Colombia: Farc e governo firmano la pace, i grandi del mondo si riuniscono a Cartagena
Dopo 52 anni di guerra civile il paese sudamericano volta pagina. Alla cerimonia invitate 2500 persone, tra cui Kerry e Mogherini.
L'accordo, di 300 pagine, dovrà essere applicato con la supervisione dell'Onu, il 2 ottobre referendum nazionale
Di DANIELE MASTROGIACOMO
25 settembre 2016
RIO DE JANEIRO - Dopo 52 anni di guerra la parola pace entra a far parte del lessico della cultura colombiana. Tacciono le armi, gli agguati, i sequestri, le estorsioni e le vendette. Inizia finalmente il dialogo, il confronto, la riconciliazione di un popolo logorato dal sangue e dalla violenza. Lo storico accordo raggiunto il 28 agosto scorso a Cuba tra il governo del presidente Manuel Santos e le Fuerzas armadas revolucionarias de Colombia (Farc), guidate Rodrigo Londoño, alias Timoleón Jiménez, nome di battaglia "Timochenko", verrà ufficializzato nel corso di una imponente cerimonia che si terrà domani, lunedì 26, a Cartagena de Indias, sulla costa caraibica, nel nord est del paese. Sono state invitate oltre 2500 persone, tra cui Ingrid Bétancourt, la candidata alla presidenza del partito verde sequestrata dalle stesse Farc nel 2002 e rilasciata dopo ben sei anni di durissima prigionia. La donna ha preferito restare in Francia da dove seguirà, via tv, la cerimonia.
Ma per attribuire il giusto peso politico ad un avvenimento che non è retorico definire storico, saranno presenti tutti i protagonisti diretti e indiretti di un negoziato durato tre anni a Cuba. Da John Kerry, sottosegretario di Stato Usa, al segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, al presidente della Banca Mondiale, Jim Young Kim, al presidente del Fmi, Christine Lagarde, all'alto rappresentante della Politica estera in Europa, Federica Mogherini, ai 13 capi di Stato dell'intero continente latinoamericano, tra cui Cile e Venezuela, che hanno svolto un ruolo di osservatori e poi la stessa Cuba e la Norvegia che per prime hanno dato impulso ad un negoziato considerato impossibile. L'Italia sarà rappresentata dal sottosegretario agli Esteri, Mario Giro. Anche il Vaticano ha spedito il segretario di Stato Pietro Parolin che presiederà una cerimonia religiosa nella chiesa di San Pietro Claver, nel centro storico di Cartagena. L'atto ufficiale della firma sarà seguito da tutte le ambasciate colombiane nel mondo che hanno allestito megaschermi e un collegamento streaming per la diretta.
Ma saranno soprattutto i 47 milioni di colombiani ad assistere a un avvenimento che cambierà radicalmente la loro esistenza. Si chiude il lungo capitolo che ha condizionato la storia e lo sviluppo del paese sudamericano. Quello che tutti, in Colombia, conoscono come il bogotazo: la rivolta, scandita da incendi, saccheggi, sparatorie, morti e vendette, scoppiata dopo l'assassinio del candidato alla presidenza del Partito liberale, Jorge Eliécer Gaitán. Avvocato di fama e leader carismatico di una delle correnti del partito, Gaitán venne fatto fuori con tre colpi di pistola mentre passeggiava con alcuni amici per le vie di Bogotà. Era il 9 aprile del 1948. L'attentato, ancora pieno di misteri e paragonato per molti versi a quello di Kennedy, suscitò una grandissima emozione e l'immediata ribellione di centinaia di migliaia di colombiani. La "violencia", come vengono ricordati quei giorni, si avvitò in una spirale di morte e di sangue. Con colpi di Stato, prese di potere, intervento massiccio dell'esercito sulla folla, stragi e durissime repressioni. Esasperati da un clima di paura e di tensione, favoriti da una divisione classista della società, un gruppo di contadini legati al Partito comunista colombiano decisero di imboccare la lotta armata. Erano guidati da un agricoltore di Marquetalia, Manuel Marulanda, detto Tirofijo, per le sue capacità di centrare i suoi avversari con un solo colpo. Insieme formarono le Farc. Volevano conquistare un territorio del paese, renderlo indipendente e trasformarlo in una repubblica socialista.
Iniziò una guerra che è durata 52 anni. Con due accordi, decine di tregue, il ritorno delle Farc alla vita politica, la formazione di un partito "Unión patriottica" che portò in parlamento 14 ex guerriglieri. La violenza non si era comunque sradicata. Tutti i leader del UP vennero assassinati. Assieme a migliaia di altri sostenitori e oppositori. Crebbe il rancore, la voglia di vendetta. I vecchi fazenderos, come i proprietari dei pascoli e delle terre, vedevano minacciato il loro potere. Crearono degli squadroni della morte che si allearono con i comitati di difesa sorti spontaneamente tra la popolazione, taglieggiata dagli uni e minacciata dagli altri. Molti soffiarono sul fuoco di una violenza che faceva comodo a tanti. Il paese scivolò, tra qualche successo e molte sconfitte, in un vortice di angoscia e disperazione. Fino all'ottobre del 2012, quando la Norvegia, assieme alla Croce rossa e il Vaticano, decisero che era venuto il momento per tentare nuovamente la pace.
Tre anni di trattative a Cuba hanno prodotto un documento di 297 pagine. Contiene, oltre a numerosi allegati, i caposaldi di un ritorno alla vita: dalla riforma agraria, alla partecipazione politica; dalla tregua bilaterale definitiva, con lo scioglimento delle Farc e la riconsegna delle armi, alle garanzie sulla sicurezza e alla coltivazione di cocaina che per decenni hanno finanziato il più longevo e anacronistico gruppo armato del Continente. Fino al risarcimento alle vittime (218 mila morti, 25 mila sequestrati, 130 mila feriti dalle mine, 75 mila sfollati, 1800 violenze sessuali, 7 milioni di rifugiati) e il diritto alla giustizia con un complesso sistema di processi e di condanne per chi si è macchiato di delitti di lesa umanità.
Proprio venerdì scorso la X conferenza delle Farc ha approvato all'umanità il documento di accordo. Luciano Marin Arango, detto "Iván Marquez", della segreteria dell'organizzazione, ha accolto il voto con un lungo applauso: "La guerra è finita. Viva la Colombia, viva la pace". Il 2 ottobre toccherà ai colombiani pronunciarsi in un referendum. Ci sono ancora molte incertezze e scetticismi. Ma i sondaggi sostengono che l'accordo sarà approvato con il 54 per cento dei voti. Gran parte del merito va al presidente Manuel Santos. Ci ha creduto, ha resistito alle forti pressioni del suo ex presidente Alvaro Uribe, da sempre contrario ad ogni dialogo con la guerriglia. Ha convinto il vertice dei militari, diffidenti e sospettosi. Ha parlato ai colombiani. Ha promesso un accordo. L'ha ottenuto. E loro gli hanno creduto.
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25 settembre 2016
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