e politica» (Ansa, 5-5-2006).

«Con l'elezione di Napolitano, l'Unione, anziché dare un segnale di
unificazione del paese, ha ritenuto di dover eleggere al Quirinale,
solamente con i propri voti, un personaggio la cui storia e la cui militanza
politica parlano chiaro» (Ansa, 10-5-2006).

«Il governo Prodi è il figlio più becero della più violenta partitocrazia»
(Ansa, 19-5-2006).

«La presidente Finocchiaro cambia la realtà delle cose. Inaccettabili sono i
toni dei signori della sinistra. Berlusconi, vorrei ricordare alla collega
Finocchiaro, ha il consenso della maggioranza degli elettori italiani, è il
vero vincitore delle ultime politiche» (Ansa, 25-5-2006).

«Come parlamentare non mi sento più garantito al Senato. L'Unione ha mandato
un commissario [Marini] per soffocare la democrazia parlamentare. Siamo di
fronte a un colpo di Stato. In aula mi è stato impedito di parlare sull'ordine
dei lavori, cosa inaudita. Un fatto gravissimo. È a rischio la nostra
democrazia parlamentare. Reiteriamo la nostra richiesta di essere ricevuti
dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano» (Ansa, 28-6-2006).

«Ove il disegno di legge Gentiloni non dovesse essere sostanzialmente
modificato alla Camera, Forza Italia in Senato si difenderà in tutti i modi
ricorrendo anche ad atteggiamenti che vorrebbe evitare, come quello di
rallentare l'iter legislativo di qualunque provvedimento. Il ddl Gentiloni è
un vero e proprio esproprio da parte del governo contro Mediaset, azienda
che dà lavoro ad oltre trentamila dipendenti. Dobbiamo difenderci da un'aggressione
che non ha precedenti» (Ansa, 13-10-2006).

«Rispettiamo il presidente Napolitano, ma ciò non ci esime dal confermare
che la sua è stata una dichiarazione politica [un blando auspicio al
pluralismo nell'informazione]. Dispiace doverlo ribadire, ma le parole del
presidente Ciampi sui principi di libertà e pluralismo furono precedenti
alla legge Gasparri e quindi in assenza di una aggiornata disciplina della
materia televisiva. Oggi invece quella legge esiste ed il nuovo richiamo a
quei princìpi da parte del presidente Napolitano è una evidente affermazione
critica nei confronti della legge vigente. E che i problemi di libertà e
pluralismo sussistano è quindi una dichiarazione politica» (Ansa,
14-10-2006).

«Che le più alte cariche dello Stato [Napolitano] oggi entrino all'unisono
nel dibattito politico per dare un sostegno al disegno di legge Gentiloni è
un fatto grave. Questo atteggiamento «conferma come l'occupazione delle più
alte cariche dello Stato l'indomani delle elezioni costituisca un preciso
disegno strategico della sinistra. Espropriare una rete televisiva al leader
dell'opposizione è un gesto che verrà contrastato in parlamento in maniera
decisa e determinata» (Ansa, 14-10-2006).

«Il voto dei senatori a vita è un diritto costituzionalmente garantito, ma
ci sono delle perplessità sull'opportunità politica dell'esercizio di questo
voto nel momento in cui c'è un'aula divisa in due, così come lo è stato il
paese alle elezioni politiche» (Ansa, 22-11-2006, presentando la proposta di
legge per togliere il diritto di voto ai senatori a vita).

«La sinistra non può dare alcuna lezione di moralità. Il senatore De
Gregorio [eletto con la maggioranza, ma votando contro la finanziaria con l'opposizione]
si è comportato con una coerenza che nella maggioranza è mancata a tanti.
Non si può criticare la Finanziaria come hanno fatto molti senatori dell'Unione
e poi votarla come se niente fosse» (Ansa, 18-12-2006).

«Follini, votando per il governo Prodi, tradisce il patto con gli elettori»
(Ansa, 1-3-2007).

«La decisione del governo di sfiduciare il consigliere della Rai Angelo
Maria Petroni sarebbe un golpe senza precedenti, in palese contrasto con la
legge. Di fronte ad una simile gravissima iniziativa saremmo costretti a
rispondere paralizzando i lavori del Senato» (Ansa, 11-5-2007).



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« Risposta #79 inserito:: Settembre 09, 2008, 09:56:06 am »

Brescia, provincia di Reggio Calabria


"Dopo il federalismo bisogna passare anche alla riforma della scuola. Non possiamo lasciare martoriare i nostri figli da gente (i professori ndr) che non viene dal Nord" (Umberto Bossi, ministro delle Riforme per il Federalismo, 20 luglio 2008)

"La scuola deve alzare la propria qualità abbassata dalle scuole del Sud. In Sicilia, Puglia, Calabria e Basilicata organizzeremo corsi intensivi per gli insegnanti" (Mariastella Gelmini, ministro dell'Istruzione, Apcom, 24 agosto 2008)


"La mia famiglia non poteva permettersi di mantenermi troppo a lungo agli studi, mio padre era un agricoltore. Dovevo iniziare a lavorare e quindi dovevo superare l'esame per ottenere l'abilitazione alla professione. La sensazione era che esistesse un tetto del 30% che comprendeva i figli di avvocati ed altri pochi fortunati che riuscivano ogni anno a superare l'esame. Per gli altri, nulla. C'era una logica di casta, per fortuna poi modificata perché il sistema è stato completamente rivisto. Allora, ad esempio, anche le modalità in base alle quali veniva corretto il compito erano molto opinabili. E, allora, insieme
con altri 30-40 amici molto demotivati da questa situazione, abbiamo deciso di andare a fare l'esame a Reggio Calabria... Si faceva così: molti ragazzi andavano lì e abbiamo deciso di farlo anche noi. Ma ho una lunga consuetudine con il Sud, una parte della mia famiglia ha parenti in Cilento. Non mi sono posta il problema di dove andare... Abbiamo poi sostenuto l'esame, ed è stato assolutamente regolare" (Mariastella Gelmini da Leno, Brescia, ministro dell'Istruzione, spiega perché scelse la sede di Reggio Calabria, e non quelle di Brescia o Milano, al momento di dare l'esame per ottenere l'abilitazione alla professione di avvocato, La Stampa. it, 27 agosto 2008).

(8 settembre 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #80 inserito:: Settembre 09, 2008, 04:07:43 pm »

Marco Travaglio su BeppeGrillo.it


Riporto il testo dell'intervento di Marco Travaglio.



"Buongiorno a tutti.

Alcuni amici di Voglioscendere e del blog di Beppe mi chiedono: “Non darci sempre brutte notizie, dacci ogni tanto qualche buona notizia!”. Io oggi ve la vorrei dare, perché sono davvero estasiato. Abbiamo un ministro che è fantastico. È vero che il governo lascia un po’ a desiderare, ma ce n’è uno che, veramente, li recupera tutti perché è un grande. È Angelino Jolie, detto Alfano. Lui è veramente un genio. L’abbiamo trattato male negli scorsi “passaparola”, ma questa volta bisogna ricredersi. Abbiamo di fronte un cervello superiore. Un grande riformatore, un innovatore. Un uomo che inventa soluzioni avveniristiche per problemi che purtroppo nessuno era mai riuscito a risolvere.
Pensate, ieri, così di domenica fra l’altro - ci regala le sue domeniche gratis - gli è venuto in mente come si fa a risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri. Che naturalmente si ripropone esattamente come due anni fa, nonostante il mega indulto extra large, che lui stesso votò, tra l’altro, dato che era una specialità del centro-sinistra, in realtà lo votò una parte del centro-sinistra e una parte del centro-destra, compresa Forza Italia e compreso Alfano. Anzi, fu proprio Forza Italia a pretendere che l’indulto fosse di tre anni, altrimenti Previti sarebbe ancora agli arresti domiciliari – e non sta bene, pover’uomo.
Che cosa ha pensato, di domenica? Così, appena sveglio, gli vengono queste fulminanti illuminazioni geniali. Ha pensato che espellendo i detenuti extracomunitari e dotando di braccialetto elettronico una serie di condannati a pene basse, o che comunque debbano scontare ancora pochi anni prima di uscire, si potrebbe sfollare le carceri e riportarle a una presenza che sia proporzionata alla capienza. Voi sapete che le nostre carceri a dir tanto posso contenere 40-45.000 detenuti, e siamo già quasi a 60.000 e si calcola che entro un paio d’anni si arriverà addirittura a 70-75.000, quasi il doppio rispetto alla capienza, rispetto ai posti cella.

Partiamo dall’inizio. Perché in Italia ogni anno si ripropone il problema del sovraffollamento delle carceri, sebbene l’Italia abbia conosciuto una quarantina di provvedimenti di amnistia a indulto in sessant’anni. Altrimenti, ovviamente, avremmo “esplosioni” nelle carceri se non avessimo sfiatato ogni tanto la pressione con provvedimenti di amnistia e indulto, con questa frequenza che – voi capite – è la frequenza di una volta ogni anno e mezzo. Una volta ogni anno e mezzo, in Italia, si ha la certezza che si liberano migliaia di criminali. Il che è, tra l’altro, un invito criminogeno. Vuol dire che se uno si fa prendere a intervalli regolari non sconta mai la sua pena, perché scatta sempre un’amnistia o un indulto.

