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Autore Discussione: Il ritardo del Paese impone le riforme  (Letto 2183 volte)
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« inserito:: Ottobre 27, 2008, 06:48:23 pm »

Il ritardo del Paese impone le riforme


di Giovanni Sabbatucci


ROMA (26 ottobre) - Le manifestazioni di piazza, specie se ordinate e pacifiche, sono - è persino banale ripeterlo - una componente naturale delle democrazie. Quando poi coinvolgono, come nel caso di quella organizzata ieri dal centro-sinistra contro il governo Berlusconi, parecchie centinaia di migliaia di cittadini, rappresentano un segnale che sarebbe colpevole ignorare da parte di chi governa il paese. L'anomalia, tutta italiana, non sta tuttavia nell'evento in sé, ma piuttosto nella regolarità con cui si ripropone più o meno a ogni inizio di legislatura (alla fine del 2006 fu il centro-destra a mobilitarsi con parole d'ordine forti contro il governo dell'Unione, dipinto con i tratti inquietanti del regime), anche a prescindere dalla protesta specifica contro questo o quel provvedimento. L'iniziativa di ieri era stata decisa ben cinque mesi fa con l'obiettivo, invero alquanto generico, di "salvare l'Italia".

E forse gli organizzatori devono essere grati ai provvedimenti sulla scuola del ministro Gelmini (e a qualche esternazione un po' sopra le righe del presidente del Consiglio) per aver fornito alla mobilitazione un clima adatto e qualche slogan efficace. Si ha l'impressione, insomma, che la manifestazione di ieri, come quelle che l'hanno preceduta negli ultimi anni, sia servita non tanto a far vacillare l'esecutivo o a indurlo al ritiro di misure specifiche, quanto a rinfrancare l'opposizione, a segnarne l'identità e a restituirle compattezza: obiettivo, quest'ultimo, che nel tempo breve può considerarsi senz'altro raggiunto (anche se i motivi di divisione interna restano e pesano).

Poco male, si dirà. Quella delle manifestazioni a scopo dimostrativo non è certo la principale anomalia italiana né la più dannosa. Anzi, un'opposizione più forte e più sicura di sé non può che giovare alla genuinità e alla produttività del confronto politico. A patto però che il successo di piazza non sia considerato un fine in se stesso. A patto che siano mantenute le promesse formulate dai leader dell'opposizione: in particolare da Bersani che, intervistato nel corso della manifestazione, ha garantito a nome del suo partito un impegno serrato sui contenuti in tutte le sedi istituzionali. E' evidente, e lo riconoscono tutti, che il paese ha bisogno di riforme incisive, capaci di conferire efficienza alla macchina statale e di restituire slancio al sistema produttivo, tanto più in una fase di recessione ormai conclamata. E' altrettanto evidente che le ricette per raggiungere questi obiettivi sono diverse a seconda degli schieramenti politici. Ma è auspicabile che il confronto sia soprattutto un confronto fra proposte di riforma e che l'opposizione resista alla tentazione di trincerarsi, nella scuola come nella pubblica amministrazione e nello stesso mondo produttivo, in difesa di uno status quo ormai insostenibile. Anche dalla Banca d'Italia è giunto ieri un duplice e inequivocabile richiamo: la scuola va cambiata e gli italiani devono lavorare di più e meglio

Qualche spunto propositivo - sul sostegno ai redditi bassi, sulla riduzione del carico fiscale, sulla necessità di rinnovare il sistema universitario - era presente nel lungo discorso di chiusura di Walter Veltroni: un discorso peraltro tutto impostato, forse al di là del prevedibile, su toni polemici e accusatori. Un discorso in cui il leader del Pd ha evidentemente sollecitato le pulsioni profonde della sua platea, non risparmiando nessuno dei temi classici dell'antiberlusconismo e indulgendo reiteratamente alla retorica di una "Italia migliore dei suoi attuali governanti" (eppure sono stati gli italiani, non i francesi o i cinesi, a dare pochi mesi fa una solida maggioranza al governo di centro-destra).

Quei toni e quegli argomenti, dettati in parte dalle circostanze (l'abbraccio della piazza, la necessità di motivare e ricompattare il fronte di opposizione), non sono però quelli su cui si dovrà fondare, a partire da domani, il confronto in Parlamento sulle cose da fare, che sono molte, difficili e urgenti. Per questo è necessario che il centro-sinistra riapra qualche spiraglio di dialogo con la maggioranza. E che, d'altro canto, il presidente del Consiglio non aspetti la prossima generazione per riallacciare col Partito democratico quel rapporto civile che era sembrato delinearsi all'indomani delle elezioni. Governo e opposizione facciano ciascuno il proprio mestiere. Si combattano anche duramente nel Parlamento e nelle altre sedi deputate. Ma si scontrino su ciò che fanno, o che vorrebbero fare, non su ciò che sono, o che si vorrebbe non fossero. In una società plurale e complessa, nessun soggetto politico può coltivare il sogno della propria piena autosufficienza. Tanto meno nel momento in cui il paese attraversa un momento difficile e la società civile, compresa quella che ieri manifestava al Circo Massimo, chiede prima di tutto di essere governata.


da ilmessaggero.it
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