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Autore Discussione: Anna FINOCCHIARO. -  (Letto 10823 volte)
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« inserito:: Luglio 22, 2007, 12:13:12 am »

Scalate, Finocchiaro: «Sorpresa dalle richieste del gip»


Più che le richieste sono le motivazioni del gip Clementica Forleo che stupiscono.

Allegate alle due domande d´autorizzazione per l'uso delle intercettazioni che riguardano i parlamentari, il giudice ha inviato alle Camere le sue motivazioni, in cui si ipotizza che i politici coinvolti non furono solo simpatizzanti, ma ebbero ruoli attivi nelle tentate scalate a Unipol e Rcs. «Ma come si fa addirittura a parlare di un "disegno criminoso" di leader politici quasi a scrivere una sentenza preventiva?», si chiede il vicepremier Francesco Rutelli. «Come si fa a mettere in discussione l'onore dei leader dei Ds sulla base di contatti e giudizi politici? Per me la loro onorabilità è fuori discussione».

Il presidente dei senatori dell'Ulivo, Anna Finocchiaro, si dice «stupita dall'ordinanza emessa dal Gip di Milano, Clementina Forleo, sotto il profilo tecnico» perché, sostiene l'esponente Ds, «le persone di cui parla non sono indagate e sono estranee al processo, e nonostante ciò le indica come complici di un sistema criminoso». «Se queste valutazioni le avesse fatte un qualunque altro funzionario dello Stato - aggiunge la Finocchiaro - sarebbe stato ritenuto un esercizio abusivo del potere, perché la possibilità di esercitare l'azione penale spetta al pm e non al Gip». Il presidente dei senatori dell'Ulivo sottolinea come le «intercettazioni siano state pubblicate da tempo sui giornali e io aldilà delle mie valutazioni personali legate alla conoscenza dei tre politici, continuo a ritenere che proprio sulla base delle intercettazioni emerge l'estraneità a qualsiasi sistema criminoso di Fassino, D´Alema e La Torre».

«Se la motivazione sull'uso delle intercettazioni che riguardano i parlamentari avanzata dal Gip Forleo è quella riportata dai giornali, sinceramente mi sembra un po´ debole», dice infine il ministro dell'Ambiente e leader dei Verdi, Alfonso Pecoraro Scanio. «Se verrà fatta una richiesta al Parlamento - aggiunge Pecoraro - la valutazione se concedere o meno l'uso delle intercettazioni dovrà essere tecnico-giuridica e non politica, insomma si dovrà votare al di là degli schieramenti».

Pubblicato il: 21.07.07
Modificato il: 21.07.07 alle ore 14.24  
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« Ultima modifica: Febbraio 21, 2012, 11:55:49 am da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Ottobre 10, 2007, 11:31:43 pm »

Finocchiaro: «Dopo il 14 ottobre, azzerare incarichi e ministri»

a.g.


«Ci sarà un effetto a cascata del nuovo partito sulle istituzioni. La mia proposta è quella di azzerare il gruppo dei parlamentari dell'Ulivo e della compagine ministeriale. Si dovranno dimettere tutti e poi a seconda delle adesioni al Pd formare un nuovo gruppo con un nuovo assetto». Anna Finocchiaro non ha paura di sorprendere quando fa questa affermazione rispondendo ad una domanda del direttore Antonio Padellaro durante la videochat di martedì all'Unità OnLine. «Il bello comincia il 14 ottobre» dice la capogruppo dell'Ulivo al Senato. «Anche perché dopo il 14 decidiamo la forma del Partito Democratico sulla base dei punti stabiliti: uguaglianza dei partiti, partecipazione democratica, nessun leader».

Sono state molte le domande dei lettori dell'Unità sul partito democratico. Una su tutte quella sulla sua mancata candidatura a segretario. «Ho riflettuto sulla mia candidatura, seppur brevemente - risponde la capogruppo - ma quando Walter Veltroni ha annunciato la sua ho pensato che, poiché l'immagine di Veltroni era legata a quella del Pd già da anni e che la sua era una candidatura che univa tutti, ho preferito appoggiarlo anch'io e non candidarmi» spiega Anna Finocchiaro. «Non volevo che la mia fosse la candidatura femminile minoritaria alla segreteria del partito democratico» conclude.

Non solo sul partito democratico vertevano le moltissime domande dei lettori che hanno partecipato alla videochat. In primo piano la questione dei privilegi dei parlamentari e la tenuta del governo. «Si, mi sento una privilegiata e lo sono. Ma credo che alla base del malessere rispetto ai privilegi di cui godiamo non ci sia un disaccordo sul fatto in sé che il nostro stipendio equivalga a quello di un presidente di sezione della corte di cassazione. Ma il disaccordo nasce dalla percezione dei cittadini che un parlamentare non faccia bene il proprio mestiere» spiega la Finocchiaro che si mostra comunque disposta a rivedere i punti fondamentali dei privilegi della casta.

La nascita del pd, secondo Anna Finocchiaro, avrà un impatto positivo anche sul lavoro e sulla capacità di coesione del Governo, una questione sulla quale i lettori de l'Unità si sono espressi in massa sottoscrivendo l'appello lanciato nei giorni scorsi dal nostro giornale. «Il nuovo partito ha già scompaginato gli assetti interni ed esterni della coalizione - dice - e non per creare problemi al governo ma per sostenerlo e controbilanciare le divisioni, come avevamo promesso agli italiani. Resta il fatto - continua - che la politica va giocata fuori dalle istituzioni e non dentro». E alle numerose domande dei lettori dell'Unità online sulla tenuta del governo anche in relazione alle riforme e alla Finanziaria la Finocchiaro risponde che «si deve fare in modo che questo governo duri cinque anni per risolvere il grande problema dell'Italia - quello salariale - spiega. In proposito questa finanziaria e soprattutto il protocollo sul welfare è modificabile ma è un grande passo avanti». La crisi della politica? «Il blocco e la crisi decisionale della politica che nei momenti più difficili nel nostro Paese si ripresenta ciclicamente» conclude. «Che ne pensa della notizia del giorno sull'attacco di Storace ai senatori a vita e all'idea di regalare loro delle stampelle?» domanda il direttore Antonio Padellaro. «Niente di simile si è mai verificato nella storia della Repubblica se non nel ventennio fascista - commenta la Finocchiaro - per la Costituzione italiana il Senato è composto da senatori e senatori a vita tutti chiamati a fare il proprio lavoro e, continua, se si è capaci di prendersela con chi ha dato lustro al Paese questo significa solo una cosa, che stiamo messi molto male, che sono messi molto male».


Pubblicato il: 09.10.07
Modificato il: 10.10.07 alle ore 15.33   
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« Ultima modifica: Marzo 06, 2009, 05:36:35 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #2 inserito:: Novembre 17, 2007, 10:31:43 pm »

Finocchiaro: «Berlusconi ora ammetta di aver perso»

Marcella Ciarnelli


Senatrice Anna Finocchiaro, lei l’altra sera ha scosso il Senato con un limpido atto d’accusa. Ha parlato esplicitamente di corruzione a proposito della campagna acquisti portata avanti da Berlusconi.

«È una faccenda molto seria, un fatto molto grave. Ho trovato davvero stupefacente che se ne sia parlato nei giorni scorsi tranquillamente, con toni anche sprezzanti, irridenti, lievi. Trovo che questo non abbia niente a che fare con la politica. E trovo che l’indignazione che è stata espressa nei miei confronti avrebbe potuto, molto più congruamente, essere manifestata nei confronti di tutti coloro, giornali, mass media in genere, rappresentanti stessi della Cdl che hanno in questi mesi parlato tranquillamente di shopping dei senatori. E’un fatto assolutamente incompatibile con lo svolgimento normale della vita politica del Paese. A chi si è indignato per le mie parole chiedo: perché non lo avete fatto per queste voci? Il modo in cui questa vicenda è stata trattata trovo sia stato indecente. E, comunque, ci sono le parole del senatore Randazzo lì a testimoniare».

Che però non ha parlato di danaro...

«Infatti io ho parlato di corruzione politica. Del tentativo di portare nella Cdl senatori eletti nel centrosinistra solo per convenienza».

Questo è il primo giorno di una nuova stagione, che si è aperta con il voto dell’altra sera e segna la necessità di un rinnovato dialogo con l’opposizione.

«Voglio rivolgermi a quell’opposizione che è rimasta in questo anno e mezzo schiacciata nella morsa di un’attesa che non ha dato i risultati sperati. Un’attesa coerente con l’idea di un bipolarismo fatto di muro contro muro, di spallate, di ginocchiate, di contrasto senza confronto. Anche il modo con cui il presidente Berlusconi ha risposto all’invito di Walter Veltroni a ragionare di riforme è la traduzione di questo modo di intendere il bipolarismo e la funzione della politica. Un modo assurdo e sbagliato».

Che poco ha a che vedere con il confronto politico?

«Non ha proprio niente a che vedere con il confronto politico. E ne abbiamo avuto la prova l’altra sera. La maggioranza non ha ceduto, il governo non è stato sconfitto ed invece lo è stata la strategia di Berlusconi. Sbagliata, dannosa per l’Italia ed anche per il centrodestra. Per questo io parlo, come peraltro alcuni commentatori politici, di una nuova fase in cui appare ancora più grande l’errore tragico a cui Berlusconi ha condannato l’intero centrodestra».

Però Berlusconi insiste sulla sua linea. Rischia la solitudine?

«Lui sta facendo un gioco un po’ più articolato. Da qualche giorno manda avanti qualcuno, come si suol dire. L’intervista di Gianni Letta al Corriere della Sera era un modo per compensare la possibilità di un insuccesso che c’è stato ed è stato clamoroso. Basta scorrere le dichiarazioni di Fini, di Casini, anche dei giorni scorsi per comprendere come fosse ben chiara la consapevolezza da quella parte della Casa delle Libertà che il gioco era finito. E che se non si fosse registrata la sconfitta del governo Prodi e della maggioranza nel voto alla Finanziaria in Senato, la strategia della spallata non sarebbe più stata subita. E si sarebbe tornati a fare politica. Così è stato e anche la lettera di Fini di ieri lo conferma».

Anche la Lega ha preso le distanze.

«È vero. Anche la posizione della Lega va in una linea che io reputo sana. So bene che ciascuno ha le proprie ragioni e difenderà le proprie posizioni. Ma si ricomincia a discutere nell’interesse del Paese per concordare una nuova legge elettorale, per fare le riforme istituzionali, per affrontare insieme le grandi questioni nazionali la cui soluzione non può essere confinata al breve spazio di una legislatura».

Non ha la sensazione che viviamo una stagione di disinteresse per i problemi del Paese?

