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Autore Discussione: LORENZO MONDO  (Letto 69601 volte)
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« Risposta #105 inserito:: Febbraio 19, 2012, 10:33:05 am »

19/2/2012

Sanremo, l'ultimo disastro della Rai

LORENZO MONDO

Un inverno di marca. Dopo la tragedia della «Concordia», dopo le eccezionali e punitive nevicate, è arrivato, come ciliegina avvelenata, il disastro di Sanremo. Anzi, della Rai. I responsabili si attaccheranno ovviamente agli indici di ascolto, che non sono necessariamente traducibili in indici di consenso. E se così fosse, non ci sarebbe da godere, dovremmo trarne conclusioni più cupe sul deficitario quoziente intellettuale e sullo stato di salute del nostro Paese.

Prendete l’esordio di Celentano. Sponsorizzato dal lungo tiramolla sulla libertà d’espressione pretesa dal cantante, si è rivelato uno spettacolo a dir poco penoso. Non è questione di ciò che Celentano pensa sui compiti della Chiesa e delle istituzioni, sul Paradiso e sui referendum, anche se non potrebbe interessarci di meno. Ma è inaccettabile che gli abbiano consentito di regolare i suoi conti, davanti a milioni di telespettatori e senza diritto di replica, con giornalisti che si erano permessi di criticarlo. Una tracotanza ridicolizzata dai suoi primi piani, dalla faticosa concentrazione del volto nell’acchiappare pensieri e parole per trarne disarticolate sciocchezze. A un costo pesante per l’erario, non riscattato da una beneficenza che in fin dei conti viene estorta ai cittadini, già impudentemente tartassati dal canone. Prendete, ancora, l’esibizione di presunti comici che, privi di inventiva, si sono segnalati per il turpiloquio e la volgarità. Così ripetuti e così gratuiti, che tradiscono perfino l’incapacità di trovare termini equivalenti, di maneggiare decentemente la lingua italiana.

Buon per loro, che hanno profittato immeritevolmente di una lucrosa occasione. Ma lasciano sbigottiti il compiacimento e le fragorose risate della platea, comprese le prime file in cui sedevano fior di colleghi televisivi e dirigenti. Fino a mimare con entusiasmo il «ballo della foca» (un eufemismo dall’allusione pecoreccia) proposto da Papaleo. Salvo poi concedersi una standing ovation per le patriottiche tirate di Alessandro Siani: le sviolinate su Napoli, la proclamata unità di Nord e Sud, le frecciate sulla Germania che, con un presidente indagato per corruzione e costretto a dimettersi, non può impartire lezioni (e invece sì, perché nei nostri palazzi del potere dovrebbero alla stessa stregua verificarsi dimissioni a catena). Una brutta pagina che umilia anche le esibizioni canore. Un ennesimo scivolone del carrozzone Rai. Ammesso che ne avesse tempo, il professor Monti proverebbe più fatica, a porvi mano, che nell’affrontare lo spinoso articolo 18 dello statuto dei lavoratori.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9791
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« Risposta #106 inserito:: Febbraio 26, 2012, 06:19:12 pm »

26/2/2012

L'ingiustificabile insulto al Corano

LORENZO MONDO

Infuria la rivolta in Afghanistan, con il solito, elevato conteggio di morti: scatenata dall’offesa ai sacri principi dell’Islam, dalle copie del Corano gettate nella spazzatura e date alle fiamme nella base Nato di Bagram. Non sono bastate a fermarla le scuse dell’ambasciatore e del capo dei contingenti americani, dello stesso presidente Obama, che ha parlato di «errore involontario» promettendo sanzioni contro i responsabili. Potrebbe anche trattarsi di un malaugurato incidente ma gli avversari della «pax americana» rammentano le fotografie dei marines che urinavano sui corpi di talebani uccisi. E aggiungono, ad alimentare la rabbia, le recenti vittime civili di bombardamenti definiti con insolente aggettivazione «selettivi». Anche se sbadataggine è stata, l’insulto al Corano è da considerarsi ingiustificabile perché rischia di diventare un cerino acceso gettato in una polveriera.

Ma il gesto e le sue drammatiche conseguenze suggeriscono alcune riflessioni, a prescindere dalla situazione generale e dalle pretestuose strumentalizzazioni. Di primo acchito si è portati a stigmatizzare, con motivata repulsione, il fanatismo di gente che assegna alla salvaguardia di alcuni libri, per quanto venerandi, una importanza superiore a quella riservata alla vita umana, propria e altrui. È un problema con il quale l’Occidente è costretto a misurarsi, al di là dell’odierno episodio, nei rapporti con il mondo musulmano.

Da noi, grazie a Dio, chi bruciasse una Bibbia susciterebbe tutt’al più riprovazione se lo facesse pubblicamente e con l’esplicito intento di offendere i credenti. Ma venendo al comportamento dei militari americani, continua a stupire la leggerezza con la quale si infilano in trappole devastanti, nonostante una così lunga esperienza sul campo. Eppure si erano presentati in Afghanistan esibendo, al di là della forza delle armi, il proposito di conquistare il cuore e la mente degli abitanti. Hanno disatteso in buona parte questo proclama, dettato soprattutto da preoccupazioni strategiche, ma non per cattiva volontà.

