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Autore Discussione: UMBERTO ECO.  (Letto 133168 volte)
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« Risposta #60 inserito:: Novembre 13, 2009, 12:06:10 pm »

Il crocefisso, simbolo quasi laico

di Umberto Eco


Eliminare le immagini religiose dalle scuole non incide sulla forza della fede. Nelle nostre università non c'è il crocefisso nelle aule, ma tanti studenti aderiscono a Comunione e liberazione
 
Non mi ricordo come e perché ma la polemica sul crocefisso nelle scuole aveva già infuriato circa sei anni fa. A distanza di tanto tempo, salvo il fatto che si profila un contrasto tra governo italiano e Chiesa, da un lato, e Unione europea dall'altro, i termini del problema non sono gran che cambiati.

La Repubblica francese proibisce l'esibizione di simboli religiosi nelle scuole dello Stato, ma alcune delle grandi correnti del cattolicesimo moderno sono fiorite proprio nella Francia repubblicana, a destra come a sinistra, da Charles Peguy e Léon Bloy a Maritain e Mounier, per arrivare sino ai preti operai, e se Fatima è in Portogallo, Lourdes è in Francia. Quindi si vede che, anche eliminando i simboli religiosi dalle scuole, questo non incide sulla vitalità dei sentimenti religiosi.

Nelle università nostre non c'è il crocefisso nelle aule, ma schiere di studenti aderiscono a Comunione e liberazione. Di converso, almeno due generazioni di italiani hanno passato l'infanzia in aule in cui c'era il crocefisso in mezzo al ritratto del re e a quello del duce, e sui trenta alunni di ciascuna classe parte sono diventati atei, altri antifascisti, altri ancora, credo la maggioranza, hanno votato per la Repubblica.

Però, mentre era sbagliato citare nella costituzione europea solo la tradizione cristiana, perché l'Europa è stata influenzata anche dalla cultura pagana greca e dalla tradizione giudaica (e che è la Bibbia?), è peraltro vero che la storia delle sue varie nazioni è stata segnata da credenze e simboli cristiani, così che le croci si trovano sui gonfaloni di molte città italiane magari governate per decenni dai comunisti, su stemmi gentilizi, su numerose bandiere nazionali (inglese, svedese, norvegese, danese, svizzera, islandese, maltese e così via) in modo tale che è divenuto un segno spogliato di ogni richiamo religioso. Non solo, un cristiano sensibile dovrebbe indignarsi per il fatto che una croce in oro orna sia il petto villoso dei maschiacci romagnoli specializzati in turiste tedesche, che la scollatura di molte signore di facili costumi (ricordiamo che il cardinal Lambertini, vedendo una croce sul seno fiorente di una bella dama, faceva salaci osservazioni sulla dolcezza di quel calvario). Portano catenelle con croci ragazze che vanno in giro con l'ombelico scoperto e la gonna all'inguine. Se fossi il papa chiederei che un simbolo così oltraggiato scomparisse, per rispetto, dalle aule scolastiche.

Visto che il crocefisso, salvo quando appare in chiesa, è diventato un simbolo laico, e in ogni caso neutro, è più bigotta la Chiesa che vuole tenerlo o l'Unione Europea che vuole toglierlo?

Parimenti la mezzaluna musulmana appare nelle bandiere dell'Algeria, della Libia, delle Maldive, della Malaysia, della Mauritania, del Pakistan, di Singapore, della Turchia e della Tunisia, eppure si parla dell'entrata in Europa di una Turchia che porta quel simbolo religioso sulla bandiera, e se un monsignore cattolico viene invitato a tenere una conferenza in un ambiente musulmano, accetta di parlare in una sala decorata con versetti del Corano.

Che dire ai non cristiani che ormai abitano in modo consistente l'Europa? Che esistono a questo mondo degli usi e costumi, più radicati delle fedi o delle rivolte contro ogni fede, e gli usi e costumi vanno rispettati. Per questo se visito una moschea mi tolgo le scarpe, altrimenti non ci vado. Per questo una visitatrice atea è tenuta, se visita una chiesa cristiana, a non esibire abiti provocanti, altrimenti si limiti a visitare i musei. La croce è un fatto di antropologia culturale, il suo profilo è radicato nella sensibilità comune. Chi emigra da noi deve anche familiarizzarsi con questi aspetti della sensibilità comune del paese ospite. Io so che nei paesi musulmani non si deve consumare alcol (tranne che in luoghi deputati come gli hotel per europei) e non vado a provocare i locali tracannando whisky davanti a una moschea.

L'integrazione di un'Europa sempre più affollata di extracomunitari deve avvenire sulla base di una reciproca tolleranza. Io credo che un ragazzo musulmano non debba essere disturbato da un crocefisso in aula, se per il resto le sue credenze vengono rispettate e specialmente se l'ora di religione si trasformasse in un'ora di storia delle religioni in cui si parla anche di quello in cui lui crede.

Naturalmente, a voler veramente scavalcare il problema, si potrebbe mettere nelle scuole una croce nuda e cruda, come accade di trovare anche nello studio di un arcivescovo, per evitare il richiamo troppo evidente a una religione specifica. Ma scommetto che una trovata così ragionevole sarebbe intesa come un cedimento. Quindi, continuiamo a litigare.

(12 novembre 2009)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #61 inserito:: Novembre 28, 2009, 03:53:29 pm »

I re magi, questi sconosciuti

di Umberto Eco


Perché è necessario, al di là di ogni considerazione religiosa, che i ragazzi abbiano a scuola una informazione di base su idee e tradizioni delle varie religioni 
Quasi per caso mi è accaduto di assistere negli ultimi giorni a due episodi, una quindicenne che sfogliava molto interessata un libro di riproduzioni d'arte, e altri due quindicenni che stavano visitando (affascinati) il Louvre. Tutti e tre erano nati ed erano stati educati in paesi rigorosamente laici e in famiglie di non credenti.
Questo faceva sì che vedendo 'La zattera della Medusa' capissero che alcuni sventurati erano appena sfuggiti a un naufragio, o che i due personaggi dell'Hayez che si vedono a Brera fossero due innamorati, ma non riuscivano a realizzare perché l'Angelico avesse rappresentato una ragazza a colloquio con una checca alata o perché un signore sciamannato discendesse a balzelloni da una montagna portandosi addosso due lastre di pietra pesantissime ed emanando raggi luminosi dalle corna.

Naturalmente i ragazzi riconoscevano qualcosa in una natività o in una crocifissione, perché avevano già visto qualcosa di simile ma, se nel presepe si inserivano tre signori con mantello e corona, già non sapevano chi fossero e da dove venissero. È vero che questo succedeva anche a Matteo, ma non è questo il punto.

È impossibile capire diciamo i tre quarti dell'arte occidentale se non si conoscono i fatti dell'Antico e del Nuovo Testamento e le storie dei santi. Chi è una ragazza con gli occhi su un piattino, viene dalla notte dei morti viventi? E un cavaliere che taglia in due un capo di abbigliamento fa una campagna anti-Armani?

Quindi succede che, in molte situazioni culturali, ragazzi e ragazze imparano a scuola tutto sulla morte di Ettore ma niente su quella di San Sebastiano, tutto magari sulle nozze di Cadmo e Armonia ma niente sulle nozze di Cana. In certi paesi c'è una forte tradizione di lettura della Bibbia, e i bambini sanno tutto sul vitello d'oro, ma niente sul lupo di San Francesco. In altri posti li si è imbottiti di vie crucis e li si è tenuti all'oscuro della 'mulier amicta solis' dell'Apocalisse.

Ma il peggio avviene ovviamente quando un occidentale (e non solo i quindicenni) ha a che fare con rappresentazioni di altre culture - tanto più invadenti oggi quando la gente viaggia in paesi esotici mentre gli abitanti di quei paesi vengono a installarsi da noi. Non parlo delle reazioni perplesse di un occidentale di fronte a una maschera africana, o delle sue risate davanti a dei Buddha oppressi dalla cellulite (tra l'altro costoro, interrogati, sono pronti a rispondere che Buddha è il dio degli orientali così come Maometto è il dio dei musulmani); è che molti dei nostri vicini di casa sarebbero disposti a pensare che la facciata di un tempio indiano è stata disegnata dai comunisti per rappresentare quello che avveniva a Villa Certosa, e scuotono la testa quando vedono che gli stessi indiani prendono sul serio un signore accovacciato con la testa di elefante, senza rendersi conto che loro non trovano niente da ridire in una persona divina rappresentata come colomba.

Pertanto, al di là di ogni considerazione religiosa, e anche dal punto di vista più laico del mondo, occorre che i ragazzi abbiano a scuola una informazione di base su idee e tradizioni delle varie religioni. Pensare che non sia necessario equivale a dire che non bisogna insegnargli chi fossero Giove o Minerva perché erano solo fole per le vecchiette del Pireo.

Ora il voler risolvere l'educazione alle religioni con l'educazione a una singola religione (tanto per fare un esempio, quella cattolica in Italia) è culturalmente pericoloso perché, da un lato, non si può impedire ad alunni non credenti o figli di non credenti, di non assistere a quell'ora, così perdendo anche un minimo di elementi culturali fondamentali; e dall'altro viene esclusa dall'educazione scolastica ogni accenno ad altre tradizioni religiose. Non solo, ma anche l'ora di religione cattolica potrebbe risolversi in uno spazio di discussione etica, rispettabilissima, sui doveri verso i nostri simili o su cosa sia la fede, trascurando quelle notizie che ci permettono di distinguere una Fornarina da una Maddalena pentita.

È pur vero che quelli della mia generazione hanno studiato tutto su Omero e niente sul Pentateuco, e abbiamo avuto anche pessime lezioni di storia dell'arte al liceo, così come ci insegnavano tutto sul Burchiello e niente su Shakespeare - e nonostante questo ce la siamo cavata, perché evidentemente c'era qualcosa nell'ambiente che ci faceva pervenire sollecitazioni e notizie. Ma quei tre quindicenni di cui dicevo, che non sapevano riconoscere i Re Magi, mi suggeriscono che anche l'ambiente di informazioni utili ne trasmetta sempre meno, e molte invece d'inutilissime.

