LA-U dell'OLIVO
Novembre 26, 2024, 07:03:54 am *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
   Home   Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
Pagine: [1]
  Stampa  
Autore Discussione: Orhan Pamuk. I Nostri versi sono liberi  (Letto 2867 volte)
Admin
Utente non iscritto
« inserito:: Ottobre 16, 2008, 12:08:33 am »

I Nostri versi sono liberi

Orhan Pamuk


Al pari delle sterminate, leggendarie, utopistiche biblioteche che conservano tutti i testi del mondo, ricordandoci l’infinità del tempo e dell’universo, i libri devono esortarci all’umiltà e al tempo stesso rammentarci la somiglianza tra gli individui, l’affinità delle nostre aspirazioni e dei nostri sentimenti, al di là della storia, della lingua, dell’appartenenza a questo o quel paese.
Ma noi scrittori non scriviamo i nostri libri pensando agli altri milioni e milioni di volumi, per testimoniare la nostra umiltà e mossi dall’utopia di una fratellanza universale, bensì per esternare e fare sentire alla gente, ai lettori, ai lettori di tutto il mondo la voce bizzarra che si agita dentro di noi. Per questo siamo in grado di scrutare nelle profondità della nostra anima, nel cuore della nostra diversità. Ed è in questa diversità che regnano la mente, il corpo, la casa, la famiglia, la strada, la lingua e la storia di ogni singolo individuo.
Questo insieme di fattori ci spinge a sederci a un tavolo e a prendere in mano carta e penna, e ci ricorda come la nostra identità non sia molto diversa dalla cosiddetta «identità nazionale».
Il romanziere parla liberamente della poesia della propria vita, così come dei suoi lati oscuri; i critici e i lettori, invece, lo leggono pensando che lo scrittore racconti la poesia della vita nel suo Paese, oltre ai lati oscuri di questa vita. Pertanto, le aspirazioni più intime e la creatività individuale del romanziere vengono recepiti come l’immagine del suo Paese, la sua rappresentazione. E io mi angosciavo come un giovane studioso che non viene accettato a un quiz di cultura generale solo a causa delle sue origini; al tempo stesso però davo loro ragione. Mi sentivo come uno scienziato un po’ folle che per anni si ostina a esplorare una materia che non interessa a nessuno… Certo avevano ragione, l’argomento l’avevo scelto io! Dimenticavo che il vero punto di partenza dei miei romanzi, secondo il mio punto di vista, non era la Turchia, ma i miei problemi, i miei interessi e le stranezze che vedevo nel mondo; e, come alcuni credono con rassegnazione alla cattiva sorte, così anch’io credevo a questa litania che avevo sentito ripetere migliaia di volte nel corso della mia carriera letteraria: «A chi vuoi che interessi uno scrittore turco?!»
Quando a vent’anni avevo finito il mio primo libro e cercavo di farlo pubblicare, uno stimato scrittore della generazione precedente alla mia mi chiese, scherzando, perché avessi smesso di dipingere. I quadri non hanno bisogno di essere tradotti. Un romanzo turco non lo avrebbe tradotto nessuno e, se anche qualcuno lo avesse fatto, non avrebbe avuto lettori. I tanti turchi istruiti che ho incontrato in America verso la metà degli anni Ottanta si lamentavano del fatto che gli americani, non solo non avevano idea della cultura e della letteratura turca, ma non sapevano nemmeno dove fosse la Turchia sulla carta geografica. Chi ci conosceva un po’ o si faceva un’idea sbagliata o non ci capiva.
Negli ultimi dieci anni ho girato il mondo, ho visitato molti Paesi e, se escludiamo qualche nazione occidentale, ho sentito da parte di tutti lo stesso rammarico, quello cioè di essere sconosciuti agli altri popoli o di essere oggetto di pregiudizi ed errate convinzioni. Le idee sull’identità e il carattere di un popolo, probabilmente, cambiano da persona a persona e da Paese a Paese, ma molti popoli sono convinti che gli altri abbiano di loro una visione fallace e negativa.
Perciò credo fermamente di esprimere sentimenti universali, pur affrontando il discorso sul piano personale. Noi turchi ci siamo tanto lamentati negli ultimi secoli dell’immagine sbagliata che ha sempre avuto il resto del mondo nei nostri confronti che questo pensiero è diventato parte integrante della nostra identità. Essere rinnegati dagli altri popoli per la maggior parte di noi è la dimostrazione della libertà delle nostra cultura e della nostra letteratura, oltre che della sua forza. Proprio come alcuni scrittori sperimentali di non facile comprensione, a buon diritto si vantano di non ottenere il riconoscimento dei lettori, c’è anche chi interpreta il mancato riconoscimento della letteratura turca come una dimostrazione della sua anima bizzarra e variegata. È possibile!
Ma interpretare il rifiuto e la mancanza di un pubblico di lettori come un sintomo dell’incomprensibilità e del particolare mistero della cultura alimenta un’idea ancora più pericolosa che un po’ alla volta si fa più forte: ritenere «estranei» ideali di impronta occidentale - parlo della parità dei sessi, dei diritti delle donne, della democrazia, e della libertà di pensiero - credere che questi ideali non siano adatti all’identità nazionale e che, addirittura, potrebbero lederla... E non lo dico solo riferendomi alla Turchia. Tutti noi abbiamo la sensazione che il centro culturale del mondo un po’ alla volta si stia spostando e che la forza attrattiva dei vecchi centri si stia disgregando. Mi riferisco all’economia indiana e cinese in continuo e repentino sviluppo, ai nuovi magnati, ai nuovi eletti, che si sono arricchiti con l’aumento del prezzo del petrolio nei Paesi non occidentali. Se centinaia di scrittori e editori sono venuti qui a Francoforte per far sentire la propria voce, significa che ci siamo liberati, seppur non del tutto, del pessimismo da incompresi.
Negli ultimi secoli tanti libri sono stati messi al bando, bruciati, tanti scrittori assassinati, rinchiusi in prigione, esiliati come traditori della patria, o umiliati sui giornali senza possibilità di replica, ma niente di tutto questo ha contribuito ad arricchire la cultura turca, al contrario, l’ha inaridita.
È ancora attuale la consuetudine del governo di punire gli autori e i loro libri: a causa dell’articolo 301 del Codice civile turco usato per mettere a tacere ed emarginare tanti scrittori come era accaduto a me, ancora oggi centinaia di scrittori e giornalisti vengono processati nei tribunali e condannati a lunghe pene detentive. Non si pensi, tuttavia, che autori e editori abbiano perso l’entusiasmo. Negli ultimi quindici anni l’editoria turca è cresciuta a una velocità impressionante, arricchendosi notevolmente: ovunque in Turchia oggi si pubblica molto di più che in passato e ritengo che la ricchezza delle librerie di Istanbul sia sintomatica delle stratificazioni storiche e culturali della città.


Trad. di Barbara La Rosa Salim

Pubblicato il: 15.10.08
Modificato il: 15.10.08 alle ore 8.12   
© l'Unità.
Registrato
Pagine: [1]
  Stampa  
 
Vai a:  

Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!