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Autore Discussione: Parte l’Europa post-Maastricht  (Letto 2707 volte)
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« inserito:: Ottobre 20, 2008, 05:42:01 pm »

Dopo la tempesta

Ecco come può cambiare l’architettura del Vecchio Continente.

La Bce più orientata alla vigilanza,

Parte l’Europa post-Maastricht,

Il crollo dei mercati ha rivoluzionato le regole, preparando il terreno per il riassetto


Nicholas Sarkozy, presidente francese e presidente di turno dell’Unione Europea, lo ha detto chiaro: «Era un mondo diverso, fino a ieri. Adesso è tutto cambiato». Ed è proprio così: l’Europa che riemerge faticosamente dalla tempesta finanziaria, dopo il Consiglio europeo, sembra un continente nuovo, ridisegnato nelle sue regole. Non è solo un problema di banche sofferenti o avventate che implorano un paracadute statale. È l’intera architettura politico-finanziaria della Ue, la cornice, che dopo molti decenni viene rimessa in discussione. Soprattutto nei suoi pilastri fondamentali, in quei principi che sembravano tabù e che ora vengono riplasmati sotto il pungolo dell’emergenza.
Patto di stabilità e crescita
È il cosiddetto «muro del 3 per cento», che in base ai parametri di Maastricht fissa i requisiti per l’adesione all’Eurozona, e che è stato eretto dagli Stati membri per consolidare le politiche di vigilanza sui debiti pubblici. Fino a ieri stabiliva, appunto, che il deficit pubblico di un singolo Paese non potesse superare il 3% del prodotto interno lordo, e che il debito pubblico non dovesse superare una quota (non obbligatoria ma consigliabile) del 60% del Pil. Un principio fondamentale che, pur adattandosi alle esigenze più attuali, discendeva direttamente dagli impegni presi all’origine dell’Unione europea, con il Trattato di Roma. Ma ora?
Ora la Commissione europea ha annunciato che, essendosi verificate «circostanze eccezionali», scatta la possibilità di tollerare anche un deficit «temporaneamente» superiore al 3% del Pil, «di qualche decimale». In poche parole: il muro è stato alzato. E di conseguenza, si allargano anche i limiti di tolleranza del debito pubblico: non solo per l’Italia, che da anni è già sopra il 100% del proprio Pil, ma anche per Francia, Germania o Gran Bretagna, che in quest’ultimo anno hanno oscillato sulla soglia a rischio. Quanto all’obiettivo di avere un pareggio in bilancio entro il 2010 o al massimo 2011 (l’Italia) o 2012 (la Francia), nessuno a Bruxelles ne ha più parlato. Alla fine, il vero tabù (anche se non dichiarato) è diventato questo.
Aiuti di Stato
È forse il settore che ha visto i cambiamenti più clamorosi. C’erano già stati segnali rivelatori, prima della crisi: il salvataggio della banca Northern Rock da parte del governo britannico, le acrobazie del governo francese intorno alla Société Générale. Ma il principio dell’illegittimità degli aiuti di Stato, quando accordati in violazione della libera concorrenza, era rimasto fermo. Almeno in teoria. Ora invece Neelie Kroes, la commissaria europea alla Concorrenza, deve accettare (e anche in teoria, oltre che nei fatti) ciò che, fino a un anno fa, non avrebbe mai accettato: i singoli Stati che entrano nel capitale delle banche boccheggianti, dal caso della Fortis in Belgio a quello delle sei banche irlandesi rianimate in extremis da Dublino. Non solo: anche le iniezioni di ricostituente, i milioni e milioni di euro promessi alle industrie automobilistiche colpite dal calo della domanda, probabilmente un tempo non sarebbero sfuggiti al vaglio occhiuto della Commissione Ue. Jonathan Todd, il portavoce di Kroes, fedele al proprio ruolo si preoccupa di spiegare che la normativa sugli aiuti di Stato non è cambiata. Ma le cifre parlano.
Banca centrale europea
Anche per la Bce, sempre per seguire le parole di Nicholas Sarkozy, «il mondo è tutto cambiato». Guardiana dell’euro e dei prezzi, fino a ieri la Banca centrale europea si era preoccupata soltanto dell’inflazione: mantenere per quanto possibile l’inflazione giù, tenendo i tassi di interesse su. Oggi, il suo ruolo è mutato: poiché nel terremoto che continua a scuotere Borse e mercati (e presto l’economia reale), l’inflazione non è più il pericolo primo.Tagliati i tassi di interesse, la Bce è oggi come un medico ricco di medicine e pozioni al capezzale di tutte le banche ammalate: pratica la rianimazione, cioè inietta massicce dosi di liquidità, con una rapidità inattesi. E conta sempre di più: Jean-Claude Trichet, il suo presidente che finora compariva alle riunioni dei ministri finanziari, ora siede anche al tavolo del Consiglio europeo, e la sua non è la voce meno ascoltata.
Basilea 2
È l’accordo sui requisiti patrimoniali delle banche, tenute ad accantonare quote di capitale proporzionali al rischio derivante dai rapporti stabiliti con questo o con quel cliente. Più alto è il rischio che si decide di correre, più alto dev’essere l’accantonamento, e l’accordo stabilisce delle procedure di rating (cioè di classificazione del cliente) considerate fino a ieri abbastanza rigide: anzi, sono state criticate da molti perché si diceva che fossero troppo severe per le piccole e medie imprese, e che rendessero troppo anguste le vie ordinarie di accesso al credito.
Ma oggi, dopo la tempesta finanziaria, si è fatto notare che Basilea 2 e anche il rating nascondono trabocchetti, dunque partirà una riforma.
Come hanno spiegato dalla Commissione Europea, «la vigilanza non è un optional». Specie in tempi come questi.