Che i Re Magi ci tengano le loro sei sante mani sulla testa.

(26 novembre 2009)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #62 inserito:: Dicembre 09, 2009, 04:50:08 pm »

I re magi, questi sconosciuti

di Umberto Eco


Perché è necessario, al di là di ogni considerazione religiosa, che i ragazzi abbiano a scuola una informazione di base su idee e tradizioni delle varie religioni  Quasi per caso mi è accaduto di assistere negli ultimi giorni a due episodi, una quindicenne che sfogliava molto interessata un libro di riproduzioni d'arte, e altri due quindicenni che stavano visitando (affascinati) il Louvre. Tutti e tre erano nati ed erano stati educati in paesi rigorosamente laici e in famiglie di non credenti. Questo faceva sì che vedendo 'La zattera della Medusa' capissero che alcuni sventurati erano appena sfuggiti a un naufragio, o che i due personaggi dell'Hayez che si vedono a Brera fossero due innamorati, ma non riuscivano a realizzare perché l'Angelico avesse rappresentato una ragazza a colloquio con una checca alata o perché un signore sciamannato discendesse a balzelloni da una montagna portandosi addosso due lastre di pietra pesantissime ed emanando raggi luminosi dalle corna.

Naturalmente i ragazzi riconoscevano qualcosa in una natività o in una crocifissione, perché avevano già visto qualcosa di simile ma, se nel presepe si inserivano tre signori con mantello e corona, già non sapevano chi fossero e da dove venissero. È vero che questo succedeva anche a Matteo, ma non è questo il punto.

È impossibile capire diciamo i tre quarti dell'arte occidentale se non si conoscono i fatti dell'Antico e del Nuovo Testamento e le storie dei santi. Chi è una ragazza con gli occhi su un piattino, viene dalla notte dei morti viventi? E un cavaliere che taglia in due un capo di abbigliamento fa una campagna anti-Armani?

Quindi succede che, in molte situazioni culturali, ragazzi e ragazze imparano a scuola tutto sulla morte di Ettore ma niente su quella di San Sebastiano, tutto magari sulle nozze di Cadmo e Armonia ma niente sulle nozze di Cana. In certi paesi c'è una forte tradizione di lettura della Bibbia, e i bambini sanno tutto sul vitello d'oro, ma niente sul
lupo di San Francesco. In altri posti li si è imbottiti di vie crucis e li si è tenuti all'oscuro della 'mulier amicta solis' dell'Apocalisse.

Ma il peggio avviene ovviamente quando un occidentale (e non solo i quindicenni) ha a che fare con rappresentazioni di altre culture - tanto più invadenti oggi quando la gente viaggia in paesi esotici mentre gli abitanti di quei paesi vengono a installarsi da noi. Non parlo delle reazioni perplesse di un occidentale di fronte a una maschera africana, o delle sue risate davanti a dei Buddha oppressi dalla cellulite (tra l'altro costoro, interrogati, sono pronti a rispondere che Buddha è il dio degli orientali così come Maometto è il dio dei musulmani); è che molti dei nostri vicini di casa sarebbero disposti a pensare che la facciata di un tempio indiano è stata disegnata dai comunisti per rappresentare quello che avveniva a Villa Certosa, e scuotono la testa quando vedono che gli stessi indiani prendono sul serio un signore accovacciato con la testa di elefante, senza rendersi conto che loro non trovano niente da ridire in una persona divina rappresentata come colomba.

Pertanto, al di là di ogni considerazione religiosa, e anche dal punto di vista più laico del mondo, occorre che i ragazzi abbiano a scuola una informazione di base su idee e tradizioni delle varie religioni. Pensare che non sia necessario equivale a dire che non bisogna insegnargli chi fossero Giove o Minerva perché erano solo fole per le vecchiette del Pireo.

Ora il voler risolvere l'educazione alle religioni con l'educazione a una singola religione (tanto per fare un esempio, quella cattolica in Italia) è culturalmente pericoloso perché, da un lato, non si può impedire ad alunni non credenti o figli di non credenti, di non assistere a quell'ora, così perdendo anche un minimo di elementi culturali fondamentali; e dall'altro viene esclusa dall'educazione scolastica ogni accenno ad altre tradizioni religiose. Non solo, ma anche l'ora di religione cattolica potrebbe risolversi in uno spazio di discussione etica, rispettabilissima, sui doveri verso i nostri simili o su cosa sia la fede, trascurando quelle notizie che ci permettono di distinguere una Fornarina da una Maddalena pentita.

È pur vero che quelli della mia generazione hanno studiato tutto su Omero e niente sul Pentateuco, e abbiamo avuto anche pessime lezioni di storia dell'arte al liceo, così come ci insegnavano tutto sul Burchiello e niente su Shakespeare - e nonostante questo ce la siamo cavata, perché evidentemente c'era qualcosa nell'ambiente che ci faceva pervenire sollecitazioni e notizie. Ma quei tre quindicenni di cui dicevo, che non sapevano riconoscere i Re Magi, mi suggeriscono che anche l'ambiente di informazioni utili ne trasmetta sempre meno, e molte invece d'inutilissime.

Che i Re Magi ci tengano le loro sei sante mani sulla testa.

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #63 inserito:: Dicembre 13, 2009, 11:12:00 am »

Addio Pennsylvania zero zero five

di Umberto Eco


Un pensierino sulla proposta di Brunetta di pubblicizzare i compensi dei conduttori televisivi. E uno sulla evoluzione dei numeri del telefono. Che diventeranno immemorizzabili
 
Primo pensierino. Ho letto anch'io delle varie reazioni alla proposta del ministro Brunetta, e cioè di pubblicizzare nei titoli di testa (o di coda) i compensi ricevuti dai conduttori della Rai. Nulla da ridire, anche perché la cosa non dovrebbe riguardarmi. Tutte le forme di trasparenza sono le benvenute in un società, come si dice, liberale e aperta al libero mercato. Salvo che il ministro Brunetta aggiunge che i compensi dovrebbero essere uguali per tutti, indipendentemente dal numero di spettatori che un conduttore riesce a coinvolgere.

Francamente mi sembra un bel ritorno allo stalinismo, anzi al marxismo leninismo dei vecchi tempi, ai vecchi principi del comunismo, a ciascuno secondo i suoi bisogni e da ciascuno secondo le sue capacità. Salvo che almeno ai più bravi Stalin dava la dacia. In Rai niente dacia, Brunetta è più vicino a Pol Pot.

Ma il problema non è questo. È che la proposta riguarda la Rai, servizio pubblico, e non Mediaset. Che cosa dovrebbe derivarne, se il principio fosse applicato? La Rai pagherebbe tutti eguale, ed è ovvio che la media si allineerebbe verso il basso. Con i compensi stracciati della Rai, Mediaset potrebbe abbassare i suoi, tenendoli però oculatamente differenziati e sempre a un livello tale che nessuno dei suoi bravi conduttori sia tentato di passare alla Rai. Anzi, saranno i conduttori Rai di maggior successo che a quel punto avrebbero tutto l'interesse a passare armi e bagagli a Mediaset. In Rai resterebbero solo i meno popolari. Ed ecco che a quel punto, se io fossi Berlusconi, è a Brunetta che regalerei la dacia, perché il piano di smantellamento della Rai in favore di Mediaset è mirabile, efficace, e appare persino virtuoso. Ma che una dacia, due!

Pensierino numero due. A causa del mio radicato risentimento verso i telefonini (ma in realtà anche verso i telefoni fissi e verso chiunque abbia la pessima idea di telefonarmi, invece di astenersi da questa brutale pratica, come ormai io faccio da tempo) sono stato colto da incontenibile allegrezza leggendo una notizia su '
Repubblica' del 3 dicembre scorso: in Inghilterra hanno finito o stanno per finire i numeri di telefono.

Come mai? I numeri non sono forse infiniti? Certo, e sapete come sia folle domandarsi quale sia il più alto numero dispari. E con una infinità di numeri non si possono ottenere fantastilioni di combinazioni? E come no. Salvo che sarebbe imbarazzante, per chiamare i pompieri, digitare un numero di ottantamila cifre, ed ecco perché polizia, pompieri, ambulanze hanno di solito numeri cortissimi. Ma anche per il resto, oltre le otto cifre attuali, il numero non è tanto indigitabile quanto immemorizzabile. Ed ecco quindi la storia inglese. Non ci sono più o stanno per finire numeri maneggiabili da assegnare a telefoni fissi, e dunque si dovrà sia razionarli che usare prefissi differenziati (come a dire che Roma non sarebbe più 06 ma molti altri numeri, a seconda del rione, che so, o delle iniziali del cliente). E si noti che questo sta accadendo per i telefoni fissi, perché in fin dei conti gli utenti del telefonino non sono ancora in numero astronomico. Ma stanno crescendo, e se una volta c'era un solo fisso per tutta la famiglia, oggi può già accadere che in una famiglia di cinque persone ciascuno abbia almeno due telefonini. Pertanto, tra un poco, andranno in crisi anche i telefonini.

Inchieste rassicuranti ci dicono che la situazione italiana non è così drammatica; a Londra i telefoni crescono a causa dei molti immigrati integratissimi, qui da noi ci pensa la Lega a rispedirli in mare e telefonino neppure a pensarci. Ma domani?

È una vicenda ciclica tipica della società tecnologica. Le automobili sono state inventate per permetterci di andare più in fretta ma ormai sono loro che ci obbligano ad andare adagio, per cui siamo costretti a lasciarle in garage e a girare in bicicletta. Passavo l'altro giorno da Reims, con le strade tutte in subbuglio. Mi hanno spiegato che scavano per cercare le vecchie rotaie dei tram. I tram li avevano aboliti perché non lasciavano circolare le macchine, ora li si rimettono in funzione proprio per impedire alle macchine di circolare.