«Questa è la cosa che fin dall’inizio della legislatura stiamo denunciando. Il nostro è un Paese in ritardo e in attesa che però ha bisogno di grandi riforme con una portata strategica per il futuro in campo economico, ambientale, energetico, nella formazione e nella ricerca, nella riforma della pubblica amministrazione, della giustizia. Nessuna maggioranza può essere così arrogante da pensare che riforme destinate a durare nel tempo e a dare sicurezza possano essere affrontate con atti unilaterali. L’alternanza non è questo».

E prescinde dai numeri risicati del Senato?

«Non c’è dubbio. E’ ovvio che questa vocazione alla spallata, chiamiamolo con un termine da rugby e non da politica, veniva assecondata dal fatto che sembrava che al Senato potesse essere più facile assestare il colpo. Non è stato così».

La maggioranza dovrà confrontarsi anche con alcuni alleati, Dini innanzitutto, che hanno reso esplicito il loro dissenso?

«Quella posta è una questione politica molto seria che merita una riposta politica altrettanto seria. Le parole del presidente Dini non sono giunte inaspettate dato che erano state anticipate in dichiarazioni e colloqui precedenti. Mi stupirei però se Dini non apprezzasse il nuovo scenario che si è aperto dopo il voto. E non comprendesse che se c’è da lavorare per un chiarimento e per una ridefinizione del quadro politico questo non può che avvenire nel centrosinistra. Anche per una ragione che a me diventa ogni giorno più chiara. L’ho detto in aula e ne sono assolutamente convinta. Su alcune tra le questioni più spinose di questa Finanziaria noi abbiamo trovato nel confronto, anche molto impegnativo, un punto di utilità comune. Questa è una cosa seria e preziosa. Sarebbe un peccato se si sprecasse questa opportunità».

È un aspetto di quello scenario nuovo di cui parlava?

«Proprio così. Ed allora mi auguro che il presidente Dini riconsideri le condizioni che si sono riverificate a partire dall’altra sera e scelga di restare a pieno titolo dentro il centrosinistra e di collaborare con noi».

Anche con un nuovo gruppo?

«Ci mancherebbe altro. Lui ha già scelto di non stare nel Partito democratico. Il gruppo dell’Ulivo si avvia a diventare quello del Pd. Quindi c’è da comprendere che chi non condivide il nostro percorso non ci voglia stare. Sarei più contenta d’averli con noi. Ma se così non fosse, che la scelta di collocazione politica apprezzi il fatto che la fase è cambiata. E voglio dire al presidente Dini che il Pd per primo vuole stimolare il governo Prodi su quel terreno riformista che è vocazione comune, sia nostra che dei liberldemocratici. Credo che troveremo, come abbiamo già fatto, importanti convergenze con Dini».

Guardare avanti, dunque. Ci sono tante scadenze importanti.

«Abbiamo tanto lavoro da fare. Le riforme che stanno alla Camera e arriveranno al Senato. La riforma elettorale che faremo al Senato. E poi una serie di questioni che ci attendono e che devono essere il terreno di confronto con il centrodestra. In un Paese come il nostro che ha uno scarsissimo affidamento nel futuro ed è incatenato dal timore di ciò che accade, non si può pensare di fare riforme che durino lo spazio breve di una legislatura. Il frutto di un incontro tra diverse culture deve durare nel tempo e deve avere un respiro ampio. Non essere solo la risposta all’emergenza o ad un interesse».

Cosa dovrebbe fare adesso Berlusconi?

«Ha un modo per tornare protagonista se non si incaponisce. Ammettere la sconfitta e cercare di rientrare con la politica, nella discussione. Se non capisce questo rischia di restare straniato. Il mondo agirà per proprio conto, a cominciare dai suoi alleati. E lui resterà lì a continuare a dire che lui è il più bravo di tutti e che ha vinto, rischiando di essere patetico».



Pubblicato il: 17.11.07
Modificato il: 17.11.07 alle ore 12.49   
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« Risposta #3 inserito:: Gennaio 25, 2008, 04:59:13 pm »

Una crisi contro l'Italia

Anna Finocchiaro


Il profilo che dovrebbe impressionarci di più è che questa crisi non si è aperta nel nome del popolo italiano. Non dei suoi bisogni, aspettative, critiche o proteste.

Non in ragione del molto ancora da fare - seppure con tanto impegno e così importanti e seri risultati il Governo abbia raggiunto -, non in ragione delle troppe famiglie che non riescono ad arrivare alla fine del mese e che dall’impegno del Governo hanno ottenuto e confidavano ancora di ottenere sollievo e dignità.

Non in nome del Mezzogiorno, né dei ragazzi e ragazze italiani cui restituire ancora pienamente lavoro stabile, opportunità, futuro, nonostante il lavoro di questo ancora breve scorcio di legislatura.

Non c'è crisi per uno sciopero generale, né per conflitti sociali. Non c'è crisi perché qui, nel luogo della rappresentanza, in questo Senato dai numeri così risicati, il Governo e la maggioranza uscita dalle urne sia mai stata battuta su un proprio provvedimento, neppure il più impegnativo, come la Legge finanziaria.

E non è solo una crisi extra-parlamentare. È una crisi che nasce da una vicenda, che non abbiamo esitato a definire seria e grave, che ipoteca il futuro del Paese ma che non ha guardato al futuro del Paese, non ne ha avuto cura. Il senatore Mastella ha lamentato scarsa solidarietà personale e politica. Ci spiace e riteniamo ingiusta questa ricostruzione. Abbiamo, e più volte in quest'Aula e fuori di essa, compiuto gesti che smentiscono quell'affermazione. Possiamo ancora giustificarla con lo smarrimento e la difficoltà profonda che la vicenda ha indotto, e scaricato, sul sen. Mastella, sulla Presidente Lonardo, sulla loro famiglia. Ma mi lasci dire che il difetto di solidarietà nei suoi confronti non può giustificare la mancanza di solidarietà nazionale che Lei ha dimostrato uscendo - per fatto politico personale - dalla maggioranza di governo, consegnando il Paese alla crisi di governo, ad un futuro che può essere incerto e che presenta le sfide e i rischi seri di cui ci ha parlato il Presidente Prodi. Abbiamo ascoltato in questa Aula anche la dissociazione del sen. Scalera e del Presidente Dini. Obiezioni politiche sulla politica economica formalizzate e più volte espresse. Niente di personale

E NIENTE giustifica l'aggressione al sen. Cusumano.

Il sen. Cusumano è rimasto lì, nella stessa coalizione, con la quale era stato eletto. Qui non siamo alla rottura delle relazioni politiche, sen. Barbato, qui siamo alla rottura delle regole minime della convivenza civile.

Noi abbiamo una fiducia piena in questo Governo. Chiunque sa quanto il mio Gruppo abbia lavorato e sofferto in questi mesi. Non voglio in alcun modo sminuire il contributo prezioso degli altri Gruppi dell'Unione, ma da Presidente del Gruppo PD voglio dire una cosa che non ho mai detto per mio conto, ma che devo ai miei senatori e alle mie senatrici. Presidente Prodi, Lei sa che da questo Gruppo non Le è mai venuto né inciampo, né rischio. Solo lealtà, lavoro, sacrificio, e in condizioni numeriche molto difficili, e politiche spesso difficili.

Lei lo sa e tante volte ce lo ha riconosciuto. Lei sa che da noi ha sempre avuto fiducia e di noi sempre potrà fidarsi.

Come può fidarsi l'Italia.

E oggi siamo determinati e uniti nel sostenere la Sua iniziativa di verificare qui l'esistenza di una maggioranza.

Sapendo due cose: la prima, che questa crisi è figlia anch'essa di un sistema istituzionale ed elettorale che non sa garantire stabilità ed efficacia ai governi, la seconda: che questo interessa tutti perché interessa l'Italia. Al punto che in questi stessi difficili mesi, in cui ogni voto sembrava un referendum pro o contro (anche i voti sul calendario) l'intelligenza politica dell'opposizione e della maggioranza avevano aperto un ragionamento comune su riforme costituzionali, elettorali, regolamentari.

Ho molto apprezzato, in questi giorni, l'insistere su questo punto di autorevoli esponenti dell'Udc. Ma al di là delle dichiarazioni ufficiali, nonostante le difficoltà e le differenze, sapevamo tutti che stavamo aggredendo il male della democrazia, ci stavamo misurando con responsabilità alte di classi dirigenti politiche all'altezza del compito.

Non lasciamo che questo muoia. Non tagliamo questo filo. Per questo le elezioni anticipate con questa legge elettorale sarebbero un evento che ci riconsegnerebbe intatta la stessa instabilità, la stessa crisi della decisione politica mentre geometricamente aumenterebbe il ritardo grave con cui l'Italia si presenta alla competizione internazionale. Certamente non l'Italia, certamente non la politica.

Sintesi dell'intervento in aula di Anna Finocchiaro, presidente del gruppo del Pd al Senato

Pubblicato il: 25.01.08
Modificato il: 25.01.08 alle ore 15.09   
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« Risposta #4 inserito:: Marzo 28, 2008, 03:52:40 pm »

La Sicilia cambierà

di Marco Damilano


La sfida in Regione. La lotta alla mafia. Ma anche la battaglia nazionale. Il probabile pareggio al Senato. E il no alla grande coalizione. Parla la candidata Pd.

Colloquio con Anna Finocchiaro 


Per Anna Finocchiaro sono i giorni cruciali di una doppia campagna elettorale: nazionale e regionale.
Il pullman verde di Walter Veltroni sbarca in Sicilia e lei, candidata del centrosinistra alla presidenza dell'isola contro il centrodestra di Raffaele Lombardo che punta a fare il pieno, ragiona sulle due settimane che mancano al voto, sull'eventualità di un nulla di fatto al Senato: "Se ci fosse il pareggio la soluzione sarebbe una sola: fare subito la riforma elettorale e poi tornare a votare", dice la ex capogruppo del Pd a palazzo Madama e anche candidata al Senato in Emilia-Romagna. Alla denuncia di Roberto Saviano ("sulla mafia c'è un silenzio bipartisan") replica: "Non è affatto vero. E comunque scrivere sui muri 'la mafia fa schifo' non serve".

La rimonta del Pd si è fermata, come dicono alcuni sondaggi?
"Abbiamo avuto una prima fase di premio alla scelta del Pd di correre da solo alle elezioni. La gente l'ha vissuta come una liberazione, una novità a lungo attesa. Ora c'è un assestamento, era prevedibile. In questa seconda fase della campagna elettorale c'è da convincere l'alta fascia di indecisi che vive con spaesamento un'offerta politica profondamente cambiata, grazie alla novità del Pd. Ci sono nuovi partiti da metabolizzare, c'è il Popolo delle libertà che segna uno spostamento a destra dello schieramento avversario. Non sono per niente pessimista: anzi".