Hanno lasciato affiorare, piuttosto, i limiti di una diffusa cultura, più che tollerante, permissiva, insensibile peraltro alle ragioni di chi rivendica con vigore dei valori alieni: escludendo il modo distorto e aberrante con cui vengono difesi, meritano invece l’attenzione e il rispetto dovuti a una pacifica diversità. L’episodio di Bagram rivela purtroppo che alla sanguinaria follia del fondamentalismo islamico si risponde troppo spesso con una distratta, e insipiente, noncuranza delle sue radici. I risultati li vediamo anche in questi giorni.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9818
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« Risposta #107 inserito:: Marzo 04, 2012, 11:14:17 am »

4/3/2012

Un Paese che fa la guerra alle donne

LORENZO MONDO

Sei ancora quello della pietra e della fionda/ uomo del mio tempo...». Il poeta scriveva sotto l’impressione di una guerra devastante e da poco conclusa. Ma la sua apostrofe sconsolata si può estendere ai nostri tempi, anche dove la guerra è assente o si manifesta in forme intestine e subdole. Parlo della «guerra» alle donne che è in atto nel nostro Paese. Mentre incombe l’8 marzo, ci si preoccupa di «quote rosa», di una equilibrata rappresentanza femminile nelle professioni, nelle istituzioni e nell’arengo politico; si prova magari compiacimento per qualche risultato di alto valore simbolico (le tre donne ministro nel governo Monti). Ma in Italia le donne continuano a morire in sequenze agghiaccianti. Rashida Manjoo, che per conto delle Nazioni Unite si occupa di violenza contro il «sesso debole», parla di femminicidio. Brutto il neologismo, ma più brutta la situazione che denuncia.

Nel 2010 le donne assassinate sono state 127, solo nei primi mesi del 2011 salgono a 97. Semplificando la macabra contabilità, si rileva che ogni tre giorni in Italia viene uccisa una donna. Il crimine, nella maggior parte dei casi, viene compiuto all’interno della famiglia, da mariti, partner, parenti e perfino figli. Le vittime scontano la loro fisica fragilità, ma anche la persistenza di una mentalità che le considera esseri inferiori, fatti oggetto di un possesso inalienabile. Ed a moltiplicare l’orrore, si danno casi di «punizioni» trasversali, esercitate sugli affetti più radicati di una madre. È di ieri la storia dell’uomo che, per vendicarsi dell’abbandono da parte della moglie, ha ucciso a martellate il figlio adolescente. Un altro, non molto tempo fa, ha scagliato nel Tevere una tenera creatura. Accade in un Paese che si fa vanto di una cultura che ha reso un inarrivabile omaggio all’essenza femminile.

Prima delle effimere e futili vallette televisive, vengono Beatrice e Laura e Silvia che hanno segnato nell’arte e nell’immaginario collettivo un luminoso percorso. E non si può eludere il culto diffuso, non soltanto superstizioso e miracolistico, della Madonna. Questo non basta, certo, a vanificare l’eredità del «mal seme d’Adamo» e le pulsioni di una crassa ignoranza. Ma occorre porre un argine -di coscienza e di civile sollecitudine- a così gravi misfatti. Attraverso un infaticabile lavoro di educazione (anche gli assassini, vivaddio, sono andati a scuola), centrato sulla dignità di ogni persona, di ogni specifica attitudine e vocazione. Attraverso una più severa, e dissuasiva, sanzione delle leggi. Deprecando, ad esempio, la recente pronuncia della Cassazione che non ha ritenuto meritevoli del carcere i sozzi responsabili d’uno stupro di gruppo.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9843
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« Risposta #108 inserito:: Marzo 11, 2012, 11:03:58 am »

11/3/2012

I milioni di Lusi e i nostri sacrifici

LORENZO MONDO

Chiamatele, spregiativamente, chiacchiere da bar... Può capitare invece che, sorbendo un caffè, cogli al volo tra i clienti una battuta di grande efficacia, capace di andare al cuore d’un problema, di sintetizzare perfino un pensoso articolo di fondo. Capisci che si parla in crocchio di quel tal Luigi Lusi, accusato di avere sottratto somme enormi al suo partito, senza che nessuno se ne accorgesse. Finché uno sbotta, concludendo il discorso: «Se la mia persona di servizio mi portasse via anche solo cento euro, io me ne accorgerei».

Luigi Lusi, dunque, un senatore che, uscendo dal pubblico anonimato, si sta rivelando un personaggio di spicco, tale da sfidare ogni immaginazione. È sotto indagine per appropriazione indebita, perché avrebbe sottratto alle casse della Margherita 20 milioni di euro. In buona parte impiegati nell’acquisto di sontuosi immobili, ma senza rinunciare, da bon vivant, a viaggi esotici in compagnia dei suoi cari ed a pranzi succulenti, a base di caviale, tartufi, champagne. Da tesoriere del partito si è trovato nella condizione di uno che abbia scoperto un inopinato tesoro e ne approfitti a suo piacimento.

Vogliamo attribuirgli una logica che prescinda dall’istinto predatorio, da una impunita megalomania? In fondo, la dissoluzione del partito avrebbe dovuto comportare anche la liquidazione del suo tesoro. Tanto più che nessun’altro, pare, aveva l’aria di occuparsene, di controllarne l’impiego e l’eventuale incremento. È questo, al di là della rapina messa in atto da Lusi, l’aspetto più grottesco e scandaloso della vicenda. Mentre si chiedono duri sacrifici a milioni di persone che stentano ad arrivare a fine mese, esistono giacimenti di milioni di euro ignorati o trascurati da chi dovrebbe gestirli e farne un uso corretto.