Godo immaginandomi folle di individui, ormai incapaci di stare in silenzio almeno quando camminano da soli, privati non del loro telefonino, ma dei numeri altrui, impossibilitati a comunicare l'inessenziale di cui vivono, ridotti al fantasma che avevano dimenticato di essere.

Davvero, ogni tanto la vita è bella.

(10 dicembre 2009)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #64 inserito:: Dicembre 29, 2009, 04:13:44 pm »

Tintura di odio

di Umberto Eco


L'attentato è un rischio quasi fisiologico legato alla funzione dell'uomo politico. Nel nostro caso non si tratta di una passione forte ma di una diarrea del comportamento
 
L'attentato a Berlusconi ha subito suscitato il discorso dell'odio, da chi auspica la fine della spirale dell'odio, a Berlusconi che ha visto l'attentato come risultato di una campagna d'odio verso di lui, a Di Pietro che lo ha visto come risultato delle campagne d'odio suscitate per primo da Berlusconi. Se si pensa che l'Italia si è qualificata attraverso i secoli come un paese dominato dall'odio tra città e città e dall'odio reciproco tra i singoli (e il primo piagnone a lamentarsi dell'odio a cui era fatto segno è stato proprio il padre Dante) non ci si potrebbe che associare al discorso dell'odio. Troppo odio, quanto odio.

Ma è proprio vero? Negli altri paesi le persone non si odiano tra di loro e la politica non viene mai fatta all'insegna dell'odio? La civilissima Francia ha avuto due vampate d'odio unite da un secolare e continuo crepitare di piccole combustioni, tra il grande momento della rivoluzione, dove i politici, dopo aver tagliato la testa al re, se la tagliavano tra di loro, e l'immenso massacro della Comune, dove le due fazioni si trucidavano a vicenda e si fucilavano all'angolo della strada donne e bambini.
La guerra di secessione ha soltanto inaugurato un odio razziale americano durato (se è davvero finito) sino a ieri, nella guerra civile spagnola l'odio si è manifestato in modi orrendi, chi sventrava le monache e chi decimava gli anarchici, e taccio su tante vampate d'odio durante la guerra civile russa, e su quello che accade ancor ora tra varie tribù africane, eccetera eccetera. Noi della specie umana siamo insomma esseri inclini all'odio, tanto quanto siamo inclini al sesso, al pianto, al riso o alla religione, siamo fatti così e basta - altrimenti non sarebbe suonato così inedito e scandaloso il richiamo evangelico all'amore.

Che cosa caratterizza allora la politica italiana attuale? Il modo smandrappato in cui la rivalità (e l'odio che spesso ne consegue) si manifesta in modo incivile, perché c'è una differenza tra chiedere con serietà la testa di Danton e mangiare mortadella in parlamento, pascolare maiali nei pressi di luoghi di culto musulmani, ridurre i giudizi politici a osservazioni sui costumi sessuali, il pronunziare parolacce anziché apoftegmi (prova ne sia che se interroghiamo un nostro politico scopriamo che sa cosa vogliono dire vari termini dialettali per il membro virile ma non cosa voglia dire apoftegma). Qui siamo, come diceva giorni fa il 'Guardian', a una 'politics alla puttanesca'.

E allora l'attentato a Berlusconi? Tranne mi pare uno o due giornali che, per dovere di testimonianza storica, hanno dedicato un taglio basso alla storia degli attentati, nell'emozione generale nessuno ha ricordato che l'attentato fa parte del curriculum di quasi ogni personalità politica di rilievo (e talora persino di personaggi dello spettacolo, vedi John Lennon).
Ci ricordiamo ovviamente di quelli mortali, da Lincoln a Umberto I e ai Kennedy, ma ci siamo dimenticati che ad attentati sono stati fatti segno Napoleone I e Napoleone III, vari ministri e sovrani ottocenteschi, nel secolo scorso Togliatti, Giovanni Paolo II, Chirac, Carlo d'Inghilterra, Reagan, e via dicendo, sino a considerare attentato (per la dinamica del gesto) persino la scarpata a Bush. E tranne casi assai rari (come la matrice anarchica dell'attentato di Gaetano Bresci) nella stragrande maggioranza l'attentato viene compiuto da uno squilibrato, privo persino di motivazioni se non quella, di solito, di voler salire agli onori della cronaca - e il caso Tartaglia, che prima attenta e poi scrive un lettera di scuse, è tipico di questi gesti, in cui spesso l'attentatore chiede perdono alla sua vittima e sembra che voglia diventarne amico, visto che pensa di aver stabilito con essa un rapporto privilegiato.
E d'altra parte, se l'attentato non fosse quasi un rischio fisiologicamente legato alla funzione dell'uomo politico, non si vedrebbe perché costui abbia una scorta: la scorta è come un vaccino, che si prende proprio perché si sa che il virus è in agguato.

Forse a giustificare l'idea che la società italiana sia pervasa dall'odio basterebbe questo esplodere del discorso dell'odio di fronte a un problema appunto 'fisiologico'. Ma continuo a pensare che non si tratti di odio, bensì di smagliatura (certamente tragica) di un tessuto civile, di una perdita progressiva di ogni controllo, di svalutazione dei termini (così come i media ormai da tempo dicono che qualcuno 'tuona' quando di fatto semplicemente afferma o sostiene). Il che è certamente peggio dell'odio.

L'odio sarebbe ancora una passione forte, mentre qui siamo di fronte a una diarrea del comportamento.



(22 dicembre 2009)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #65 inserito:: Gennaio 08, 2010, 11:47:56 pm »

Sbatti il mostro su dieci pagine

di Umberto Eco


I giornali per riempire 60 pagine, e avere la pubblicità che ti consente di vivere, devono sparare la notizia in più articoli col risultato di parlare dieci volte dello stesso evento nello stesso giorno
 
Sul 'Venerdì' di 'Repubblica' della settimana scorsa Michele Serra si è trovato nella difficile situazione di rispondere a un lettore che gli diceva (riassumo e integro a memoria e a modo mio): tv e giornali ci dicono che siamo tutti stravolti dall'odio, e poi quando parlo coi miei vicini di casa o i compagni di lavoro trovo gente tranquilla e pacifica che non odia nessuno; vedo un talk show e pare che tutti vogliano sopraffarsi, e poi nella vita di tutti i giorni, salvo qualche piccolo atto di maleducazione, trovo gente rispettosa dell'interlocutore, che chiede scusa se ti urta; leggo di un razzismo dilagante e poi trovo persone che mollano un euro al nero che vuole vendergli la rosa, e non gli sparano addosso; eccetera.
Non saranno i media che dipingono la vita peggiore di quello che è, non solo ma (integro sempre a modo mio) ci istigano a comportarci peggio di quanto saremmo portati a fare?

Serra ha risposto a lume di buon senso e sottoscrivo pienamente la sua risposta: è vero, è così, ma immaginiamo un mondo in cui non ci siano tv e giornali e siamo privati di qualsiasi notizia: sarebbe migliore? E quindi cerchiamo di essere più critici e selettivi coi mass media, e di sopravvivere in questo caos.

Ma com'è che giornali e televisioni sono diventati così perversi da dipingerci un mondo peggiore di quello che è? La verità è che le cose vanno così sin dall'invenzione dei giornali: se volete un atto di accusa contro la stampa andatevi a leggere 'Le illusioni perdute' di Balzac, e vedrete che i nostri vizi attuali hanno radici antiche. La stampa dei miei nonni e dei miei genitori sguazzava nelle cronache criminali e trascinava per mesi, anzi per anni, la diatriba su Bruneri e Canella, a petto della quale i delitti di Garlasco e di Cogne sono delle meteore. Il salto è stato di quantità e non di qualità - ma sappiamo bene che le mutazioni quantitative, oltre un certo limite, diventano mutazioni qualitative.

È verissimo che le Tribune Politiche degli anni Cinquanta e Sessanta erano modelli di educazione e civiltà, ma questo succedeva perché c'era un solo dibattito alla settimana e su un solo canale. Passate a sette dibattiti quotidiani su sette canali e vedrete che o si grida o nessuno ti ascolta. Ricordo che una volta a un amico che stava per iniziare una trasmissione in tv avevo consigliato una idea rivoluzionaria: tieni in tasca un telecomando per cui, se un tizio interrompe mentre un altro parla, gli togli l'audio, e quello rimane in video a fare scena muta come un cretino. Vedrai che smettono di parlarsi addosso. L'amico mi ha ringraziato entusiasta, ma poi ha continuato a fare come tutti gli altri: devono avergli detto che se la gente non si parla addosso gli spettatori si annoiano e cambiano canale.

I guai della quantità sono molteplici: se un tempo il quotidiano aveva quattro pagine (parlo dei beati tempi di guerra) oggi ne ha in media 60, e non è che al mondo succedano più cose - anzi, a essere obiettivi, ne succedevano di più tra il 1943 e il 1945, dall'Olocausto alla bomba atomica. Per riempire queste 60 pagine, e avere la pubblicità che ti consente di vivere, devi magnificare la notizia, sbattere il mostro non solo in prima ma anche in seconda e terza pagina, col risultato di parlare dieci volte dello stesso evento nello stesso giorno, dal punto di vista di dieci inviati, e dando l'impressione che gli eventi siano dieci. Ma perché devi avere pubblicità per riempire sessanta pagine? Per potere fare sessanta pagine. E perché devi fare sessanta pagine? Per avere pubblicità abbastanza per farle.

Come capite, dal ricatto della quantità non si esce, ma a scapito della qualità. Serra diceva: impariamo a essere selettivi, ed è quello che avrei detto io, educhiamo i ragazzi a leggere criticamente i giornali, a sceverare, come si dice, il grano dal loglio. Ci vuole più educazione scolastica alla lettura.

Ma sta emergendo che (probabilmente a causa di questo abboffo quantitativo) i giovani non leggono più i giornali, che si avviano a diventare hegelianamente la preghiera quotidiana del pensionato. La vittoria dei quotidiani sui settimanali, la loro cosiddetta 'settimanalizzazione' (fenomeno quantitativo dovuto al fatto che la televisione serale sottrae al quotidiano il privilegio della notizia inedita) da un lato ha messo in crisi i settimanali, ma dall'altro sta rendendo illeggibili i quotidiani, e i giovani si buttano su Internet.