Le ricerche segnalano un Pd in difficoltà sui ceti popolari: operai, casalinghe, pensionati. È un campanello d'allarme?
"È un segnale che ci impone di scendere più a fondo sulle questioni. Nell'elettorato c'è una sospensione di giudizio, un'attenzione alle questioni concrete. Noi dobbiamo puntare su due versanti: la condizione materiale delle persone, l'estremo presente, e la visione, il futuro. Tenere le due cose insieme".

Basterà per strappare almeno il pareggio al Senato? Da ex capogruppo a palazzo Madama è un risultato che lei si augura?
"Il pareggio è un'eventualità possibile, anzi, altamente probabile. La responsabilità di un'eventuale situazione di ingovernabilità sarebbe tutta di chi ha impedito di fare le riforme necessarie prima del voto, non certo nostra".

In caso di pareggio ci sarà il governo di grande coalizione?
"Francamente non ci credo. Non la vedo una grande coalizione all'italiana, il nostro non è un bipolarismo in grado di vivere fecondamente una stagione di grandi intese. Se ci fosse il pareggio la soluzione sarebbe una sola: fare subito la riforma elettorale, approvare il pacchetto di riforme già in discussione alla Camera (la riduzione del numero dei parlamentari, il rafforzamento del potere del premier, la riforma dei regolamenti parlamentari) e poi tornare a votare. A chi invoca la grande coalizione dico che è questo il banco di prova: affrontare subito i problemi strutturali e approvare le riforme attese da decenni".

Tra le riforme da fare c'è anche l'eliminazione dell'obbligatorietà dell'azione penale? Appena Veltroni ne ha parlato l'alleato Antonio Di Pietro ha alzato il muro: non si può fare.
"Da anni si discute di limitare l'area di intervento del giudice penale, che dovrebbe essere messo nelle condizioni di occuparsi a fondo delle questioni davvero importanti, quelle che mutano l'ordine della civile convenienza, a partire dai reati di criminalità organizzata. E poi bisogna intervenire sui tempi del processo, la vera emergenza della giustizia italiana. Le priorità sono queste: un'area più ristretta di azione per il giudice e un processo penale più snello. Abbiamo gli armadi pieni di proposte: passiamo ai fatti".

Ma l'azione penale obbligatoria prevista in Costituzione per lei resta intoccabile?
"Dobbiamo trovare una strada salvaguardando il nucleo del principio costituzionale che difende l'uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge di fronte alle tante posizioni di forza e ai poteri che esistono in questo paese. Guardiamo la realtà: già ora l'azione penale è indebolita nei fatti, si fanno prima i processi più importanti o quelli a rischio prescrizione. A me sembra che ci siano due strade: una, più difficile da percorrere, richiede un passaggio di riforma costituzionale. Un'altra, più prudente e senz'altro più moderna, intende spostare in alcuni campi i controlli e le sanzioni dalla giurisdizione penale ad altre forme di giustizia non meno efficaci e più tempestive".

E se qualcuno intendesse riscrivere la Costituzione su questo punto?
"Rischierebbe di aprire una guerra civile...".

A proposito di giustizia, lo scrittore Roberto Saviano accusa: sulla mafia in questa campagna elettorale c'è una rimozione bipartisan. Racconta che Veltroni gli aveva promesso di mettere la lotta alla criminalità al primo posto del programma. Invece, niente.
"Non è affatto vero. Noi del Pd non ci siamo dimenticati della mafia, non me ne posso dimenticare io quaggiù in Sicilia. La mafia è la rete che stringe l'isola in fondo al pozzo insieme alla cattiva politica. Max Weber ha scritto che il mercato senza regole è il capitalismo di rapina. È quello che succede in Sicilia: l'impresa ci guadagna a farsi fare i prestiti dalla mafia, quelli che non riesce a ottenere dalle banche, si fa proteggere i cantieri, recluta forza lavoro a basso costo con il caporalato, smaltisce i rifiuti tossici... Insomma, si crea un circolo vizioso per cui l'illegalità conviene. Noi dobbiamo invertire il circuito, dobbiamo far diventare conveniente la legalità. Nel mio programma c'è la certificazione di qualità per le imprese che non pagano il pizzo, non si avvalgono di capitali a partecipazione mafiosa, non inquinano, non sfruttano il lavoro. Un'idea innovativa, molto apprezzata dalla Confindustria siciliana".

Sarà. Ma tra i dodici punti del programma del Pd la lotta alla criminalità non c'è. E la parola mafia compare solo due volte, per inciso.
"Guardi, si può anche decidere che domani scriviamo 'la mafia fa schifo' su tutti i muri della Sicilia. E però...".

E però?
"Però, poi, per sconfiggere la mafia serve la credibilità e l'autorevolezza della classe dirigente".

Appunto. Le liste presentate dal Pd in Sicilia rispondono a questi criteri? Prima c'è stato il caso di Giuseppe Lumia, all'inizio escluso e poi recuperato. E le liste sono piene di nomi discussi, paracadutati...
"Il caso Lumia l'abbiamo risolto subito e brillantemente. Quanto alle liste, il trenta per cento dei nomi è stato deciso a livello nazionale, non si poteva fare di più. Anch'io ho protestato quando ho visto che province importanti come Ragusa e Siracusa sarebbero rimaste senza parlamentari. Ma quando le liste sono complicate, come in questo caso, gli errori si moltiplicano. Non accetto critiche, però, da chi non sta qui tutti i giorni, a faticare nella realtà siciliana".

Nominare deputata la figlia dell'ex ministro Totò Cardinale è un segno di credibilità?
"Ripeto: sono stati commessi degli errori".

Come sta vivendo la campagna elettorale senza Prodi in Italia, senza Bassolino in Campania, senza un bel pezzo di classe dirigente che ha guidato il centrosinistra?
"C'è una certa morbosità in questa ricostruzione: abbiamo avuto due anni di governo Prodi importanti, hanno risanato il paese e il tempo lo dimostrerà. Il Pd è una storia nuova, ma non nasce dal nulla. Ci sono i candidati, sono tutti in campo. Nel programma sono state riprese molte proposte che sono nate nel gruppo parlamentare del Senato da me presieduto nella scorsa legislatura".

Che impressione le fanno le piazze che accolgono Veltroni, senza i simboli del passato?
"La scelta del Pd l'ho metabolizzata. Ci ho pensato due anni, magari sono stata un po' lenta, ma adesso non ho il senso della mancanza di quello che c'era prima. Al contrario, sono proiettata con entusiasmo verso il futuro, verso quello che ci sarà dopo".

Cosa ci sarà dopo il 13 aprile per lei? Due anni fa disse che se non fosse stata donna sarebbe stata eletta alla prima carica dello Stato. E per la seconda? È possibile una presidente del Senato donna?
"Io sono impegnata perché ci sia per la prima volta una donna alla presidenza della Sicilia. Sarebbe, mi creda, una novità enorme per tutta la politica italiana".

(27 marzo 2008)


da espresso.repubblica.it
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« Risposta #5 inserito:: Marzo 28, 2008, 11:56:40 pm »

Finocchiaro: posso vincere ho già recuperato 8 punti

Maria Zegarelli


A sedici giorni dal voto la Sicilia resta ancora terra da conquistare per il Partito democratico e per Anna Finocchiaro in corsa per governare l’isola più difficile del Paese. Raffaele Lombardo, uomo del centrodestra la vittoria se la sente in tasca. «Mai come adesso la Sicilia vuole rompere con il passato e dare il via ad un cambiamento vero», dice Anna Finocchiaro durante una pausa del tour elettorale in lungo e in largo nelle province siciliane, prioprio nei giorni in cui è arrivato il pullman verde di Walter Veltroni. Ottimista, malgrado un sondaggio Demopolis che dà Lombardo al 57% e lei al 38%: «I sondaggi? Non mi impressiono proprio, ci vuole altro per impressionarmi».



Il professor Centorrino dice che la gente in Sicilia si rifugia in una sorta di supplenza dello Stato, che di volta in volta è familismo amorale, clientelismo e rete mafiosa. Si può cambiare?



«È assolutamente possibile. Anche perché questo affidamento è arrivato al punto estremo di elasticità, non è più in grado di offrire risorse, ma le brucia drammaticamente. È un sistema che favorisce la rete dell’illegalità, lo scambio di favori al posto dei diritti, che perde di vista i veri bisogni della gente. Alla fine salta».



Siamo entrati nell’era post-cannoli alla Cuffaro?

«Sono convinta che questo sia un momento particolare della storia della Sicilia per una serie di ragioni. La chiusura anticipata di questa legislatura, per il modo in cui si è chiusa l’esperienza Cuffaro, ha fatto malissimo alla Sicilia, alla sua immagine e all’immagine dei siciliani e questo viene avvertito dalla gente. Ma abbiamo anche dei segnali straordinari: la posizione di Confindustria regionale; il fatto che il contrasto al racket e al pizzo piuttosto che essere un luogo di solitudine è diventato un luogo di elaborazione, di proposta e di solidarietà. Si percepisce un nuovo clima e un nuovo modo in cui i siciliani avvertono se stessi e quanto è avvenuto con la gestione Cuffaro. Quello che resta da capire è se questo momento straordinario riesce ad essere anche il momento in cui quel 31% di indecisi di siciliani che vanno alle urne capisce che la svolta è qui e che si può imboccare una strada nuova. Durante i miei comizi l’entusiasmo maggiore arriva quando dico che nella pubblica amministrazione si dovrà entrare solo per pubblico concorso. Questo vuol dire che siamo arrivati a un punto di rottura con il sistema clientelare e un po’ mafioso che finora ha imperversato. Si tratta di ammortizzatori sociali rispetto ai guasti del governare, il fatto che non ci siano crescita, occupazione, controllo della spesa pubblica non è privo di responsabilità. Paradossalmente il cattivo governo prepara tutte le condizioni per rendere vincente l’arma del ricatto».



Lei ha aperto la campagna elettorale dicendo che la legalità è la priorità assoluta. Il Pdl su questo tace. Ma i sondaggi lo danno in vantaggio. Il vento del cambiamento non è un po’ debole?