In ogni caso, Alfano è pentito dell’indulto. “Non è servito a niente”; glielo dicesse a Previti che non è servito a niente. A Previti è servito molto! Anche a tutti i delinquenti che sono usciti e hanno potuto tornare alle vecchie abitudini e in parte, solo in parte, sono stati riacciuffati, l’indulto è servito molto. È servito meno alle vittime dei loro reati. Proprio l’altro giorno si calcolava che oltre un terzo di coloro uscirono per l’indulto grazie a Mastella che magnificò quel provvedimento e ci tenne a dargli il suo nome, erano tornati a delinquere, sono già stati presi e riportati dentro. Il che ci fa pensare che altrettanti, almeno un altro terzo, siano tornati a delinquere, siano recidivi, e non siano stati presi. Immaginate su quasi 50.000 persone che uscirono di carcere oppure si videro revocare le pene alternative, dell’affidamento ai servizi sociali o degli arresti domiciliari, che festa! Bene, ora sono tutti pentiti. “Basta con gli indulti, facciamo il braccialetto elettronico e l’espulsione degli extra-comunitari”. Che idea! Non ci aveva mai pensato nessuno! Almeno così crede Angelino Jolie, il quale è come un marziano appena atterrato sulla Terra: non ha la più pallida idea del fatto che ciò nel quale sta mettendo le mani in questo momento è argomento sul quale si è già dibattuto da decenni. Ci sono suoi illustri, o quasi, predecessori, che avevano già detto: “espulsioni e braccialetti!” Perché nessuno ci tiene, salvo poi doverlo fare per Previti, a mandare fuori i delinquenti. Il problema è che le due soluzioni individuate da Alfano, non solo erano già state esaminate, ma erano già state scartate, perché non servono. Siamo all’ennesimo annuncio di una cosa che non verrà mai fatta, almeno speriamo, perché se verrà fatta significherà un indulto mascherato. Voi sapete che questo governo è geniale nei lifting, del resto il suo presidente, tra trapianti e lifting è tutto finto e non ha più un centimetro quadrato di pelle originale. Ma il lifting legislativo è la specialità di questo governo. Voi sapete che hanno abolito l’ICI, adesso la chiamano in un altro modo e ce la reintroducono. Il fallimento Alitalia, hanno detto di averlo risolto e lo pagheremo due volte, come avete saputo, mentre una quindicina di furbetti intascheranno l’azienda pulita dai debiti e dagli esuberi. Non parliamo della “monnezza” a Napoli: chiunque vada in Campania sa che è stata rimossa solo da alcuni quartieri. Non è sparita la “monnezza” dalla Campania, sono spariti i giornalisti e i fotografi e soprattutto le telecamere.

Quindi abbiamo un nuovo lifting legislativo, questa volta per far sparire i detenuti, senza farcene accorgere. In realtà, niente sparisce. Noi trattiamo il tema dei detenuti sempre con l’ideologia anziché con i dati scientifici e partendo dalla concreta e brutale realtà. Ci stiamo raccontando da anni che l’Italia ha il problema di avere troppi detenuti. È una bella espressione: “abbiamo troppi detenuti … abbiamo troppi detenuti”. Abbiamo troppi detenuti, un corno! Cosa vuol dire “troppi detenuti”? In base a cosa? Quale sarebbe il numero perfetto di detenuti? Non esiste! Il numero dei detenuti dipende direttamente dal numero delle persone che violano la legge, vengono prese e vengono condannate a una pena che, secondo la legge, prevede il carcere. Quindi non esiste né il “troppi”, né il “troppo pochi”. Ci sono quelli che riusciamo a prendere. In un Paese che, tra l’altro, per certi tipi di reati i livelli di impunità sono quasi al 90%, immaginate che cosa succederebbe se conquistassimo 1% di efficienza in più all’anno. Esploderebbero le carceri. Meno male che siamo un Paese inefficiente e non li prendiamo. Perché se ne prendessimo un po’ di più non sapremmo dove metterli. Non abbiamo troppi detenuti. Abbiamo troppi delinquenti eventualmente e abbiamo troppo pochi posti cella in rapporto ai delinquenti. Siccome il carcere deve mettere le persone in condizione di non nuocere per un certo periodo, o farle riflettere e possibilmente rieducarle – così dice la nostra Costituzione – il carcere non deve essere una tortura. Non bisogna, oltre alla privazione della libertà, infliggerli una pena supplementare che è quella della promiscuità, del vivere accatastati, vivere in dieci in una cella che ne dovrebbe contenere due e cose di questo genere. E quindi in quel senso abbiamo troppi detenuti, ma non in rapporto al fabbisogno delle celle, ma in rapporto alle poche celle che abbiamo. Vi basti un dato. La Gran Bretagna celebra ogni anno trecentomila processi e ha circa sessantamila detenuti. In Italia si celebrano circa tre milioni di processi, il decuplo, e abbiamo sessantamila detenuti, stessa cifra.

Allora, vi pare? Sono stupidi gli inglesi che hanno lo stesso numero di detenuti come risultato di un decimo dei nostri processi, o siamo fessi noi che abbiamo il decuplo dei processi e lo stesso numero di detenuti della Gran Bretagna. È evidente che siamo fuori di testa noi. Abbiamo pochi posti, naturalmente si dovrebbero costruire nuove carceri. Tutti ne parlano, nessuno le costruisce. Sapete che le ultime costruite sono le famose “carceri d’oro”. Quelle che poi furono inaugurate dagli stessi politici che le avevano costruite. A cominciare, se non ricordo male, dai famosi social-democratici Nicolazzi & C. coinvolti nello scandalo De Mico. Oggi abbiamo un sacco di caserme dismesse, un sacco di edifici industriali abbandonati, basterebbe un piano per riattarli, almeno per contenere i detenuti non pericolosi, si potrebbero usare questi. E poi non si è mai capito per quale ragione si siano chiuse Pianosa e l’Asinara, a parte la ragione di farci fare le vacanze a qualche ministro, magari accompagnato dai Vigili del Fuoco. Ma Pianosa e l’Asinara andavano benissimo per tenere i boss mafiosi al 41bis e credo che quello sia uno dei tanti favori che la politica ha fatto alla mafia, anche perché la chiusura delle carceri del 41bis stava nel “papello” che Riina distribuì durante le trattative mentre l’Italia esplodeva tra una bomba e l’altra nel ’92 e ’93, negli anni delle stragi.

Troppi reati inutili? È un’altra verità. Quando parleremo, la settimana prossima probabilmente, della riforma della giustizia, vi farò qualche esempio di comportamenti che in Italia sono ancora puniti penalmente e richiedono tre gradi di giudizio. Però sulla popolazione carceraria i reati da depenalizzare non influiscono, perché? Perché non c’è nessuno in carcere per reati minori. La leggenda del ladro di mela che sta in carcere non è vera perché, come ben sapete, ce ne vogliono un sacco di mele rubate per andare in galera in quanto da noi si entra in carcere soltanto per pene superiori ai tre anni, e sotto i tre anni, se uno lo chiede, di solito ottiene l’affidamento ai servizi sociali. Semmai, ci sono molti extracomunitari che non lo possono ottenere perché non hanno fissa dimora, non si sa dove abitano, non si sa nemmeno da dove vengano, non si sa nemmeno come si chiamano e quindi i giudici di sorveglianza ritiene poco sicuro darli in affidamento. È su questo che si dovrebbe eventualmente agire, ma non è che la depenalizzazione ci porterebbe a una diminuzione dei detenuti. Abbiamo gente in carcere per reati per i quali è bene che la gente in carcere ci stia, almeno un po’. L’unico problema, ma io su questo non ho soluzione, è quello della droga. Ci sono tutta una serie di reati collegati con la droga, nessuno è in galera perché si droga però ci sono persone che per drogarsi spacciano, commettono altri reati, dunque per quei reati è previsto che sia chi si droga sia chi non si droga finisca dentro, un po' come per i reati degli extracomunitari. Nessuno è in carcere perché extracomunitario, per fortuna ancora non ci sono riusciti, ma se è uno è extracomunitario non deve essere punito più severamente di un italiano ma nemmeno deve essere trattato più con i guanti rispetto a un italiano. Ciascuno dovrebbe pagare in proporzione al danno che ha provocato. C'è poco da fare, insomma, su depenalizzazioni e cose del genere fermo restando che il tossicodipendente deve essere aiutato a uscirne, compatibilmente con le comunità che sono quasi tutte private. Il problema è che questa classe politica, soprattutto questo centrodestra, continua ad aumentare il numero dei detenuti con leggi che ci raccontano essere fatte per la nostra sicurezza - in realtà con la nostra sicurezza non c'entrano niente - e allungano il periodo del carcere a persone che magari sarebbero uscite prima ma che avrebbero scontato la loro pena. La ex Cirielli cosa faceva? Ai recidivi provocava con una serie di meccanismi una detenzione più lunga mentre agli incensurati garantiva di fatto l'impunità con il dimezzamento della prescrizione. Per cui abbiamo uno come Berlusconi che è un incensurato seriale perché ogni volta è prescritto e non si riesce mai a condannarlo per la prima volta, quindi non diventerà mai recidivo. Mentre chi prima della legge aveva già una condanna rischia di non uscire quasi mai più se commette uno o due reati nuovi perché c'è questo meccanismo infernale che allunga la sua detenzione. In più aggiungete tutta questa miriade di reati collegati alla clandestinità: pensate all'aggravante razziale di cui abbiamo già parlato che punisce più severamente un irregolare extracomunitario per lo stesso reato per cui un italiano è punito molto meno. E' così che oltre al normale ingresso di delinquenti in carcere si è forzata la mano e si è aumentata la media. Aumentando i reati puniti col carcere e allungando i tempi di detenzione per quelli già dentro. Ed è questo governo che è responsabile dell'esplosione delle carceri, che naturalmente è più grave perché loro ci mettono del proprio. Ma abbiamo questo gigante del pensiero, questo genio del diritto, questo giureconsulto di scuola agrigentina Angelino Jolie che ha pronto il bracciale: mettiamo il bracciale al polso o alla caviglia del detenuto e lo controlliamo anche in libertà vita natural durante. Possiamo, dice Angelino, liberarci di ben 7.400 detenuti. Pensate, presto avremo 75.000 detenuti, lui ne tira fuori col braccialetto 7.000 e pensa di aver risolto il problema. Ne avremo 68.000 cioè 23.000 in più della capienza stabilita. Pensate che idea geniale. Ma è meglio seguirlo, l'avete anche visto a reti unificate ieri sera in TV che annunciava - dietro una siepe, forse si nasconde perché non lo sentano - questa geniale trovata.