Non è che Internet sia meno minato dal problema della quantità (perché rende impossibile sceverare l'attendibile dall'inattendibile), ma almeno dà l'impressione (falsa) di poter scegliere ciò che si vuole sapere.

Per cui grande è la confusione sotto il cielo e se qualcuno mi domandasse un consiglio da saggio, la saggezza mi imporrebbe di dire che non ce l'ho.

(08 gennaio 2010)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #66 inserito:: Gennaio 26, 2010, 09:55:36 am »

26/1/2010 (7:44)  - IL CASO

Eco: hanno fatto una figura da cioccolatai

Umberto Eco, ieri a Venezia per la presentazione del suo ultimo libro
   
Il semiologo impietoso

JACOPO IACOBONI

Che figura da cioccolatai hanno fatto a Bari questi dirigenti del Pd...». Sono le 11,50 e Umberto Eco è nel caffè al piano terra del museo di Punta della Dogana, il gioiello restaurato da Tadao Ando tra Canal Grande e Canale della Giudecca. Il più importante scrittore italiano, con un gruppetto che lo accompagna, ha appena finito un caffè e si dirige verso l'ascensore.

È a Venezia perché tra poche ore presenterà, a Palazzo Grassi, il suo ultimo libro, «Vertigine della lista». Naturalmente, non di liste elettorali si parla nel brillante saggio, ma il giorno dopo le primarie del centrosinistra la tentazione di sapere come la pensa è troppo forte. Parlare di altre, liste.

E lui non si sottrae allo scambio di battute. Non è un’intervista, chiarisce, «questa chiacchierata». Nondimeno l'analisi è come al solito acuminata. «A Bari hanno fatto una figura da cioccolatai, non era difficile prevedere la vittoria di Vendola, no?», sospira mentre, giacca pesante di lana verde, scarpe robuste, bastone anti-mal di schiena alla mano, sta uscendo dall’ascensore e sale l’ultima rampa di scale che conduce al Belvedere interno. Gli illustrano l’unica opera collocata lassù, un elefante di polistirolo espanso appeso al soffitto a cassettoni, «Man on the Moon» di Mark Handforth. Non è la cosa più bella che ci sia qui dentro, ma il grande semiologo è come sempre curiosissimo.

Verrebbe da chiedergli se anche i dirigenti del Pd non vivano un po’ sulla luna; specie quelli che si ritengono unici professionisti della politica. D'Alema si era speso molto, professor Eco, per la candidatura di Francesco Boccia contro Nichi Vendola, il risultato non gli dà ragione, lei che impressione aveva stamattina leggendo i giornali? Mentre ridiscende le scale Eco accenna un sorriso amaro: «D'Alema non ne ha indovinata una da quarant'anni, si presenta come il più esperto di tutti, in realtà le ha sempre sbagliate tutte». Giudizio che arricchisce con un stoccata: «Non ne indovina una da quando non finì il corso di laurea alla Normale. Da lì è stato un susseguirsi di errori».

In «Vertigine della lista» Eco enumera una gran quantità di liste letterarie. Spesso sono elenchi compilati per il puro, caotico gusto della cantabilità della lista. Il caos, insomma, ha un senso paradossale. In politica, però, sarebbe meglio evitarlo. Perché il Pd continua a incappare in vicende come quella pugliese? «D’Alema, è convinto di essere uno stratega, in realtà ha distrutto tutto quello che ha toccato», e mentre lo dice Eco rotea un po’ nell’aria il bastone, quasi minaccioso. «Io ero tra quelli riuniti a Gargonza, e ricordo benissimo com'è andata la storia successiva. Checché ne dica, D'Alema ha grandi responsabilità anche nella caduta del governo di centrosinistra».

Scorrono opere a volte solo bizzarre, altre volte toccanti. L'intellettuale che più ha studiato i meccanismi della citazione si sofferma divertito dinanzi a un grande campo di calcio verde (al posto dei giocatori, omini in divisa militare, o in abito arabo) sovrastato da un meteorite enorme, appeso al soffitto. Si chiama «A Football Match of June 14th», è opera di un cinese, Huang Yong Ping, che aveva letto due notizie disparate e le aveva messe insieme. Di nuovo il grande filo del caos della postmodernità. Mentre sta per arrivare all'ultima sala, Eco confida «è molto bello il lavoro fatto da Tadao Ando».

A dispetto delle tante polemiche anti-Cacciari in laguna. C’è il tempo per un'ultima domanda, nutre qualche residua speranza nel Pd? «Lo dissi subito, fin dalla nascita, che non ci credevo, la fusione è nata fredda, e non laica. Com’è andata lo vediamo. Occorrerà trovare qualcos’altro. Io non so cosa», sospira. Non vuole parlare, invece, di come s’evolve il berlusconismo. Intorno i suoi accompagnatori stanno prenotando al molo di Madonna della Salute il taxi dell’acqua. Anche questa visita, come forse una stagione della sinistra, è finita.

da lastampa.it
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« Risposta #67 inserito:: Gennaio 29, 2010, 03:40:49 pm »

C'è chi gli gira il sole

di Umberto Eco


Ancora negli anni '60 c'era chi contestava le foto della Nasa sostenendo che l'intero programma spaziale era una montatura e lo sbarco sulla Luna una finzione
 
Edoardo Boncinelli ha tenuto una serie di Lezioni Magistrali all'Università di Bologna sulla teoria della evoluzione (origini e sviluppi) e una delle cose che mi ha colpito non sono tanto le prove ormai indiscutibili dell'evoluzionismo (sia pure nei suoi sviluppi neo-darwiniani) quanto il fatto che in proposito corrano molte idee ingenue e confuse non solo da parte dei suoi oppositori, ma anche da parte di chi le condivide: per esempio l'idea che per il darwinismo l'uomo discenda dalla scimmia (caso mai, dico io, vedendo gli episodi di razzismo dei nostri tempi, si è tentati di commentare, come aveva fatto Dumas a un moscardino che ironizzava sul suo meticciato: "Io forse discendo dalla scimmia ma voi, signore, voi vi risalite".)

Il fatto è che la scienza si confronta sempre con l'opinione comune, la quale è sempre meno evoluta di quanto si pensi. Tutti noi, persone educate, sappiamo che la terra gira intorno al sole e non viceversa, e tuttavia nella vita quotidiana ci comportiamo in termini di cosiddetta percezione ingenua e diciamo tranquillamente che il sole sorge, tramonta, è alto nel cielo. Ma quante sono le persone 'educate'? Nel 1982 un sondaggio fatto in Francia dalla rivista 'Science et vie' rivelava che per un francese su tre era il sole che girava intorno alla terra.

Traggo la notizia da 'Les cahiers de l'institut' (4, 2009), dove l'Institut è un istituto internazionale per la ricerca e l'esplorazione dei 'Fous littéraires' e cioè di tutti gli autori più o meno matti che sostengono tesi improbabili. La Francia è all'avanguardia su questo tema e in due antiche bustine (del 1990 e del 2001) mi ero intrattenuto su questo genere bibliografico, anche in morte del massimo esperto in materia, André Blavier. Ma ora in questo numero dei 'Cahiers' Olivier Justafré si intrattiene sui negatori del moto terrestre e della sfericità del nostro pianeta.

Che si negasse l'ipotesi copernicana ancora a fine Seicento, e anche da parte di studiosi illustri, non fa specie, ma la mole di studi uscita tra Ottocento e Novecento è abbastanza impressionante. Justafré si limita a opere francesi, ma bastano e avanzano, dall'abate Matalène che nel 1842 dimostrava che il sole aveva soltanto un diametro di 32 centimetri (peraltro idea già sostenuta da Epicuro, ma ventidue secoli prima) a Victor Marcucci, per cui la terra era piatta con la Corsica al centro.

E pazienza per l'Ottocento. Ma sono del 1907 lo 'Essai de rationalisation de la science experimentale' di Léon Max (libro edito da una seria libreria scientifica) e del 1936 'La terre ne tourne pas' di tal Raioviotch, il quale aggiunge che il sole è più piccolo della terra benché più grande della luna (mentre un abate Bouheret nel 1815 sostenesse il contrario). Del 1935 è l'opera di Gustave Plaisant (che si definisce 'ancien polytechnicien') dal drammatico titolo 'Tourne-t-elle?' (e cioè, ma la terra gira davvero?) e addirittura del 1965 un libro di Maurice Ollivier (anche lui 'ancien élève de l'Ecole Polytechnique') sempre sulla immobilità della terra.

L'articolo di Justafré cita fuori di Francia solo l'opera di Samuel Birley Rowbotham dove si dimostra che la terra è un disco con il polo nord al suo centro, e che dista dal sole 650 chilometri. L'opera di Rowbotham era uscita come opuscolo nel 1849, con il titolo 'Zetetic Astronomy: Earth Is Not a Globe (Astronomia Zetetica: la Terra non è un globo') ma nel corso di trent'anni era passata a una versione di 430 pagine e aveva dato origine a una Universal Zetetic Society sopravvissuta sino alla prima guerra mondiale

Nel 1956 un membro della Royal Astronomical Society, Samuel Shenton, aveva fondato la Flat Earth Society, proprio per raccogliere l'eredità della Universal Zetetic Society. La Nasa negli anni Sessanta aveva prodotto foto della terra vista dallo spazio, e a quel punto nessuno poteva più negare che avesse forma sferica, ma Shenton aveva commentato che foto del genere potevano ingannare solo un occhio inesperto: l'intero programma spaziale era una montatura, e lo sbarco sulla Luna era stata una finzione cinematografica che tendeva a ingannare l'opinione pubblica con la falsa idea di una Terra sferica. Il successore di Shenton, Charles Kenneth Johnson, ha proseguito a denunciare il complotto contro la Terra Piatta, scrivendo nel 1980 che l'idea di un globo rotante era una cospirazione contro cui si erano battuti Mosè e Colombo... Una delle argomentazioni di Johnson era che se la Terra fosse stata una sfera, allora la superficie di una grande massa d'acqua avrebbe dovuto essere curva, mentre lui aveva controllato le superfici dei laghi Tahoe e Salton senza trovare alcuna curvatura.