Si tratta di soldi alimentati dal finanziamento pubblico delle spese elettorali che, nel caso, appare concesso in modo esorbitante. Lusi, che non nega l’appropriazione, chiama in causa altre responsabilità; lasciando trapelare l’ombra di un ricatto, minaccia di far «saltare» con le sue rivelazioni il centro-sinistra. Accogliamo con cautela le parole di un uomo che ha mostrato di non frapporre argini all’impudenza. Basta e avanza registrare la leggerezza e l’insipienza con le quali gli sono stati affidati i cordoni della borsa. E ci aspettiamo che, a cose finite, i soldi recuperati, soldi nostri e non di una sfiorita Margherita, vengano destinati a fini sociali o umanitari. Sarebbe anzi bene che i politici defraudati da Luigi Lusi uscissero allo scoperto e ne assumessero un solenne impegno.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9872
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« Risposta #109 inserito:: Marzo 18, 2012, 10:12:48 am »

18/3/2012

La privacy non è uno scudo

LORENZO MONDO

Almeno si mettessero d’accordo. Dai vertici delle massime istituzioni di controllo dello Stato sono arrivati giudizi di segno diverso se non opposto. Il presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino, dopo avere denunciato il peso spropositato delle tasse che gravano sui contribuenti onesti, ha chiesto interventi anche più severi di quelli in atto contro chi non paga il giusto e rappresenta una concausa nella durezza del Fisco. Il garante della «privacy», Francesco Pizzetti, sostiene invece che le indagini sull’evasione fiscale sono troppo invasive, comportano gravi strappi nel tessuto dello Stato di diritto. Afferma che bisogna uscire alla svelta dalla situazione di emergenza, smetterla di considerare i cittadini come «sudditi», come potenziali «mariuoli». Attilio Befera, il direttore di Equitalia, non ha battuto ciglio, dichiarando di muoversi sulla base di leggi varate dal governo e approvate dal Parlamento.

Ad essere stupefatti sono milioni di italiani, titolari di reddito fisso, che del governo Monti finora hanno apprezzato soprattutto la lotta contro inadempienze che, per la loro entità, non hanno riscontro nei Paesi civili. Sono cittadini che, di questi tempi, si trovano alle prese con ben altri problemi, non hanno nulla da nascondere e reputano inoffensiva l’eventuale «intrusione» nel privato dei loro soldi. In realtà, l’emergenza cui accenna il Garante non è dovuta soltanto alla generale crisi economica ma al fatto che troppi in Italia aggirano tranquillamente il Fisco. Le parole del dottor Pizzetti si attaglierebbero a chi, come il volterriano Pangloss, pensasse di vivere, dal punto di vista dell’onestà, nel migliore dei mondi possibili.

Purtroppo, come accade in mille altre circostanze, e su argomenti diversi, si astrae dalle situazioni di fatto, dalla ruvida e brutale realtà per sottilizzare sugli alti principi, proponendosi di perseguire l’ottimo anziché contentarsi del buono. Da noi spunta sempre, in modi inopportuni, un causidico, un moralista, un filosofo che tende a sottovalutare le esigenze primarie e a mortificare il senso comune. Si capisce che il Garante, come ogni altro titolare di incarichi importanti, sia affezionato al suo ruolo, voglia evidenziarne scrupolosamente la funzione. Ma la sua reprimenda, negli attuali frangenti, suona quanto meno intempestiva. Si dia una spallata al vigente sistema di ladrocinio, si metta ordine nei conti anche dal punto di vista dell’evasione fiscale, e poi ben venga un più serrato richiamo alla benedetta «privacy».

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9895
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« Risposta #110 inserito:: Marzo 25, 2012, 04:28:56 pm »

25/3/2012

Tolosa, la prof e gli alibi morali

LORENZO MONDO

Prima della strage compiuta nella scuola ebraica di Tolosa, Mohamed Merah aveva ucciso in due distinti attentati tre paracadutisti. Si dà il caso che fossero tutti di origine maghrebina, due musulmani e uno cattolico.

Sembra che la sorte abbia voluto affratellare nell’estremo sacrificio persone di etnia e di fede diversa. Questo non placherà gli irriducibili del fondamentalismo, non cancellerà i graffiti che esaltano l’«eroe» sui muri di Francia, ma dovrebbe indurre la comunità islamica a diversificarsi, a stigmatizzare con più forza chi uccide in nome di un Dio «clemente e misericordioso». Colpisce tuttavia, ai margini della dolorosa vicenda, un episodio di altro segno, che non è scaturito dal cuore di una disastrata «banlieue».

La scena si è svolta a Rouen, in un liceo intitolato allo scrittore Flaubert, la cui ombra dovrebbe tutelare docenti e discenti dall’universale «bêtise». Bene, una insegnante di inglese ha chiesto ai suoi allievi un minuto di silenzio per commemorare l’assassino di Tolosa. Sarebbe «vittima di una infanzia infelice», il suo arruolamento tra i talebani sarebbe una invenzione dei media e di Sarkozy.

Sembra che la donna fosse indiziata di stravaganze. D’altronde gli studenti, alle sue parole, hanno lasciato la classe e si sono affrettati a denunciarla al Provveditorato, che l’ha sospesa dall’insegnamento.