Io ricordo che il braccialetto era un'invenzione del ministro Bianco che nel 2000 l'aveva già sperimentata, poi non se ne è più saputo niente. Poi arrivò il governo Berlusconi II. Avevamo quell'altro gigante del pensiero, il ministro Castelli, anche allora iniziarono una geniale sperimentazione del braccialetto, nel 2003. Nel 2005, alla vigilia di andarsene, avevano già finito la sperimentazione, già naufragata. Sulla Stampa e su Repubblica si spiega il perché: avevano testato 400 braccialetti, convenzionati con un'azienda a caso. Indovinate quale: la Telecom. Sapete quanto era costata allo Stato italiano questa convenzione per i test dei braccialetti? Undici milioni di euro, 22 miliardi di lire. Quattrocento braccialetti. Li hanno provati - tenetevi forte perché i numeri sono spettacolari - su tre detenuti: uno al polso, due alle caviglie. Il primo è subito evaso, non si è più saputo dov'è andato. Eppure è evaso col suo bel braccialettino. Sapete perché? I braccialetti applicati fin'ora non hanno nemmeno il collegamento satellitare, scrive la Stampa. L'apparecchio è controllato da una centralina collegata al telefono in casa della persona agli arresti domiciliari. Lo metti agli arresti col suo bel braccialetto, c'è una centralina presso gli uffici di Polizia e tieni il collegamento. Ma se il detenuto si allontana oltre il raggio di captazione dell'antenna - come quando uno con il cordless si allontana di qualche decina di metri dall'appartamento - in questura scatta l'allarme perché non si sa dove sia finito. Tutto qui, da quel momento il bracciale non rivela alcuno spostamento dell'evaso. In altri termini le forze dell'ordine sanno che è scappato ma non hanno la minima idea di dove si nasconda. Questo è il braccialetto che hanno testato. Ci vorrebbe il collegamento via satellite ma ci costerebbe ancora di più di quello che già costano queste cialtronate già testate per undici milioni di euro. In più c'è una normativa europea che impone alle case produttrici di braccialetti di fabbricarli con materiali che non danneggino il soggetto: non possono mettertelo in ghisa o in acciaio. Il materiale deve essere morbido a cominciare dalla fibbia perché lo devi portare per anni. Ciò significa che un detenuto intenzionato a evadere può tagliare il braccialetto senza alcun problema con un colpo di forbice nella fettuccia e andarsene. L'allarme scatta, ma non si sa più dove sia finito, magari ad ammazzare, rapinare o violentare qualcuno. Bene, il braccialetto ha fatto una brutta fine, nel 2005 l'uso di questi dispositivi è stato interrotto. Repubblica, con un'altra statistica, parla di 15 milioni all'anno di spesa. La centralina che conferma la presenza del detenuto in casa salta anche quando viene spolverata o sfiorata da un bambino. Il meccanismo diventa muto se il detenuto si immerge in una vasca da bagno o scende in cantina, con un fiorire di falsi allarmi che mobilitano senza costrutto le forze dell'ordine. Eh già, è sceso in cantina, non si sente più, sarà sparito, arriva la Polizia, dov'è il detenuto? In cantina che prende una bottiglia di vino. Le forze di Polizia giustamente non ne vogliono più sapere di quell'aggeggio infernale.

Se poi il ministro invece di sperimentarlo su 400 volesse mettere in atto questo geniale provvedimento per 8.000, come ha promesso ieri dietro la siepe, la spesa salirebbe a tre miliardi di euro, sei mila miliardi di lire per mandare in giro 8.000 persone col braccialetto. Una cosa dell'altro mondo.

Espulsione, seconda trovata. Perché tenere in carceri italiane detenuti stranieri che rubano il posto ai nostri, direbbe qualche leghista? Mandiamoli via così abbiamo risolto il problema! Ma come hanno fatto a non pensarci prima? E' una cosa talmente geniale. Non ci hanno pensato prima perché? Perché ci hanno pensato prima solo che non funzionava nemmeno quella! Cosa succede? Per espellere un extracomunitario gli dici "vai via", che abbia commesso reati o no, magari lo espelli semplicemente perché non ha il permesso di soggiorno. Quello, di solito, con le sue gambe non se ne va. Allora lo accompagni coattivamente alla frontiera. Quello passa la frontiera poi torna, soprattutto se è uno già condannato, un delinquente, magari inserito in un'organizzazione criminale. Appena lo metti fuori e ti giri torna dentro. Allora gli fai il foglio di via, e quello non se ne va. Allora gli chiedi perché non è andato via, e lui ti dice "non vado via perché non ho i mezzi per tornarmene in Marocco". Se uno da Milano deve andare in Marocco come fa, a piedi e poi a nuoto? No, bisognerebbe caricarlo su un aereo, pagando il biglietto: se non ha una lira come fa a pagarsi il biglietto aereo? Comunque anche se ha i soldi è difficile dimostrarlo, visto che di solito le attività dei clandestini sono clandestine e non ricevono regolare stipendio su un conto in banca.

Allora bisogna trovare i soldi per pagare il biglietto a migliaia di persone da espellere: lo Stato italiano non ha neanche gli occhi per piangere, non abbiamo i soldi per le volanti della Polizia figuriamoci i soldi per pagare le espulsioni. E anche se li avessimo, com'è noto, gli Stati - quasi tutti - da cui provengono gli extracomunitari più dediti al delitto non li vogliono indietro perché non avendo documenti certi non si è sicuri che provengano da quel Paese, quindi perché quel Paese se li deve riprendere? Se poi sono stati condannati e devono scontare la pena, non c'è nessun Paese che se li riprende nelle sue carceri perché tocca a quel Paese mantenerli, anziché a noi. Quindi, a meno che non abbiamo accordi bilaterali, ma non mi pare salvo rare eccezioni, ci chiederanno il costo del mantenimento del detenuto nel loro carcere. Allora che senso ha? Anche culturalmente, come segnale, far sapere all'extracomunitario "guarda se ammazzi qualcuno, se rapini o se stupri io ti mando via"... è la stessa cosa che dici a quelli che non hanno niente, "ti mando via", solo perché non hanno il documento. Che messaggio mandi? Che siamo il Paese di Pulcinella. Il messaggio da mandare è che se violi le leggi del nostro Paese verrai arrestato come gli italiani vengono arrestati e pagherai lo stesso prezzo. Questa è sicurezza. No: "bada che se ammazzi qualcuno ti mando via!" Ma quelli vengono subito, essere mandati via non è mica una punizione.
Vi rendete conto in quali mani siamo? E questi sarebbero il governo della sicurezza.
In più questo riguarderebbe 4700 persone condannate, extracomunitarie da rimpatriare, e noi stiamo parlando di un problema enorme come quello delle carceri che, se arriviamo a 75.000 detenuti, toglierne 5.000 vuol dire arrivare a 70.000. Cosa abbiamo risolto? Niente, perché poi ce ne restano in più ancora quasi 30.000. E a quelli che gli facciamo? Voi vi rendete conto che ci vorrebbe serietà, olio di gomito, una politica che studia i problemi in base ai dati scientifici e non in base alle frottole e soprattutto che non si affida ai marziani. Dovremmo, insomma, diventare un Paese serio governato da gente seria. Questi sono pagliacci che purtroppo mettono le mani sulla nostra vita e sulla nostra sicurezza. Passate parola."
 
 
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« Risposta #81 inserito:: Settembre 11, 2008, 08:51:27 am »

LA POLEMICA

Travaglio: "La verità sulle mie vacanze"

D'Avanzo: ecco quello che non dice

Marco Travaglio alla trasmissione di Fazio: la polemica è partita dalle dichiarazioni su Schifani



ROMA (Ansa) - Marco Travaglio mette on line (www.voglioscendere.it) l'assegno e l'estratto conto della carta di credito con cui pagò la vacanza del 2002 all'Hotel Torre Artale di Trabia (Palermo), dove soggiornò con la sua famiglia nell'estate del 2002. E' la coda di una polemica scoppiata a maggio di quest'anno quando Giuseppe D'Avanzo, su Repubblica, rivelò di aver saputo da fonti investigative siciliane che il costruttore Michele Ajello, poi arrestato e condannato in primo grado per mafia, aveva pagato la vacanza di Travaglio su richiesta. La "notizia falsa" - ricorda il giornalista e scrittore - rimbalzò sui principali media italiani.