«Questo è il vento di cambiamento più forte che io abbia mai sentito. A questo aggiungo che quando noi ragioniamo di mafia parliamo del contrasto affidato alla magistratura, alle agenzie tradizionali, mentre c’è un altra forma di contrasto fondamentale che va messa in atto. Oggi la presenza mafiosa sul territorio modifica le regole di concorrenza e premia l’impresa illegale, perché l’impresa che prende il prestito dalla mafia anziché dalla banca, che si fa proteggere i cantieri, che sfrutta il lavoro nero, che non adotta le misure di sicurezza e che inquina, è concorrenziale. Qui l’impresa sana non ha mercato, diventa marginale. Io propongo una “bollinatura” dell’impresa sana, che significa sgravi fiscali, rapporti privilegiati con la pubblica amministrazione, ampi spazi di autocertificazione, cioè quel riequilibrio che dimostra che ciò che paga non è la mafia, ma è la regola. Come diceva Max Weber nel 1929 fuori delle regole del mercato c’è solo il capitalismo di rapina o il capitalismo politico. Cuffaro che fa? Scrive sui manifesti “la mafia fa schifo”? La Regione che ha fatto per corrispondere coerentemente a quello che dice Confindustria siciliana? Tra il mio programma e il decalogo di Confindustria c’è assoluta armonia. Ci siamo messi d’accordo? No. C’è armonia perché la modernità è una, quella».



La Sicilia senza tempi, delle pratiche infinite e di quelle velocissime. Come si interviene?



«Intanto sulla riorganizzazione della macchina burocratica della Regione semplificando i procedimenti; introducendo l’innovazione tecnologica; rendendo trasparente la pubblica amministrazione; dando premi ai dirigenti che si impegnano in questa direzione; introducendo il tempo come variabile essenziale dei procedimenti amministrativi. In Sicilia oggi un’autorizzazione possono dartela in sei mesi, un anno oppure mai e senza spiegarti perché».



La spesa pubblica è senza controllo, eppure cresce la povertà...



«La prima cosa da fare è istituire entro 90 giorni una commissione di valutazione della spesa pubblica che faccia il monitoraggio e verifichi la qualità della spesa. Le spese si programmano e quindi si verifica come si procede, non come accade oggi che si buttano i soldi dalla finestra. La Sicilia spende 327 milioni di euro l’anno per il turismo contro i 51 della Toscana; è una vergogna. E non è l’unica: oggi per andare da Siracusa ad Agrigento un treno impiega 7 ore. Per Palermo ce ne vogliono 11. Noi vogliamo partire dalla mobilità interna ed esterna per merci e persone, da porti, interporti, autostrade e ferrovie per far ripartire la Sicilia. Infine, sembra strano dirlo, ma vogliamo l’acqua nei rubinetti di tutta la Sicilia. Serve un intervento massiccio, altro che le due dighe incompiute di Totò Cuffaro».

Con quante donne al governo, intende cambiare la Sicilia?



«Con il maggior numero possibile. Intanto Rita Borsellino sarà presidente dell’Assemblea, Rosario Crocetta assessore ai lavori pubblici. Iniziamo a fare un po’ di pulizia».



Se va male in Sicilia torna in Senato come presidente?



«Mah, non lo so. Io sto pensando a vincere qui».

I sondaggi dicono che il Senato è a rischio pareggio. Lei sostiene che in quel caso si devono fare le riforme, compresa la legge elettorale e poi si deve tornare alle urne. Tre tornate elettorali in meno di quattro anni. Non si chiede troppo agli italiani?



«Questa non è davvero nostra responsabilità. Se avessimo fatto la legge elettorale oggi non ci troveremmo in questa situazione. Berlusconi ha mentito sapendo di mentire quando diceva che aveva trenta senatori in più. Avremo di nuovo un Senato imballato, mille tra deputati e senatori e ancora la navetta. Qualcuno dovrà prendersi questa responsabilità».



Grande coalizione?



«No. L’Italia ha bisogno di governo. Gli italiani sappiano con chi devono prendersela: con Berlusconi, che ha sparato soltanto balle. L’ultima su Alitalia».



Crede davvero possibile una rimonta in queste ultimi giorni?



«In Sicilia ho già recuperato otto punti, sto lavorando come una tigre per convincere gli indecisi e ho buone ragioni per avere speranza».

Pubblicato il: 28.03.08
Modificato il: 28.03.08 alle ore 8.32   
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« Risposta #6 inserito:: Aprile 10, 2008, 10:58:25 pm »

Finocchiaro: «Noi siamo il nuovo, loro sono premoderni...»

Maria Zegarelli


Ha lasciato la Sicilia soltanto ieri. Lo doveva all’Emilia Romagna, dove è candidata capolista al Senato. «Ho ricevuto un’accoglienza commovente, hanno capito che in Sicilia si sta combattendo una battaglia vera per la democrazia e che quello era il mio posto durante la campagna elettorale». Anna Finocchiaro oggi è di nuovo nella sua terra, la Sicilia di Toto’ Cuffaro e di Raffaele Lombardo (candidatura nel segno della continuità) «non è più la stessa di sette anni fa. E loro, quelli del Pdl non l’hanno capito».

Senatrice, Berlusconi ha definito il presidente della Repubblica un uomo di parte eletto dalla sinistra. Finito il fair play?

«Questo rivela quale è la sua concezione delle istituzioni: le considera una merce da spartire. Come si fa a parlare così del presidente della Repubblica? Evidentemente non ha idee chiarissime sul punto. Ha fatto bene Veltroni a scrivergli quella lettera per richiamargli alcune questioni fondamentali. In un paese dove la politica è normale, dove il patto sociale costituzionale vige a prescindere dalle appartenenze tutto questo non deve succedere».

Come va letta la riabilitazione che Dell’Utri ha fatto dello stalliere di Arcore, Vittorio Mangano?

«Mangano era un signore con un ergastolo per tre omicidi. È un eroe perché non ha detto quello che sapeva o siamo di fronte a un inno all’omertà? È incomprensibile. Gli eroi che conosco io si chiamano Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Rosario Livatino, Pio La Torre, Carlo Alberto Dalla Chiesa. Mi chiedo se i valori su cui fondano la loro identità politica, siano questi, sul fatto che Mangano è un eroe e che il presidente della Repubblica si debba dimettere per dare una Camera al Pd».

Restiamo ai revisionismi: Dell’Utri ha promesso che si rimetterà mano ai libri di storia circa la Resistenza. Come mai secondo lei si parla di questo negli ultimi giorni di campagna elettorale?

«Sono molto nervosi. Dell’Utri è un uomo colto, sa che la storia l’hanno voluta riscrivere solo i tiranni. Se c’è qualche capitolo da aggiungere è sulla Resistenza, semmai».

L’Italia è l’unico Paese occidentale dove i due candidati premier non si confrontano in televisione. Perché?

«Lombardo ha in Sicilia lo stesso atteggiamento che Berlusconi ha a livello nazionale. Ha rifiutato il confronto, glielo ho offerto tante volte, inutilmente».

Dicono: chi è in vantaggio non ha interesse ad andare ad un confronto. Lei lo farebbe?

«Le regole non si cambiano in base ai sondaggi. Se sono così sicuri di vincere non dovrebbero sottrarsi, lascerebbero agli italiani la possibilità di scegliere. Forse la motivazione è altra: nel faccia a faccia, a differenza di quanto avviene dalle dichiarazioni separate, emerge con chiarezza la diversità di visione della società. In questa campagna elettorale si stanno scontrando due visioni: una moderna e una pre-moderna, sia dell’Italia sia della Sicilia. Loro non sono più il nuovo, non sono più niente».

Lombardo ha corretto il tiro: la sua arma è l’autonomia, i fucili non servono più. Come mai questo passo indietro?

«Lombardo ha detto che i siciliani hanno i fucili e sanno come usarli. Mi sembra del tutto evidente che un candidato dovrebbe dire altro. Mai più un fucile in Sicilia: questo dovrebbe dire. Qui i fucili hanno sparato per uccidere, sono stati le armi della mafia. Adesso si è inventato la storia dell’autonomia, ma la sua è un’autonomia senza responsabilità. Nulla a che vedere con quanto sta avvenendo in Sardegna o in Friuli Venezia Giulia, dove c’è un senso di grande responsabilità. Lombardo, come dice Francesco Merlo, ha un modello di autonomia più simile a quello degli accattoni davanti alla porta della cattedrale».

Ma i siciliani lo vogliono o no il Ponte sullo Stretto?

«Ho incontrato migliaia e migliaia di persone: ce ne fosse una che mi ha chiesto il ponte. Non gli imprenditori, non i cittadini, non i professionisti. Tutti chiedono strade, autostrade, ferrovie, porti. Il resto del mondo pensando alla Sicilia pensa a uno dei luoghi geopolitico-economici più importante del mondo, al centro del Mediterraneo. Ho l’impressione che Lombardo pensi alla Sicilia come ultima provincia dell’Impero, piuttosto che come prima regione d’Europa».

Lei ha lanciato un appello alle madri siciliane. Crede davvero che possano fare la differenza?

«Ne sono convinta, devono prendersi la parola in queste elezioni. Quello che è sembrato per tanto tempo il crisma della Sicilia, questo malinteso senso dell’onore, deve essere sostituito da un altro crisma, quello della dignità delle donne siciliane».

Lei qualche settimana fa ha detto che il vento sta cambiando. Sarà sufficiente a cambiare le sorti di queste elezioni che in Sicilia sembrano segnate?

«La Sicilia non è più la stessa di sette anni fa. I siciliani hanno capito che c’è bisogno di un cambiamento vero e questo vento non si fermerà più».

Pubblicato il: 10.04.08
Modificato il: 10.04.08 alle ore 8.19   
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« Risposta #7 inserito:: Aprile 26, 2008, 09:39:40 am »

Finocchiaro: ripartiamo dal Sud. Sui capigruppo evitiamo scontri

Ninni Andriolo


Presidente Finocchiaro, Lombardo vince le elezioni siciliane ma le chiede collaborazione...
«Ha vinto ma si trova di fronte un compito molto difficile...»

Malgrado quel 65% che vanta alla Regione?
«Se è vero che vuole modernizzare la Sicilia, razionalizzare la spesa e dare efficienza alla Pubblica amministrazione, Lombardo avrà un bel da fare. Anche perché dovrà scontrarsi con un pezzo consistente della sua stessa maggioranza. Per questo parla di “opposizione intelligente e colta”. Comunque,
con quelle percentuali si assuma pienamente la responsabilità del governo. Noi faremo un’opposizione intransigente ma responsabile».

Tra Palermo e Roma, lei sceglierà Palermo?
«Anche se opterò per il Senato, mi impegnerò ancora di più perché ciò che è germogliato nell’isola possa crescere e radicarsi. Perché, cioè, da Roma si guardi alla Sicilia e al Mezzogiorno con occhi diversi»

E lei individua un barlume di speranza per un Pd siciliano che raggiunge percentuali così deludenti nel confronto con il centrodestra?
«Io l’ho visto il cambiamento in Sicilia, Si tratta di un processo da coltivare con grande dedizione. Si è appena conclusa la campagna elettorale più bella della mia vita. Ho toccato con mano una Sicilia nuova che si è rispecchiata anche nelle mie liste. Questo pezzo di classe dirigente dev’essere aiutato a emergere».

