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Autore Discussione: Loretta Napoleoni Si salvi chi può  (Letto 2438 volte)
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« inserito:: Ottobre 13, 2008, 10:00:37 am »

Si salvi chi può

Loretta Napoleoni


Incontro storico dei paesi del G20 a Washington per trovare una via d'uscita alla crisi finanziaria, ma non illudiamoci, tutti gli occhi sono puntati sulle nazioni più industrializzate perché solo loro possono riportare la fiducia sui mercati. George Bush e i ministri delle finanze del G7 ci stanno provando con un piano di salvataggio all'insegna della più stretta cooperazione, come se lo spirito guida fosse lo stesso dei Tre Moschettieri il cui motto era: uno per tutti e tutti per uno.

E c’è già chi parla di grande cooperazione tra le nazioni sulla base dei suoi punti cardinali: la Riserva federale apre linee di credito con nove banche centrali europee, per sostenersi a vicenda; gli stati acquistano azioni preferenziali di banche private, senza però diritto di voto, per non dare l’impressione al mondo che i paesi del G7 siano diventati «socialisti»; Stati Uniti e Regno Unito fanno massicce iniezioni di contante nel sistema del credito interbancario dei loro paesi dove si approvvigionano tutte le banche; gli stati si fanno garanti di una parte dei depositi bancari, al fine di proteggere il risparmiatore da possibili bancarotte.

Peccato che Bush non sia D’Artagnan e che nessun leader del G7 possegga le caratteristiche dei suoi fedelissimi compagni. Per quanto si cerchi di mostrare al mondo un fronte comune, compatto e indivisibile, i mercati sanno bene che questa è solo una vetrina. Alla radice della settimana nera c’è infatti la sfiducia nei confronti dei governi del G7. Né gli interventi pubblici né i piani di salvataggio annunciati hanno frenato la corsa al ribasso e venerdì il volume delle vendite sulle piazze di Londra e New York si è triplicato all’insegna di un altro motto famoso: si salvi chi può.

I politici dimenticano che i mercati vogliono chiarezza. Anche se quelli finanziari gestiscono sofisticati prodotti, il meccanismo che li fa funzionare è identico a quello del mercato della frutta e verdura. Quando c’è grande incertezza basta poco a far piombare chi ci lavora nel panico. Il delicato equilibrio che regge il mercato si spezza distruggendo immense fortune, ce lo racconta Alexandre Dumas in un altro suo romanzo, «Il Tulipano Nero», che narra la storia del primo grande crollo del capitalismo in fasce, avvenuto nel 1600, a causa della bolla speculativa del mercato dei fiori olandesi. Allora come oggi la crisi si diffuse a macchia d’olio raggiungendo gli angoli più reconditi delle colonie.

La globalizzazione ha sicuramente cambiato il mondo ma non ne ha intaccato i princìpi basilari, nei momenti di grande crisi economica ognuno pensa a se stesso. Perché mai i mercati dovrebbero agire diversamente? A metà agosto il congresso americano vota senza batter ciglio il bilancio del Pentagono per i prossimi 12 mesi. La cifra allocata è di 700 miliardi di dollari, soldi che il contribuente americano dovrà pagare. L’America, bisogna ricordare, è un paese in guerra e le truppe vanno sostenute. Tre settimane dopo quegli stessi parlamentari non approvano il piano di salvataggio delle banche per un identico ammontare. Anche se il pericolo è globale, e cioè il mercato finanziario potrebbe crollare con conseguenze disastrose per l’economia mondiale, perché mai il contribuente americano dovrebbe farsene carico? Questa la logica di chi ha votato contro.

Dall’altra parte dell’Atlantico, Angela Merkel insiste che ogni paese dell’Unione Europea deve gestire da solo la crisi, niente fondo comune per salvare le banche europee. Il governo italiano approva un decreto legge preventivo, per avere le armi giuste nel caso in cui la crisi arrivi in Italia, e ribadisce che chi ha sbagliato sono le banche americane anche se i bilanci delle nostre sono pieni di prodotti «tossici» da queste venduti. Prima di volare a Washington Gordon Brown minaccia legalmente l’Islanda le cui banche hanno chiuso i battenti lasciando senza soldi 300.000 clienti inglesi, tra cui ospedali, università, enti caritatevoli e forze di polizia. Il governo di sua Maestà deve quindi accollarsi parte delle perdite pari a più di 2 miliardi e mezzo di sterline se vuole che i salari di poliziotti, infermiere e professori universitari vengano regolarmente pagati.

Quando all’inizio degli anni 90 questi paesi abbracciarono la deregulation, l’abbattimento delle barriere economiche e finanziarie, nessuno avrebbe mai immaginato che si arrivasse a tanto, che il contribuente dovesse pagare per gli errori commessi dalle banche straniere. Questo è però lo scenario che si profila all’orizzonte. Aver lasciato che le banche si facessero concorrenza tra di loro anche fuori casa comporta rischi di questo genere. Se la Deutchebank fallisse ne risentirebbe la Posta Italiana che la utilizza per i mutui. Chi proteggerà i risparmiatori italiani? La signora Merkel o Berlusconi?

Ecco quindi il nocciolo del problema dei piani di salvataggio, dove inizia e dove finisce la responsabilità dello stato, uno stato scellerato che non ha previsto le conseguenze negative della deregulation? Fino a quando i ministri delle Finanze dei paesi del G7 non si accolleranno le responsabilità globali per l’operato delle loro banche e saranno disposti a proteggere i risparmiatori dal tracollo di istituti di credito nazionali e stranieri i mercati continueranno a fare quello che sanno fare meglio nei momenti di panico: svendono tutto ciò che hanno nel portafoglio.

Pubblicato il: 12.10.08
Modificato il: 12.10.08 alle ore 11.30   
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