"Bene - dice Travaglio - sono spiacente di informare lorsignori che, dopo lunghe ricerche, ho finalmente trovato l'assegno e l'estratto conto della carta di credito Diners con cui pagai il conto di quella vacanza all'hotel Torre Artale di Trabia. L'assegno, emesso il 19 agosto 2002 dal mio conto presso il San Paolo-Imi di Torino e poi negoziato dal Banco di Sicilia (che lo conservava nei suoi archivi di Palermo), ammonta a 2.526,70 euro. I restanti duemila euro li pagai con la carta Diners (versamento datato 18 agosto 2002)".
"So che nessuno mi chiederà scusa per aver messo in circolo quelle menzogne sul mio conto. Ma - conclude Marco Travaglio - spero almeno che, in cuor suo, si vergogni".


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La risposta di Giuseppe D'Avanzo

Ricapitoliamo, una buona volta questo affare, le questioni che sono in discussione e i benedetti "fatti" che, per Marco Travaglio, dovrebbero farmi vergognare.

Partiamo dai "fatti".

Travaglio non parla mai di Giuseppe Ciuro, come se la presenza di questo signore fosse marginale. Al contrario, è essenziale. E non per sostenere che l'integrità di Travaglio è compromessa dalle vacanze comuni con un infedele poliziotto poi definito da una sentenza "criminale" e condannato a quattro anni e mezzo di galera. Quando vi ho fatto cenno in maggio, volevo dimostrare quanto fragile e pericoloso fosse un metodo di lavoro che - abusando della parola "verità" - declina la conoscenza di Schifani con un tizio, quattro anni dopo indagato per mafia, come prossimità alla mafia. Come mafiosità.

Travaglio sembra non comprendere di che cosa voglio discutere. O forse non ne ha voglia. Gli interessa soltanto difendere se stesso (lo capisco) e insultare e invitare i suoi lettori a farlo (lo capisco meno).

Purtroppo anche la sua difesa, presentata come definitiva, come esaustiva, è alquanto debole, se si deve proprio parlarne. Cincischia un po' sulle mie fonti. Fa confusione. Fa credere che la mia fonte sia l'avvocato di Michele Aiello. Chi lo ha mai detto o scritto?

Ho scritto: "Marco [travaglio] e Pippo [Ciuro] sono in vacanza insieme, concludono per approssimazione gli investigatori di Palermo. Che, durante le indagini, trovano un'ambigua conferma di quella villeggiatura comune. Prova maligna perché intenzionale e non indipendente. Fonte, l'avvocato di Michele Aiello. Il legale dice di aver saputo dal suo assistito che, su richiesta di Pippo, Aiello ha pagato l'albergo a Marco. Forse, dicono gli investigatori, un residence nei dintorni di Trabia". E' di tutta evidenza che l'avvocato di Aiello non è la mia fonte, nonostante gli sforzi di confondere le acque.

Ma queste, come direbbe Michele Santoro, sono "quisquilie". Travaglio vuole dimostrare, "carta canta", che si è pagato di tasca sue le sue vacanze siciliane.

Travaglio tiene, soprattutto, a smentire una frase del mio articolo.

Questa: "[Dice l'avvocato che] Aiello ha pagato l'albergo a Marco".

Con enfasi, annuncia dal suo sito: "Ho finalmente trovato l'assegno e l'estratto conto della carta di credito Diners con cui pagai il conto di quella vacanza all'hotel Torre Artale di Trabia. L'assegno, emesso il 19 agosto 2002 dal mio conto presso il San Paolo-Imi di Torino e poi negoziato dal Banco di Sicilia (che lo conservava nei suoi archivi di Palermo), ammonta a 2.526,70 euro. I restanti 2 mila euro li pagai con la carta Diners (versamento datato 18 agosto 2002)".

Ora Travaglio sa - e lo ha ammesso - che con il "criminale" Giuseppe Ciuro ha trascorso una vacanza nel 2003.

Racconta al Corriere della Sera (15 maggio 2008): " [L'anno successivo, mese di agosto del 2003] Andai con la famiglia per dieci giorni al residence Golden Hill di Trabìa [si confonde: il Golden è ad Altavilla Milicia] dove di solito alloggiavano Ciuro e Ingroia [è un pubblico ministero del pool di Palermo] e ci fu quella buffa storia dei cuscini poi finita nei brogliacci delle intercettazioni".

"Ma al Golden Hill chi pagò il conto?", chiede il Corriere.

Risponde Travaglio: "Io ho pagato la prima volta il doppio di quanto stabilito e per il residence ho saldato il conto con la proprietaria. Tutto di tasca mia, fino all'ultima lira e forse se cerco bene trovo pure le ricevute".

E' il saldo del soggiorno al Golden Hill, dunque, a dover essere confermato, se proprio si vuole. Perché l'avvocato di Aiello indica, come pagato dal suo assistito a vantaggio di Travaglio, il soggiorno al residence di Altavilla (2003) e non le vacanze all'Hotel Artale di Trabìa (2002).

Dice infatti al Corriere (15 maggio 2008) l'avvocato Sergio Monaco, difensore di Aiello (e naturalmente le sue parole, come quelle di Aiello, non sono oro colato): "Posso solo dire che l'ingegner Aiello conferma che a suo tempo fece la cortesia a Ciuro di pagare un soggiorno per un giornalista in un albergo di Altavilla Milicia. In un secondo momento, l'ingegnere ha poi saputo che si trattava di Travaglio".

Ora sono sicuro che Travaglio, come ha trovato i cedolini del pagamento del 2002, possa agevolmente rintracciare anche quelli dell'anno successivo.

E' quel che mi auguro perché Travaglio dovrebbe sapere, come lo so io, che vivere delle colpe altrui è un po' "come vivere a spese altrui".

Per vergognarsi c'è allora tempo. Più urgente è ragionare. Non di Aiello, ma di Ciuro e di un modello giornalistico.

Vediamo qual è, a mio avviso, il nocciolo della discussione.

Marco Travaglio, in maggio, è ospite a Che tempo che fa.

Questo è l'esordio (il video è su Youtube).
Travaglio: "L'elemento di originalità [della situazione italiana] è che noi non siamo stati sempre così. E' molto istruttivo quando vengono elette le alte cariche dello Stato. Tutti i giornali pubblicano tutti i nomi dei personaggi che hanno ricoperto quella carica. E uno si rende conto che una volta avevamo De Gasperi, Einaudi, De Nicola, Merzagora, Parri, Pertini, Nenni, Fanfani. Possiamo fare una lunga lista, poi uno arriva e vede Schifani. E' la seconda carica dello Stato... Schifani... Mi domando chi sarà quello dopo. In questa parabola a precipizio c'è soltanto la muffa; probabilmente, il lombrico (applausi scoscianti)... dalla muffa si ricava la penicillina: era dunque un esempio sbagliato (nuovi applausi con rumorose risate, ride anche Travaglio)".

Sarà dunque un lombrico, il successore di Schifani. Il lombrico è il nome comune dei vermi della famiglia dei Lombricidi. Le parole di Travaglio significano dunque questo: dopo Schifani, soltanto un verme potrà fare il presidente del Senato.

Temo che quest'affermazione - che marca l'altro come indegno - non possa essere considerata "un fatto" da nessuno - sia che faccia giornalismo o che con il giornalismo non abbia nulla a che fare. Non è neanche un'opinione sostenuta da un argomento, più o meno condivisibile.

Il prossimo presidente del Senato non sarà un uomo magari più screditato e opaco di Schifani. No, Schifani è già ai bordi dell'umanità. Già annuncia l'arrivo dell'inumano, la "parabola a precipizio" nel regno animale.

La logica di valore e disvalore dispiega qui tutta la sua distruttiva consequenzialità. Crea una definitiva svalutazione nel non-umano: è il disvalore assoluto. Io non so se Travaglio se ne renda conto (non credo), ma forse si potrà convenire che in questa logica di guerra "per una justa causa" che non riconosce "un justus hostis" si odono echi - questi, sì - inquietanti. Era Grigorj Pjatakov a gioire della condanna di Zinov'ev e Kamenev dalle pagine della Pravda (21 agosto 1936) con queste parole: "Questa gente ha perduto l'ultima sembianza di umanità. Essi devono essere distrutti come carogne".


Bollare la parte avversa come disumana, anzi come prossima alla non-umanità, consente sempre di scatenare una guerra assoluta, di coltivare un'inimicizia assoluta contro un nemico assoluto. In questo contesto "emozionale" (e chi lo sa perché in studio si rideva e sghignazzava: anche questo meriterebbe "un'analisi a sé"), Travaglio affronta le "amicizie mafiose" di Schifani.

Mi chiedo può essere considerato giornalismo, buon giornalismo, andare in televisione e presentare non il presidente del Senato, ma semplicemente un uomo, come un quasi-verme? Davvero è "giornalismo dei fatti" sostenere, a freddo e fino a quel momento senza alcuna delucidazione (e quale poi poteva essere?) che un tipo è poco più di un verme? Non è neanche un'opinione. E' soltanto un nudo insulto, una consapevole offesa, un rito di degradazione. Davvero avrebbe diritto di cittadinanza in un altro paese occidentale alla voce giornalismo? Io penso che sia soltanto un'operazione vocale sulla psiche altrui, una sofisticazione del "malumore dilagante".

Le spiegazioni infatti, a Che tempo che fa, verranno soltanto dopo qualche domanda, quando Travaglio dirà: "E' chiaro che se il clima politico induce a un rapporto di distensione tra l'opposizione e la nuova maggioranza... Schifani ha avuto delle amicizie con dei mafiosi. Io devo fare il giornalista. Io devo raccontarlo. Lo ha raccontato Lirio Abbate, nel libro che ha scritto con Gomez e viene celebrato, giustamente, come un giornalista eroico minacciato dalla mafia. Ora o si ha il coraggio di dire che Lirio Abbate è un mascalzone e un mentitore o hanno il coraggio di prendere nota di quello che scrive e chiedere semplicemente alla seconda carica dello Stato di spiegare i rapporti con quei signori che sono poi stati condannati per mafia".