E allora ci stupiamo che ci siano ancora gli antievoluzionisti?

(22 gennaio 2010)

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/ce-chi-gli-gira-il-sole/2119770/18
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« Risposta #68 inserito:: Marzo 06, 2010, 11:26:10 am »

 
OPINIONI

Indovinala grillo

di Umberto Eco

Immaginate che ci sia un medico che ogni volta che prescrive una medicina, il malato muore. Nessuno ci andrebbe più. Non capita con gli indovini e i politici che le sbagliano quasi tutte ma la gente continua a credergli
 

Di solito maghi, indovini o astrologi usano espressioni ambigue che vanno bene in ogni caso. Chi si sente dire "sei una persona mite, ma che sa farsi valere", gode nel vedersi riconosciute queste due virtù, anche se sono mutuamente contraddittorie. Per questo i maghi prosperano. Ma che dire dei vaticini puntuali che sfacciatamente (e regolarmente) vengono smentiti dai fatti?

Il Cicap, e cioè il Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale, svolge regolarmente ogni anno un monitoraggio sulle previsioni astrologiche dell'anno precedente - e per il 2009 potrete trovare un lungo rapporto su www.cicap.org/astrologia2009, e un riassunto sulla rivista 'Scienza & Paranormale'.

L'interprete di Nostradamus Luciano Sampietro, ha previsto un attentato mortale al papa nel 2009, Peter Van Wood sul periodico 'Nero su Bianco' ha preconizzato (per il 2009), terremoti in Grecia, Croazia, Indonesia e Amsterdam, ma per fortuna niente in Italia. Il mago Otelma aveva annunciato per Obama pericoli per la sua incolumità personale in autunno, La sensitiva Teodora Stefanova sul sito 'Quotidianonet' aveva avvertito che il prossimo segretario generale della Nato sarebbe stato Solomon Passy, l'Almanacco di Barbanera aveva avvisato che la Cina avrebbe trovato una soluzione per la situazione del Tibet, Johnny Traferri alias mago Johnny ('La Nazione') aveva predetto a Obama un attentato in marzo e aveva aggiunto che "si verificheranno suicidi collettivi, si ucciderà persino un grande uomo della televisione e nello sport ci sarà un lutto tremendo".

Per l'Italia l'astrologa Horus ('Venerdì di Repubblica') aveva anticipato che verso la fine dell'anno si sarebbero realizzate le importanti riforme sempre annunciate, per Luisa De Giuli (Tgcom, Mediaset on line) entro giugno 2009 gli sforzi legislativi per riequilibrare gli squilibri sociali avrebbero avuto successo, per l'astrologo Mauro Perfetti ('Quelli che il calcio') "il Torino si sarebbe salvato dalla serie B", per l'astrologa
Meredith Duquesne ('Le Matin online') la storia d'amore tra Carla Bruni e Sarkozy non sarebbe durata oltre il settembre 2009 (ma dopo ha precisato: "Ma non posso affermarlo: non sono una veggente". Meno male) e infine l'astrologa Sirio ('Italia allo specchio') ha proclamato che Fabrizio Corona avrebbe abbandonato Belen Rodriguez, e Barbara Massimo ('Novella 2000') che si sarebbero sposati Leonardo DiCaprio e George Clooney.

Ora immaginate che ci sia un medico che, ogni volta che prescrive una medicina, l'ammalato muore. O che si sappia che il tale avvocato perde tutte le cause. Nessuno andrebbe più da loro. Invece con gli indovini ciascuno è in grado di verificare a fine anno che le hanno sbagliate quasi tutte eppure si continua a leggere gli astrologi e a pagare i maghi anche per l'anno seguente. Evidentemente la gente non vuole sapere, bensì soddisfare il bisogno di credere, anche se si credono cose evidentemente sbagliate. Che dire? Gli dei accecano coloro che vogliono perdere. E, in fin dei conti, il comportamento con maghi e astrologi riflette anche quello con i politici che appaiono in televisione.

Naturalmente ogni tanto gli astrologi ci azzeccano, ma ciascuno di noi potrebbe mettersi a fare il loro mestiere se formulasse previsioni come queste, tutte regolarmente apparse in qualche sede: punte molto alte di violenza da parte di fondamentalisti e terroristi, rapporti difficili tra Israeliani e Palestinesi, alcuni scandali per appalti in Italia, Rocco Buttiglione può continuare a barcamenarsi ma sempre con maggiore fatica, per Veltroni non saran tutte rose e fiori, Leoluca Orlando c'è chi sta peggio di lui, per Umberto Bossi la salute continuerà a meritare un occhio di riguardo, Giulio Andreotti se c'è qualcosa che può fregarlo è la ruota del tempo, Lamberto Dini chi vivrà vedrà (questa squisitezza è dell'astrologa Antonia Bonomi). Il mago Otelma prevedeva per il Partito democratico un destino amaro e inquietante, e in Rai mutamenti nell'organigramma a favore del centrodestra. Ciliegina finale: "I parcheggi sarà sempre meno facile trovarli".

Ultima notizia del Cicap. La sensitiva Rosemary Altea, che anni fa da Maurizio Costanzo aveva messo alcuni sventurati in contatto coi loro cari defunti, è stata truffata di 200 mila dollari dalla sua dipendente Denise M. Hall. Come ha fatto a non prevederlo? Ci ricorda la storiella di quello che davanti a una porta, su cui c'è scritto 'indovino', bussa. E una voce dal di dentro chiede: "Chi è?".

(04 marzo 2010)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #69 inserito:: Marzo 19, 2010, 06:40:58 pm »

Taci, sporco intellettuale

di Umberto Eco

Nella loro lettera al 'Corriere della Sera' contro Galli della Loggia, Bondi, La Russa e Verdini mostrano nei loro geni memorie di antichi vezzi polemici
 
Questa mia bustina esce solo ogni 15 giorni, così che, se qualcosa mi sta a cuore, devo attendere due settimane per parlarne. Ma non è mai troppo tardi. Dunque, a inizio marzo, sul 'Corriere della sera', Ernesto Galli della Loggia (che non è un pericoloso comunista) aveva scritto alcune cose che suonavano critiche nei confronti del Pdl, ed ecco che Sandro Bondi, Ignazio La Russa e Denis Verdini, che di quel partito sono coordinatori, il 4 marzo scrivevano una lettera allo stesso quotidiano per esporre il loro dissenso.

Non entro nel merito della questione, libero un opinionista di criticare un partito politico e liberi alcuni uomini politici di ribattere a quelle critiche. Quello che m'interessa è una scelta lessicografica, fatta dai tre rappresentanti del Partito della Libertà.

Scrivevano essi: "Vi sono critiche. come quelle dell'editoriale di ieri del Corriere, che finiscono purtroppo per essere sterili in quanto non scaturiscono da un'onesta riflessione sulla realtà, bensì da un pensiero auto-referenziale, come direbbero gli intellettuali". Che le critiche di Galli della Loggia fossero tipiche di un 'intellettuale' emergeva anche da brani successivi della lettera, dove si diceva che chi avanza critiche come quelle si comporta "come se i fatti non esistessero, in un ambiente praticamente sterile in compagnia unicamente dei suoi libri prediletti e delle sue personalissime elucubrazioni".

La faccenda curiosa è che, se per intellettuale è qualcuno che agisce col pensiero piuttosto che con l'azione manuale, allora fanno lavoro intellettuale non solo i filosofi e i giornalisti, ma anche i banchieri, gli assicuratori e, certamente, gli uomini politici come Bondi (che tra l'altro scrive poesie), La Russa e Verdini i quali, a quanto mi risulta, non si guadagnano da vivere zappando la terra. Che se poi intellettuale è non solo chi lavora col pensiero, ma chi col pensiero svolge attività critica (qualsiasi cosa critichi e comunque lo faccia) ancora una volta i firmatari della lettera dovrebbero ritenersi esempi di lavoro intellettuale.

Ma è che la parola 'intellettuale' ha particolari connotazioni storiche. Benché qualcuno abbia scoperto che appare per la prima volta nel 1864 nel 'Chevalier des Touches' di Barbey d'Aurevilly, nel 1879 in Maupassant e nel 1886 in Leon Bloy, essa viene usata sistematicamente nel corso del famigerato affare Dreyfus, almeno dal 1888 quando un gruppo di scrittori, artisti e scienziati come Proust, Anatole France, Sorel, Monet, Renard, Durkheim, per non dire di Zola che scriverà poi il suo micidiale 'J'accuse', si dichiarano convinti che Dreyfus sia stato vittima di un complotto, in gran parte antisemita, e chiedono la revisione del suo processo. Costoro vengono definiti intellettuali da Clemenceau ma la definizione viene subito ripresa in senso denigratorio da rappresentanti del pensiero reazionario come Barrès e Brunetière per indicare delle persone che, invece di occuparsi di poesia, scienza o altre arcane specialità (insomma, dei fatti loro), ficcano il naso in questioni di cui non sono competenti, come i problemi di spionaggio internazionale e di giustizia militare (che va lasciata appunto ai militari).

L'intellettuale era dunque per gli antidreyfusardi qualcuno che viveva tra i suoi libri e le sue astrazioni fumose e non aveva contatti con la realtà concreta (e quindi era meglio stesse zitto). Questa valutazione peggiorativa, si desume dalle polemiche dell'epoca ma appare singolarmente analoga alle espressioni usate nella lettera di Bondi, La Russa, Verdini.

Ora non oso pensare che i tre firmatari della lettera, benché certamente intellettuali anche loro (così da ostentare di conoscere il significato del termine 'auto-referenziale'), lo siano a tal punto da aver contezza delle polemiche di centovent'anni fa. Semplicemente hanno nei loro geni memorie di antichi vezzi polemici, come quello appunto di ritenere (sporco) intellettuale chiunque la pensi (e dunque pensi) diversamente da te.