Forse quello offerto da Rouen è un caso estremo, ma le parole dell’insegnante ricorrono diffusamente nella realtà quotidiana. Le condizioni disagiate, l’infelicità, trovano, non dico una disposizione a comprendere (che non va negata a nessuno), ma una partecipazione che sfocia in alibi morale davanti alle più gravi e perfino criminali infrazioni. Così, si tende a trascurare le vittime accertate a vantaggio di quelle presunte o malcerte.

E si indulge a sospettare di complotti e speculazioni ad opera dei «servizi» manovrati dal «potere». Si fa strame cioè della responsabilità personale e si offendono i molti che, pur angustiati da povertà e marginalità, non si sentono legittimati a delinquere (si tratti anche soltanto di minacce, violenze e saccheggi). Quelle parole capita di sentirle ogni giorno, anche da noi, specie nel caso di virulenti contestatori dell’ordine sociale. E siamo portati a strani, paradossali pensieri. Preoccupa giustamente la difficile integrazione nel nostro Paese di persone che vengono da lontano, con il carico delle loro diversità. Ma esistono pure i non integrati di casa nostra (per necessità ma anche per vocazione) che vengono assolti da solerti sostenitori. Emuli della scombinata professoressa di Rouen.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9923
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« Risposta #111 inserito:: Aprile 08, 2012, 05:21:47 pm »

8/4/2012



LORENZO MONDO

Avevamo fatto il callo alle intemperanze di Umberto Bossi, alle sue provocazioni verbali e gestuali, dettate da un temperamento sanguigno che sapeva convertirsi in popolaresca astuzia. Colpiva, senza dispiacere necessariamente, il sentore di osteria che emanava dagli incontri e dai conciliaboli con la sua gente, la confidenza spiccia con i costumi delle valli lombarde. Anche in questo si manifestava la lontananza della Lega dal detestato Palazzo romano. Certo si accoglievano con un sorriso, se non con ironia, le sue incursioni nel mondo di una artefatta cultura. Inneggiava alla ribellione di Alberto da Giussano contro il Barbarossa per l’indipendenza di una Padania che, nelle suggestioni del federalismo, guardava adesso con simpatia alla tedesca Baviera.

Egli si prestava inoltre alla riesumazione, dal sapore fumettistico, della storia celtica e della religiosità druidica, con tanto di elmi cornuti, di ampolle riempite con le acque sacre del Po (improponibile, così nudo e crudo, per un utilizzo onomastico, è diventato Eridano al battesimo del suo ultimo figlio). Molti erano disposti ad assolvere questo folklore identitario, apprezzando la sollecitudine del suo movimento per le ragioni del Nord, delle aree più produttive e inascoltate del Paese. Ma il successo decretato dalle urne (e poi il malaugurato ictus) gli hanno dato alla testa. Prescindiamo dai fallimenti politici per tentare un possibile profilo di carattere antropologico.
Per dire che la consueta arroganza non ha cancellato in lui la segreta afflizione per un deficit culturale di cui potevano fare a meno la sua vitalità e il suo istinto, ma non i figli, destinati a succedergli politicamente.

Ecco allora, stando alle testimonianze raccolte, il pagamento di lauree e diplomi con i soldi del partito, ecco i corsi del figlio Renzo,
l’inarrivabile «Trota», in una misteriosa università privata d’Inghilterra. E lo stesso desiderio di promozione ha contagiato Rosy Mauro, stretta collaboratrice di Bossi e confidente della famiglia, che è andata a cercare, per sé e per il compagno, una laurea in Svizzera.
Il tesoriere Belsito, l’ex buttafuori dal soma pugilistico, la chiama sprezzantemente «la Nera». Questa donna dedita, pare, alla cartomanzia, assume per i suoi accusatori i connotati d’una Lady Macbeth di provincia. Sono tratti e comportamenti che finiscono per comporre una corte dei miracoli la quale, oltre ad essere devastante per la Lega, rende più malinconico il tramonto di Umberto Bossi, protagonista per il bene e per il male della seconda Repubblica.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9975
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« Risposta #112 inserito:: Aprile 15, 2012, 11:35:36 am »

15/4/2012 - PANE AL PANE

Se sul tatuaggio c'è Cesare Pavese

LORENZO MONDO

Raccolgo una notizia graziosa, magari minima, che è stata sopraffatta in questi giorni da ben altri, inquietanti resoconti di cronaca. Riguarda Ines, una giovane donna di Sanremo che confida di nutrire una grande passione per Cesare Pavese, proprio lui, lo scrittore. Le è stata trasmessa dalla madre, che allineava le sue opere nella libreria di casa.

«Tutto è cominciato - racconta - quando ho preso in mano Il mestiere di vivere. Adesso ha 23 anni, a quel tempo ne aveva 12, e doveva essere piuttosto precoce, e corazzata, per affrontare, sia pure a spizzichi, un libro così tormentato e tosto come il diario di Pavese. Magari sulla circostanza è tradita dalla memoria, ma resta il fatto che, dopo un primo approccio, si è tuffata a leggere tutte le poesie e i romanzi del suo autore: «Ho cominciato a conoscerlo e a conoscere me. Non mi ha più lasciato, è come un vecchio caro amico che non ti abbandona mai». Adesso sogna, per il suo compleanno, di recarsi a Santo Stefano Belbo, a visitare i luoghi di Pavese: la casa natale, la falegnameria di Nuto, le fascinose colline de La luna e i falò.