Quel “nuovo” del quale lei parla assegna però al centrosinistra percentuali più basse di quelle ottenute da Rita Borsellino alle precedenti regionali...
«Nello stesso giorno il Pd ottiene più del 25% alle politiche e non va oltre il 19% alle regionali. E le liste della Sinistra arcobaleno, che nel 2006 avevano raggiunto l’11%, non superano il 3,5%. Ha pesato negativamente, poi, lo spostamento a destra che c’è stato in Italia. E non va sottovalutata la rete di consenso e il radicamento su cui può contare Lombardo»

Lombardo ha esasperato la parola d’ordine dell’autonomia fino a ricadere nel vecchio indipendentismo, ma ha fatto breccia in ceti diversi, trasversalmente...
«Si è fatto paladino di un malinteso autonomismo che, però, non ha declinato fino alle estreme conseguenze. Lombardo, altrimenti, avrebbe dovuto dire ai siciliani che da solo, e senza le risorse dello Stato, potrebbe fare meglio di come fa con l’aiuto dello Stato. Una cosa abbastanza difficile da spiegare vista la condizione in cui versa, ad esempio, la sanità siciliana che ha gestito da anni insieme ai suoi alleati».

Una parte della Sicilia nuova, in ogni caso, è attratta da Lombardo più che dal Pd e dal centrosinistra...
«È possibile che sia così. Muovo da un dato più generale, al quale lego una parte della mia autocritica. Quando grandi masse urbane si ritrovano in una condizione di indigenza la parola d’ordine del cambiamento in qualche modo spaventa...»

Viene in mente il servizio de La7 sulla campagna elettorale di Lombardo. La sua vittoria, tuttavia, non può essere ricondotta solo allo scambio voti-provviste di qualche patronato di quartiere...
«È rassicurante, tuttavia, un sistema in cui c’è l’amico al quale rivolgerti e in cui la campagna elettorale diventa occasione per un lavoro precario di due o tre mesi. Ecco, in una situazione così, se tu parli di cambiamento proponi una normalità che terrorizza chi è più fragile»

Quel sistema vince perché non ha alternative credibili...
«In Sicilia si dice: “cu cancia a vecchia ca nova mali s’attrova”, chi cambia il nuovo con il vecchio si trova male...».

L’isola, tuttavia, ha saputo imboccare spesso strade nuove: la primavera di Palermo, quella di Catania, il Comune di Caltanissetta...
«Certo, e questo dimostra che la Sicilia non è irredimibile...»

Non si registra piuttosto l’incapacità della sinistra di radicare consenso? Bianco, Orlando, Finocchiaro sono leader di rilievo nazionale. Ma ciò non ha garantito un rafforzamento nell’isola delle forze politiche di riferimento. Perché nel centrodestra non è così?
«È vero. Il ceto politico del centrodestra, però, è stato solo occasionalmente impegnato sul piano nazionale e ha lavorato fondamentalmente in Sicilia. La domanda da porsi, tuttavia, riguarda i partiti della sinistra e la fragilità delle loro strutture. Queste elezioni, ad esempio, sono arrivate mentre il Pd era ancora in mezzo al guado»

Quanto ha pesato in Sicilia la polemica con Roma sulla composizione delle liste?
«Io ho deciso di affrontare i risultati di questo voto senza fare alcuna recriminazione...»

Una risposta a chi chiede il commissariamento del Pd siciliano?
«Non è da dirigenti politici abbandonarsi alle recriminazioni e trovare capri espiatori. Bisogna riflettere e guardare avanti. Certo, le liste per le politiche hanno influito. Mancavano i rappresentanti di due province, Ragusa e Siracusa, mentre - come previsto dallo Statuto Pd - c’erano molte candidature nazionali. Nello scontro con l’Mpa tutto ciò non poteva non pesare. Va aggiunto che in Sicilia forse non abbiamo creduto tutti con la stessa forza al fatto che ci stavamo candidando per la presidenza della Regione»

Avrà riflettuto sulla sua campagna elettorale, ha rintracciato errori che non rifarebbe?
«Rifarei quell’esperienza con la stessa passione e lo stesso impegno. Detto questo, però, forse avrei dovuto reclamare con più forza un maggiore coinvolgimento del gruppo dirigente nazionale. Ma mi sono assunta fino in fondo tutta la responsabilità. Voglio ricordare, tuttavia, che non abbiamo perso solo in Sicilia, ma nell’intero Mezzogiorno».

In Sicilia un po’ di più, per la verità...
«Certo, ma il riferimento al Mezzogiorno va fatto anche perché questa discussione sul Pd del Nord mi sembra poco sensata. Nel Paese dove si affermano le leghe, serve una grande forza nazionale. Un Pd che si fa carico di tutto il Paese». Si ai i coordinamenti del Pd nel Nord e nel Sud, quindi? «C’è una questione nazionale, dopodiché è ovvio che ciascuna parte d’Italia ha le sue emergenze da affrontare. Serve un partito che non insegua la Lega, ma sia federato e solidale, capace di non lasciare da solo alcun pezzo del Paese».

Come giudica il risultato complessivo del Pd?
«Abbiamo avuto poco tempo per far passare il nostro progetto per l’Italia e per organizzare la campagna elettorale. Se avessimo avuto anche un’organizzazione più salda le cose sarebbero andate meglio. Ha pesato poi un giudizio ingiusto sul governo Prodi...»

Inevitabile viste le zuffe di questi due anni...
«Presiedendo il gruppo dell’Ulivo al Senato credo di aver dato un contributo per tenere in piedi un governo che ha restituito all’Italia la possibilità di costruirsi un pezzo di futuro. Nelle ragioni del voto, poi, ha pesato anche la difficoltà nostra di comprendere fino in fondo ciò che stava avvenendo nel Mezzogiorno. E io credo che lo sviluppo del Meridione, con il Sud del mondo sempre più importante, debba diventare un’opportunità per l’Italia e per l’Europa. Se poi fossimo arrivati alle elezioni con una nuova legge elettorale, e avendo già cominciato a lavorare sui salari e sulle pensioni, le condizioni sarebbero state diverse»

E adesso da dove si riparte?
«Bisogna radicarsi nei territori, capire bene cosa sta avvenendo nel Paese. E io penso che un gruppo dirigente nazionale in campo da sei mesi, e che subisce una seria sconfitta, dev’essere capace di mostrarsi pienamente solidale. Qui non siamo né gli epigoni della Margherita, né quelli dei Ds. Siamo il Partito democratico. Se riteniamo di aver fatto errori correggiamo la rotta, ma non possiamo né disunirci, né tornare indietro. Abbiamo la possibilità di andare avanti».

La sfida di Roma peserà sul futuro del Pd?
«Sono convinta che vinceremo sia a Roma che nella Provincia. Non credo che ai romani piacciano i domini incontrastati dalle Alpi alle Piramidi. Abbiamo candidati molto seri, Rutelli e Zingaretti. E a chi conviene che Roma si omologhi al governo nazionale? Lo dico anche a coloro che non hanno votato tradizionalmente per noi. Nel centrodestra, tra l’altro, si stanno già scannando per la composizione del governo..»

Ma Berlusconi gode di maggioranze più consistenti di quelle di Prodi....
«In Sicilia Lombardo dice che servono almeno tre settimane per fare la giunta regionale. Ma come, non aveva vinto con il 65%? E anche a Roma i problemi nel Pdl non mancano. La nostra opposizione dovrà essere seria e determinata, e dovrà cercare di evitare il rischio del massimalismo. Dobbiamo essere Partito democratico anche quando siamo all’opposizione, e non solo quando siamo nella maggioranza. Basta con il bipolarismo rissoso. In un Paese serio l’opposizione dev’essere rigorosissima, ma capace di comprendere qual è l’interesse nazionale. Se ci sono scelte strategiche che possono essere condivise, bene. Questo, però, richiede grande responsabilità da parte della maggioranza. E mi auguro che il Pdl la mostri».

Lei presiederà i senatori del Partito democratico?
«Naturalmente sono pienamente disponibile, ma decideranno i gruppi parlamentari. Credo di aver fatto dignitosamente, e in condizioni difficili, il presidente dei senatori dell’Ulivo. Dopodiché, proprio perché ho ricoperto quella carica, sono la prima a difendere l’autonomia dei gruppi parlamentari nella scelta dei presidenti. Una cosa vorrei si evitasse, però: i bagni di sangue. Vorrei che tutto venisse governato con grande serenità, con una interlocuzione il più possibile sincera dei dirigenti del partito. E soprattutto vorrei si evitasse una rappresentazione che non esiste: quella secondo la quale ci sarebbero candidature imposte dall’alto e candidature che vengono dalla base».



Pubblicato il: 25.04.08
Modificato il: 25.04.08 alle ore 8.14   
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« Risposta #8 inserito:: Maggio 15, 2008, 12:03:27 am »

Anna Finocchiaro


Non sarei intervenuta se non avessi netta la percezione che in questo dopo elezioni il nostro partito sta vivendo dannose e scomposte inquietudini.

La sconfitta è stata molto seria, e non solo per la percentuale di consensi, quanto perché l’analisi del voto - per molti versi ancora, almeno per me, incompiuta - ci mostra una nuova geografia politica, in termini di aree, di soggetti, e di temi di riferimento che avremmo la necessità di indagare molto profondamente. È un lavoro che va cominciato subito. Non solo nelle assise di partito. E che richiederà tempo.

Ma se certo scontiamo la «giovane età» del nostro partito, e di ciò che ne può essere derivato in termini di radicamento, se scontiamo errori circa la proposta organizzativa, c’è altro di sostanziale, di strutturale? Veniamo in prima approssimazione a due questioni. La prima: la natura politica del Partito Democratico. Ci siamo detti molte volte che è quella di una forza nazionale riformista.

Una grande forza di cambiamento dell’Italia. Il risultato dell’incontro delle grandi culture riformiste della storia politica italiana. E qui c’è un primo nodo: pensiamo che in sei mesi si sia già conclusa l’opera di costruzione del Pd? Io credo ci sia molto ancora da fare. Non possiamo pensare che la ricerca di quella identità culturale e valoriale che abbiamo cominciato a delineare si esaurisca nell’aver scritto una carta dei valori, uno Statuto e un codice etico. Io credo ci sia da lavorare, ce lo dice anche il voto, su un doppio binario: quello dell’ascolto del Paese e quello del radicamento e della costruzione dell’identità del Pd. Insisto su questa parola. Io credo sia arrivato il momento di lavorare per una più compiuta identità, che sia nuova sintesi e non compromesso tra le nostre diverse anime, che riesca ad intercettare il respiro di quella parte dell’Italia che davvero vuole rimettere in moto il Paese. Per fare questo ci vuole tenacia, fatica, tempo e sedi proprie.

