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Autore Discussione: Da gennaio Piazza Affari ha perso un terzo del suo valore.  (Letto 2410 volte)
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« inserito:: Ottobre 06, 2008, 06:33:08 pm »

L’autunno nero del risparmio

Si apre un’altra settimana difficile per la Borsa italiana e quelle europee, sempre più contagiate dal malessere della finanza Usa.

Il mercato e la bufera perfetta che cambierà

Da gennaio Piazza Affari ha perso un terzo del suo valore.

Per analisti e gestori i listini sono destinati a ballare anche



Il valore è solo negli occhi di chi compra. E il tempo necessario per guardarlo fiorire non è misurabile. Un anno basterà per cominciare a uscire dall’incubo? O ce ne vorranno almeno tre? Per investire — dopo le cinque settimane di paura che cambieranno i connotati della finanza globale e la speranza accesa da Piazza Affari (+2,6% l’ultima chiusura) e dall’approvazione del piano di salvataggio Usa — bisogna onestamente confrontarsi con queste due fondamentali banalità. La prima: i parametri di valutazione dei mercati non hanno, per il momento, molto significato. La seconda: il tempo li rimetterà in funzione, ma nessuno può dire quanto ce ne vorrà. Le conseguenze pratiche di queste inedite leggi di Murphy sono sempre due: ripararsi il più possibile con Bot, titoli di Stato e altri strumenti semplici a rischio limitato. E questo vale per tutti. L’altra mossa, comprare contro corrente sui listini azionari che precipitano, si addice, invece, solo a chi ha molto tempo davanti, risorse sufficienti, volontà di rischiare e know how. Prendiamo i numeri di Piazza Affari. Ha perso il 40% dall’estate scorsa, quando è scoppiata la prima grana dei mutui subprime a Wall Street. Oggi, in media, l’indice prezza meno di nove volte gli utili previsti per il 2008 e ha un dividendo monstre di oltre il 7%.
Non resterebbe che comprare a mani basse. Quando mai le azioni di casa nostra sono state così a buon mercato? Il guaio è che il giocattolo si è rotto. Il display dice «sconti da capogiro», ma non è vero. Perché le pile sono scariche e nessuno sa di quanto: i profitti stimati su cui gli analisti fanno i conti sono troppo elevati. La gelata dell’economia li ridurrà drasticamente e questo farà peggiorare le valutazioni dei titoli e scendere i dividendi.
«Un inceppo serio del ciclo economico è da dare per scontato e l’Europa è messa peggio degli Stati Uniti da questo punto di vista», ricorda Giovanni Landi, partner di Anthilia Capital Partners. Non mancano i numeri e i segnali per sostenere questa teoria: le economie nazionali che arrancano, il petrolio che non brucia più, l’inflazione che frena da sola, il dollaro che si rafforza, la Banca centrale europea che annuncia una resa (anche se non immediata) a un ribasso del costo del denaro.
Allora, se tutto questo è vero, le azioni sono care?
Probabilmente la risposta giusta è sempre «no». «Molte aziende sane hanno raggiunto minimi di prezzo che non vedremo più per un bel pezzo — ricorda Fausto Artoni, gestore senior di Azimut sgr —. Warren Buffett, il guru miliardario di Wall Street, tutti i giorni compra qualcosa, oggi una General Electric, domani un’altra. Poi le mette lì e se le dimentica».
Quanti anni di oblio? Saperlo. Ma a quelli che possono giocare come Buffett non deve importare. Il famoso lungo periodo che fa guadagnare in Borsa è una verità, anche se non una ricetta infallibile. «Negli ultimi dieci anni le obbligazioni hanno reso più delle azioni», ha ricordato amaramente qualche giorno fa Richard Bernstein, strategist di Merrill Lynch, una delle investment bank travolta dalla crisi e «mangiata» dalla commerciale Bank of America.
Il valore, appunto, è negli occhi di chi compra. Chi in questi giorni ha messo una fiche sulle martoriate Unicredit a meno di tre euro o sulle asfittiche Snam Rete Gas (il miglior titolo dell’S&P Mib perde il 4% da gennaio ad oggi) quasi certamente non sta sbagliando. «Il guaio è che, appunto, bisogna dare ai benefici piantati nei mesi di una simile emergenza il tempo di maturare», dice Giuliano Cesareo, alla guida di Meliorbanca private. Anche perché, con assoluto disincanto, va detto che vecchi e nuovi azionisti potrebbero trovarsi di fronte a richieste di soldi freschi (aumenti di capitale).
I gestori che lavorano in Borsa, e che non possono e non devono abbandonare il campo, oggi obbediscono solo alla regola della massima diversificazione. Comprano gli indici interi o comunque una rosa di titoli che rispecchi la composizione del mercato e poi si coprono con i future e le opzioni , i contratti a termine sui panieri mondiali. Anche i più attivi, quelli abituati a fare 30-40 scelte per il loro portafoglio, lavorano su un numero triplo di società «perché è l’unico modo per abbassare al minimo i rischi», spiegano gli addetti ai lavori.
Ognuno, infine, deve fare i conti con una sorta di ritorno alle origini. Per uscire dalla bufera i regolatori del mercato e i governi (fin qui un po’ troppo basiti e ora molto in affanno di fronte al disastro svelato) dovranno sedersi e riscrivere le regole del gioco, dopo aver trovato i soldi (pubblici e non) per farlo ripartire. Il back to basic , come dicono a Wall Street, per il sistema è una necessità che prenderà tempo, per i risparmiatori di tutte le taglie un esercizio da fare subito e con la massima coscienza.
Ho pochi soldi e tutti liquidi che cosa devo fare? Ho un portafoglio investito in azioni che tipo di pompiere devo chiamare? Domande legittime che arrivano a centinaia in redazione: nelle prossime pagine abbiamo cercato di rispondere nel modo più semplice. La consolazione immediata, se volete, è che la primissima legge di Murphy («se qualcosa deve andare storto, certamente lo farà») si è abbondantemente messa in pratica nell’ultimo mese. L’immediato futuro, dunque, ha ampi margini di miglioramento.

da corriere.it
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