Admin
Utente non iscritto
|
|
« inserito:: Novembre 19, 2008, 12:38:22 am » |
|
Malgrado la crisi nel distretto vicentino della pelle assumono africani e orientali anche per non andare a svelare i segreti nelle aree dove operano i falsari
Arzignano salvato dagli immigrati
Le concerie non vanno all'estero
Qui c'è la più alta concentrazione di manodopera straniera: 4 su 10 non sono italiani
dal nostro inviato MICHELE SMARGIASSI
ARZIGNANO (Vicenza) - "Mi me piase la pastasiuta col ton, ton, ton!" scandiva la voce solista del titolare, "... e du tochi de pan, pan, pan!" ruggiva in risposta il coro degli operai. Il recioto del catering aziendale aveva abbattuto le barriere gerarchiche, e il brindisi per i quarant'anni della conceria Montebello di Arzignano, lo scorso dicembre, risuonava di dialetto vicentino. Ma con un accento anche bengalese, swahili, arabo. Duecento operai, 108 sono stranieri. "Ciascuno adattava le parole alla sua lingua", il sindaco Stefano Fracasso è ancora emozionato nel ricordo. Per qualche minuto quel babelico "pan, pan, pan!" gli sembrò l'inno di "un altro Veneto, che non ha paura di contaminarsi".
Invece è fatica anche solo la convivenza. Arzignano, valle del Chiampo, distretto leader del pellame, duemila aziende, 12 mila lavoratori, quattro su dieci sono immigrati. La più alta concentrazione di manodopera straniera in Italia. Un caso così singolare che gli economisti gli hanno trovato un nome: delocalizzazione inversa, così scrivono Fiorenza Belussi e Silvia Rita Sedita dell'università di Padova sulla rivista Economia e politica industriale.
Mentre gli imprenditori del resto d'Italia spostano i loro capannoni per il mondo, quassù portano il mondo ad Arzignano. La concia come qui è di qualità stratosferica, per parare l'assalto delle concerie asiatiche: Arzignano dà nappe e scamosciati alle griffe della moda, dell'arredamento, delle auto di lusso; il giubbotto di Tom Cruise in Mission impossible nasce alla Montebello. Traslocare in Romania o in Brasile non fa risparmiare granché, perché il costo della manodopera è meno del 20% del prezzo finale; anzi fa spendere, perché ad Arzignano il depuratore per una delle lavorazioni più inquinanti del mondo c'è, è comunale e funziona, mentre là dovrebbero pagarselo; ed è anche un rischio, perché nessuna azienda ha voglia di mettere i suoi segreti di lavorazione sotto il naso di probabili copiatori e futuri concorrenti.
Così quasi tutti sono rimasti qui, dove si concia fin dal Trecento. Ma dissalare, scarnare, spaccare e rasare ai figli degli italiani non piace più: su duecento figli di conciatori, 170 non vogliono fare il mestiere dei padri. Così gli imprenditori hanno chiamato qui i figli del mondo: Ghana, Senegal, Burkina, Pakistan. Non è la stessa cosa, dice Belussi, "perché qui si pagano salari sindacali uguali a quelli degli italiani. Ma gli stranieri convengono perché accettano straordinari e turni pesanti". Non indietreggiano di fronte al cromo che macchia d'azzurrino, all'odore dei solfuri che punge nel naso ("non è tossico", sì, ma punge lo stesso). E hanno una gran voglia di arrivare. "Vede quella ragazza romena? Puliva per terra, ora è selezionatrice". Franco Dalle Mese è il solista della "pastasiuta col ton", una vocazione da bluesman messa nel cassetto. Gira per Arzignano su una Smart foderata di pelle: ma fuori, come carrozzeria, così tutti vedono che roba sa fare. "Mori, gialli, bianchi, l'unica legge qui è quella", sul muro c'è la tabella con le regole aziendali, "chi la rispetta è rispettato".
Gabriele Boschetti, titolare della Laba, ricorda ancora le prime facce colorate che vent'anni fa bussavano al portone senza neppure scendere dalla bici, "c'è lavoro?", e la sera erano già con gli stivali nell'umido. Adesso prendono solo quelli mandati in prova dalle agenzie interinali, "che hanno già verificato se hanno le carte in ordine". Ad Arzignano, 25 mila abitanti, ogni cinque che incontri uno è straniero, ma puoi giurarci che ha il permesso di soggiorno in tasca. I controlli di polizia, l'anno scorso, hanno pescato 84 irregolari su cinquemila immigrati. Questo fa di Arzignano un laboratorio: un paese ad alta immigrazione e bassa clandestinità può funzionare senza razzismo, senza problemi?