da corriere.it
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« Risposta #1 inserito:: Ottobre 20, 2008, 05:46:02 pm »

Il liberale «pentito»

Watson: «È l’ora della svolta,

Una sorta di «Superconsob» europea. Un «supervisore unico per i servizi finanziari, un’unica autorità come abbiamo fatto con la Bce». È questo «il passo giusto da fare in questo momento» per la nuova Europa secondo il britannico Graham Watson, capogruppo dell’Alde, il partito dei liberaldemocratici al Parlamento europeo. Dalla più pesante crisi finanziaria della sua storia l’Ue è «uscita rafforzata», ritiene Watson, ma ora deve rivedere molti pilastri: introducendo il regolatore finanziario unico, allentando i «vincoli del passato» di Maastricht e Basilea 2, fermando «il conflitto d’interessi» delle agenzie di rating e riconoscendo «un ruolo più di peso all’Eurogruppo», il coordinamento dei ministri economici dei 15 Paesi dell’euro. Lei è sempre stato un sostenitore del liberismo economico. È il momento di correggere qualcosa?
«L’Europa è più forte di prima: ha avuto due grandi successi, impedire ai panzer di entrare a Tbilisi quest’estate e, ora, frenare la crisi dei mercati finanziari. Ma il prossimo passo dev’essere un governo europeo dell’economia».
E da dove si comincia?
«Dal regolatore unico per i servizi finanziari. Bisogna costituire la European financial services authority. Oggi abbiamo 27 autorità, ognuna con la propria politica: vanno coordinate, così che si possa avere la stessa fiducia nel regolamento delle istituzioni finanziarie in ogni Paese Ue. Dobbiamo spingere in direzione di un unico supervisore, che affianchi la Bce. A una condizione, però: coinvolgere anche Svizzera, Gran Bretagna e Danimarca».
Come funzionerebbe?
«Avrebbe il ruolo che oggi esercitano le autorità nazionali, come la Consob. Che potrebbero riunirsi ogni due-tre mesi e coordinarsi. Vuol dire premiare la trasparenza e non consentire più che una banca, come in Germania, non pubblichi le informazioni necessarie al mercato. Tutti i capi di governo se ne sono resi conto. È una conclusione logica».
La crisi ha mostrato anche un ruolo diverso dell’Eurogruppo: come se avesse scavalcato le istituzioni ufficiali.
«Sì, l’Euroguppo è destinato ad avere più peso. La gestione di Juncker, il suo presidente, con quella di Trichet, presidente della Bce, è stata fondamentale per la risoluzione della crisi. Ora è importante che continui a sorvegliare l’economia reale, la possibilità delle piccole imprese di avere credito».
In vista della recessione c’è chi chiede di rivedere il Patto di stabilità, riducendo il tetto per deficit e debito pubblico. È d’accordo?
«Ho sempre sostenuto che il Trattato di Maastricht fosse troppo dettagliato. È stato fatto per rassicurare certi Paesi sulla direzione economica dell’Europa. Non mi sembra necessario cambiarlo, ma ora siamo in un mondo diverso e bisogna tenerne conto. Il Patto di stabilità è stato già superato, ci siamo messi d’accordo per una maggiore flessibilità: transitoria, ma importante per la salvaguardia dell’economia reale».
Si è autorizzato l’intervento pubblico nelle banche. Vanno aumentati gli aiuti di Stato?
«La Commissione Ue ha preso una buona decisione dicendo che le misure adottate non devono avere effetto sulle politiche di concorrenza. La commissaria Neelie Kroes è stata molto criticata, ma tutti i capi di Stato erano d’accordo che il processo di Lisbona, e l’economia competitiva, debba rimanere la politica dell’Unione. Stiamo tornando a un’economia keynesiana, quando c’è crisi il governo reagisce. Ma bisogna essere sicuri che l’intervento dello Stato nei mercati non diventi permanente».
Un’altra richiesta è l’allentamento dei vincoli patrimoniali per le banche, previsto dagli accordi di Basilea 2, per consentire più prestiti alle imprese. Altra reazione necessaria?
«Basilea 2 è stata elaborata per rispondere a certe preoccupazioni del passato. È già stata rivista in questi giorni, ora bisogna passare a nuove basi di valorizzazione, a una Basilea 3. Serve però una vera supervisione sulle agenzie di rating: sono pagate da chi devono valutare, inaccettabile. Lo dirò ancora al Parlamento Ue questa settimana: il conflitto d’interessi non può continuare».
La Gran Bretagna ha giocato d’anticipo in questa crisi. Avrà un ruolo maggiore nella nuova Europa?
«Ho incontrato Gordon Brown la settimana scorsa, prima del Consiglio, e mi ha sorpreso: con questa crisi è diventato più europeista. Lo vedremo diverso, più convinto della solidità dell’Ue. È fondamentale. La vanità di Londra è sempre stata fare l’Europa all’inglese, quella di Parigi di farla alla francese. Forse si è capito che l’unica Europa che ci può essere è quella all’europea».

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