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Autore Discussione: Cesare Fiumi. Emergenza o no? Razzismo  (Letto 2272 volte)
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« inserito:: Novembre 19, 2008, 06:09:51 pm »

SUL magazine del corriere della sera

Emergenza o no? Razzismo

Per l’85% degli italiani non un immigrato in più, il 51% pensa che abbiano già abbastanza diritti: fotografia di un paese in cui il disagio-stranieri sta diventando intolleranza e violenza


Cesare Fiumi per il Magazine

Era l’alba di Obama: le 5 del mattino, ora italiana, del 5 novembre. E la possibilità – augurabile o temuta – che l’America, nel segreto dell’urna, non avrebbe votato un presidente nero, s’era appena squagliata in qualche residuale pillacchera di livore. Lasciando il posto a uno stupore molto italiano, quasi avessimo misurato gli umori americani – ripassando la storia dell’apartheid e incrociandola con l’11 settembre e la dirompente immigrazione, ispanica e no, di quel Paese – con il nostro metro di oggi: un po’ più corto e intimorito, un po’ più intollerante e preoccupato. Tanto da chiederci se quel «razzismo», più o meno sottotraccia, attribuito agli Stati Uniti e mandato a gambe all’aria dall’elezione del presidente nero, non fosse in realtà una riserva tutta nostra. Un disagio a nostra immagine e somiglianza: l’Italia spaventata di oggi.

Sì, razzismo, la parola infine sdoganata. Dalla politica. Dalla Chiesa. E, almeno tre volte nell’ultimo mese, dalla Cassazione: la remissione di querela non ferma un processo per ingiuria a sfondo razziale (2 novembre); i sentimenti di disprezzo e ostilità alimentano l’odio razziale e costituiscono perciò un’aggravante (9 ottobre); condanna annullata per la segretaria di una ex-sezione Ds di Roma che accusava due esponenti di An di alimentare intolleranza e odio razziale: su questi temi, ha decretato la Corte, «è lecita una polemica politica aspra» (24 ottobre).

Sì, razzismo. Quel crescendo di ostilità che ha fatto dire a Gianfranco Fini: «Siamo onesti, negli ultimi tempi in Italia ci sono stati episodi di discriminazione razzista e xenofoba, in alcuni casi anche violenti. Negarlo sarebbe sbagliato ». Messaggio rivolto a chi tira il sasso dell’intolleranza e poi, dinnanzi alle aggressioni, nasconde la mano, guantandola di «non c’è nessuna emergenza», «solo episodi isolati», e « in fondo non si può parlare di razzismo». Come se le denunce di Napolitano e Ratzinger, il loro grido di allarme, fossero il capriccio di due anziani signori, un po’ esagerati. Come se negli ultimi mesi – tra campi rom assaltati, neri pestati e clochard bruciati – la violenza xenofoba non si fosse tolta la cinghia, per picchiare un po’ ovunque. Picchiando duro. Soprattutto il nero: il più «straniero». E il più facile da: ingiuriare («riporti suo figlio nella giungla», ha detto una maestra di Milano a una mamma); malmenare (l’aggressione a colpi di «confessa, scimmia» subita a Emannuel Bonsu, di cui sono accusati dieci vigili di Parma); perfino ammazzare (l’omicidio dello «sporco negro» Abdul Guibre, italiano di Milano, che avrebbe rubato dei biscotti). Il nero come il colore preferito dalla paura e dall’insicurezza in una società neo-depressa e un po’ più povera, parola di Istat.

Così, alle 11 di quel 5 novembre, a sei ore di distanza dall’elezione di Barack Obama – quando certi commenti (Umberto Bossi: «Da noi mai un presidente nero») e certe carinerie erano ancora là da venire – abbiamo chiesto alla Ipsos di lanciare un sondaggio per fotografare l’atteggiamento italiano nei confronti dei 3.432.651 stranieri (il 5,8% della popolazione) che vivono da noi, con noi. Per capire se, e quanto, il montare dell’intolleranza abbia a che fare con la presenza degli immigrati in Italia. E quanto il mutamento sociale del paesaggio urbano (costumi, lingue, religioni) armi il nostro recente «cattivo umore».