Sono numerosi i giovani, soprattutto le scolaresche italiane e straniere, che arrivano a Santo Stefano in viaggi di istruzione patrocinati dalla Fondazione Pavese. Dove sta dunque la notizia, che cosa di originale rappresenta la storia di Ines? Mi ha colpito la sua idea di farsi tatuare sul braccio il volto dell’amato scrittore. Anche qui, occorreva un certo coraggio: Pavese, si sa, non era un allegrone e la sua immagine non sembra conciliarsi troppo con le braccia scoperte di una ragazza, da esporre, che so, in una giornata di sole e di mare.

Confesso inoltre che nutro qualche pregiudizio sul vezzo dilagante di offrire la propria pelle alle incisioni, si tratti di arabeschi, figure o mottetti. Se è per bellezza, nulla aggiungono ai doni naturali, mentre non redimono le scarse attrattive. Peggio ancora se si vogliono esibire messaggi più o meno allusivi, che potrebbero esprimersi convenientemente da chi possiede il buon uso della parola, e di un semplice sguardo. Ma tant’è, anche Ines si è piegata al tatuaggio. Il suo cedimento finisce tuttavia per rovesciarne il senso e, magari inconsapevolmente, contestarlo alla radice. Sbalordisce cioè il fatto che abbia reso omaggio sul suo braccio, non a un cantante, un attore, un personaggio televisivo - spesso icone di una soverchiante futilità - ma ad uno scrittore. Dopo avere confessato per di più di averlo letto e meditato. Per questa ammissione, che tanti coetanei riterranno incomprensibile, la sua bizzarra decisione merita di essere accolta con simpatia.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9998
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« Risposta #113 inserito:: Aprile 22, 2012, 04:30:26 pm »

22/4/2012

La vendetta dell'elefante

LORENZO MONDO

Il re di Spagna Juan Carlos di Borbone si è concesso una partita di caccia in Botswana, nell’Africa del Sud. E si è fatto fotografare come se fosse l’Hemingway delle Verdi colline, imbracciando fieramente la carabina. Al suo fianco posava una donna di trent’anni più giovane, alle spalle la carcassa di un enorme, magnifico elefante. A mio gusto, si meritava il primo piano, è uno di quei casi in cui la specie animale sembra sopravanzare quella umana. Bene, l’attempato sovrano scendendo dalla jeep si è rotto un’anca. Non bastava la iella dell’infortunio perché il safari, che doveva restare segreto, è diventato di dominio pubblico.

Nessuno, conoscendo le sue inclinazioni dongiovannesche, si è stupito per l’accompagnatrice che sarebbe l’amante in titolo. Non la regina Sofia, che ha sempre sopportato in silenzio la sua esuberanza erotica (anche se i bene informati hanno cronometrato in 24 minuti il tempo concesso alla sua visita del marito in ospedale). Ha protestato, ovviamente, il Wwf di cui Juan Carlos si pregia di essere presidente, ma è soprattutto esplosa l’indignazione tra i cittadini. Gli spagnoli, massacrati dalla crisi, con una disoccupazione del 23,6 per cento, la più alta d’Europa, non possono accettare a cuor leggero che il re spenda migliaia di euro al giorno per i suoi diporti. Tanto più che si trova già sotto osservazione in seguito allo scandalo del genero, sotto processo per le elefantiache sottrazioni di denaro pubblico.

Juan Carlos è salito al trono nel 1975, designato come successore dal dittatore Franco dopo la sua morte. Ha cancellato questa macchia originaria con l’umana simpatia, la riconosciuta abilità nella scelta dei consiglieri, ma soprattutto opponendosi accortamente al colpo di Stato reazionario del colonnello Tejero e favorendo un morbido trapasso del Paese verso la democrazia. È stato il suo capitale di rendita, che oggi rischia di essere compromesso da storie di denaro e comportamenti irresponsabili. Gli stessi giornali filomonarchici parlano apertamente di una possibile abdicazione.

In Spagna i fulmini dell’antipolitica sembrano dunque scaricarsi per il momento sul rappresentante supremo della nazione. Da noi è diverso. Il presidente Napolitano non va a caccia, non è un gaudente, svolge le sue funzioni in modo ineccepibile. Ma non cessa di mettere in guardia contro il malcostume, la corruzione e l’insipienza della classe politica. Non bastano a salvaguardarci le istituzioni repubblicane, come mostrano le risposte di una cronaca desolante alle accorate parole del capo dello Stato.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10025
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« Risposta #114 inserito:: Aprile 29, 2012, 11:19:50 am »

29/4/2012 - PANE AL PANE

La politica del tiramolla

LORENZO MONDO

La politica del tiramolla. O, detto altrimenti, un dialogo tra sordi. La questione dei rimborsi elettorali, si sa, ha assunto uno speciale significato nel dibattito politico e, ciò che più conta, nella percezione della gente. Davanti allo scandalo dei due tesorieri (della Lega e della defunta Margherita) indagati dalla magistratura, sono scesi in campo esponenti dei partiti di maggioranza per proclamare che le cose debbono cambiare. Con giusta indignazione ma autentica faccia di bronzo. Promettevano più rigorosi accertamenti sull’impiego dei soldi, inflessibile vigilanza contro il ladrocinio. E basta. Sembravano ignorare che la radice prima del male stava nel numero esorbitante delle somme incamerate, così ingenti da non sapere neppure come impiegarle.

