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Autore Discussione: Aiutateci, vogliamo un figlio sano  (Letto 2669 volte)
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« inserito:: Luglio 20, 2007, 09:51:25 pm »

Aiutateci, vogliamo un figlio sano

Davide Sgroi Sandra Scuderi


Raccontare la nostra esperienza, che poi è la nostra vita, è davvero difficile, soprattutto quando sai che per trasmettere ogni brivido ogni emozione non basteranno parole e aggettivi. Provarci però crediamo sia un dovere.

Ci siamo sposati, ironia della sorte, proprio a cavallo del referendum sulla legge 40 ed entrambi siamo portatori di una grave malattia genetica: la beta talassemia. Ciò significa che abbiamo altissime probabilità di concepire un bimbo malato (non portatore sano) di beta talassemia. La nostra unica speranza, allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, è la diagnosi genetica di pre-impianto.

Diagnosi tuttavia appare in contraddizione con la legge 40 e con le Linee guida che ne sono diretta interpretazione.

Abbiamo paura a provare ad avere un bimbo in maniera naturale, poiché sappiamo che con la normativa attuale potremmo solo al terzo mese di gravidanza scoprire di averlo concepito malato e quindi ricorrere all’aborto terapeutico. Quella dell’aborto però non sarà mai per noi la strada giusta.

Nessun genitore vorrebbe dover vedere morire il proprio figlio, nessuno vorrebbe mai vederlo soffrire. Una verità ovvia e banale per tutti, ma non per noi. Se a dire questa verità è una coppia che convive ogni giorno con la minaccia di una malattia genetica (non si tratta solo della beta talassemia, ma anche di altre decine e decine di malattie terribili e devastanti per il bambino e per la famiglia) allora questa verità banale diventa una cosa oscena. Nel migliore dei casi si viene additati come genitori che hanno la pretesa di avere il figlio perfetto. Questo ha l'effetto di farci sentire emarginati, inadeguati, sbagliati ma soprattutto sporchi dentro.

Non vogliamo esprimere pareri da un punto di vista etico, ci rendiamo conto di quanto delicata possa essere la questione, ma non possiamo non chiederci perché, sia possibile abortire a sedici settimane e non procedere con una diagnosi genetica di pre-impianto a tre giorni dal concepimento? Ci chiediamo inoltre se un embrione di otto cellule è tutelato in quanto “vita”, perché è poi possibile mettere fine, tra le dieci e le sedici settimane di gestazione a questa stessa “vita”?

Siamo dovuti andare via dall’Italia, volare fino in Turchia per non doverci sottoporre alla roulette russa dei tentativi, rischiando di incappare nella pallottola dell’aborto terapeutico. Ci siamo sentiti dei fuorilegge, ci siamo chiesti perché il nostro Paese deve farci sentire così? Non siamo riusciti a trovare una risposta.

Non abbiamo la pretesa di far cambiare idea a nessuno, ma pensiamo purtroppo che chi non ha il problema non può neanche lontanamente immaginare che cosa vuol dire doverci convivere, ritrovarsi - a poche ore dalla partenza - sdraiata su un lettino pronta all'anestesia, affidata alle mani di persone che non hai mai visto prima. Poi se tutto va bene, rientrare appena dopo quindici giorni, sapendo di aver speso più di 8000 euro, lasciando che il lavoro vada più o meno a rotoli, ma soprattutto incrociando le dita nella speranza che dopo quindici giorni il test di gravidanza sia positivo, consapevoli del fatto che uno dei fattori di maggiore insuccesso nella riuscita del trattamento è proprio lo stress. Noi ci abbiamo provato e ci è andata male. Vorremmo non dover ripetere questa esperienza. È per questo che lanciamo un appello al ministro della Salute e ai componenti della commissione del Consiglio superiore di sanità che dovranno decidere cosa fare sulle linee guida della legge 40. Aiutateci, vogliamo solo avere un figlio sano. Questo non centra nulla con l'eugenetica e ci offende essere paragonati ai mostri del nazismo. Basta cambiare poco, pochissimo nelle linee guida per ridare speranza e dignità a noi e alle tante coppie che oggi in Italia vivono la nostra stessa sofferenza.

Pubblicato il: 20.07.07
Modificato il: 20.07.07 alle ore 7.55   
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