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Autore Discussione: Vittoria Franco* & Beatrice Magnolfi** - Altro che partito liquido...  (Letto 2461 volte)
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« inserito:: Novembre 08, 2007, 09:36:05 pm »

Altro che partito liquido... guardate alle donne

Vittoria Franco* Beatrice Magnolfi**


Sulla forma partito si giocherà molta parte delle capacità di innovazione del Partito democratico. Costruire forme nuove senza disperdere ciò che è stato buono ed efficace nelle esperienze precedenti è ciò che viene richiesto ai costituenti. Ci sembra giusto sgombrare il terreno da false alternative come quella che nei primi anni del ’900 contrappose Rosa Luxemburg a Lenin: spontaneità o organizzazione? Tutta la storia del secolo scorso dimostra che lo spontaneismo caratterizza i movimenti più o meno effimeri e che i Partiti politici, almeno quelli che possono vantare una storia, si sono sempre dotati di una forma di organizzazione e di strumenti di radicamento. Siamo ora nel terzo millennio. E molte ragioni ci inducono a ritenere superato il vecchio modello organizzativo.

È una soluzione il partito «liquido»?

«Liquido» secondo Zygmunt Bauman, che ha introdotto l’aggettivo nella teoria sociale, descrive la precarietà e l’incertezza della condizione umana moderna, che distrugge legami e relazioni e nella quale gli individui non possono concretizzare i propri risultati in beni duraturi; tutto invecchia precocemente, prevale la vulnerabilità e perfino la paura.

La liquidità non è, dunque, un aspetto positivo della modernità; al contrario, è una condizione che richiede alla politica di fornire antidoti e punti di riferimento, non di spargere ulteriori solventi.

In una società che corre, ma che ha bisogno di recuperare certezze, la missione di un partito nazionale è quella di elaborare un progetto per la modernizzazione del Paese nell’equità, che sia vincente; deve catalizzare e produrre idee, analisi, competenze, saperi, per guardare lontano, essere un corpo caldo, vivente, suscitare passioni. Fondare un partito del nuovo millennio significa sicuramente «inventare» anche per la politica un paradigma organizzativo più vicino all’«impresa cognitiva» che ai vecchi meccanismi fordisti di produzione: più condivisione delle informazioni, più continuità fra dentro e fuori, più capacità di lavorare per progetti, di fare squadra, di motivare e coinvolgere, di contaminare le competenze e i saperi, di usare di più e meglio la rete, non come strumento, ma anche come matrice culturale.

La politica democratica è esercizio di responsabilità e di trasparenza. Per questo devono esistere regole certe costruite su questi due principi. Tutti devono poter rendere conto del loro operato. Ma vi è ancora un terzo principio che un partito moderno deve promuovere: la partecipazione attraverso tutte le nuove forme di comunicazione: dai forum digitali ai gruppi di discussione, all’interattività telematica, fino alle classiche riviste cartacee, spazi di più approfondite battaglie di idee. Ciò è indispensabile per un partito che vuole dialogare con i giovani e non è assolutamente in contrasto con la rete fisica di un partito radicato sul territorio.

Nel suo discorso di Milano, Veltroni ha richiamato la figura del «cittadino elettore attivo» che si è imposta sulla scena con le primarie, sperimentate ormai in diverse occasioni dal centrosinistra e che sono la novità più rilevante della pratica politica del nostro Paese. È una pratica di apertura che va istituzionalizzata e assunta fra le regole del nuovo Partito, anche al di là della scelta dei candidati.

Il nuovo Partito dovrà consentire che il cittadino possa anche prendere la parola ed esprimere opinioni, fare proposte, incidere sulle scelte.

La forma organizzativa che ci daremo dovrà essere perciò tale da consentire anche una partecipazione più piena e meno saltuaria. Essa può prevedere la saltuarietà e la parzialità dell’impegno, ma non è fondata su di esse come forme esclusive o prevalenti. Dovremo imparare a gestire una flessibilità di forme che consenta molteplici strumenti di espressione e di partecipazione, sapendo che un nucleo di buona e trasparente organizzazione costituisce il volano della partecipazione più ampia e del radicamento sociale e territoriale.

Si può anche parlare di «partito poliarchico», se vogliamo alludere all’esigenza di correggere l’architettura piramidale e centralizzata delle vecchie organizzazioni. Ma anche questa è una trasformazione che richiede un rafforzamento organizzativo, non il contrario, perché richiede di distribuire l’intelligenza secondo un sistema di relazioni orizzontali.

La storia del femminismo ci ha insegnato la pratica politica, molto felice, del rapporto fra dentro e fuori. In realtà, le donne non hanno mai smesso di praticarlo, di tessere reti e relazioni senza confini. Solo così hanno costruito forza anche all’interno dei partiti. Aver ottenuto il 50% nell’assemblea costituente e nelle commissioni di lavoro è una rivoluzione culturale prima ancora che politica. Per noi non è la conclusione di un percorso, ma un nuovo inizio. Si apre una fase, completamente da costruire, di esercizio della democrazia paritaria nel partito, nelle istituzioni rappresentative, nella società.

Siamo chiamati a un impegno maggiore sui contenuti e sul contributo che le donne possono dare alla modernizzazione del Paese. Come far sì che il loro sguardo influisca sulla fisionomia del Partito, sulla sua forma, sui valori e sulle culture che esprime, sulla formazione delle leadership e sull’agenda della politica?

Su questo dobbiamo tutti, uomini e donne insieme, nel segno della cooperazione fra i generi, fare una riflessione seria per trovare forme nuove per stare in rete e predisporre anche luoghi autonomi di elaborazione e di proposta nella chiarezza delle regole.

È un momento delicato che può farci fare passi avanti o indebolirci. Dipende da noi.

* presidente della commissione Cultura del Senato
** sottosegretario per le riforme e l’innovazione nella pubblica amministrazione

Pubblicato il: 08.11.07
Modificato il: 08.11.07 alle ore 15.06   
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