 
«CONFESSA SCIMMIA» Secondo il pm di Parma è quanto hanno gridato i vigili urbani della città, dopo averlo pestato, al 22enne ghanese Emmanuel Bonsu, qui (al centro) circondato dai familiari all’indomani dell’aggressione
La risposta è stata chiara: «Gli immigrati in Italia sono troppi, bisogna ridurne il numero», dice la maggioranza degli italiani. Aggiungendo: nessun diritto in più deve essere loro concesso, e anzi per il 30% del campione intervistato, gli immigrati che vivono da noi dovrebbero vedere «ristretti i loro diritti». Già, ma quali, se il ministro Bossi ha spiegato che «il voto sarà concesso sempre e solo agli italiani, che non sceglieranno mai un nero»? C’è davvero soltanto l’equazione un po’ semplicistica «immigrati=delinquenza », alla radice delle opinioni espresse nel sondaggio? Marzio Barbagli, sociologo, autore di Immigrazione e sicurezza in Italia (Il Mulino), è convinto di no: «Certo, una delle motivazioni è che gli immigrati delinquono di più, ma ce n’è anche un’altra che non riguarda né la differenza culturale né la diversa religione ed è il welfare. E quando dico welfare non penso al lavoro o alla casa, piuttosto alla sanità e a tutte le code nei pronto soccorso e nella diagnostica, perché tanti immigrati cercano assistenza gratuita; o agli asili nido e alle scuole materne, dove le graduatorie, dato l’alto tasso di fertilità degli stranieri, riservano esclusioni. Il tema-razzismo è di quelli capaci ancora di suscitare passioni forti e contrastanti, ma più che di razzismo, in molti casi parlerei di paura e di ostilità. Altro discorso invece sono i raid contro i rom o le violazioni del codice penale. Certo, il sondaggio dimostra tutte le difficoltà che abbiamo in Italia nel gestire l’integrazione». In Italia più che in Europa, dove Sarkozy ha appena nominato il primo prefetto di colore e Rotterdam, la città che diede i natali al leader anti-immigrati Pym Fortuyn, ha eletto un sindaco marocchino. Nonostante il nostro Paese (un solo parlamentare di colore su 945) sia alle prime armi con l’immigrazione, o forse proprio per questo. Ha ricordato Sergio Romano a un lettore del Corriere che chiedeva se e quando un Obama da noi «che gli americani hanno impiegato un secolo e mezzo perché il rappresentante di una forte minoranza divenisse presidente e non si può pretendere che la stessa cosa accada ora in Italia all’esponente di una piccola e recente immigrazione».

Piccola davvero, se paragonata ai numeri di Francia e Germania, eppure secondo il recente VI rapporto su Immigrazione e cittadinanza in Europa, gli immigrati sono una minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza per il 50,7 degli italiani, a fronte del 21,6 dei francesi e del 29,2 dei tedeschi. Numeri che si ribaltano alla domanda, se «gli immigrati sono una risorsa per il Paese»: sì per il 59,3 dei francesi e il 61,7 dei tedeschi, ma soltanto per il 46,5 degli italiani, una minoranza.

A conferma che, da noi, l’ostilità è un rumore sordo che cresce: questa è l’aria che tira oggi in Italia, e non è una bella aria. Lo spavento fa il suo giro, come un vecchio arrotino, affilando il rancore e l’intolleranza. Tanto da far dire a Don Black, ex Ku-Klux-Klan, uno dei capi del suprematismo bianco anti-Obama, in un’intervista rilasciata a Mario Calabresi per Repubblica: «Ci piace il vostro Paese: c’è molta eccitazione sul nostro sito per quello che sta succedendo da voi, siete i primi a reagire e a dimostrare che non vi fate sottomettere dagli immigrati». Attestato che forse farà gonfiare il petto ai Borghezio e ai Gentilini (lo sceriffo di Treviso, indagato il mese scorso per «razzismo»), ma preoccupa non poco, per la fonte che l’ha rilasciato e il gran festeggiare dei siti razzisti in rete.

Quel «gli immigrati in Italia sono troppi» è anche un modo per comprendere il recente successo elettorale della Lega che, perfettamente in linea con la maggioranza espressa dal sondaggio Magazine-Ipsos, vuole chiudere il rubinetto dei flussi e, parola di Bossi, non intende rinunciare ai «pregiudizi nei confronti degli immigrati», nonostante l’invito, giovedì scorso, del presidente Napolitano.