Viene alla mente quello sfortunato presule che anni fa, per denunciare (benemeritamente) la mafia, aveva parlato di sinagoga di Satana - e gli ebrei si erano sentiti offesi. Invano i suoi difensori avevano ricordato che l'espressione era stata usata nel Vangelo di Giovanni; ma era stata usata appunto in funzione antigiudaica, e come tale l'espressione era stata ripresa nelle polemiche antisemite del cattolicesimo reazionario ottocentesco. E dunque si trattava di un modo di dire che si trascinava dietro l'odore delle proprie origini, anche se usata nell'enfasi di una predicazione benintenzionata.

(18 marzo 2010)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #70 inserito:: Aprile 01, 2010, 09:44:14 am »

I sessant'anni di charlie brown

di Umberto Eco


Charles Monroe Schulz è stato un grande poeta che ci ha continuamente raccontato, con due colpi di matita, la sua versione della condizione umana
 
La prima (e purtroppo l'ultima) volta che l'ho incontrato, appena mi sono seduto al tavolo di quel bar, mi ha guardato con la sua faccia di fanciullo anziano o di anziano fanciullo, e mi ha chiesto: "Cosa ne pensa di Gesù Cristo?".

Adesso potrei lanciare un concorso per chi indovina chi fosse il personaggio, ma sarebbe difficile trovare un vincitore, quindi svelo l'arcano. Quel signore era Charles Monroe Schulz, l'autore dei Peanuts ovvero il padre di Charlie Brown. Ho saputo dopo che nella vita ha avuto momenti di interesse per i problemi religiosi, e altri, diremo, più laici, e mi diceva l'altra settimana sua moglie Jeannie che domande del genere lui spesso le faceva semplicemente perché era interessato alla gente, e voleva sapere che cosa pensavano. Non so, è che chi legge (e rilegge) i Peanuts non vi trova mai riferimenti espliciti a problemi religiosi e ad ansie metafisiche - e come potrebbero averne dei bambini che apparentemente sono ossessionati solo dal baseball?

E tuttavia di Charlie Brown si è scritto che "è capace di variazioni di umore di tono shakespeariano", la copertina di 'Linus' è senza ombra di dubbio l'oggetto transizionale di Winnicott, alle spalle di Lucy, di Schroeder e persino di Snoopy si agita l'ombra di Freud, mentre Pig Pen, dai capelli perennemente intristiti di forfora e le scarpe senza remissione infangate pronuncia parole degne di Beckett quando dice "su di me si addensa la polvere di innumerevoli secoli".

Insomma, Charles Schulz, che continuamente si stupiva che persone che lui considerava dei geni lo ammirassero, apparentemente disinteressato alle vicende del mondo e alle contraddizioni del suo tempo, è stato un grande poeta che ci ha continuamente raccontato, con due colpi di matita, la sua versione della condizione umana. Non so cosa Schulz davvero pensasse di Gesù Cristo, ma la sua era certo una forma di incantata religiosità.

Incanto irripetibile. Ed è stato naturale che avesse proibito che qualcuno dopo la sua morte facesse rivivere i suoi personaggi (come quasi sempre fa la macchina dell'industria dell'intrattenimento). Come accade ai classici, i Peanuts non possono essere aggiornati ma solo continuamente ripubblicati e riletti (tra parentesi, se esistesse ancora qualcuno che non li ha mai presi sul serio, ricordo che tutte le storie di Charlie Brown sono ora ripubblicate dalla Baldini Castoldi Dalai).

Una settimana fa, per celebrare i sessant'anni di Charlie Brown, si sono riuniti a Bologna in un'aula universitaria, insieme a Jeannie Schulz, che ha rievocato con grazia episodi della vita di suo marito, e a Fulvia Serra, direttrice di 'Linus' negli anni Ottanta, i pochi superstiti di coloro che avevano introdotto i Peanuts in Italia: Annamaria Gandini che aveva affiancato l'indimenticabile Giovanni prima per pubblicare in volume le strisce di Charlie Brown, nel 1963 (e io ne avevo scritto l'introduzione) e poi per dare vita nel 1965 alla rivista 'Linus' - e anche qui (scomparsi con Giovanni Gandini altri protagonisti di quegli anni sessanta come Franco Cavallone e Ranieri Carano) i superstiti eravamo Salvatore Gregorietti (che di 'Linus' aveva disegnato le copertine), e io che sul primo numero della rivista avevo chiacchierato con Elio Vittorini e Oreste del Buono, parlando della grandezza di Schulz.

Leggendo i resoconti giornalistici della serata bolognese vedo che mi viene attribuita l'idea che Schulz fosse più grande di Salinger. Certamente mi sento di condividere questa idea, perché Salinger rimane legato a una stagione, e al linguaggio giovanile di quegli anni, mentre Schulz gode invece dell'eternità di quei lirici greci che studiavamo a scuola e che ci raccontavano che "dormono gli uccelli dalle lunghe ali". Ma la comparazione era dovuta proprio a Vittorini, che già aveva pubblicato dei comics nel 'Politecnico', e aveva in quegli anni convinto Mondadori a ospitare in una collana di narratori stranieri le strisce del 'B.C.' di Hart.

Diceva Vittorini di Schulz: "Senza andare nel difficile, io lo avvicinerei a Salinger, però con un interesse molto più ampio e secondo me molto più profondo. Certamente. Salinger, resta, se vogliamo, poeta: però non riesce ad essere il poeta di una società, rimane un prodotto in fondo molto letterario. Salinger è un 'patetico' che evade nel mondo dell'infanzia la quale non è, per lui, rappresentativa del mondo degli adulti, della maturità come lo è per Schulz, dove l'infanzia è il 'signifiant', il veicolo di questo mondo completo che è l'uomo maturo, un po' come Johnny Hart (quello di 'B.C'.) che rappresenta il mondo moderno attraverso l'età della pietra".

(31 marzo 2010)
espresso.repubblica.it
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« Risposta #71 inserito:: Aprile 16, 2010, 04:04:22 pm »

Alto medio basso

di Umberto Eco

La distinzione tra culture non è più netta.

Più che l'oggetto cambia lo sguardo, impegnato o disattento.

E per un udito disattento si può usare Wagner come colonna sonora dell'Isola dei famosi
 

Nel supplemento culturale di 'Repubblica' di sabato scorso, Angelo Aquaro e Marc Augé, in occasione dell'apparizione del libro 'Mainstream' di Frédéric Martel, riprendevano (a proposito di nuove forme di globalizzazione della cultura) una questione che si riapre regolarmente ogni tanto, ma sempre da nuovi punti di vista, e cioè quale sia ormai la linea di discrimine tra Cultura Alta e Cultura Bassa. Se a qualche giovane, che ascolta indifferentemente Mozart e musica etnica, la distinzione può parere bizzarra, ricorderò che il tema era addirittura bollente verso la metà del secolo scorso, e che anzi Dwight Macdonald in un bellissimo e aristocraticissimo saggio del 1960 ('Masscult e Midcult') identificava non due ma tre livelli.

La cultura alta era rappresentata, tanto per capirci, da Joyce, Proust, Picasso, mentre quello che veniva chiamato Masscult era dato da tutta la paccottiglia hollywoodiana, dalle copertine del 'Saturday Evening Post' e dal rock (Macdonald era di quegli intellettuali che non tenevano in casa il televisore, mentre i più aperti al nuovo lo tenevano in cucina). Ma sempre Macdonald delineava un terzo livello, il Midcult, una cultura media rappresentata da prodotti d'intrattenimento che prendevano a prestito anche stilemi dell'avanguardia, ma che era fondamentalmente Kitsch. E, tra i prodotti Midcult, MacDonald poneva per il passato Alma Tadema e Rostand, e per i tempi suoi Somerset Maugham, l'ultimo Hemingway, Thorton Wilder - e probabilmente ci avrebbe messo moltissimi libri pubblicati con successo da Adelphi, che accanto a testimonianze di cultura alta che più alta non si può, allinea autori come Maugham, appunto, Marai e il sublime Simenon (Macdonald avrebbe classificato il Simenon non-Maigret come Midcult e il Simenon-Maigret come Masscult).

Però la divisione tra
cultura popolare e cultura aristocratica è meno antica di quanto si pensi. Augé cita il caso dei funerali di Hugo a cui avevano partecipato centinaia di migliaia di persone (Hugo era Midcult o cultura alta?), alle tragedie di Sofocle andavano anche i pescivendoli del Pireo, 'I promessi sposi', appena apparso, ha avuto una serie impressionante di edizioni pirata, segno della sua popolarità - e ricordiamoci il fabbro che storpiava i versi di Dante, facendo arrabbiare il poeta, ma dimostrando al tempo stesso che la sua poesia era nota persino agli analfabeti. È vero che i romani abbandonavano una rappresentazione di Terenzio per andare a vedere gli orsi, ma in fondo anche oggi molti intellettuali raffinatissimi rinunciano a un concerto per vedere la partita.

Il fatto è che la distinzione tra due (o tre) culture si fa netta solo quando le avanguardie storiche si pongono come fine quello di provocare il borghese, e quindi eleggono a valore la non-leggibilità, o il rifiuto della rappresentazione.

Questa frattura si è conservata sino ai tempi nostri? No, perché musicisti come Berio o Pousseur hanno preso molto sul serio il rock e molti cantanti rock conoscono la musica classica più di quanto si pensi, la Pop Art ha sconvolto i livelli, il primato dell'illeggibilità spetta oggi a molto fumetto estremamente raffinato, molta musica degli spaghetti western viene rivisitata come musica da concerto, basta guardare un'asta notturna alla televisione per vedere come spettatori chiaramente non sofisticati (chi compra un quadro via televisione non è evidentemente un membro della élite culturale) acquista tele astratte che i loro genitori avrebbero definito come dipinti dalla coda di un asino e, come dice Augé, "tra cultura alta e cultura di massa c'è sempre uno scambio sotterraneo, e molto spesso la seconda si nutre della ricchezza della prima" (salvo che io aggiungerei: "e viceversa").

