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Autore Discussione: Noemi Klein. Fermiamo l'ultima razzia di Bush  (Letto 2554 volte)
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« inserito:: Novembre 09, 2008, 12:26:22 am »

Noemi Klein


Fermiamo l'ultima razzia di Bush


La campagna  di Obama siè basata sull'idea di ricostruire l'economia dal basso verso alto. La domanda da porci adesso è se Obama avrà il coraggio di trasformare questo messaggio in vera politica  Barack e Michelle Obama assieme
al vicepresidente Joe Biden e sua mogliePer comprendere appieno la portata del risultato elettorale negli Stati Uniti, vale la pena rivolgere lo sguardo indietro, all'attimo in cui per la campagna di Obama è cambiato tutto: il momento preciso è senza alcun dubbio quello in cui la crisi economica ha colpito Wall Street. Fino a quel momento le cose non si mettevano granché bene per Barack Obama. La Convention nazionale democratica gli aveva dato a malapena slancio, mentre la nomina di Sarah Palin pareva aver proiettato in avanti John McCain.

In seguito, però, Fannie Mae Freddie Mac sono fallite, seguite da lì a poco dalla Lehman Brothers, e quindi dal colosso delle assicurazioni Aig. È stato in quel preciso momento di collasso economico che Obama ha saputo trovare una nuova dialettica.

Con una chiarezza straordinaria, ha trasformato la propria campagna elettorale in un referendum sulla deregulation e sulle politiche cosiddette trickle down che hanno dominato il dibattito economico principale dai tempi di Ronald Reagan. Obama ha dichiarato che votare per il suo avversario avrebbe significato scegliere di continuare con quelle stesse politiche, mentre egli punta verso un'altra direzione che consenta di ricostruire l'economia dal basso verso alto, più che dall'alto in basso. Obama per il resto della sua campagna ha insistito su questo messaggio che, come abbiamo visto, ha funzionato.

La domanda da porci adesso è se Obama avrà il coraggio di prendere queste idee che lo hanno fatto eleggere per trasformarle in vera politica. Oppure, in alternativa, se utilizzerà la crisi finanziaria per razionalizzare uno spostamento verso quello che gli esperti chiamano 'il centro' (se c'è una cosa che queste elezioni hanno messo in evidenza, è che il centro reale è più lontano e più a sinistra dalla sua sede precedentemente resa nota). Come era prevedibile, Obama è già sottoposto a forti pressioni per infrangere le sue promesse elettorali, in particolare quelle relative all'aumento delle tasse per i ceti più alti e quelle che mirano a imporre severe norme ambientali per chi inquina. Ogni giorno, per tutto il giorno, dai network che si occupano di affari sentiamo dire che alla luce dell'attuale crisi economica, le corporation devono vedersi abbassare le tasse e limitare le regolamentazioni. In altre parole: sempre la stessa solfa.

L'unica speranza per il nuovo presidente di opporre resistenza a questa campagna che ha preso il via dalle élites è che il movimento di base, formidabile e ben radicato, che lo ha sostenuto fino alla vittoria, resti in qualche modo sempre in agitazione, in comunicazione, in mobilitazione e, più di ogni altra cosa, critico. Adesso che le elezioni sono state vinte, la nuova missione di questo movimento deve essere ben chiara: sostenere ad alta voce Obama affinché mantenga le promesse elettorali, facendo sapere ai democratici che ci saranno conseguenze nel caso in cui esse vadano tradite.

Il primo impegno all'ordine del giorno, e che non può attendere fino all'inaugurazione della nuova amministrazione, deve consistere nel porre fine a quella rapina in pieno svolgimento che è il 'piano di salvataggio economico'. Ho trascorso tutto il mese scorso a esaminare le lacune e le scappatoie e i conflitti di interessi introdotti nei piani del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti. I risultati di questa ricerca possono essere consultati in un articolo appena pubblicato su 'Rolling Stone' e intitolato 'The Bailout Profiteers', come pure nel mio articolo più recente pubblicato su 'Nation' e intitolato 'Bush's Final Pillage'.

Entrambi questi articoli sostengono che il 'piano di salvataggio' da 700 miliardi di dollari dovrebbe essere considerato alla stregua della razzia finale dell'amministrazione Bush. Non soltanto esso mira a trasferire miliardi di dollari della ricchezza di tutti nelle mani di corporation collegate alla politica (una specialità di Bush), ma oltretutto farà gravare sulla prossima amministrazione un tale immane fardello di debiti da rendere pressoché impossibile varare investimenti concreti in infrastrutture verdi e per l'assistenza sanitaria universale. Se a questo saccheggio conclusivo non verrà immediatamente posta fine (sì, il tempo per farlo c'è), possiamo anche scordarci che Obama possa poi agire positivamente in relazione agli aspetti più progressisti della sua piattaforma elettorale, per non parlare della speranza che egli possa offrire al Paese un nuovo grandioso New Deal Verde.

I lettori abituali di 'The Shock Doctrine' (www.shockdoctrine. org) sanno molto bene che nei periodi di transizione politica molto radicale è frequente assistere a terribili ruberie. Quando le società cambiano repentinamente, i media e la popolazione rivolgono, come è ovvio, la loro attenzione alle politiche con la 'P' maiuscola - chi otterrà gli incarichi e le nomine più prestigiose, che cosa è stato detto nel discorso più recente. Nel frattempo, però, lontano dal controllo dell'opinione pubblica, si dispongono e si mettono in atto politiche filo-corporation di vasta portata, che limiteranno moltissimo le possibilità in futuro di cambiare le cose. Non è ancora troppo tardi per porre fine alla razzia che è in corso, ma non possiamo permetterci di aspettare fino all'inaugurazione della nuova presidenza.

Svariate iniziative di grossa portata e miranti a modificare la natura dei piani di salvataggio sono già in corso, compresa 'Call to Action: time for a 21st Century Green America' (http://bailoutmain street.com). Io ho già apposto la mia firma a questa iniziativa e vi invito caldamente a fare altrettanto.
Fermare coloro che si approfittano dei piani di salvataggio ha a che fare con qualcosa di più che
il solo denaro. Significa fare qualcosa per la democrazia. In maniera più specifica, significa fare qualcosa affinché gli americani siano effettivamente in grado di procedere a quel cambiamento per il quale hanno appena votato in modo così risolutivo.


traduzione di Anna Bissanti
(06 novembre 2008)
da espresso.repubblica.it
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