Niente di nuovo, la Lega da sempre cavalca a pelo il temasicurezza e continua a servire una fantasia di proposte, piatto tradizionale della casa, senza soluzione di continuità: introduzione del reato di clandestinità, impronte ai bimbi rom, medici obbligati a segnalare i malati clandestini in cura, patente di italianità a punti, campi-rom solo dopo referendum cittadino, classi separate per i piccoli stranieri. Non tutte diventeranno legge, ma leggerle tutte assieme fa un certo effetto, anche se il sondaggio non dice se l’intolleranza cavalca la paura o è la paura di perdere i connotati (culturali, religiosi, sociali) a farti prendere la smania di «sbiancare» tutti. Come hanno fatto, insultanti, gli ignoti che a Varese hanno dipinto di bianco le sagome dei bimbi neri sistemate dagli studenti elementari nel giardino della scuola. E come hanno fatto, provocatoriamente, per irridere il razzista di turno, i fotografi svizzeri che abbiamo scelto per la copertina dedicata a questa inchiesta.

E ha voglia la Comunità di Sant’Egidio a puntare il dito contro «chi non si vergogna, da posizioni di responsabilità nelle amministrazioni pubbliche e in Parlamento, ad incitare al disprezzo verso immigrati, rom, romeni, islamici, in un clima irresponsabile e irrespirabile di “caccia al diverso” che rischia di ammalare la convivenza nelle nostre città, dove la sequenza di atti di razzismo è impressionante ». Il fatto è che la paura porta voti e la tolleranza, oggi in Italia, li fa perdere.

La Chiesa sembra in effetti l’unica diga alla xenofobia, visto che non si presenta all’elezione e conferma la sua missione, battendo il tasto dell’accoglienza anche quando si sente rispondere, dallo Speroni di turno: «Se li prendano in Vaticano i clandestini». Eppure il cardinale Scola, patriarca di Venezia, lo spiega molto chiaramente: «Il meticciato culturale è la realtà del nostro tempo e va affrontato con coraggio. Le persone che si muoveranno in questo secolo saranno più di un miliardo e noi qui a spaventarci per i 14 milioni di islamici in Europa… I grandi processi non domandano permesso per accadere». Come a dire che alzare muri d’intolleranza, arroccati nel fortino indifendibile, non è la soluzione: è come svuotare il mare della paura armati di un cucchiaio. O peggio, di un coltello.

Ed è stata proprio la Chiesa, la settimana scorsa, a intervenire, indirettamente, su un altro dato del nostro sondaggio; quello che segnala gli immigrati da Est, romeni in testa, come i meno integrati in Italia, a dispetto di una radice latina e di una lingua facilmente assimilata. Opinione che risente della confusione romeno-rom e del fatto che gli zingari sono, in questo Paese, la comunità «meno sopportata ». Lo studio della Cei, commissionato all’università di Verona, ha dimostrato che non esiste un solo caso di rapimento di bambino ad opera di nomadi negli ultimi vent’anni e che la leggenda degli zingari rapitori è solo un pregiudizio e, anzi, «troppo spesso, i bambini rom vengono tolti alle famiglie, con la scusa dei maltrattamenti, e dati in adozione con troppa facilità».

Uno studio dettagliato che ha già scatenato il fastidio di tanti che preferiscono credere alle loro ossessioni, fino a restarne prigionieri, come quei membri di Facebook, il social network più famoso del mondo, che hanno aderito entusiasti ai gruppi, gestiti da italiani, del tipo Odio gli zingari (più di 7mila iscritti), Bruciamoli tutti o Diamo un lavoro agli zingari: collaudatori di camere a gas. E pensare che proprio un finto rapimento, l’accusa senza prove nei confronti di una nomade 16enne, innescò due mesi fa il pogrom di Ponticelli: l’assalto impunito al campo rom e il via libera a quella serie di aggressioni a sfondo razziale, contro tutti i colori del «nero» – anche contro ragazzi cinesi, albanesi, romeni – che ha scandito questo autunno italiano al grido di «Ve ne dovete andare». Più o meno quello che ha risposto al sondaggio, all’alba di Obama, l’Italia di oggi.

Cesare Fiumi
19 novembre 2008

da corriere.it
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