I più virtuosi sostenevano di avere usato i risparmi fino all’ultimo centesimo a sostegno delle attività di partito. Pretendevano di essere assolti per l’affitto delle sedi, per i convegni, per le salamelle alle feste dell’Unità o della Libertà, che non riguardano propriamente le spese elettorali. Nessuna parola sul quantum. È ciò che si desume dalla legge sulla trasparenza e controllo dei bilanci varata dal terzetto ABC. Ma un vigoroso appello di Napolitano, e soprattutto il fiato dei sondaggi sulle intenzioni di voto, ha indotto, dopo appena due settimane, a preparare una nuova legge che conterrebbe, salvo sorprese, il dimezzamento dei finanziamenti ai partiti.

Nel bel mezzo di questo imbroglio (sullo sfondo lo sgomento e l’irritazione di un Paese massacrato dalle tasse) scoppia il caso di una gara indetta per la fornitura di 400 auto blu, 10 milioni di euro la spesa prevista. Segue, anche qui, una imbarazzata e confusa retromarcia (da bambino sorpreso col dito nella marmellata). Il governo si affretta a precisare che il bando non prevede un acquisto automatico delle vetture, destinate d’altronde, in massima parte, alle forze di sicurezza. Si tratterebbe d’una specie di prova generale sul modo più conveniente di procedere a futuri, eventuali acquisti. Fingiamo di crederci. Ma secondo il senso comune, si farebbe prima a stornare quelle auto dalle sessantamila che compongono il parco macchine della pubblica amministrazione (comprese le diecimila riservate all’«alta fascia» di ministri e primi dirigenti). Occorre in realtà, anche sul capitolo sprechi, un colpo di reni del governo, che si scrolli di dosso estenuanti compromessi e ricatti. I partiti, salvo gli esagitati oppositori senza costrutto, hanno una fifa blu davanti al possibile capestro delle elezioni. Se non ora, quando?

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10045
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« Risposta #115 inserito:: Maggio 13, 2012, 05:48:23 pm »

13/5/2012 - PANE AL PANE

Una carriola di proteste

LORENZO MONDO

Valerio Staffelli, inviato di punta della trasmissione televisiva “Striscia la notizia”, è andato a trovare il presidente Monti. Accogliendo il suo appello agli italiani perchè contribuiscano a segnalare gli sprechi nella spesa pubblica, è arrivato a Palazzo Chigi con una carriola dipinta di blu (a dileggio delle contestatissime auto) con un paio di forbici e tre scatoloni: contenenti migliaia di documenti sui casi denunciati negli anni dal fortunato programma di Antonio Ricci. A dire il vero, l’operazione dovrebbe essere superflua, ci si aspetterebbe che i pubblici poteri, se non fosse per la loro comprovata distrazione ed elusione, avessero ben presenti quei fatti. In effetti, dentro la cornice di un intrattenimento satirico, vengono condotte da “Striscia” taglienti e rivelatrici inchieste sul Malpaese, innescate dal rapporto fiduciario che lo show ha saputo intrattenere con tanti cittadini e comunità. Offrendo a loro, in più occasioni, una impareggiabile rappresentanza.

Certo il riso, alimentato da Greggio e Iacchetti, da Ficarra e Picone, ti muore in gola davanti agli scandalosi episodi di corruzione e di sperpero del pubblico denaro. Il nostro - si apprende visibilmente - è un paese di ospedali incompiuti o inutilizzati, che marciscono insieme alla costosa dotazione sanitaria; di edifici carcerari non finiti o abbandonati all’incuria che potrebbero contribuire allo sfoltimento dei detenuti e mettere fine ai digiuni di Pannella. Non trova requie la paludosa, infetta propagazione dell’immondezzaio nazionale. Mentre l’assenteismo dai posti di lavoro (tanto più indegno di fronte ai milioni di persone che non possono fruirne) tocca punte vertiginose. E lasciamo stare i carrozzoni mangiasoldi che pullulano nel Meridione, implementati a ogni tornata elettorale. Davanti agli inviati di “Striscia”, chi sa tace o finge di prendere nota. Ma talvolta accade qualcosa di peggio. Monti riceve con garbo Staffelli ma il collega Luca Abete viene malmenato duramente dalle guardie mentre riprende, a Napoli, le ignobili condizioni e gli sperperi dell’ospedale “San Gennaro”. Tanto da dover fare ricorso a un altro ospedale.

A parte la famosa carriola, sta arrivando al governo una fiumana di e-mail che gli affidano sulla materia un severo mandato di pulizia e di coerenza. Prima, per sbrogliare la matassa, si è fatto appello ad altri tecnici e poi, non bastando, ai cittadini. E’ una mossa rischiosa. Se alle parole non seguissero i fatti, qualche avvio almeno nella direzione giusta, ci sarebbe da perdere ireparabilmente la faccia.

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« Risposta #116 inserito:: Luglio 08, 2012, 10:28:59 am »

8/7/2012 - PANE AL PANE

Niente mensa per il boss

LORENZO MONDO

Giuseppe Lo Mascolo, 73 anni, era un pezzo da novanta della mafia agrigentina. E’ morto in prigione dopo appena una settimana dal suo arresto. E ad Agrigento è accaduto qualcosa di inaudito. Per i suoi funerali, avvenuti nella chiesa del Santissimo Crocefisso, non c’è stata celebrazione eucaristica. Il parroco si è limitato alla benedizione del catafalco e a una preghiera. Cose che non si negano a nessun battezzato. Si può immaginare lo sconcerto degli accoliti e dei semplici devoti. Per la prima volta nell’Agrigentino si «offendeva» la salma di un boss e quella che per i suoi adepti era l’aureola della cattività diventava una attestazione di indegnità.