Abbiamo cinque anni di tempo e sgombriamo il campo dall’illusione che questo governo nel giro di pochi mesi imploda. Lavoriamo con umiltà e senza pensare, come spesso purtroppo accade, che l’efficacia di una scelta politica si esaurisca nel giro di sei mesi o ad ogni tornata elettorale.

Tutti poi abbiamo convenuto sulla necessità di un partito a vocazione maggioritaria. Ne abbiamo derivato - e continuo a ritenere corretta questa scelta per il contesto politico in cui è maturata, e per le ragioni che ci hanno mosso ad adottarla - che alle elezioni saremmo andati da soli.

Nessuno di noi ha mai pensato che questo volesse dire splendido isolamento o autosufficienza. Ma tutti abbiamo convenuto sulla necessità di presentarci al Paese con una identità programmatica netta e definita. E se c’è un giudizio unanime e positivo che viene da tutti i commentatori e gli analisti è proprio quello sulla scelta del Pd di essersi presentato da solo alle elezioni con la propria proposta di governo.

Qualcuno ha cambiato idea? Discutiamone con chiarezza.

Peraltro dalla scelta che abbiamo compiuto in campagna elettorale è derivato un primo risultato, la semplificazione dello schema di gioco elettorale. A fronteggiarsi, sostanzialmente, solo due formazioni politiche il Pdl e il Pd. Ottimo risultato, certo, se guardiamo alla frammentazione del quadro politico di due anni fa. Viatico imprescindibile per l’avvio a soluzione del problema, drammatico per l’Italia, della stabilità dei governi e della qualità e rapidità della decisione politica. Ma abbiamo perso le elezioni. Quell’effetto sul sistema politico per noi così apprezzabile, e così specularmente apprezzato ed imitato anche dal centrodestra, non è stato determinante.

Questa affermazione conduce con sé il vero quesito a cui dobbiamo rispondere: siamo certi che un partito riformista abbia, in questa Italia, quella del 2008, una Italia in cui dal 1994 il centrosinistra non è mai riuscito ad essere stabile maggioranza, una forza elettorale superiore al 33-34%? Dico “questa Italia” perché credo sia questo uno dei punti essenziali.

Il nostro è un Paese legato dalla paura e da un diffuso senso di vera insicurezza. Non parlo solo dell’insicurezza di fronte a rischi di aggressione fisica o ai propri beni.

È un Paese che non si fida - nella sua stragrande maggioranza - del futuro e non riesce a proiettare sul cambiamento uno stato di maggiore possibilità di rischio per il conseguimento di miglioramenti nella propria condizione di vita, di lavoro.

Non è un’analisi di comodo. L’abbiamo fatta, e l’hanno fatta autorevoli studiosi e commentatori politici più volte in questi ultimi anni. L’abbiamo sperimentata di fronte alle iniziative liberalizzatrici di Pierluigi Bersani, orientate ad una maggiore democrazia economica. Il tentativo più squisitamente riformista di questi anni della storia italiana, oltre che il più intelligente antidoto al drammatico ritardo dell’Italia nell’offerta di opportunità a imprenditori professionisti, giovani generazioni.

Allora il tema è capire se la nostra offerta politica, l’offerta riformista, sia riuscita ad entrare in relazione positiva con un paese spaventato. Pare di no. Non per ora almeno.

Quanto più il Pd ha offerto il coraggio della sfida riformista, tanto più per una larga parte dell’opinione pubblica questo ha significato timore e spaesamento. Non per quel 33-34%, certo. Ma il resto non era pronto, non si sentiva solidamente assestato, certo di sé e delle proprie possibilità. Non sul piano della modernità, come noi lo intendiamo. La sfida sull’innovazione spaventa, se non hai sotto di te terreno solido. Se guadagni poco, troppo poco, se hai poco da investire e quel poco ti è carissimo, se tuo figlio sta peggio di come stavi tu alla sua età, se la competizione è un incubo, se il tuo territorio è popolato da presenze che avverti estranee, e per molte intime ragioni, ostili.

Ma anche se godi di una rendita derivante da una posizione oligopolistica, se dipendi da un rapporto parassitario con la cosa pubblica, se alla fine “ti aggiusti” in un sistema che non funziona come dovrebbe, ma proprio per questo ti consente di usufruire del piccolo o grande privilegio di un rapporto clientelare con la politica, con i governi, locali o nazionali.

In questo senso il messaggio del Pdl è apparso assai più rassicurante del nostro.

Niente riformismo, di fatto, se non quello di aumentare i redditi diminuendo il carico fiscale (e chi se ne importa di ogni domanda sulla qualità ma anche sulla quantità della spesa pubblica destinata all’assicurazione dei diritti, dall’istruzione alla sanità), e maggiore sicurezza e scacciare i fantasmi dell’immigrazione e dell’illegalità, insieme ad un sottile messaggio antieuropeista che sia d’argine a quelle innovazioni che da lì possano essere imposte.

Rassicurazione. A piene mani. Sanno perfettamente che non è così semplice. Cauti ballon d’essai in questi primi giorni, qualche preoccupazione del premier anche in campagna elettorale, ma giusto per spegnere l’eccesso. Anche la cifra, identica per tutti , con la quale i Presidenti delle Camere e, da ultimo, il Presidente del Consiglio si sono manifestati è quella della rassicurazione.

Dialogo, riforme bipartisan, confronto, talvolta pieno elogio dei predecessori. Perfetto. Sembra vero. Ma sarà vero?

Risponde di certo all’insicurezza dell’Italia. Ma non vedo né intenzione, né la forza di volerla cambiare davvero l’Italia. L’equità compare nelle indicazioni di politica economica, in rassicuranti propositi di colpire i veri “capitalisti”, ma non una parola sulla democrazia economica, sulla liberalizzazione dei mercati, sull’abbattimento degli oligopoli. Il Mezzogiorno è opere pubbliche, subito il Ponte sullo Stretto, alta velocità. E va bene.

Ma il resto, cioè tutto il resto?

Per il resto ci si offre, in sostanza, di associarci alla responsabilità.

È nel crinale della definizione del rapporto tra noi e la maggioranza così come oggi la maggioranza ce lo offre che dobbiamo definire la cifra della nostra opposizione. È molto difficile, perché lavoriamo su un terreno reso abilmente molto scivoloso. Non discuto, com’è ovvio, della naturale attitudine, in un regime bipolare finalmente adulto, di una intesa tra maggioranza e opposizione sulle questioni istituzionali e sulle questioni strategiche per il futuro del Paese. L’ho predicato, peraltro inutilmente, per due anni da capogruppo di maggioranza. Parlo del compito, assai più difficile, dell’opposizione di tenere viva, e motivata, e ansiosa di provarci, quella parte dell’Italia che rischia di essere anestetizzata o neutralizzata da una politica rassicurante che lasci però tutto com’è.

Il nostro lavoro è di lunga lena. Noi dobbiamo prima di tutto consolidare il bacino di consensi del Pd. E cercare di farlo diventare più grande a partire dal lavoro di opposizione che saremo capaci di svolgere. Certo preoccupandoci di dialogare con le altri parti di opposizione, in Parlamento e nel Paese, cercando alleanze anche strategiche. Ma il nostro primo compito è quello di stabilizzare e insieme di allargare l’area del Pd. Nell’inedita responsabilità, peraltro, alla quale siamo chiamati, di offrire il Pd anche come luogo della rappresentanza di valori e interessi e bisogni di riferimento di quell’area della sinistra che è rimasta esclusa dai luoghi della rappresentanza politica. Non parlo di annessioni. Parlo della possibilità di definire, anche in ragione di questo, profili politici e piattaforme di proposte che non guardino, e rispondano, a quei valori, a quegli interessi, a quei bisogni. Per fare tutto questo, per definire tutto questo abbiamo bisogno di tempo e di tutta la nostra forza. Tutta. E abbiamo perciò bisogno di solidarietà e sincerità tra i gruppi dirigenti. E di molta capacità di reciproco self-restrain.

Questo mi piacerebbe fare, questo mi appassionerebbe.

Io, come la Teresa Batista di Jorge Amado, sono stanca di guerra.

Pubblicato il: 14.05.08
Modificato il: 14.05.08 alle ore 10.49   
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« Risposta #9 inserito:: Settembre 21, 2008, 07:26:29 pm »

Anna Finocchiaro: «Il Sud metafora del Paese»

Natalia Lombardo


«Questo paese cade a pezzi», commenta amara Anna Finocchiaro, capogruppo del Pd al Senato, dopo aver partecipato alla Festa democratica a Napoli. Per lei «i mali del Sud sono la tragica metafora di quelli italiani», ma teme che «si rimuova il problema.

«Ci sono difficoltà vere che non vengono rappresentate come tali e, secondo me, neanche affrontate così. Non voglio essere catastrofista, ho il dovere della speranza, ma prima devo capire com´è ridotto il Paese, non posso far finta di non vedere quello che succede».

Il Viminale invierà nel casertano 400 poliziotti «qualificati». Crede che sia la risposta giusta?
«È una primissima risposta. Come gruppo del Pd al Senato abbiamo chiesto che il ministro dell´Interno venga a riferire dell´accaduto. Maroni verrà mercoledì mattina a Palazzo Madama».

Cosa chiederete al ministro?
«Qui non si tratta solo di ordine pubblico: lo sappiamo che 400 uomini servono per l´emergenza, ma chiederemo al governo quali altre iniziative adotterà. Un piano per la sicurezza nel casertano c´era, ma non credo sia stato attuato, lo chiederemo al ministro. La situazione va affrontata con grande serietà e a fondo».

Non crede che si affronti così?
«Mah, ho avvertito una certa volontà di rimozione nell´opinione pubblica e nei media, dai tg alla carta stampata. Lo diceva qui a Napoli Rosy Bindi: siccome sono neri, c´è la camorra, si pensa che il Sud sia "altro da me"»

. Una parte d´Italia data per persa?
«Il Volturno rischia di essere la tragica metafora dei mali del Mezzogiorno, dove si incrociano lo sfruttamento del lavoro, l´immigrazione clandestina, la camorra, un nuovo assetto dei poteri criminali, una disoccupazione impressionante. Ma i problemi che ha il Sud li ha l´Italia».