Caso mai oggi la distinzione dei livelli si è spostata dai loro contenuti o dalla loro forma artistica al modo di fruirli. Voglio dire che la differenza non sta più tra Beethoven e 'Jingle bells'. Beethoven che diventa suoneria per il telefonino o musica da aeroporto (o da ascensore) viene fruito nella disattenzione, come avrebbe detto Benjamin, e quindi diventa (per chi lo usa così) molto simile a un motivetto pubblicitario. Al contrario un jingle nato per pubblicizzare un detersivo può diventare oggetto di attenzione critica, e di apprezzamento per una sua trovata ritmica, melodica o armonica.

Più che l'oggetto cambia lo sguardo, c'è lo sguardo impegnato e lo sguardo disattento, e per uno sguardo (o udito) disattento si può proporre anche Wagner come colonna sonora per l'Isola dei famosi. Mentre i più raffinati si ritireranno ad ascoltare su un antico vinile 'Non dimenticar le mie parole'.

(15 aprile 2010)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #72 inserito:: Maggio 07, 2010, 12:02:21 am »

Ipazziammo!

di Umberto Eco

Il film 'Agorà' di Amenabar sulla filosofa, matematica e astronoma Ipazia fatta a pezzi dal vescovo Cirillo, ha scatenato una guerra di religione e ha fatto gridare al complotto. Che non c'è
 
È difficile che con il battage pubblicitario e la serie di dibattiti intorno al film 'Agorà' di Alejandro Amenabar qualcuno non abbia almeno sentito nominare Ipazia. Comunque, per coloro ancora poco informati dei fatti, dirò che all'alba del quinto secolo d. C., in un impero in cui anche l'imperatore ormai è cristiano, in una Alessandria dove si scontrano l'ultima aristocrazia pagana, il nuovo potere religioso rappresentato dal vescovo Cirillo e una vasta comunità ebraica, vive e insegna Ipazia, filosofa neoplatonica, matematica e astronoma, bellissima (si diceva) e idolatrata dai suoi allievi. Una banda di parabalani, talebani cristiani dell'epoca, milizia personale del vescovo Cirillo, si scaglia su Ipazia e la fa letteralmente a pezzi.

Di Ipazia non rimangono opere (forse Cirillo le ha fatte distruggere), e pochissime testimonianze, vuoi cristiane che pagane. Tutte più o meno ammettono che Cirillo qualche responsabilità ce l'aveva. A lungo Ipazia cade nel dimenticatoio, sinché viene rivalutata dal Seicento in avanti, e particolarmente dagli illuministi, come martire del libero pensiero, celebrata da Gibbon, Voltaire, Diderot, Nerval, Leopardi, e via via sino a Proust e a Luzi, sino che diventa icona del femminismo.

Il film non è certo tenero coi cristiani e con Cirillo (anche se non cela le violenze dei pagani e degli ebrei) e si è subito diffusa la voce che le forze oscure della reazione in agguato stessero per impedirne la circolazione in Italia, così che era partita una sottoscrizione di migliaia di firme. Per quello che ho capito, la distribuzione italiana era piuttosto esitante a far circolare un film che forse avrebbe suscitato forti opposizioni da parte cattolica, compromettendone la circolazione, ma quelle firme l'hanno decisa a tentare l'avventura. Ma non è del film che voglio occuparmi (filmicamente ben fatto, malgrado alcuni vistosi anacronismi) bensì della sindrome del complotto che ha scatenato.

Navigando per Internet ho trovato attacchi cattolici, in cui si protestava contro chi voleva mostrare solo il lato violento delle religioni (ma il regista ripete che il suo obiettivo polemico era il fondamentalismo di ogni sorta), ma nessuno ha tentato di negare che Cirillo, che non era solo uomo di chiesa ma anche personaggio politico, fosse stato un duro, con gli ebrei come coi pagani. Non è un caso se santo e dottore della chiesa lo ha fatto quasi millecinquecento anni dopo Leone XIII, un papa ossessionato dal nuovo paganesimo rappresentato dalla massoneria e dai liberali mangiapreti che dominavano nella Roma dei suoi tempi. Ed è imbarazzante la celebrazione di Cirillo tenuta il 3 ottobre 2007 da papa Ratzinger, il quale loda "la grande energia" del suo governo senza spendere due righe per assolverlo da quell'ombra che la storia ha fatto pesare su di lui.

Cirillo mette a disagio tutti: su Internet trovo Rino Camilleri (già difensore del Sillabo) che a garantire l'innocenza di Cirillo chiama in causa Eusebio di Cesarea. Eccellente testimone, salvo che Eusebio era morto settantacinque anni prima del supplizio di Ipazia e quindi non aveva potuto testimoniare nulla. Dico, se si deve scatenare una guerra di religione, almeno si consulti Wikipedia.

Ma veniamo al complotto: circolano su Internet varie notizie sulla censura attuata (da chi?) per celare lo scandalo Ipazia. Per esempio si denuncia che il volume otto della 'Storia della filosofia greca e romana' di Giovanni Reale (Bompiani) dedicato al Neoplatonismo, con notizie su Ipazia, sia misteriosamente scomparso dalle librerie. Una telefonata alla Bompiani mi ha chiarito che è vero che di tutta la serie dei dieci volumi gli unici due esauriti (e che quindi saranno ristampati) sono il sette e l'otto, certamente perché toccano argomenti come il 'Corpus Hermeticum' e alcuni aspetti del neoplatonismo che non interessano solo chi si occupa di filosofia ma arrazzano tutti i dissennati che si impicciano di scienze occulte vero o presunte. Ma poi sono andato a vedere nei miei scaffali questo famigerato volume otto e ho visto che Reale, il quale è uno storico della filosofia e si occupa solo di testi consultabili, mentre di Ipazia non ci è rimasto nulla, dedica a Ipazia sette righe (dico sette) dove si limita a dire il poco che seriamente si sa. E allora perché censurarlo?

Ma la teoria del complotto va oltre e sempre su Internet si dice che sono scomparsi dalle librerie tutti i libri sul neoplatonismo, asineria da far sghignazzare qualsiasi studente del primo anno di filosofia. Insomma, se volete sapere qualche cosa di serio su Ipazia, cercate in linea 'enciclopediadelledonne.it' con una bella voce di Sylvie Coyaud sul tema e, per qualcosa di più erudito, chiedete a Google 'Silvia Ronchey Ipazia' e troverete pane (non censurato) per i vostri denti.

(29 aprile 2010)
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/ipazziammo/2126072/18
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« Risposta #73 inserito:: Maggio 14, 2010, 11:07:21 pm »

Boicottiamo i latinisti israeliani?

di Umberto Eco

Non sono d'accordo con il mio amico Gianni Vattimo che ha firmato l'appello secondo cui "gli accademici e intellettuali israeliani hanno svolto e svolgono un ruolo di sostegno dei loro governi"
 
Nel gennaio 2003 in una Bustina mi rammaricavo che la rivista inglese "The Translator", diretta da Mona Baker, stimata curatrice di una Encyclopedia of Translation Studies avesse deciso (per protestare contro la politica di Sharon) di boicottare le istituzioni universitarie israeliane, e pertanto aveva chiesto a due studiosi israeliani, che facevano parte del comitato direttivo della rivista, di dare le dimissioni. Per inciso i due studiosi erano notoriamente in polemica con la politica del loro governo, ma la cosa a Mona Frank non faceva né caldo né freddo.
Osservavo che occorre distinguere tra la politica di un governo (o addirittura tra la costituzione di uno Stato) e i fermenti culturali che agitano un certo paese. Implicitamente rilevavo che considerare tutti i cittadini di un paese responsabili della politica del loro governo era una forma di razzismo. Tra chi si comporta così e chi afferma che, siccome alcuni palestinesi commettono attentati terroristici, bisogna bombardare tutti i palestinesi, non c'è alcuna differenza.
Ora è stato presentato a Torino un manifesto della Italian Campaign for the Academic & Cultural Boycott of Israel in cui, sempre per censurare la politica del governo israeliano, si sostiene che "le università, gli accademici e gli intellettuali israeliani, nella quasi totalità, hanno svolto e svolgono un ruolo di sostegno dei loro governi e sono complici delle loro politiche. Le università israeliane sono anche i luoghi dove si realizzano alcuni dei più importanti progetti di ricerca, a fini militari, su nuove armi basate sulle nanotecnologie e su sistemi tecnologici e psicologici di controllo e oppressione della popolazione civile".
Pertanto si chiede di astenersi dalla partecipazione in ogni forma di cooperazione accademica e culturale, di collaborazione o di progetti congiunti con le istituzioni israeliane; di sostenere un boicottaggio globale delle istituzioni israeliane a livello nazionale e internazionale, inclusa la sospensione di tutte le forme di finanziamento e di sussidi a queste istituzioni.

