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Autore Discussione: Nino Lisi. E tenimmoce ‘a cammora...  (Letto 2520 volte)
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« inserito:: Ottobre 20, 2008, 12:40:17 pm »

E tenimmoce ‘a cammora……


di Nino Lisi

 
Per dichiararsi suoi amici   non è bastato che Roberto Saviano scrivesse Gomorra, che   se ne traesse un film di successo, che egli fosse costretto   da qualche anno a girare  con la scorta.. Ci è voluto che fosse costretto a fuggire dall’Italia per sfuggire al rischio di saltare in aria come Falcone e Borsellino.
Cosa aspettiamo ora per dichiararci amici, che so, di  Sergio Nazzaro, che ha scritto Per fortuna io c’ho la camorra, di Maurizio Bracci e di Giovanni Zoppo, autori di  Napoli comincia a Scampia, di Rosario Esposito La Rosa che, frequentando ancora  il  liceo di Scampia, l’anno scorso  ha pubblicato  Al di là della neve, dove neve sta per cocaina;  o anche di Mirella Pignataro che sempre a Scampia anima il GRIDAS, acronimo di Gruppo di Risveglio dal Sonno, o del  circolo di Lega Ambiente di Scampia,  La Gru, o della Scuola di Pace che proprio oggi, 18 ottobre dell’anno di grazia 2008, inizia  a via Foria  un ennesimo “anno  scolastico”, quello  2008-2009? Aspettiamo che siano costretti ad andarsene anche loro?
E quando ci dichiareremo amici delle centinaia di piccole associazioni e gruppi più o meno anonimi che a Napoli lavorano tutti i giorni  per aggregare giovani e non giovani nei “quartieri”, alla”sanità” a “fuorigrotta” e nelle tante zone  dove il degrado è maggiore, mettendo oscuramente a repentaglio la pelle? Forse mai, perché lavorano e lottano nel quasi anonimato, sicché se dovessero essere costretti a smettere o ad andarsene anche loro  non farebbero neppure notizia. Solo la loro morte cruenta farebbe notizia. Per poco. E troppo tardi. C’è da augurarsi quindi che non facciano   notizia mai, che nessuno si occupi di loro.
Eppoi, che significa dichiararsi amici?
Cos’è la solidarietà se non poggia su solide basi materiali, se non ci si rimbocca le maniche e ci si mette a lavorare e lottare con loro quando ancora sono in condizioni di farlo, se non si  fatica ( e forse non occorrerebbe neppure una grande fatica) per  scoprire i legami della camorra con la politica e denunciarli a gran voce. Per questo sì che  ci vorrebbe una voce grande ed un coraggio ancora più grande. E chi ce li dà?
Però non limitiamoci a  pensare e a dire che il nodo da spezzare sia solo quello dei rapporti tra camorra e politica. Perché se   nella politica  trova  supporti e complicità    e    nell’ignoranza e nella fame del  sottoproletariato   trova  la sua  manovalanza,  è   nella connivenza   palese ed in quella  occulta  della borghesia napoletana che la camorra trova l’habitat per espandersi.   
Connivenza palese che sta nei  collegamenti  e nei   supporti professionali  che la camorra vi  trova per i suoi traffici. Connivenza occulta che   sta    in  quelle che Michele Prisco nel febbraio del 1990  descriveva cosi: <un’atavica vocazione al malgoverno amministrativo ed un’altrettanto atavica assoluta carenza di senso civico che nasce dalla particolare “filosofia” alla base del temperamento dei napoletani (e tenuto conto che qui si hanno solo le punte, o gli eccessi, in tutti i campi, nel bene e nel male, mentre manca lo standard medio della vita). 
<Il fatto è – scrisse ancora Michele Prisco – che Napoli prima di essere una città è una categoria umana il cui connotato più rilevante resta l’imprevedibilità, e il cui destino sembra quello d’aver favorito e continuare a favorire con la sua permanente contrapposizione – di paesaggio, di storia, di costume, di vita – un’abbondante fioritura di luoghi comuni che ne perpetuano un’immagine di falso folclore e ininterrotto colore locale e pertanto è difficile riuscire a orientarvisi o tentare una radiografia nell’intrico dei suoi   tanti problemi>.
Si tratta dunque di una realtà complessa ed intricata come mai.
Sì, la magistratura e le forze dell’ordine,   per cercare di contenere o per lo meno per contrastare la camorra,  ci vogliono (i militari un po’ meno).  E’  vero: per ostacolare il ricambio della manovalanza cammorristica occorre creare un’altra alternativa ad una  povertà che   diventa miseria d’animo.
Ma non è così che si può sradicare il fenomeno; la soluzione sta altrove. 
Va apprestata   sul piano della cultura diffusa, per modificare  la “particolare filosofia che è alla base del temperamento dei napoletani”, affinché non continui a perpetuare   l’endemica  inclinazione al malgoverno amministrativo e la carenza di senso civico. Ma chi può farlo? Chi può entrare in gioco mettendo  in circuito valori, comportamenti, sensibilità e stili nuovi?   

A Napoli  ci sono   “casi esemplari”:  l’Istituto di Studi   Filosofici, il Suor Orsola Benincasa, Napoli 99, ad esempio per ricordare soltanto  gli stessi che citava Prisco. Ma sono isole. Non incidono sulla  “filosofia” di vita della borghesia, non rompono l’incredibile assuefazione a tenere insieme arte, filosofia, bellezza, camorra  e munnezza, non mettono in crisi la rassegnata accettazione (che è poi un alibi) dell’esistenza di due città contrapposte, non usano <la cultura come grimaldello per entrare in contatto con il presunto nemico. Che sarebbe, inutile dirlo, la gente dei quartieri, il popolo borderline  tra legalità ed illegalità, il mix di disagio e prepotenza  che appioppa l’aggettivo di incivile alla città>,  per dirla con Attilio Wanderlingh, l’editore di Intra Moenia. Il quale aggiunge <non c’è destino per questa città, se la cultura non parte dalla loro condizione, non dalla nostra>.
Ed allora? Dovrebbe mettersi in gioco la intellettualità diffusa. Ma generalmente è assente dal problema, è inerte. E’ responsabilità sua, cioè di tutti e tutte noi,  se Napoli è come è,  se c’abbiamo la camorra e ce la teniamo.


da sinistra-democratica.it
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