Ci sono i militari davanti alle ambasciate: il decreto sicurezza del governo è solo di facciata?
«L´abbiamo detto che non avrebbe funzionato. Chiederemo quali sono gli indici di criminalità. Io parlo per la mia città, Catania, dove il disagio sociale cresce a livelli spaventosi, dalla crisi economica alla presenza mafiosa».

Su Catania si apre una parentesi...
«Ecco, io voglio evitare che il Mezzogiorno diventi una parentesi a sé».

Berlusconi sulla strage non ha detto nulla. Che ne pensa?
«Non ha detto niente, aspettiamo che faccia. Non vorrei fosse l´effetto di quella rimozione... Non credo che tutti gli africani uccisi fossero il bersaglio del clan. In Sicilia, a Gela, per uccidere uno la mafia faceva una strage. Probabilmente la vita di un nero, però, conta meno di niente».

Secondo gli investigatori il razzismo non c´entra, la stage è dovuta alla difesa del territorio da parte dei Casalesi.
«Non dubito di questo, né delle indagini, ma non vorrei che la rimozione avvenisse perché erano africani».

Nella rivolta degli immigrati è sbottata la rabbia per la loro condizione di vita.
«La vita di un immigrato clandestino è durissima in Italia, si pensi all´indiano morto di stenti mentre lavorava. O al traffico di esseri umani: siamo diventati molto bravi a sfruttarli nella raccolta del pomodorino, a farli prostituire sulle strade o a farne crepare la metà nel canale di Sicilia... O qualcuno pensa che gli sbarchi di immigrati in Sicilia avvengano senza che la mafia dica una parola? Insomma, si deve scendere nell´inferno e guardare con gli occhi aperti».

Quali sono le proposte?
«Ce ne sono tante per restituire la presenza della legalità in quel luogo. È un lavoro complesso: dove non c´è lo Stato la camorra cresce, non c´è legalità, ci sono meno diritti. E non c´è sviluppo».

La società civile si sta muovendo in difesa della legalità. Colma il vuoto dello Stato?
«Si muovono associazioni laiche e cattoliche. Ho apprezzato la visita e le parole del vescovo di Caserta, quando dice che questo deve diventare un caso nazionale, che la sintesi di quei mali che affliggono l´Italia vada affrontata nel Mezzogiorno, se vogliamo salvare il Paese. Oppure possiamo decidere di amputare il Sud, ma non è certo questo che vogliamo».

Non basta ripulire Napoli, quindi?
«Non basta, anche se non è un´operazione semplice, ma ci vorrà un´azione che vada oltre la superfice. Ci dev´essere lo Stato, ma anche la politica deve credere che il Mezzogiorno sia un valore sul quale investire. E per il Pd, se vuole rientrare in sintonia con il Paese, il Sud dev´essere una priorità».

Pubblicato il: 21.09.08
Modificato il: 21.09.08 alle ore 12.49   
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« Risposta #10 inserito:: Febbraio 12, 2009, 12:35:36 am »

«No ai diktat del premier. Ma certi atteggiamenti nel Pd stupiscono un po’»

di Claudia Fusani


In questi anni ha tenuto in piedi maggioranze risicate e difeso il suo gruppo al Senato con la forza delle unghie e la determinazione della ragione. Ma lunedì sera è stato troppo anche per Anna Finocchiaro, capogruppo Pd a palazzo Madama. «Mi veniva da piangere, era tutto assurdo». «Assassini» gridava Quagliariello. «Sciacalli» replicava lei.

Presidente Finocchiaro, dopo quattro giorni di alta tensione resta una mozione. Perché governo e maggioranza hanno accettato all’improvviso il dietro front? Si narra di una lunga telefonata di Berlusconi con Schifani e Sacconi.
«La reazione della maggioranza è stata così aggressiva e inaccettabile nei confronti nostri e del Capo dello Stato che il Pdl si è trovato sbilanciato. Su un piede solo, in bilico. A quel punto, raffreddati gli animi, credo abbiano dovuto dire sì alla nostra proposta di tornare con calma in Commissione perchè è la via più sensata e ragionevole. Per tutti».

In aula, rivolta a Quagliariello, ha detto anche: “Adesso basta, nulla sarà più come prima”. Cosa intendeva?
«È un messaggio generale, con una doppia direzione. Riguarda lo stato delle relazioni tra maggioranza ed opposizione, i grandi temi su cui stiamo lavorando insieme, dal federalismo alla modifica dei regolamenti parlamentari. Dall’altra c’è la preoccupazione di vedere il Parlamento ridotto a simulacro e dependence di palazzo Chigi in cui le maggioranze possono essere utilizzare in modo eversivo».

Ha accusato la maggioranza di “sciacallaggio”. Perché?
«La questione Englaro è stata fin dall’inizio l’occasione per lanciare da parte del Presidente del Consiglio il “governo dei fatti”. Con l’intimidazione al Senato di fare in fretta, con l’attacco al Colle e con il contenuto del disegno di legge che sbriciolava le sentenze, Berlusconi ha compiuto un’operazione che diceva: non è più tollerabile che siano affidati al Presidente della Repubblica poteri di controllo sull’emanazione dei decreti legge perchè questo rallenta e, come ha detto Quagliariello, uccide. Il Parlamento deve essere il luogo dove si realizzano in 3 giorni i diktat del Premier. Altrimenti, ha aggiunto, si va ad elezioni anticipate e chiede al popolo di cambiare la Carta».

Operazione sofisticata...
«E caricata sotto il profilo emotivo con una forza straordinaria. Ecco perchè quando lunedì accade quello che accade, è coerente che loro attacchino il Presidente della Repubblica (Gasparri, ndr) e ci dicano assassini (Quagliariello, ndr). Tutto questo noi non lo possiamo consentire. Non solo perchè siamo opposizione. Ma perchè difendiamo la Costituzione repubblicana».

Anche il presidente Fini la difende.
«Ha fatto il suo dovere dimostrando coraggio. Lo scandalo è che serva coraggio per difendere la Costituzione. Scandalo in senso evangelico, come lo usa San Paolo. Dimostra ciò che non andrebbe di volta in volta dimostrato e cioè che dovrebbe esserci un a-priori condiviso - la Costituzione e i suoi valori - da parte di chi occupa ruoli istituzionali».

Se Eluana non fosse morta...
«Sento disagio nel nominarla, il suo nome è già stato utilizzato in modo cattivo, bieco. Ora basta, ora silenzio».

Perchè il Pd ha deciso di non fare ostruzionismo sul ddl Englaro?
«È entrato in gioco il senso del limite che la politica deve avere ma che non ho visto nella maggioranza. In queste vicende una battaglia di ostruzionismo diventa solo meschina. Il Pd voleva invece solo poter spiegare la propria opinione in modo limpido e chiaro».

Un modo per coprire divisioni feroci con i teodem del Pd?
«Su questioni così private è normale avere posizioni diverse. Esiste una posizione prevalente nel Pd ma tutte le altre sono parimenti legittime. Tutte vanno rispettate».

Stamani (ieri) Rutelli ha votato con il Pdl, come Baio Dossi, D’Ubaldo e Gustavino. Gli ex popolari si sono astenuti dalla mozione del Pd.
«In questa vicenda il Pd ha incassato due grandi risultati: si riparte dalla Commissione e dal testo che dovrà essere migliorato; il testo della nostra mozione e la dichiarazione di voto sono stati affidati ai cattolici Daniele Bosone e Albertina Soliani. Entrambi hanno lavorato in autonomia e con la piena fiducia del gruppo. La mozione è un risultato importante di fronte al quale certi atteggiamenti mi stupiscono un po’...».

Questi giorni creano comunque un precedente pericoloso?
«Il tentativo di piegare le istituzioni, respinto da noi e dal buon senso della politica, c’è stato tutto e fino in fondo. Purtroppo succederà ancora. Perché è l’idea stessa che Berlusconi ha della politica e del potere».
cfusani@unita.it


11 febbraio 2009
da unita.it
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« Risposta #11 inserito:: Marzo 11, 2009, 11:40:59 am »

RIFORME: FINOCCHIARO, BERLUSCONI DISPREZZA DEMOCRAZIA


 "Le dichiarazioni fatte ieri da Berlusconi sono il segnale di un uso demagogico, populistico, strumentale e sprezzante nei confronti delle forze democratiche con le quali ordinariamente il Presidente del Consiglio si rivolge al Parlamento ed agli italiani".

Lo dice il aula la capigruppo del Pd al Senato, Anna Finocchiaro che chiede subito l'inserimento in calendario della proposta del Pd per il taglio dei parlamentari.

"Berlusconi non ci prenda in giro parlando di raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare per l taglio del numero dei parlamentari.

Invece di dichiarazioni populiste -sottolinea- noi chiediamo qui che venga immediatamente calendarizzata nei lavori parlamentari la nostra proposta, primo firmatario Luigi Zanda, sulla riduzione dei parlamentari".

(AGI) (11 marzo 2009 ore 10.53)

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #12 inserito:: Marzo 26, 2009, 04:14:39 pm »

Lo scontro con Marini prima del voto: alla fine solo Baio e Gustavino votano con il Pdl

Il centrodestra usa le parole come spade, non si sa se per Bagnasco o per il congresso

L'ira della Finocchiaro sui cattolici pd "Gettati al vento tre anni di lavoro"


di GIOVANNA CASADIO

 ROMA - "Abbiamo lavorato tre anni nel Pd sulle questioni etiche, ciascuno ha dovuto transigere rispetto alle proprie posizioni iniziali, fare un passo indietro, arrivare a una "transazione" politica. E ora, sul testamento biologico voi cattolici fate come se niente fosse. Allora li abbiamo buttati al vento questi anni, rifiuto di credere che sia così, che l'asse politico, la mediazione siano ignorati". Anna Finochiaro è di umore nero. Nella riunione dei senatori, convocata alle otto del mattino, la partita tra le due famiglie del Pd - i cattolici e i Ds - si trasforma in una prova di forza. La capogruppo Finocchiaro si sfoga. Ce l'ha con Franco Marini, con la strategia dei cattolici che continuano a gettare ponti al centrodestra. In nome di cosa? Della loro fede, ma dov'è la laicità della politica? Del totem-Bagnasco, ovvero dell'obbedienza ai vescovi?

A inizio giornata non si sa ancora che il Popolo delle libertà - alla vigilia del congresso di fondazione e corroborato dalle sferzate del Vaticano - i ponti di dialogo sul biotestamento li distruggerà tutti: quello con cui Daniele Bosone cerca di introdurre delle eccezioni nell'obbligo di nutrizione e idratazione obbligata; la "terza via" proposta da Francesco Rutelli e Luigi Lusi; l'emendamento di Dorina Bianchi. Ma prima che la blindatura della legge diventi evidente e anzi, l'ala più intransigente pro-life del centrodestra abbia la meglio, gli ex Ppi decidono di giocare in proprio. Puntano di certo a ridurre il danno di una legge incomprensibile, ma anche a marcare la loro differenza e a renderla visibile.

