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Autore Discussione: Lula: «Ora l’embargo a Cuba può finire»  (Letto 2187 volte)
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« inserito:: Novembre 13, 2008, 03:05:47 pm »

6 gli anni della presidenza Lula, eletto nel 2002 e poi nel 2006

Lula: «Ora l’embargo a Cuba può finire»

Il presidente brasiliano a Roma: redistribuire le ricchezze anche nel calcio


Quando la crisi colpiva Brasile e Argentina, tutti sapevano che fare. Ora che tocca ai Paesi ricchi, nessuno lo sa

ROMA — Alla fine, a microfoni spenti, si parla di calcio. Della fragilità dei campioni, di un mercato drogato che paga troppo i calciatori, della sua squadra del cuore che è scivolata in serie B. «In tutto il mondo ci sono dieci club che da soli possiedono tutti i giocatori più bravi. Questo non può durare, il sistema salterà. Bisogna redistribuire le ricchezze anche nel calcio». Ma è solo per alleggerire. Perché invece nell’intervista vera e propria Ignacio Lula da Silva, presidente del Brasile, affronta tutti i pesanti problemi sul tappeto.

Presidente, cosa chiederà il Brasile al G20 sabato a Washington?
«Il Brasile non farà nessuna richiesta. Non sono ottimista, ma spero che i leader del mondo affrontino finalmente il vero nodo della crisi. Che non è più economico, ma politico. Aspettiamo che i Paesi ricchi riescano a sensibilizzarsi ad esempio sul tema degli aiuti all’agricoltura, così che i Paesi poveri possano vendere finalmente i loro prodotti. Quello che è certo è che il sistema finanziario mondiale ha bisogno di una regolamentazione. Ma non credo che questo potrà essere deciso in un’unica sessione. Anche le Nazioni Unite vanno profondamente riformate. Così come tutte le istituzioni create per aiutare i Paesi poveri. Quando la crisi colpiva il Brasile e l’Argentina, tutti dicevano di sapere cosa fare. Adesso che invece tocca ai Paesi ricchi, nessuno ha soluzioni pronte...».

Come sono i suoi rapporti con i presidenti che Condoleezza Rice ha definito «i più radicali del Sudamerica »?
«Non li considero radicali. Ogni presidente fa i suoi discorsi in funzione del proprio pubblico. Chávez ha la sua realtà, Morales ne ha un’altra. Non vedo più spazi per il radicalismo: non esiste al mondo un Paese che può sopravvivere da solo, c’è un’interdipendenza che ci lega. Dunque, servono accordi, per andare avanti. E io ho rapporti da presidente a presidente con tutti gli altri. Questo naturalmente non significa che non ci siano anche rapporti di amicizia».

Lei ha ottimi rapporti con Cuba, e in questi giorni ha parlato molto bene di Barack Obama. Cercherà di convincere la nuova leadership americana ad abolire le sanzioni che pesano su Cuba?
«Quando sono stato eletto presidente nel 2003, tutti i miei economisti mi dicevano che non c’era rimedio per risolvere la crisi del Brasile. Ho capito che serviva uno sforzo forte, perché se fallivo avrei frustrato le speranze dimilioni di lavoratori. Credo di essere riuscito a venire fuori dalla crisi, soprattutto con una forte politica sociale. Perché dico questo? Perché credo che questo accadrà anche ad Obama: molti dicono che fallirà, ma lo dicevano anche di noi. Con le aspettative che ha creato, non si può permettere di fallire. Obama mi sembra un uomo molto intelligente, e sa di dover fare dei gesti. Compresa la fine dell’embargo a Cuba. È sempre molto delicato parlare della politica di un altro Paese, ma credo che non ci siano più i motivi per l’embargo. Neanche motivi politici. Dunque sì, credo che gli Stati Uniti potrebbero fare questo gesto forte».

Alle prossime elezioni lei non si presenterà. Ha già pensato a chi potrebbe prendere il suo posto? Sorride.
«Certo, c’è un po’ di saudade, di malinconia, se ci penso: dall’89 sarà la prima elezione in cui non sono candidato... Comunque il prossimo anno decideremo. Ci sarà un dibattito interno al Partito dei lavoratori, il mio partito. E alla fine presenteremo il nostro candidato. Io per la verità un nome in mente c’è l’ho già: quello di Dilma Rousseff, capo dello staff di governo. Ancora non ho parlato con lei, ma credo che potrebbe essere una buona candidata. Comunque intanto il governo continua a portare avanti tutti i suoi programmi, per finire quello che abbiamo pianificato. Se vinceremo o no, credo che l’ideale sia una base ancora più ampia del partito, e un programma molto solido per i prossimi otto anni».

Giuliano Gallo
13 novembre 2008

da corriere.it
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