Non condivido affatto la politica del governo israeliano e ho visto con molto interesse il manifesto di moltissimi ebrei europei (JCall) contro l'espansione degli insediamenti israeliani (manifesto che, con le polemiche che ha suscitato, mostra come ci sia una accesa dialettica su questi problemi nel mondo ebraico, dentro e fuori Israele). Ma trovo mendace l'affermazione per cui "gli accademici e gli intellettuali israeliani, nella quasi totalità, hanno svolto e svolgono un ruolo di sostegno dei loro governi", perché tutti sappiamo di quanti intellettuali israeliani abbiano polemizzato e polemizzino su questi temi.
Dobbiamo astenerci di ospitare in un congresso di filosofia ogni filosofo cinese per il fatto che il governo di Pechino censura Google?
Posso capire che (per uscire dall'imbarazzante argomento israeliano ) se si apprende che i dipartimenti di fisica dell'università di Teheran o di Pyongyang collaborano attivamente alla costruzione della bomba atomica di quei paesi, i dipartimenti di fisica di Roma o di Oxford preferiscano interrompere ogni rapporto istituzionale con quei luoghi di ricerca. Ma non capisco perché debbano interrompersi i rapporti coi dipartimenti di storia dell'arte coreana o di letteratura persiana antica.
Vedo che ha partecipato al lancio del nuovo appello al boicottaggio il mio amico Gianni Vattimo. Ora facciamo (per assurdo!) l'ipotesi che in alcuni paesi stranieri si diffonda la voce che il governo Berlusconi attenta al sacro principio democratico della divisione dei poteri delegittimando la magistratura, e si avvale del sostegno di un partito decisamente razzista e xenofobo. Piacerebbe a Vattimo che, in polemica con questo governo, le università americane non lo invitassero più come visiting professor, e speciali comitati per la difesa del diritto provvedessero a eliminare tutte le sue pubblicazioni dalle biblioteche Usa? Io credo che griderebbe all'ingiustizia e affermerebbe che fare così è come giudicare tutti gli ebrei responsabili di deicidio solo perché il Sinedrio quel venerdì santo era di malumore.
Non è vero che tutti i rumeni sono stupratori, tutti i preti pedofili e tutti gli studiosi di Heidegger nazisti. E quindi qualsiasi posizione politica, qualsiasi polemica nei confronti di un governo, non deve coinvolgere un intero popolo e una intera cultura. E questo vale in particolare per la repubblica del sapere, dove la solidarietà tra studiosi, artisti e scrittori di tutto il mondo è sempre stato un modo per difendere, al di là di ogni frontiera, i diritti umani.

(13 maggio 2010)
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/boicottiamo-i-latinisti-israeliani/2127031/18
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« Risposta #74 inserito:: Maggio 27, 2010, 06:10:42 pm »

Noi contro la legge

di Umberto Eco

Le norme sulle intercettazioni. Il controllo dei tg della tv pubblica. E prima il lodo Alfano, i tagli alla scuola... Berlusconi trasforma le istituzioni un passo dopo l'altro, con lentezza. Perché i cittadini assorbano i cambiamenti come naturali. Così al colpo di Stato si è sostituito lo struscio di Stato

È nota la definizione della democrazia come sistema pieno di difetti ma di cui non si è ancora trovato nulla di meglio. Da questa ragionevole assunzione discende, per la maggior parte della gente, la convinzione errata che la democrazia (il migliore o il meno peggio dei sistemi di governo) sia quello per cui la maggioranza ha sempre ragione. Nulla di più falso. La democrazia è il sistema per cui, visto che è difficile definire in termini qualitativi chi abbia più ragione degli altri, si ricorre a un sistema bassamente quantitativo, ma oggettivamente controllabile: in democrazia governa chi prende più consensi. E se qualcuno ritiene che la maggioranza abbia torto, peggio per lui: se ha accettato i principi democratici deve accettare che governi una maggioranza che si sbaglia.

Una delle funzioni delle opposizioni è quella di dimostrare alla maggioranza che si era sbagliata. E se non ce la fa? Allora abbiamo, oltre a una cattiva maggioranza, anche una cattiva opposizione. Quante volte la maggioranza può sbagliarsi? Per millenni la maggioranza degli uomini ha creduto che il sole girasse intorno alla terra (e, considerando le vaste aree poco alfabetizzate del mondo, e il fatto che sondaggi fatti nei paesi più avanzati hanno dimostrato che moltissimi occidentali ancora credono che il sole giri) ecco un bel caso in cui la maggioranza non solo si è sbagliata ma si sbaglia ancora. Le maggioranze si sono sbagliate a ritenere Beethoven inascoltabile o Picasso inguardabile, la maggioranza a Gerusalemme si è sbagliata a preferire Barabba a Gesù, la maggioranza degli americani sbaglia a credere che due uova con pancetta tutte le mattine e una bella bistecca a pasto siano garanzie di buona salute, la maggioranza si sbagliava a preferire gli orsi a Terenzio e (forse) si sbaglia ancora a preferire "La pupa e il secchione" a Sofocle. Per secoli la maggioranza della gente ha ritenuto che esistessero le streghe e che fosse giusto bruciarle, nel Seicento la maggioranza dei milanesi credeva che la peste fosse provocata dagli untori, l'enorme maggioranza degli occidentali, compreso Voltaire, riteneva legittima e naturale la schiavitù, la maggioranza degli europei credeva che fosse nobile e sacrosanto colonizzare l'Africa.

In politica Hitler non è andato al potere per un colpo di Stato ma è stato eletto dalla maggioranza, Mussolini ha instaurato la dittatura dopo l'assassinio di Matteotti ma prima godeva di una maggioranza parlamentare, anche se disprezzava quell'aula «sorda e grigia». Sarebbe ingiusto giocare di paradossi e dire dunque che la maggioranza è quella che sbaglia sempre, ma è certo che non sempre ha ragione. In politica l'appello alla volontà popolare ha soltanto valore legale ("Ho diritto a governare perché ho ricevuto più voti") ma non permette che da questo dato quantitativo si traggano conseguenze teoriche ed etiche ("Ho la maggioranza dei consensi e dunque sono il migliore").

In certe aree della Sicilia e della Campania i mafiosi e i camorristi hanno la maggioranza dei consensi ma sarebbe difficile concluderne che siano pertanto i migliori rappresentati di quelle nobilissime popolazioni. Recentemente leggevo un giornalista governativo (ma non era il solo ad usare quell'argomento) che, nell'ironizzare sul caso Santoro (bersaglio ormai felicemente bipartisan), diceva che costui aveva la curiosa persuasione che la maggioranza degli italiani si fosse piegata di buon grado a essere sodomizzata da Berlusconi. Ora non credo che Berlusconi abbia mai sodomizzato qualcuno, ma è certo che una consistente quantità di italiani consente con lui senza accorgersi che il loro beniamino sta lentamente erodendo le loro libertà. Erodere le libertà di un paese significa di solito mettere in atto un colpo di Stato e instaurare violentemente una dittatura. Se questo avviene, gli elettori se ne accorgono e, se pure non hanno la forza di zione di colpo di Stato che è con lui cambiata. Al colpo di Stato si è sostituito lo struscio di Stato. All'idea di una trasformazione delle strutture dello Stato attraverso l'azione violenta il genio di Berlusconi è stato ed è quello di attuarle con estrema lentezza, passettino per passettino, in modo estremamente lubrificato.

Pensate alla inutile violenza con cui il fascismo, per fare tacere la voce scomoda di Matteotti, ha dovuto farlo ammazzare. Cose da medioevo. Non sarebbe bastato pagargli una buona uscita megagalattica (e tra l'altro non con i soldi del governo ma con quelli dei cittadini che pagano il canone)? Mussolini era davvero uomo rozzissimo. Quando una trasformazione delle istituzioni del Paese avviene passo per passo, e cioè per dosi omeopatiche, è difficile dire che ciascuna, presa di per sé, prefiguri una dittatura - e infatti quando qualche cassandra lo fa viene sbertucciata. Il fatto è che per un nuovo populismo mediatico la stessa dittatura è un sistema antiquato che non serve a nulla. Si possono modificare le strutture dello Stato a proprio piacere e secondo il proprio interesse senza instaurare alcuna dittatura.

Si può dire che il lodo Alfano prefiguri una tirannia? Sciocchezze. E calmierare le intercettazioni attenta davvero alla libertà d'informazione? Ma suvvia, se qualcuno ha delitto lo sapranno tutti a giudizio avvenuto, e l'evitare di parlare in anticipo di delitti solo presunti rispetta se mai la privatezza di ciascuno di noi. Vi piacerebbe che andasse sui giornali la vostra conversazione con l'amante, così che lo venisse a sapere la vostra signora? No, certo. E se il prezzo da pagare è che non venga intercettata la conversazione di un potente corrotto o di un mafioso in servizio permanente effettivo, ebbene, la nostra privatezza avrà bene un prezzo. Vi pare nazifascismo ridurre i fondi per la scuola pubblica? Ma dobbiamo risparmiare tutti, e bisogna pur dare l'esempio a cominciare dalle spese collettive. E se questo consegna il paese alle scuole private? Non sarà la fine del mondo, ce ne sono delle buonissime. È stalinismo rendere inguardabili i telegiornali delle reti pubbliche? No, se mai le vecchie dittature facevano di tutto per rendere la radio affettuosissima. Ma se questo va a favore delle reti private? Beh, vi risulta che Stalin abbia mai favorito le televisioni private?

Ecco, la funzione dei colpi di Stato striscianti è che le modificazioni costituzionali non vengono quasi percepite, o sono avvertite come irrilevanti. E quando la loro somma avrà prodotto non la seconda ma la terza Repubblica, sarà troppo tardi. Non perché non si potrebbe tornare indietro, ma perché la maggioranza avrà assorbito i cambiamenti come naturali e si sarà, per così dire, mitridatizzata. Un nuovo Malaparte potrebbe scrivere un trattato superbo su questa nuova tecnica dello struscio di Stato. Anche perché di fronte a essa ogni protesta e ogni denuncia perde valore provocatorio e sembra che chi si lamenta dia corpo alle ombre.

Pessimismo globale, dunque? No, fiducia nell'azione benigna del tempo e della sua erosione continua. Una trasformazione delle istituzioni che procede a piccoli passi può non avere tempo per compiersi del tutto, a metà strada possono avvenire smandrappamenti, stanchezze, cadute di tensione, incidenti di percorso. È un poco come la barzelletta sulla differenza tra inferno tedesco e inferno italiano. In entrambi bagno nella benzina bollente al mattino, sedia elettrica a mezzogiorno, squartamento a sera. Salvo che nell'inferno italiano un giorno la benzina non arriva, un altro la centrale elettrica è in sciopero, un altro ancora il boia si è dato malato… Tagliare la testa al re o occupare il Palazzo d'Inverno è cosa che si fa in cinque minuti. Avvelenare qualcuno con piccole dosi d'arsenico nella minestra prende molto tempo, e nel frattempo chissà, vedrà chi vivrà. Per il momento, resistere, resistere, resistere.

(27 maggio 2010)
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