Non solo Schifani è poco più che un verme, è anche uno vicino alla mafia. Questa è la "verità" di Schifani che Travaglio ha voluto raccontare.

Si vedono qui gli abissi sopra i quali si svolgono le accorte e sapientissime requisitorie del processo politico: già Schifani era un "quasi verme", volete che non sia anche un criminale, un mafioso? Evocare "la mafia" dopo la non-umanità di quell'uomo non è "pescare nel medium sublogico" (come forse direbbe Franco Cordero): non solo Schifani è poco più che un verme, come vi ho già detto, è anche uno vicino alla mafia. E ora giudicatelo voi!

Questa è la "verità" di Schifani che Travaglio ha voluto raccontare. Ma un decente giornalismo può davvero considerare quelle parole accettabili come "la verità" (di "verità" parla in lettere, interviste, conferenze stampa)? Di che cosa è fatta quella "verità"?

Avere incrociato un mafioso - meglio un tipo che soltanto dopo è stato indagato e condannato per mafia - vuol dire davvero essere, sempre e in ogni caso, necessariamente, complice della mafia?

Molto mi è stato (e mi è ancora) rimproverato il ricordo della vacanza sconsiderata di Travaglio. Le carinerie che mi sono state riservate oscillavano e oscillano tra il "maiale" e il "venduto".

In realtà, ho voluto soltanto applicare (Travaglio sembra non comprendere le mie obiezioni) il cosiddetto principio tu quoque: atti uguali vanno valutati a uguali parametri. Chiedo: aver trascorso una vacanza con un tipo che poi si è rivelato un criminale, e dunque in piena innocenza e senza alcuna consapevolezza, vuol dire davvero essere per riflesso un criminale?
Mi sembrava (e ancora mi sembra) che il tu quoque potesse svelare di quale grana era fatta la perfomance di Travaglio, il suo giornalismo, la sua deprecazione, l'approccio alla realtà che è chiamato a raccontare. A me sembra che Travaglio ne abbia un'immagine artificiale, stretta in un ordine rigido. Tutto il bene da una parte, tutto il male dall'altra. Ne consegue una morale assoluta, incompatibile con il caso, l'imprevisto, il dubbio, l'ambivalenza, l'innocenza (e non dimentico che anche il mio lavoro si è mosso spesso lungo quelle strade).

Questa convinzione di Travaglio - una volta lontana dal rendiconto di un esito processuale - riduce ogni cosa alla coppia amico/nemico, buono/cattivo, bene/male, interno/esterno. Crea le particolari condizioni per cui egli (o chi come lui) "può provare tutto ciò che crede e credere a tutto ciò che può provare" perché, se è lecito citare in un'occasione come questa Hannah Arendt, confonde la logica formale con il "pensiero" e la coerenza con la "verità". Alla fine, per far tornare i conti, è un modello che deve "aggiustare" le carte perché non è sempre vero che il giornalismo di Travaglio sia fatto soltanto di "dati concreti" e di "fatti". A volte, è costruito con disinvoltura e anche con qualche omissione, come questa sua ultima e infelice replica.

(11 settembre 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #82 inserito:: Settembre 12, 2008, 04:55:58 pm »

LA LETTERA

Travaglio: "Così ho pagato le vacanze"

di MARCO TRAVAGLIO


Caro Direttore, per la quarta volta da quando ho raccontato in tv una serie di fatti veri sul passato del presidente del Senato, Renato Schifani, sono costretto a difendermi dagli attacchi di Giuseppe D'Avanzo (altro che "polemicuzza personale"). Il quale, anziché delle strane amicizie del presidente del Senato, continua a occuparsi delle mie vacanze. Io indico la luna, lui parla del dito. Nel suo articolo del 14 maggio, svelava uno scoop sensazionale: "L'avvocato di Michele Aiello (un costruttore arrestato nel 2003 e poi condannato in primo grado per mafia, ndr)... dice di aver saputo dal suo assistito che, su richiesta di Pippo (Ciuro, un maresciallo della Direzione antimafia di Palermo, arrestato nel 2003 per mafia, poi assolto dalla mafia ma condannato per favoreggiamento di Aiello, ndr), Aiello ha pagato l'albergo a Marco (Travaglio, ndr).

Forse, dicono gli investigatori, un residence nei dintorni di Trabia". Poi citava una clamorosa telefonata dell'"8 agosto del 2002" fra me e il sottufficiale, che mi prestava un cuscino. Siccome nel 2002 passai le vacanze in un hotel di Trabia, il "Torre Artale", segnalatomi da Ciuro, ritenni che quella voce falsa e calunniosa divulgata da D'Avanzo si riferisse alle mie vacanze del 2002 nell'hotel di Trabia. Dissi subito che me le ero pagate io, visto che sono abituato così e che non ho mai visto né sentito questo Aiello. E promisi di dimostrarlo con le carte. Dopo lunghe ricerche, ho rintracciato l'estratto conto della mia carta di credito Diners con cui pagai la metà del conto (2 mila euro) e la fotocopia dell'assegno con cui saldai il resto (2.526,70 euro). Li ho pubblicati sul mio blog, per evitare di annoiare ancora i lettori di Repubblica con questa penosa faccenda.

Speravo che fosse finita, ma mi sbagliavo. Ieri D'Avanzo mi ha dedicato tre quarti di pagina, cambiando le carte in tavola. Dopo aver sempre parlato del 2002 e di Trabia, ora sostiene che "quei documenti provano poco": stavolta devo dimostrare che pagai anche la vacanza del 2003 in un residence di Altavilla Milicia ("è il saldo del soggiorno al Golden Hill a dover essere confermato"). E butta lì un simpatico "anche se quei documenti saltassero fuori...".

Bene, sono felice di comunicargli che il mio soggiorno di dieci giorni in un villino del residence Golden Hill ad Altavilla lo saldai con la proprietaria (il cui nome, se vuole, gli fornirò in privato) in data 21 agosto 2003 con un assegno della mia banca, San Paolo-Imi di Torino: assegno di 1000 euro numero 3031982994.

Per la fotocopia, farò subito richiesta alla banca e spero di averla tra qualche settimana, come l'altra. Casomai D'Avanzo gradisse qualche ragguaglio sulle mie ferie precedenti o successive (le faccio tutti gli anni), posso fornirgli la documentazione completa, onde evitare di dovergliene render conto a rate, per la gioia - immagino - dei lettori. Dopodiché, visto che "per vergognarsi c'è tempo", il collega potrà procedere a piè fermo. E poi, magari, occuparsi anche lui del passato di Schifani. Sarebbe la prima volta.

Due parole, infine, sulla nuova lezione di giornalismo che D'Avanzo ha voluto impartirmi dopo una lunga arringa difensiva pro Schifani, della quale il presidente del Senato gli sarà senz'altro grato (mi ha fatto causa civile chiedendomi un paio di milioni di euro). Egli sostiene di aver tirato in ballo le mie vacanze a proposito (si fa per dire) di Schifani per "applicare il principio 'tu quoque': atti uguali vanno valutati a uguali parametri". Bene, vediamoli questi "atti uguali".

A) Io conosco, come decine di cronisti giudiziari, un sottufficiale della Guardia di Finanza che lavora all'antimafia fin dai tempi di Falcone e che mi suggerisce un albergo a Trabia e un residence ad Altavilla. Io ci vado e, ovviamente, pago il conto (anzi, in albergo pago il doppio del prezzo inizialmente pattuito). Poi il maresciallo viene arrestato e condannato per aver passato notizie riservate a un indagato (Aiello).

B) L'avvocato Renato Schifani, alla fine degli anni 70, entra nella "Sicula Brokers"in società con l'amministratore dei cugini Salvo (arrestati di lì a poco per mafia da Falcone), con Benny D'Agostino (arrestato e condannato per mafia negli anni 90) e con Nino Mandalà (arrestato e condannato come boss di Villabate sullo scorcio degli anni 90). Non li incontra per il lavoro che fa: ci entra in società, ci fa soldi, affari, lucro. Prima di essere arrestato, Mandalà si sposa e Schifani presenzia al suo matrimonio. Poi diventa consulente urbanistico del comune di Villabate, nominato da una giunta considerata dai magistrati "nelle mani" di Bernardo Provenzano e Nino Mandalà. Poco tempo dopo, il comune di Villabate verrà infatti sciolto due volte per mafia.

Dimenticavo. A) Io sono un privato cittadino. B) Schifani, già capogruppo di Forza Italia al Senato, è la seconda carica dello Stato. Qualcuno davvero può pensare che A è uguale B? Qualcuno può davvero sostenere che non si dovessero raccontare, in vari libri e in tv, le frequentazioni del presidente del Senato?

Era poi tanto campata in aria una battuta, quella su lombrichi e muffe, che intendeva semplicemente segnalare lo scadimento della nostra classe politica e rammentare il principio universale secondo cui chi ricopre alti incarichi pubblici non dev'essere nemmeno chiacchierato? Troppo spesso, in Italia, "si guarda al dito anziché alla luna" perché "l'informazione che racconta la malattia del Paese, dei veleni che lo inquinano, dei detriti che ne condizionano le decisioni diventa, in questa interpretazione, addirittura una patologia e non una delle possibili terapie per immunizzare il discorso pubblico".

