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Autore Discussione: Achille SERRA. Se si risparmia sui militari  (Letto 3601 volte)
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« inserito:: Ottobre 21, 2008, 08:42:13 am »

Se si risparmia sui militari

Achille Serra


Il sostegno alla partecipazione italiana alle missioni internazionali di pace rappresenta in questo periodo una delle rare eccezioni al quotidiano muro contro muro ingaggiato tra maggioranza e opposizione dopo il definitivo fallimento delle prove di dialogo. All’unanimità il Senato ha approvato pochi giorni fa il decreto legge che assicura la nostra presenza in Georgia al fianco della Ue e stessa sorte toccherà probabilmente al provvedimento d'urgenza con cui il governo ha deciso il rifinanziamento delle missioni all’estero.

Votare a favore di questa misura è un atto dovuto anche per l’opposizione, sia perché si tratta di scelte riconfermate da legislature diverse, sia perché il nostro contributo alla risoluzione dei conflitti in numerose zone del pianeta è ancora di primaria importanza. Ciò non toglie però che la mia coscienza di parlamentare e soprattutto di uomo dell’Ordine, abituato a ragionare in termini di possibilità concrete, prima che di nobili ideali, non dorme sonni tranquilli. Da mesi, non solo il Pd, ma tutti i massimi organi di rappresentanza del comparto Difesa, denunciano le drammatiche conseguenze dei tagli alle Forze Armate stabiliti dalla manovra economica dell’Esecutivo. Qualche giorno fa il Consiglio Supremo della Difesa ha tracciato un piano di riordino del settore che, per far fronte ai restringimenti finanziari, riduce i nostri militari di oltre 40mila unità, decreta la chiusura di caserme e arsenali, diminuisce le nostre strutture permanenti all’estero. E, soprattutto, sottrae risorse fondamentali alla formazione e all’aggiornamento del sistema. Il Capo di Stato maggiore della Difesa, Vincenzo Camporini, ha ribadito davanti al Csd:le Forze Armate si avviano a divenire un mero erogatore di stipendi. Impressionante, infatti, la previsione di riduzione delle esercitazioni, 7.500 nel 2008, neanche tremila nel 2009. L’Aeronautica militare avrà a disposizione un terzo delle ore di volo rispetto a quest’anno, mentre per la Marina la diminuzione è di quasi la metà. Significativo il commento di Camporini: "fare a meno di ore di moto, di volo e meno esercitazioni significa poter contare su un numero più ristretto di personale e di assetti adeguatamente addestrati da poter impiegare sia in missioni internazionali sia in prontezza operativa". Un "ciclo perverso", lo definisce Camporini, confermato la settimana scorsa, durante un incontro con la Commissione Difesa del Senato, anche dalla Marina Militare che ha così riassunto gli effetti dei tagli operati sino al 2008: "riduzione dei livelli di addestramento e prontezza operativa del personale"; "riduzione del livello di efficienza e della disponibilità operativa dello strumento militare marittimo"; "riduzione dei livelli di scorte di materiali, combustibili e dotazioni". Allarmanti i dubbi del generale Leonardo Tricarico, ex Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica e Consigliere militare del II Governo Berlusconi: "Siamo certi che i piloti inviati in Afghanistan siano sufficientemente addestrati? Perché da anni stiamo economizzando su tutto. Stiamo tagliando ore di volo, non c’è più carburante per garantire un addestramento adeguato". Da anni, dunque. Non voglio qui attribuire una colpa esclusiva al governo in carica, anche se proprio questa maggioranza ha fatto del sostegno alle Forze di Polizia e alle Forze Armate il baluardo della propria campagna elettorale. È, tuttavia, opportuno, alla vigilia dell’approvazione del rifinaziamento delle missioni internazionali, invitare l’Esecutivo e i Parlamentari di maggioranza a chiedersi se è giusto risparmiare sulla preparazione e sull’equipaggiamento dei nostri soldati, uomini che pagano a caro prezzo la loro vocazione professionale, spesso con la vita. E ricordare che l’Italia, giustamente orgogliosa della propria partecipazione alle missioni internazionali, rappresenta una vergognosa eccezione nello scenario europeo: mentre, infatti, gli altri Paesi membri dell’Ue riservano in media alla Difesa l’1,42 per cento del prodotto interno lordo, noi ci fermiamo appena allo 0,87 per cento.In conclusione, occorre scegliere tra due alternative: o riduciamo drasticamente la nostra presenza nelle missioni di pace o istituiamo un apposito fondo immune dai tagli che, finanziaria dopo finanziaria, stanno colpendo il comparto Difesa. Non scegliere significa, in prospettiva, mettere a rischio la vita dei nostri militari e pregiudicare l’efficacia del nostro contributo alla risoluzione delle crisi internazionali.

