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Autore Discussione: Montanelli & Spezzafumo  (Letto 2538 volte)
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« inserito:: Luglio 21, 2007, 11:54:23 pm »

In occasione dell’anniversario, un racconto del grande giornalista ispirato a un personaggio di D’Annunzio

Montanelli & Spezzafumo

 
Il protagonista di questo inedito montanelliano era certamente noto nell’ambiente giornalistico degli anni Cinquanta o Sessanta, epoca a cui si può far risalire il testo dattiloscritto, non datato, conservato nell’archivio della Fondazione Montanelli Bassi di Fucecchio.Di lui scrisse infatti, oltre a Orio Vergani—come affermaMontanelli—anche Giancarlo Fusco in alcune pagine ripubblicate recentemente nel volume Il gusto di vivere (Laterza, 2006). La carriera di questo imbroglione – una «simpatica canaglia» lo aveva definito Mussolini – è presto detta. Figlio di un siciliano e di un’araba, si era distinto come squadrista e picchiatore tra il 1919 e il 1921. Messo da parte come figura imbarazzante per lo stesso Regime, fu poi riciclato su raccomandazione del gerarca romagnolo Leandro Arpinati e spedito con le truppe di occupazione in Libia, dove si pensava di utilizzarlo per la sua vantata conoscenza dell’arabo. Condannato in seguito all’episodio a cui fa riferimento il racconto di Montanelli, «Spezzafumo» riuscì ancora una volta a farla franca ed emigrò in Argentina. Il fatto che l’identificazione del protagonista di questo breve racconto con il malinconico «compagno dagli occhi senza ciglia », di cui scrive Gabriele d’Annunzio nelle Faville del maglio, desti qualche perplessità niente toglie alla vivacità del ritratto che proponiamo alla lettura nel sesto anniversario della scomparsa di Indro Montanelli.

Alberto Malvolti
presidente della Fondazione Montanelli Bassi


Storia di un legionario truffaldino che imbrogliò anche Mussolini

Questo cognome è così unico, che nessuno si è mai curato di saperne il nome. Forse se lo ricordava soltanto Vergani, che di lui deve aver lasciato scritto qualcosa. Quando morì, appunto con Vergani andammo a Napoli per cercare di ricostruire le origini di questo pittoresco personaggio, che napoletano si diceva. Ma non ne trovammo traccia. Chissà di dov’era. Spezzafumo è il «compagno dagli occhi senza ciglia» di cui parla D'Annunzio, che lo ebbe compagno di scuola al «Cicognini». Ci voleva proprio D’Annunzio per trasfigurarlo in eroe di romanzo. L’esserlo diventato, e grazie alla penna del più aulico poeta italiano, forse contribuì non poco ad arruffare le idee e le ambizioni di quest’uomo senz’altra vocazione che quella al piccolo imbroglio. Per un pezzo campò alle spalle del Vate, alla cui porta di Gardone andava ogni tanto a bussare. Il Vate non lo riceveva, maregolarmente lo gratificava di un assegno e di una lettera, in cui lo accreditava anche come legionario fiumano, cosa che Spezzafumo non era mai stato. Un giorno scomparve.Aripescarlo fu Guelfo Civinini, che lo trovò a Tunisi o ad Algeri— non ricordo — imbrancato con venditori indigeni di noccioline. Civinini accarezzava l’idea di costituire una «Legione di pionieri» per colonizzare la Libia. Spezzafumo se ne dichiarò entusiasta e, vantando la propria dimestichezza con la lingua araba (imparata, diceva, da una nutrice algerina), si propose come aiutante di campo. Riferisco quanto me ne ha sempre raccontatoVergani, perché io a quei tempi andavo al ginnasio.

La «Legione dei pionieri» piacque a Mussolini, che ne approvò il progetto «romano e imperiale», e per essa coniò la famosa frase: «È l’aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende». In realtà le sue reclute l’aratro non lo avevano mai visto e, più che spade, erano avvezzi a maneggiare coltelli: si trattava di vecchi avanzi di galera trasteverini in cerca di soldo. Quando la Legione partì da Napoli alla volta di Tripoli, le tenutrici dei bordelli fecero celebrare un TE DEUM di ringraziamento per la liberazione da quei clienti che avevano sempre consumato senza pagare. Il Conte Volpi, governatore della Libia, si mise invece le mani nei capelli. Ma con la consueta abilità non ostacolò l’impresa; lasciò che fallisse da sola. In capo a pochi mesi, della Legione non rimase che il candido Civinini, col «sombrero» in capo e il gagliardetto in mano, e Spezzafumo. La truppa si era dispersa. I più tornarono in patria col foglio di via. Altri si arrangiarono con grossi o piccoli traffici. Uno di questi fu quel famoso «Monopolio delle banane» che riuscì a sopravvivere fino al ’63 e che solo lo scandalo di Trabucchi e BartoliAvveduti riuscì a far sopprimere. Di Spezzafumo ancora una volta si persero le tracce fin quando un gruppo di giornalisti in visita comandata a Tripoli lo scovarono nel quartiere indigeno regolarmente accoppiato con una «sciarmutta » e padre di un bastardo. Ne parlarono aVolpi.Gli dissero che non si poteva lasciare in quelle condizioni il «compagno dagli occhi senza ciglia», legionario fiumano eccetera.

Volpi lo convocò e, sentito che sapeva l’arabo, lo mandò a Gadamès come interprete di Graziani, che in quel momento si preparava a dare il colpo di grazia al Gran Senusso, capo dei guerriglieri beduini. Spezzafumo si presentò con la sua divisa di capitano e le sue decorazioni. E per qualche tempo ebbe vita tranquilla nel fortino di Graziani. Un giorno, però, fu invitato a salire precipitosamente sulla torre col megafono: i ribelli si stavano avvicinando ad offrire la resa. Spezzafumo fu incaricato di gridar loro, in arabo, a quali condizioni dovevano sottostare. Aveva pronunciato poche parole che Graziani vide, con costernato stupore, i beduini fare dietro-front e darsi a precipitosa fuga. Con loro scompariva all’orizzonte la «greca» di Generale.
Fu uno «sciumbasci» a svelargli, poco dopo, il mistero: lungi dall’incoraggiare quegli uomini alla resa, Spezzafumo non aveva urlato loro che una serie d’improperi come «figli di puttana» eccetera. Arrestato emesso alle strette, Spezzafumo riconobbe di non conoscere, in arabo, altro vocabolario che quello, imparato a orecchio dai venditori di noccioline diTunisi.Graziani voleva il tribunale di guerra e la fucilazione per alto tradimento. Poi tutto finì all’italiana con un semplice rimpatrio.

Anzi, Spezzafumo ebbe anche dal MINCULPOP un sussidio come reduce di Fiume, e dicono che lo integrasse con uno stipendiuccio dell’OVRA cui tuttavia, ne sono sicuro, non fornìmai nessuna delazione. L’ultima volta che lo vidi fu alla vigilia della guerra, in piazza di Spagna. Mi chiese cosa doveva fare del suo palazzo di Napoli. Gli dissi che al suo posto lo avrei venduto. «Hai ragione — rispose —,ora faccio un telegramma amia sorella ». Staccò un foglio dal taccuino e vergò, allungandole all’infinito, una cinquantina di parole. Poi le contò e disse: «Ci vorranno almeno trenta lire. Me le presti?». Aveva inventato addirittura un palazzo e una sorella per scroccare trenta lire. Anche se non era napoletano, meritava di esserlo.

Indro Montanelli
21 luglio 2007
 
da corriere.it
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