Ma "pensare che l'informazione sia la malattia del Paese e non una delle necessarie terapie alle patologie della politica può essere una strada senza ritorno alla vigilia di una stagione che, in modo esplicito, vuole attenuare i contrappesi di un potere che non riconosce alcun limite a se stesso. Dove si canta una sola nota, le parole... non conteranno più". Sono parole che condivido in pieno. Le ha scritte Giuseppe D'Avanzo su Repubblica il 1° agosto 2008. Chissà se le condivide anche lui.

Ciuro che tacerò. (G. D. A.)


(12 settembre 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #83 inserito:: Settembre 13, 2008, 12:35:07 am »

Marco Travaglio


Cattive compagnie (di bandiera)

Per accontentare Silvio Berlusconi Emma Marcegaglia si è cacciata in un bel guaio.
Per Alitalia ha rinnegato principi come libero mercato e concorrenza  Emma MarcegagliaS'è cacciata in un guaio, Emma Marcegaglia, nell'ansia di portare la sua razioncina d'oro alla Patria. Cioè il suo oboletto all'AliSilvio. Strapazzata perfino sul giornale confindustriale dall'economista liberale Alberto Alesina, concorre col penultimo predecessore Antonio D'Amato al record di servilismo filogovernativo in viale dell'Astronomia. Quando parlerà di libero mercato, qualcuno le ricorderà che è entrata in una compagnia aerea nata dalla sospensione delle regole antitrust con modifica ad hoc di tre leggi.

Quando esalterà il rischio d'impresa, qualcuno le rammenterà che il governo le ha consegnato la nuova Alitalia ripulita da debiti ed esuberi.
Quando siederà a trattare col governo per conto degli imprenditori sarà sospettata di ripagare il governo della grazia ricevuta. Quando un socio di Confindustria rischierà il crac, Emma dovrà spiegargli come mai la sua impresa deve fallire, mentre Alitalia no. Solo pochi mesi fa, sotto Montezemolo, l'associazione degli industriali aveva mollato alla classe politica uno schiaffo morale, cominciando a espellere i soci che pagano il pizzo anziché denunciare il racket mafioso.

Ora quel patrimonio di legalità va rapidamente evaporando. Questione di coerenza.
Il gruppo Marcegaglia, pochi mesi fa, ha patteggiato per corruzione al Tribunale di Milano a proposito di una tangente pagata nel 2003 a un manager dell'Enipower in cambio di un appalto: pena pecuniaria 500 mila euro e 250 mila di confisca alla Marcegaglia Spa, pena pecuniaria di 500 mila euro e 5 milioni di confisca alla controllata NE Cct Spa, 11 mesi di reclusione patteggiati dal vicepresidente Antonio Marcegaglia (fratello di Emma). Il padre Steno, invece, è stato condannato dal Tribunale di Brescia a 4 anni per la bancarotta Italcase-Bagaglino. Nello stesso processo di primo grado, sono stati condannati Roberto Colaninno (4 anni) e Cesare Geronzi.

Colaninno è il presidente della nuova Alitalia, mentre Geronzi è indicato fra i grandi sponsor dell'operazione.
Ma la cordata è impreziosita da un altro condannato in primo grado, il costruttore Marcellino Gavio (già arrestato nel '93 per Tangentopoli, dopo mesi di latitanza all'estero, s'è appena buscato 6 mesi per violazione di segreto investigativo) e dal pregiudicato Salvatore Ligresti (2 anni e mezzo definitivi per Tangentopoli). Ora, espellere chi non denuncia il racket mafioso è un'ottima idea. Ma chi paga il pizzo in Sicilia, di solito, ha la lupara alla tempia. Chi paga mazzette in Lombardia no. Con che faccia la Confindustria caccia chi subisce il racket (e per la legge è vittima di un reato) e non chi sgancia tangenti (e per la legge è colpevole di un reato)? Sarebbe come se il ministro Gelmini denunciasse le promozioni facili al Sud e poi volasse a Reggio Calabria per dare l'esame da avvocato. Per dire.

(12 settembre 2008)


da espresso.repubblica.it
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« Risposta #84 inserito:: Settembre 14, 2008, 06:17:22 pm »

13 settembre 2008, in Marco Travaglio

Casta canta

Ha ragione Simone Collini quando, sull'Unità, paragona il battage anti-Casta di un anno fa al silenzio di oggi. Ma Stella& Rizzo, o Beppe Grillo, non c’entrano: denunciavano allora, denunciano oggi. Gli esami calabresi della Gelmini, i bagni giannutresi di Fini, le marchette degli scalatori Alitalia e il ripristino berlusconiano degli aerei di Stato à gogò: nulla è cambiato, anzi molto è peggiorato. Ma il padrone della tv, con i Johnny Raiotta, i Mazza, i Fede, i Mimun al seguito, se le canta e se le suona. E chi non ha risolto il suo conflitto d’interessi, anziché piagnucolare, dovrebbe fare mea culpa. Anche perché finora, della Casta, si è sottolineato l’aspetto più superficiale, cioè i superstipendi, gli sprechi e gli status symbol. E non, invece, il tratto più profondo: la convinzione dei mandarini di appartenere a un club esclusivo, di essere diversi dagli altri, di non essere sottoposti alle leggi e alle regole. Che, com’è noto, valgono solo per gli altri.

Le parole di Ottaviano Del Turco, intervistato da Repubblica, illustrano bene il fenomeno. La legge vigente affida al gip il compito di arrestare gli indagati che minaccino di ripetere il reato, e poi di interrogarli nell’”incidente probatorio” (che ha valore di prova al dibattimento). Ma ciò che vale per tutti i comuni mortali è, per Del Turco, inaccettabile. Infatti ha ricusato il gip, accusandolo di essere “prevenuto” contro di lui. La prova? Il gip ha espresso “giudizi di colpevolezza” nell’ordine di custodia. Oh bella: se il gip fosse convinto della sua innocenza, non l’avrebbe arrestato. Se l’ha arrestato è perché - come prevede la legge - ha ritenuto fondati i “gravi indizi di colpevolezza” addotti dai pm. Ogni giorno i gip esprimono giudizi di colpevolezza su migliaia di arrestati e poi li interrogano. Ma Del Turco è speciale: pretende un gip nuovo di pacca, magari convinto della sua innocenza. Perché? “Il gip De Maria ha sostenuto che il sottoscritto, dopo essersi dimesso da tutto, sarebbe ancora in grado di reiterare il reato e dunque deve continuare a esser privato della libertà” con gli arresti domiciliari. Ma dove sta scritto che le dimissioni dalla carica cancellano il pericolo di nuovi reati? Quella ipotizzata dai magistrati è una ragnatela di corruzione che durava da anni, addirittura dalla vecchia giunta di centrodestra, che poi avrebbe passato il testimone delle mazzette a quella di centrosinistra. Un presunto clan con decine di indagati. Solo confessando l’indagato rompe i rapporti con gli altri, si rende inaffidabile nei loro confronti e dunque si può pensare che non delinquerà più. Altrimenti il rischio permane.

Nel processo “carceri d’oro”, a fine anni 80, si scoprì che i funzionari del Provveditorato delle opere pubbliche di Milano intascavano le mazzette a rate: a mano a mano che i costruttori incassavano i pagamenti dallo Stato, versavano l’obolo a chi aveva procurato loro gli appalti. E siccome i pagamenti andavano a rilento, alcuni continuarono a prendere tangenti anche quando erano in pensione e non contavano più nulla. Ma nessuno si sognò di interrompere i versamenti, altrimenti sarebbe divenuto inaffidabile coi funzionari in servizio. Del Turco ammette poi, con la massima naturalezza, di aver chiesto udienza al Comando generale della Guardia di Finanza quando partirono le indagini sulla sua giunta: “Certo che volevo lamentarmi”, perché gli inquirenti indagavano anche su “denunce anonime”, mentre “io gli anonimi li ho sempre cestinati”. Ma se un investigatore riceve un anonimo che fa i nomi di qualche assassino o di qualche tangentaro, perché non dovrebbe verificare se dice il vero o no? E quale cittadino comune potrebbe andare al Comando generale della Gdf per lamentarsi delle indagini a suo carico? Giusto Del Turco, che un comune cittadino non era, anche perché era stato ministro delle Finanze.