Nell'assemblea dei Democratici la tensione è alta. I laici sono sul piede di guerra. Sospetti reciproci. Non basta che Paolo Giaretta da cattolico s'inalberi: "Attenti, il corpo non appartiene allo Stato, così è proprio il personalismo cattolico che viene tradito". Ma il segnale chiaro dell'insofferenza nei confronti dei cattolici, Finocchiaro lo dà in aula quando dichiara: "A titolo personale voterò l'emendamento di Emma Bonino". Come dire, se ciascuno rivendica la libertà di coscienza, allora la mia di laica vale la vostra di cattolici. La radicale Emma ringrazia e restituisce il favore appoggiando una modifica presentata dalla cattolica democratica Albertina Soliani. Anche Ignazio Marino sostiene un emendamento di Giovanni Procacci. Del resto il Pd non doveva essere un partito "meticcio"?

Finocchiaro telefona a Dario Franceschini. Al segretario - che Berlusconi in senso dispregiativo ha bollato come catto-comunista, e che è un cattolico democratico abituato alle battaglie di laicità - la capogruppo chiede di fare chiarezza. "La posizione del Pd è molto chiara: siamo contrari, è questa la posizione prevalente, con rispetto per la libertà di coscienza", ribadirà lui. E intanto invia al Senato due fedelissimi, Antonello Giacomelli e Francesco Saverio Garofani. Parlano con Marini. Ma il "lupo marsicano", ex presidente del Senato, una vita da sindacalista, sembra fermo nell'idea che bisogna fare breccia nel centrodestra, che i cattolici devono con pari dignità esprimere la libertà di coscienza. Beppe Fioroni, altro leader dei Popolari, condivide.

Solo nell'epilogo della giornata, quando l'articolo 3 della legge sul fine-vita passa nella forma più restrittiva, impedendo - sono parole del ministro Sacconi - "altri "casi Eluana"", allora Marini ritira l'emendamento di cui è co-firmatario con Bosone. Sarebbe stato l'ultimo ponte. Alla buvette Marini mormora tra i denti contro Dorina Bianchi: "Che figuraccia... ". Dorina infatti presentando l'ennesima mediazione sul sondino di fine vita, aveva accettato la riformulazione grazie alla quale il Pdl afferma avrebbe accolto la proposta. Scena surreale. Finocchiaro si dissocia da Bianchi. Lusi ritira la firma all'emendamento riformulato. Nel Pdl, anche Laura Bianconi, pasdaran pro-life si dissocia da Sacconi e dal relatore Raffaele Calabrò. No a aperture anche da Antonio Tomassini. Tutti fanno retromarcia. La leghista Rossana Boldi aggiunge la sua firma.

La mediazione fallisce, Bianchi fa autocritica. E infine, i cattolici del Pd si allineano, solo Baio e Gustavino votano a favore. Finocchiaro torna all'attacco del centrodestra: "Non so se per via di Bagnasco o del congresso del Pdl sabato, il centrodestra è blindato e usano le parole come spade".

(26 marzo 2009)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #13 inserito:: Maggio 14, 2009, 11:04:29 pm »

Palazzo Chigi: da Repubblica invidia e odio contro Berlusconi.


Finocchiaro: abolito il diritto di cronaca?
 
 
ROMA (14 maggio) - «Invidia e odio nei confronti di un presidente del Consiglio che ha raggiunto il massimo storico della fiducia dei cittadini: sono palesi i motivi della campagna denigratoria che La Repubblica e il suo editore stanno conducendo da giorni contro il presidente Berlusconi». È quanto sostiene una nota dell'ufficio stampa della presidenza del Consiglio dei ministri. Il direttore Ezio Mauro risponderà domani sul quotidiano alla nota.

«Attacchi di così basso livello, in vista delle prossime elezioni europee e amministrative, confermano non solo l'assoluta mancanza di argomenti politici concreti di quel giornale e della sua parte politica, ma anche una strategia mediatica diffamatoria tesa a strumentalizzare vicende esclusivamente private - conclude la nota - a fini di lotta politica».

Critica Palazzo Chigi Anna Finocchiaro, capogruppo del Pd al Senato: «È molto grave - dice - che la Presidenza del consiglio dei ministri risponda con un comunicato, e di quel tenore. A meno che a Palazzo Chigi abbiano deciso di abolire il diritto di critica da parte dell'opinione pubblica». «Sarebbe stato molto meglio - continua la Finocchiaro - che, come accade altrove, il presidente Berlusconi rispondesse alle domande fatte da D'Avanzo».

Il quotidiano romano dedica una inchiesta di Giuseppe D'Avanzo che occupa pagina 8 e 9 del quotidiano (con un richiamo di spalla in prima) alle «dieci domande mai poste al Cavaliere». Domande che «La Repubblica» rivolge quindi al premier e che riguardano quelle che il quotidiano definisce «le incoerenze di un caso politico» a proposito del contrasto nato tra Veronica Lario e Silvio Berlusconi all'indomani della partecipazione del presidente del Consiglio alla festa per il 18/o compleanno di Noemi Letizia.

D'Avanzo evidenzia le presunte «incoerenze» della vicenda mettendo a confronto le dichiarazioni dei vari protagonisti e traendone alcune conclusioni. Al termine di questa disamina rivolge al premier le «dieci domande» finora mai poste, a partire da quelle sulle circostanze in cui nacque e poi si sedimentò la sua amicizia prima col padre di Noemi e poi con la ragazza. Fino alla decima domanda che, viste le parole della signora Lario, chiede: «Quali sono le condizioni di salute» del premier?.
 
da ilmessaggero.it
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« Risposta #14 inserito:: Gennaio 22, 2010, 09:50:25 am »

Anna Finocchiaro: «L'interesse privato è la loro priorità»

di Ninni Andriolo


Una maggioranza senza vergogna, è l’interesse privato del Capo del governo la vera priorità del centrodestra...»

Presidente Finocchiaro, con il processo breve siamo al diciannovesimo provvedimento ad personam in ordine di tempo....
«Una sequela ininterrotta che si è perpetuata da un governo Berlusconi all’altro per diverse legislature. Quella attuale è un’operazione a tenaglia: si parte con il processo breve, nel frattempo - alla Camera - si discute il legittimo impedimento, contemporaneamente hanno tentato un decreto legge per ottenere una norma da utilizzare subito nei processi di Milano e, dall’altra parte, si minaccia il Lodo Alfano costituzionalizzato. Tutto questo mentre il Paese attraversa una crisi difficilissima che investe le famiglie, in particolare quelle del Mezzogiorno».

Il Parlamento “occupato” dai problemi privati del premier, quindi. Come se ne esce?
«Il Parlamento usato. Con conseguente spreco di tempo e di risorse pubbliche. Il potere legislativo utilizzato per un unico ossessivo scopo: quello di salvare il premier dai processi che lo riguardano».

Per il senatore Gasparri il processo breve serve a dare giustizia al Paese...
«Questo provvedimento, in realtà, manderà al macero centinaia di migliaia di processi penali e contabili, con il risultato di danneggiare i conti dello Stato e introdurre principi di irresponsabilità per chi amministra risorse pubbliche. Si produrrà non l’abbreviazione dei tempi del processo, ma in una denegata giustizia. Di fronte a questa obiezione la maggioranza non è riuscita mai a dare risposta. L’unica verità che può affermare, infatti, è l’impellente necessità di salvare il premier. C’è da rilevare, tra l’altro, che con le nuove norme, l’unico interesse dell’imputato colpevole sarà quello di portare avanti il processo il più a lungo possibile. Non avrà alcun interesse, infatti, a chiedere un patteggiamento o un giudizio abbreviato»

Dopo il sì del Senato ci sarà, prevedibilmente, anche quello della Camera. Il Partito democratico si opporrà anche nel Paese, fuori dal Parlamento?
«Ogni volta che facciamo una battaglia efficace, come quella che abbiamo condotto in Senato, parliamo al Paese. Vorrei dare valore all’impegno parlamentare anche per evitare che venga vissuto, quasi, come un passaggio burocratico. Ci pensano già altri, il governo e la maggioranza, a mettere in mora il Parlamento costringendolo a timbrare decisioni prese dagli avvocati del Presidente del Consiglio, ad Arcore o a Palazzo Grazioli. Nel Parlamento e nel Paese il Pd deve svolgere il proprio ruolo con questa consapevolezza».

Individua nel processo breve profili di costituzionalità che possano influire sulle decisioni del Presidente della Repubblica?
«Abbiamo presentato in Senato le nostre pregiudiziali di costituzionalità. La maggioranza ha ripulito un po’ il testo, ma noi continuiamo a mantenere delle riserve. Dopodiché vedremo...».

L’ossessione di salvare il premier, come lei la definisce, non rende poco credibile il confronto sulle riforme?
«Le riforme dovrebbero essere varate per arginare una concezione in cui il potere non trova confini e per sbarrare il passo a una prassi costituzionale secondo la quale il Parlamento diventa il luogo della ratifica. Oggi si legifera per decreti legge modificati con i maxiemendamenti, si ricorre continuamente al voto di fiducia. Il Capo dello Stato ha denunciato più volte queste distorsioni. Abbiamo tutto l’interesse di rendere più forte la democrazia italiana con riforme che riescano a restituire forza alle istituzioni e a rendere più agevole il procedimento legislativo. Una grande forza riformista, come la nostra, non può arretrare di fronte all’esigenza di dare al Paese un assetto istituzionale equilibrato e moderno».

E c’è il clima giusto, oggi, per ottenere i risultati che lei auspica?
«È ovvio che la maggioranza si assume la responsabilità di un certo clima e su di lei certamente oggi grava un giudizio di inaffidabilità. La prima garanzia di ogni relazione positiva, anche di quella politica quindi, è il riconoscimento e il rispetto reciproco. E se andranno avanti con questo andazzo tutto potrebbe complicarsi, malgrado avverta come impellente la necessità delle riforme. Per fare riforme utili al Paese ci troveranno sempre pronti, non ci troveranno pronti per fare ciò che hanno fatto oggi (ieri, ndr.) al Senato»

La parola confronto evoca immediatamente il fantasma dell’inciucio, a maggior ragione in rapporto a una maggioranza “ossessionata” dai processi del premier...
«Sbaglia chi accusa d’inciucio coloro che vogliono le riforme. Non si capisce che, in questo momento, stare fermi significa consentire che si affermi una gestione del potere che punta a stravolgere la stessa regola costituzionale».

21 gennaio 2010
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