Il parroco aveva seguito le disposizioni del suo vescovo, Francesco Montenegro: in linea con un magistero che, fin dal suo insediamento nella diocesi siciliana, non ha esitato a condannare non soltanto le pratiche mafiose ma anche la mentalità che le favorisce. In una sua lettera pastorale si leggevano parole di fuoco: «La stragrande maggioranza dei nostri Comuni ha infiltrazioni mafiose e noi agiamo tranquillamente come se nulla fosse o come se il problema non ci riguardasse. Ho l’impressione che la parola mafia nel nostro annuncio e nella nostra predicazione o catechesi è quasi assente». E metteva in guardia contro l’ostentata religiosità dei malavitosi e dei loro manutengoli, definiti «mercenari del diavolo». Non si rivolgeva soltanto ai fedeli, denunciava con maggior forza un contagio che non risparmiava, nell’acquiescenza e nella sottovalutazione del fenomeno criminale, gli uomini di Chiesa. Abbiamo sentito qualche dignitario sostenere, fino all’aspra reprimenda di Giovanni Paolo II, che la mafia non esisteva o era in buona parte frutto di immaginazione, che anche dei mafiosi occorreva provare sollecitudine in quanto figli di Dio. E quanta indulgenza per le processioni paganeggianti, con relativa sosta del Santo benedicente sotto il balcone del capo.

La notizia che arriva da Agrigento, apparentemente minima, avrebbe ottenuto il meditato consenso di Leonardo Sciascia, che era di queste parti. E’ come una ventata di aria fresca e c’è da sperare che altre, di questo tenore, se ne aggiungano, spazzando via reticenze e viltà. Da chi dobbiamo aspettarcelo, se non da coloro che, istituzionalmente, gestiscono gli affari dell’anima? Valga, su tutti, l’esempio di don Puglisi, per il quale si è aperto il processo di beatificazione. E sia lui, martire in odium fidei per mano della mafia, a ispirare nella sua buona battaglia l’arcivescovo Montenegro, a tenergli una mano sul capo.

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« Risposta #117 inserito:: Agosto 19, 2012, 07:45:54 pm »

19/8/2012

Tutti i fumi dell'Ilva

LORENZO MONDO

Potrebbe essere il nome di un fiore, o perfino di una bella donna venuta da paesi lontani. Ed invece al nome Ilva si devono associare mortifere esalazioni, colate immonde, malattie impronunciabili. La più grande acciaieria d’Europa ha occupato i nostri pensieri al culmine di una estate rovente, dal punto di vista climatico ed economico: con l’annuncio della sua chiusura che, imposta dai magistrati, ha avuto a Taranto effetti dirompenti. La prima impressione, drammatica e dolorosa, è stata offerta da una città divisa, dai cortei e dagli scioperi contrapposti, a far prevalere la difesa del lavoro o quella della salute. Una situazione acutizzata dalla non dismessa conflittualità politica e sindacale che ha interessato in diversa misura le frange radicali e la Fiom. E certo non ha giovato a rasserenare il clima la rivelazione che uomini dell’azienda hanno svolto opera di corruzione per falsare i dati sulla pericolosità degli impianti.

Fin qui restiamo a uno sconfortante déjà-vu. Sul quale si innestano taluni interrogativi in chi non è direttamente coinvolto nel dramma di Taranto. Riguardano la fumosa complessità della macchina giudiziaria, le pronunce (più o meno convergenti) del Tribunale del Riesame e del Gip sul blocco della produzione (con o senza patteggiamenti), le risultanze di un eventuale scontro con il Governo inteso a garantirla. C’è poi qualcosa di misterioso che aleggia in questa storia. Nessuno con cui mi sono intrattenuto - persone di varia estrazione sociale - ha capito perché all’improvviso venga affrontato a gamba tesa uno stato di cose che dura da decenni seppure con l’introduzione di qualche ultimo miglioramento (investendo la responsabilità del pubblico e del privato, di politici e amministratori di ogni comparto politico). Distruggere un’azienda che dà lavoro a ventimila persone vale di per sé a risarcire le innumerevoli vittime del passato ed a scongiurare nuovi lutti? Se non ora quando? obietteranno i sostenitori di Patrizia Todisco, l’intransigente titolare del Gip. Sembra adesso che il Governo stia allontanando un conflitto con la magistratura, che riesca a mediare tra le esigenze del lavoro e della sicurezza e, oltre a metterci del suo, talloni l’azienda perché si impegni con robusti esborsi e interventi strutturali. Una cosa è certa, le circostanze impongono di fare presto per evitare un punto di non ritorno. Non sarebbe piccolo merito del governo Monti affrettare il recupero dell’Ilva agli stand di civiltà presenti in altri Paesi europei. Se così accadesse, non apparirebbe inutile lo scossone impresso dall’iniziativa, magari azzardata e intempestiva, di Patrizia Todisco.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10439
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« Risposta #118 inserito:: Settembre 03, 2012, 11:56:16 am »