L’ultima “prova” della prevenzione del gip citata da Del Turco è spettacolare: “Avevo chiesto di trascorrere due settimane in Sardegna con mia moglie. Mi è stato detto che era possibile, a patto che fossi sorvegliato giorno e notte”. Ora, immaginiamo che sarebbe accaduto se un gip avesse concesso i domiciliari in Costa Smeralda a un normale detenuto accusato di aver rubato 6 milioni, con l’unica restrizione di qualche agente alle calcagna. Avremmo i giornali e i politici che strillano per il lassismo delle toghe rosse, che consentono la bella vita ai ladri. Se invece la stessa cosa accade per un mandarino della casta, accusato di aver rubato 6 milioni alla sanità pubblica, allora i giudici sono prevenuti. Da ricusare

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« Risposta #85 inserito:: Settembre 16, 2008, 04:00:56 pm »

Marco Travaglio


L'uomo del dialogo

"Il piano Fenice per salvare l'Alitalia non si può che accettare. Alla fine non si può andare contro una cosa assolutamente giusta. E poi è l'unica soluzione possibile. Non si può andare contro. Non credo che i sindacati possano accettare che vadano a casa in 20 mila, mi sembra una cosa così fuori dalla realtà che non ho dubbi che accada. Ciò che accada è che ci sia un accordo. Da una parte ci sono 20 mila persone a casa, dall'altra tutto il resto che è molto positivo" (Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio, votaberlusconi. it, 2 settembre 2008)

"Se l'opposizione non vi seguirà andrete avanti lo stesso? In altre parole, farete la riforma federale, quella della giustizia e quella elettorale con o senza l'opposizione?". "Certamente e inevitabilmente" (Silvio Berlusconi, intervista a "Tempi", 21 agosto 2008)

"Io sono amico di tutti e debbo sempre gettare acqua sul fuoco. Anche Bush sa che non si può tornare indietro con la storia. C'è scritto che c'è stata una provocazione a cui è seguita una reazione. Qualcuno ha voluto la parola 'sproporzionata', ma io ho chiesto quale reazione può essere definita proporzionata. Comunque la cosa importante è che non ci sono state né le sanzioni, né l'interruzione del dialogo. Vediamo che situazione maturerà. Dobbiamo tenere conto del sentimento russo che considera ancora la Nato come un'organizzazione contraria alla Russia e della sua sensazione di sentirsi accerchiata. Io e George ci capiamo al volo: non conviene né a noi, né agli americani che Mosca sposti il suo sguardo dall'Occidente all'Oriente" (Silvio Berlusconi commenta la bozza del documento approvato al termine del Consiglio europeo straordinario sulla Georgia tenutosi a Bruxelles, La Stampa, 2 settembre 2008).

"Milan. Biglietti Atene, Berlusconi parla con ultrà. Silvio Berlusconi ha promesso ai tifosi di risolvere il problema dei biglietti per la finale di Champions che sembrano introvabili. 'Atene: presidente non abbandonare i tuoi tifosi' è lo striscione che un centinaio di milanisti della curva hanno sventolato fuori dal Teatro Del Verme. Berlusconi si è fermato a parlare con un paio di loro. 'Ci ha detto che si interesserà lui - ha spiegato il 'Barone', storico ultras - e poi ci ha salutato dicendo 'ciao ragazzi, ci sentiamo domani'..." (Calciomercato.com, 14 maggio 2008)

"Napoli, tifosi padroni del treno. I supporter azzurri diretti nella Capitale 'sfrattano' i passeggeri. Quattro dipendenti delle Fs contusi, 500 mila euro di danni alle carrozze. La rabbia dei 250 diretti a Torino. Trenitalia: la prefettura ci ha detto di far partire l'Intercity. 'Una stazione sotto assedio per colpa di una partita di calcio'. È la rabbia dei passeggeri dell'Intercity. Stanchi e provati dall'esperienza ma soprattutto inferociti per essere stati 'cacciatì dal loro convoglio le persone che avrebbero dovuto partire da Napoli per Torino, commentano increduli l'assalto dei tifosi, che li ha convinti ad accogliere la richiesta di Trenitalia, ossia scendere dal convoglio per far posto ai supporter azzurri. 'Una scena incredibile', racconta Cinzia Vettosi, in viaggio con due bambini: 'Ho avuto finanche paura di scendere dal treno, di fronte a centinaia di tifosi che inveivano pretendendo di salire, in un'atmosfera che è facile immaginare'. Daniela Terrazzano, impiegata, deve tornare a Torino per riprendere domani il lavoro dopo le ferie: 'Dovevo partire alle 9.24, ho già perso oltre tre ore e non so quando potrò prendere il prossimo treno. Scendere? In pratica non c'erano alternative: prima i tifosi hanno cominciato a chiedercelo urlando, poi sono saliti sul treno gli addetti di Trenitalia ribadendo la richiesta. Cosa dovevamo fare?" (Corriere della Sera, 31 agosto 2008)

(12 settembre 2008)

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« Risposta #86 inserito:: Settembre 16, 2008, 04:02:33 pm »

Marco Travaglio



Questione di accento


"Riforme: 'Pronunciatelo alla francese, ricorda Attali'. Ecco il piano di Tremonti: liberalizzazioni e federalismo. Il ministro Giulio Tremonti lavora alla Finanziaria triennale e al piano di sviluppo che l'accompagnerà. Un piano che, parafrasando i francesi e la Commissione Attali, già è stato battezzato 'piano Tremontì', con l'accento sulla 'i'. Liberalizzazioni. Come il suo omologo francese, il piano del ministro dell'Economia farà perno sulle liberalizzazioni: servizi pubblici locali, acqua potabile, professioni, diritti di stabilimento delle società commerciali e di servizi". (Corriere della Sera, 9 giugno 2008).

"Le liberalizzazioni sono nel Dna del Governo Berlusconi... Crediamo che le liberalizzazioni siano un potente fattore di crescita economica e la crescita è indispensabile per rilanciare i redditi, il potere d'acquisto e i consumi dei cittadini".
(Claudio Scajola, ministro dello Sviluppo Economico, all'Assemblea di Confesercenti, Adnkronos, 25 giugno 2008).

"Farmacie, dietrofront sulle coop e parafarmacie. Gasparri e Tomassini stracciano la lenzuolata di Bersani. Farmaci da banco solo in farmacia, salvo poche eccezioni. Le parafarmacie già protestano". (Italia Oggi, 2 settembre 2008).

(15 settembre 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #87 inserito:: Settembre 18, 2008, 04:02:34 pm »

Marco Travaglio


Toccata e fuga

Ora d'aria

l'Unità, 17 settembre 2008

Annunciato con squilli di trombette e rulli di tamburi, la prima della quattordicesima edizione di “Porta a Porta” con Al Tappone trionfante è stato vista da una media di un milione 355 mila telespettatori, appena il 16,62% di quelli davanti al video. Quattro gatti. Strano: a sentire i sondaggi del Cainano, il 70% degli italiani stravedono per lui. Ora, essendo gli italiani 56 milioni, i suoi fans dovrebbero essere grosso modo 35 milioni. Tutti, fra l’altro, in spasmodica crisi di astinenza, se è vero quel che ha detto lui, e cioè che da mesi e mesi rifugge le telecamere. Eppure meno di uno su 30 ha voluto assistere al suo esordio chez Vespa. Gli altri han preferito evitare. Lo adorano, ma preferiscono non vederlo. Lontan dagli occhi, vicino al cuore. Colpa sua o colpa dell’insetto? Diciamo di entrambi.

Nonostante la presenza della campionessa di fioretto Valentina Vezzali e della nuova Miss Italia fresca fresca di flop televisivo, nel tentativo disperato di ravvivare il consueto, torrenziale soliloquio del Cainano intervallato di tanto in tanto dagli spot e dalle rarissime domande di De Bortoli e Orfeo, la trasmissione era di una noia mortale. Al Tappone ha fatto di tutto, nel suo piccolo, per ravvivare il mortorio. Un’occhiata furtiva al lato B della Miss. Un siparietto con la Vezzali, versione moderna dell’atleta di regime, una sorta di Primo Carnera in gonnella, anzi in tuta bianca, l’olimpionica gli ha donato il suo fioretto, l’ha ringraziato perché “l’Italia ha tanti problemi, ma con Lei quei problemi possono essere risolti” e gli ha confidato, lei “mamma di famiglia”, il suo desiderio di “farmi toccare da Lei, ma veramente, Presidente” (lui però, per il momento, ha preferito evitare). Un annuncio patriottico a proposito dell’acquisto della nuova villa sul lago Maggiore che “apparteneva al patriota Cesare Correnti e rischiava di finire in mani straniere, dunque mi sono sentito in dovere…” (un po’ come l’Alitalia: si attende apposita cordata, in nome dell’italianità delle ville). Il resto è una rassegna di miracoli, da Napoli all’Alitalia, dall’Ici agli straordinari, dall’accordo con quel sincero democratico di Gheddafi.

Ogni tanto Al Tappone chiama freudianamente Vespa “dottor Fede”. L’insetto mellifluamente protesta (“se continua a chiamarmi Fede, la fiducia in questo studio crolla”), ma il premier spiega che “non sono rincretinito, altrimenti Confalonieri mi avrebbe avvertito, a meno che non sia rincretinito anche lui… Il lapsus dipende dalla mia eccessiva velocità di ragionamento”. Ecco: quando vede un servo, pensa subito a Fede. Qui però a protestare dovrebbe essere non Bruno, ma Emilio. Forse persino lui avrebbe esitato qualche istante prima di mandare in onda il servizio sulle ferie della Sacra Famiglia di Arcore amorevolmente riunita in Sardegna, a dispetto delle tante “voci cattive”, intorno a “nonno Silvio”, anzi a “nonno Superman” come l’ha ribattezzato l’inviato vespiano da riporto. “Come lo vede come nonno?”, ha domandato Vespa, ficcante, alla Miss. Lei ha pigolato che magari: averne di nonni così, “è una fortuna averlo come nonno”.