"Piano, piano", frena Fracasso. Che è lui stesso un'anomalia, sindaco di centrosinistra dove la Lega Nord veleggia sul 60%. "Una cosa l'abbiamo dimostrata: che l'equazione immigrati-insicurezza è falsa. Altrimenti, col 20% di stranieri sarebbe il Far West. Ma queste proporzioni restano un problema, e non so fino a quando riusciremo a gestirlo". Benché "spalmati" in tutte le classi, a scuola gli stranieri sono già uno su quattro, e cresceranno: su dieci nuovi nati quattro sono figli di immigrati. Il capogruppo leghista Antonio Mingardi gli dà atto degli sforzi, "ma siamo al limite. Nelle assemblee c'è sempre qualcuno che accusa gli imprenditori: ci state rovesciando in casa troppi stranieri. Giusto fare profitti, ma non scaricando i costi sulla società". Per ora la protesta rimane mugugno, perché ad Arzignano non c'è famiglia che non ricavi un po' del suo reddito dalla pelle. Tutti sanno che il benessere viene da quelli come Ayepa. Piccolo ghanese timido, dal '92 lavora alla Laba con la moglie Joyce, governa una macchina che ogni giorno lavora pellame che vale dieci volte il suo salario. Ma Ayepa dopo sedici anni non sa quasi l'italiano, non frequenta italiani fuori dal lavoro, "i miei figli hanno amici italiani, io no". Arzignano ha "inlocalizzato" solo le sue mani, la persona che c'è attaccata è rimasta extraterritoriale.
Due templi indù, una sala di preghiera islamica, un bar gestito da kosovari per ritrovo. Il luogo dove le due comunità, italiana e migrante, rischiano più spesso d'incontrarsi sono le scale delle palazzine anni Settanta dove le famiglie ricongiunte hanno trovato casa da sole (solo il 2,5% aiutato dai datori di lavoro), in affitto o anche (il 30%) in proprietà. Pianerottoli, cortili: ecco dove si gioca la partita più rischiosa. Litigi per la spazzatura, i rumori, il sovraffollamento: di questo si lamentano gli arzignanesi col sindaco. E lui manda i vigili. Ma fare una multa o mandare via un subaffittante abusivo non basta. Condominio 3 si chiama, non per caso, il progetto studiato con l'università di Padova per formare una leva di mediatori sociali volontari, italiani e stranieri, in grado di sedare i conflitti a bassa intensità e alta erosione. Bisogna colmare una distanza enorme, spiega il professor Giampiero Turci: "Se chiedo agli italiani e ai migranti di definire se stessi come cittadini, ottengo risposte identiche; se chiedo a ciascuna comunità di definire l'altra, ottengo risposte opposte".
Il mondo è arrivato ad Arzignano ma non s'è mescolato. "I moreti sono educati, lavorano", ammettono al caffè in piazza. Lei ne frequenta qualcuno? "No, stanno tra loro". "O assimilazione o niente - sospira Gilbert Abasimi, ghanese, delegato Uil - il messaggio è questo. Ma noi dobbiamo avere una cultura se vogliamo condividere qualcosa con voi". Noi e voi. Basta un nulla per incrinare l'equilibrio. Nella conceria dove lavora Yaka Kassoum, Burkina Faso, la crisi è già arrivata e c'è da scegliere chi va in cassa integrazione. "In assemblea gli italiani dicono: prima gli stranieri. Ma il capo ha deciso, si fa a turno". Quante volte accadrà ancora prima che qualcuno dica "tornate a casa?". Il titolare della Laba gira tra enormi cilindri rotanti dando pacche sulla nuca ai ragazzi, paterno, "uno di loro ha chiamato suo figlio Gabriele come me, come se fossi il nonno". Ma non è ottimista: "Siamo al limite. Non ne possiamo far arrivare di più o salta tutto". E queste macchine chi le farà andare? Sospira: "L'automazione. Lo Stato deve aiutarci a investire in tecnologie che risparmino lavoro umano".
C'è un limite alla "globalizzazione in un solo paese"? Fracasso, sindaco giovane, ecologista, segretamente poeta (foto di Zanzotto sulla scrivania), risponde come non t'aspetti: "Sì. Mobile, ma c'è. Noi l'abbiamo raggiunto: serve una moratoria. Uno straniero su cinque è tanto. Dobbiamo metabolizzare, mescolare, ci vogliono anni, soldi, pazienza". Che vuol dire metabolizzare? Vuol dire mescolare, altrimenti quel limite non si muove. L'anti-delocalizzazione di Arzignano non è solo un curioso caso di studi industriali. È un acconto sulla società italiana del prossimo decennio. Il miglior scenario possibile, forse. Ma guai se resta solo una questione di pelle, in tutti i sensi.
(18 novembre 2008) da repubblica.it
|