2/9/2012

Ma il bersaglio vero è Monti

LORENZO MONDO

Non sappiamo se abbia ragione il procuratore antimafia Grasso quando afferma che contro il Quirinale sono scese in campo «menti raffinatissime». Raffinate o grezze che siano, rappresentano comunque l’ennesimo attacco a Napolitano. Tutto nasce, come noto, dalle intercettazioni delle sue telefonate con l’ex ministro Nicola Mancino nell’ambito dell’inchiesta sulle presunte trattative tra lo Stato e la mafia. Ma raggiunge l’acme con la pubblicazione sul settimanale Panorama di quello che la Procura di Palermo definisce «un collage di indiscrezioni, notizie più false che vere», frutto di illazioni e abusive ricostruzioni. I magistrati non sembrano escludere tuttavia la fuga di notizie «vere», e manipolabili. Con tanti saluti alla proclamata riservatezza, mentre si prende tempo per la prevista distruzione dei nastri che vengono definiti peraltro di nessuna utilità per le indagini. E’ inevitabile allora che l’opinione pubblica si interroghi un’altra volta sugli oscuri meandri della giustizia italiana.

Quel che appare evidente è invece il tentativo pretestuoso di delegittimare la presidenza Napolitano, una delle poche istituzioni sopravvissute allo sfacelo della Seconda Repubblica. E’ un’offensiva che vede impegnati i manipoli della destra e trova alleati nelle frange radicali della sinistra. Perché accanirsi contro un Presidente che, al di là della comprovata correttezza, si trova al limite del suo mandato? In realtà, attraverso Napolitano si intende colpire Monti, visto come sua creatura e fiduciario. Si affilano cioè le armi in vista delle prossime elezioni.

Il capo del governo, se non personalmente, per la continuità della sua politica -da molti vagheggiata - è tutt’altro che fuori dal gioco. E Napolitano farà ancora in tempo a esercitare in merito la sua influenza. E’ la danza velleitaria e chiassosa dei pasdaran di varia coloritura davanti all’inconcludenza delle forze portanti, e nominalmente più responsabili, del comparto politico. Non c’è, anche per questo verso, da stare allegri. Monti si affanna, con viaggi defatiganti in mezzo mondo, a contrastare ed esorcizzare la grave crisi in cui si dibatte il Paese. Ma rischia di trovarsi come pietra d’inciampo la dibattuta questione Stato-mafia: che, per quanto importante, rimanda a una storia lontana, affidata peraltro ad un preciso percorso investigativo e giudiziario. Non appassiona, francamente, i cittadini. Che registrano semmai con inquietudine la pungente domanda rivolta da Angela Merkel all’amico Monti: «Ma dopo il voto (conclusa cioè la sua esperienza di governo) che cosa succederà in Italia?».

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10483
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« Risposta #119 inserito:: Settembre 23, 2012, 04:54:05 pm »

23/9/2012

L'assassino venuto dal buio

LORENZO MONDO

Speriamo che oggi, a Torino, ci sia tanta gente in piazza per ricordarsi di Alberto Musy, per stringersi intorno alla sua famiglia, per invocare verità e giustizia a nome della città. E’ una iniziativa di Roberto Tricarico, consigliere comunale, presidente della Commissione per la legalità, che ha persuaso i colleghi ad autotassarsi per tappezzare di manifesti il centro di Torino. A sei mesi dall’agguato che ha inchiodato la vittima a un letto senza che abbia ripreso conoscenza, il delitto è rimasto impunito. E allora, facendo appello a una sensibilità civile sperimentata in tempi difficili, si vuole scuotere la coltre dell’assuefazione, scongiurare il rischio della dimenticanza.

Le circostanze in cui è avvenuto il crimine, il buio che lo circonda, non possono lasciarci tranquilli, rappresentano una ferita per l’intera comunità. Il killer è stato ripreso da una telecamera, pastrano scuro e casco integrale, che gli inquirenti non sono riusciti a sollevare per conoscerne il volto. Impressiona in particolare il fatto che, dopo l’esecuzione, si sia allontanato tranquillamente, con passo lento, fermo come la mano omicida. E non c’è stata rivendicazione, restano oscuri i moventi del gesto, come se tutto fosse avvenuto sulla spinta di una gratuita, autosufficiente malvagità. Sembra quasi di assistere, attraverso un luttuoso fatto di cronaca, alla metafora del male assoluto.

E’ una suggestione che non redime tuttavia il calvario di un uomo per bene, lo strazio dei suoi congiunti; che non riesce a tacitare le pur annaspanti riflessioni e domande. Stentiamo a immaginarci che il killer, deposto il truce casco, si metta a tavola con i possibili familiari, che guardi una partita alla televisione, che si impegni con solerzia in un qualsiasi lavoro. Che si comporti, in altre parole, da uomo normale, e come tale venga considerato. Non ci pare vero che nessuno abbia indovinato, attraverso le immagini rilasciate dalla telecamera, la sua identità. Che egli stesso non abbia potuto tradirsi, prestandosi a sospetti per un comportamento innaturale, dettato dalla tensione o dall’eccessiva sicurezza. Sembra arguirlo l’arcivescovo Cesare Nosiglia, quando afferma di pregare perchè «chiunque fosse a conoscenza di informazioni utili agli inquirenti abbia il coraggio di farsi avanti e assumere le proprie responsabilità, a cui non può sfuggire, sia per senso civico che cristiano». L’appello alla cittadinanza torinese vale certo come affettuoso abbraccio alla famiglia Musy, ma si vorrebbe ardentemente che aprisse qualche spiraglio verso una difficile verità.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10558
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