A quel punto, non potendone più nemmeno lui, il Cainano imbarazzato ha preso le distanze da quel lungo scampolo di piaggeria: “Eh eh, dottor Vespa, lei lo sa che cosa scriverà l’Unità domani di questo suo servizio? Le daranno addosso…”. Previsione azzeccata. Intanto l’insetto affonda un altro colpo accendendo sul megaschermo un sole sfavillante: sono “le previsioni del tempo per il governo”, meravigliose. E domanda al Cainano “Lei che voto si dà?” (è tornato il voto in condotta, ma qui se lo dà direttamente l’interessato). Lui, ormai alle corde, replica: “Un buon voto. Con lode. So di avere conquistato molti crediti per l’Aldilà”. Ma forse voleva dire “con Lodo”. Si può fare di meglio, però: infatti è allo studio una guerra senza quartiere contro i graffitari da strada, categoria pericolosa quant’altre mai. I razzisti che uccidono neri al grido di “muori, negro di merda”, invece, non preoccupano: “Il razzismo non c’entra”. E i fascistelli di ritorno che elogiano Italo Balbo, il mandante del delitto don Minzoni, non preoccupano: anche perché, a riabilitare Italo Balbo, è stato lui, sempre in nome dell’italianità. Non sia mai che i gerarchi e i quadrumviri finiscano in mani straniere. Dopo quasi due ore di sbadigli, a notte fonda,la musichetta di Via col vento pone fine allo strazio. “Più che Porta a Porta, questa ormai è Bocca a Bocca”, ha detto Antonello Piroso qualche giorno fa. Una volta tanto, ne ha detta una giusta. Infatti si è subito scusato
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« Risposta #88 inserito:: Settembre 19, 2008, 05:37:15 pm »

Marco Travaglio


Rubriche » Carta Canta   


 Medico, cura te stesso


"Se il male è stato l'assenza di regole, la cura può essere solo nella costruzione di regole. La sostanza del male è stata nei tempi e nel metodo della globalizzazione, fatta troppo di colpo e tutta a debito. Abbiamo le regole che non ci servono, ad esempio le regole suicide che costringono a scrivere i bilanci in modo che la crisi si moltiplica con la crisi stessa. Non abbiamo le regole che ci servono. Regole che vietino i contratti speculativi, i paradisi legali, gli strumenti atipici, i bilanci opachi. La crisi si supera ristabilendo la fiducia, e la fiducia può essere ristabilita solo su nuove regole".
(Giulio Tremonti, Pdl, ministro dell'Economia, Corriere della Sera, 18 settembre 2008).

"E' operativa dal 16 aprile 2002 la riforma degli illeciti penali ed amministrativi delle società commerciali. Il nuovo testo - il decreto legislativo è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale 88 del 15 aprile - ha sostituito il Titolo XI del libro V del codice civile, contenente disposizioni penali in materia di società e di consorzi, modificando vecchie figure di reato ed introducendone delle nuove, con l'espressa previsione - e questa è la principale novità - di cause di non punibilità, di estinzione del reato e di circostanze attenuanti in alcuni casi particolari. Questi i punti salienti della riforma. - È stato modificato il reato di false comunicazioni sociali, consistente nell'esposizione, da parte di amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori, di "fatti materiali non rispondenti al vero", al fine di ingannare i soci o il pubblico e conseguire "per sé" un ingiusto profitto, e nell'omissione di informazioni sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società imposte dalla legge. È stata inoltre prevista una speciale causa di esclusione della punibilità, che ricorre ogniqualvolta "le falsità o le omissioni non alterino in modo sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società" (la punibilità è comunque esclusa se la falsità o le omissioni determinano una variazione del risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5% o
una variazione del patrimonio netto non superiore all'1%). In caso di false comunicazioni sociali a danno dei soci e dei creditori, il reato è perseguibile a seguito di querela di questi ultimi...
(Decreto legislativo 11 aprile 2002, n.61 Disciplina degli illeciti penali e amministrativi riguardanti le società commerciali, a norma dell'articolo 11 della legge 3 ottobre 2001, n. 366., Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15-4-2002) (...) Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto
obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare. Dato a Roma, addì 11 aprile 2002. Firmato: Ciampi, Berlusconi, Presidente del Consiglio dei Ministri; Castelli, Ministro della giustizia; Tremonti, Ministro dell'economia e delle finanze; Marzano, Ministro delle attività produttive; Visto, il Guardasigilli: Castelli".

(kataweb.it, aprile 2002).

(19 settembre 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #89 inserito:: Settembre 21, 2008, 11:28:26 am »

21/9/2008 (7:55) - L'INTERVISTA

Travaglio: "Vespa? Come Fede"
 
«In un paese dove lui passa per giornalista, io sono un'anomalia»

ANDREA SCANZI
ROMA


Il corpo è esile, ma spara bordate. Marco Travaglio non è un guru della tv, ma tutti i guru della tv che abbiamo intervistato nelle ultime settimane lo chiamano in causa. L’intervista va in scena dopo mezzanotte, «l’unico mio momento libero».

Travaglio, le sue non sono interviste, ma interrogatori.
«In un Paese dove Vespa passa per giornalista, chi fa domande è un’anomalia. In Italia la realtà è così drammatica che se racconti i fatti passi per fazioso: ma sono i fatti a essere faziosi. All’estero Vespa neanche lavorerebbe. Qui il massimo dissenso tollerato è il chiacchiericcio, la battutina alla Mentana. Santoro e io facciamo nomi e cognomi. E il potere ci odia».

Per Lerner, volete solo dimostrare che «ce l’avete più lungo».
«Noi ce l’abbiamo normale, sembra lungo perché gli altri ce l’hanno troppo corto. Mi spiace che a dire questo sia Gad, il migliore dopo Santoro. Ancora rivendica di avere rifiutato l’ultima vera intervista a Borsellino, nella quale - due giorni prima di Capaci - parlava di indagini sui rapporti tra Mangano, Dell’Utri e Berlusconi. Comunque, in un Paese decente, i tre tg nazionali sarebbero diretti da Lerner, Santoro e Feltri».

Feltri?
«Il fuoriclasse del giornalismo di centro-destra. Neanche difficile, ci sono solo lui e Belpietro. Con il centro-sinistra al governo, un tg di Feltri lo guarderei: gli farebbe le pulci».

Chi va in tivù certo di avere la verità in tasca risulta antipatico.
«Lo dice Costanzo. Non mi sono mai posto il problema della simpatia, mi interessa che ciò che dico sia vero. Costanzo non l’ho mai capito. Appena lo nomini, la gente sbianca: ha un potere enorme, nella P2 era “maestro” e Berlusconi “apprendista muratore”. Però Costanzo ha anche rischiato la pelle per la mafia. L’attentato fu legato anche al suo “no” alla nascita di Forza Italia, ne sono convinto, ma capisco che lui non abbia voluto inoltrarsi su questo terreno».

Non è una tesi da nulla.
«Ho letto qualche tonnellata di atti giudiziari sulle stragi del ‘93. Servivano a “destabilizzare per stabilizzare”, a sollecitare la nascita di nuove forze politiche gradite alla mafia. In quei mesi Dell’Utri stava inventando Forza Italia, in stretto contatto con Mangano».

Cambiamo argomento. Ormai lei è il giornalista di riferimento della satira.
«Grillo è un comico straordinario, ma ormai fa politica dall’esterno. Sabina Guzzanti ha uno spirito civico formidabile. Luttazzi è un genio e un purista. La sua scelta, opposta a Beppe e diversa da Sabina, è di essere soltanto un satirico. Non partecipa a eventi politici per non alimentare confusioni. Tutti e tre non mediano, dicono tutto. Come se l’Italia fosse davvero una democrazia».

Grillo preferisce i nemici veri agli amici finti. È lo stesso per lei e Santoro?
«Michele ha capito troppo tardi chi sono i burocrati della sinistra. Così ha prestato la sua faccia a chi non lo meritava al Parlamento europeo, permettendo ai D’Alema di sventolare fintamente la bandiera della libertà. Per me è diverso, ho sempre ritenuto i gerarchi comunisti il peggio del peggio. Poi è arrivato Berlusconi e mi ha costretto a mutare le gerarchie. Il centro-sinistra non fa paura: fa ridere. Vuole quello che vuole Berlusconi, ma non sa realizzarlo: lui sì».

Oggi è dipietrista?
«Per colpa del “cainano” Berlusconi e dei suoi alleati, non posso votare destra. Mi accontento di votare l’unico antiberlusconiano vero, Di Pietro».

Quante querele ha collezionato?
«Le querele per diffamazione non fanno paura: a 44 anni sono ancora incensurato. Ma Berlusconi e i suoi fanno cause civili, vogliono soldi, puntano a rovinarti. Ho deciso di ripagarli della stessa moneta: chi mi diffama lo porto in tribunale».

Per Vespa è impensabile che uno come lei stia in Rai.
«Premesso che io faccio cinque minuti alla settimana e lui otto ore, Vespa ha ragione: se il giornalista tipo in Rai è lui, io sono incompatibile. Berlusconi non mi chiamerebbe mai “dottor Fede”. Vespa ha una strana concezione di servizio pubblico: fino al ‘93 si vantava di avere come editore di riferimento la Dc, ora serve i partiti che contano. Se Santoro viene da “Servire il popolo”, Vespa è di “Servire il popolo delle libertà”. Berlusconi ha il 60 per cento di consensi, ma da lui fa solo un milione di spettatori: appena la gente vede Vespa, scappa. Ha detto che la colpa è di King Kong: “Berlusconi contro King Kong” è come Totò contro Maciste, con tutto il rispetto per Totò».

Floris, almeno, le piacerà.
«È il “Vespino de sinistra”. Il Vespa di nuova generazione. Il Vespa restyling».

Ha mai pensato che lei convince i già convinti?
«Il mio scopo è informare, non far vincere il centro-sinistra. Mi rispettano anche gli elettori di Lega e An. Magari mi maledicono, ma mi rispettano.
Quando spieghi il tema giustizia, capiscono che la sicurezza di Berlusconi è inversamente proporzionale alla loro».

E gli elettori di Forza Italia?
«Non ne vogliono sapere. Loro Berlusconi se lo meritano. Noi, un po’ meno».

da lastampa.it
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