Pubblicato il: 20.10.08
Modificato il: 20.10.08 alle ore 10.29  
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« Ultima modifica: Gennaio 25, 2016, 12:14:21 pm da Arlecchino » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Ottobre 23, 2008, 11:59:53 pm »

Il pericolo del pugno di ferro


Achille Serra


«Avete 4-5 anni per fare il callo su queste cose. Io non retrocederò di un millimetro». Sembra l’ultimatum del padre “ex studente modello” al figlio scapestrato che non ha voglia di studiare e viene messo in punizione. Finché, crescendo, non capirà che tutto è fatto per il suo bene. Un atteggiamento messo all’indice decenni fa da psicologi e pedagogisti.

Farebbero quasi sorridere le frasi tuonate ieri contro i ragazzacci comunisti che intralciano il lavoro del ministro Gelmini, se non si pensasse al rischio di conseguenze drammatiche. Un rischio, che chiunque abbia un po’ di buon senso e di memoria storica, non può sottovalutare. Dopo la rabbia e il senso di ridicolo suscitati nei mesi scorsi dai provvedimenti del Governo sulla sicurezza - dalla schedatura dei bambini rom allo schieramento dei soldati nelle città - ora è il momento della paura.

La politica degli annunci e della voce grossa ha fatto un pericoloso balzo in avanti mostrando, incosciente, il pugno di ferro. Migliaia di studenti, al fianco di insegnanti e genitori, stanno manifestando in tutta Italia contro il decreto in materia di istruzione e università e i relativi incredibili tagli dei fondi. E il governo non trova soluzione migliore che affidare la questione alle forze dell’Ordine. Una follia.

La mia generazione ricorda bene i tragici esiti del muro contro muro che ha opposto Stato e studenti alla fine degli Sessanta. E chi, come me, ha vissuto in prima linea gli scontri che hanno trasformato gli atenei in campi di battaglia e provocato vittime su ambo i fronti, oggi non può che richiamare l’assoluta inutilità di tanta violenza. Troppo tardi, allora, ci siamo accorti che l’unica strada per trovare un accordo e sconfiggere la reciproca diffidenza, era quella del dialogo. Se la Storia, tuttavia, davvero insegna qualcosa, il momento di mettere in pratica la lezione è arrivato.

Per esperienza so che l’appello al dialogo non è solo un vano esercizio di retorica. Confrontarmi con «l’altra parte delle barricate», mi ha permesso di venire a capo delle situazioni più critiche, prima come Questore, poi come Prefetto.

Alla volontà di dialogare si deve forse uno dei più grandi successi degli ultimi anni in tema di ordine pubblico, il Social Forum di Firenze. Quando, all’indomani dei tragici fatti di Genova, il capoluogo toscano, città d’arte per eccellenza, fu scelto come teatro di quel raduno, nessuno era pronto a scommettere sul buon esito dell’evento. A cominciare dal Governo, lo stesso in carica oggi. Se Firenze uscì non solo illesa, ma valorizzata dall’esperienza del Social Forum, momento esemplare di convivenza civile, fu grazie all’incessante scambio tra gli organizzatori e i responsabili della sicurezza. Per avere la meglio sulla reciproca ostilità dei primi giorni, servirono settimane di dialogo, un dialogo inteso non come sottomissione all’altro, ma come capacità di ascolto e di messa in discussione delle proprie convinzioni.

Perché, è inevitabile chiedersi adesso, il Governo anziché fare tesoro delle esperienze del passato, indugia a giocare con il fuoco? Com’era scontato, davanti alle minacce, i ragazzi hanno alzato i toni della protesta, assicurando che non faranno marcia indietro: da sempre l’arroganza di chi esercita il potere, infonde coraggio in chi deve ubbidire. Certo, la violenza non è mai giustificabile e ogni reazione che oltrepassi i confini dello scontro verbale, va condannata in maniera netta e decisa. Ritengo, tuttavia, che prevenire queste degenerazioni sia innanzitutto compito e responsabilità di chi governa. L’unico conforto è sapere che il ministro Maroni, con il quale in passato ho avuto modo di collaborare, è persona in grado di mantenere la calma e di gestire le emergenze con la dovuta serenità.

«Abbassare i toni», come ha chiesto il ministro Gelmini è davvero il solo modo per trovare un compromesso: sia dunque la titolare della Pubblica istruzione a dare il buon esempio, facendo il primo passo. Il sistema scolastico e universitario italiano ha senz’altro bisogno di una riforma, ma essa non può essere imposta a suon di decreto d’urgenza, senza tenere in debita considerazione tutte le parti coinvolte. Prima che, ancora una volta, sia troppo tardi, si apra dunque il tavolo del confronto e si stralci un provvedimento che sempre di più assume l’aspetto di una punizione immotivata.

Pubblicato il: 23.10.08
Modificato il: 23.10.08 alle ore 8.56   
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