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Autore Discussione: Stefano Fassina Un testo pericoloso  (Letto 2318 volte)
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« inserito:: Ottobre 05, 2008, 12:37:11 am »

Un testo pericoloso

Stefano Fassina


Il disegno di legge delega sul federalismo fiscale (Calderoli.3), approvato proprio ieri mattina in Consiglio dei ministri, è un testo, ad un tempo, semi-vuoto e pericoloso.

È semi-vuoto in quanto i principi di delega sono generici.

Sufficienti a consentire la rapida approvazione di un provvedimento necessario alla Lega per cantar vittoria, senza impensierire troppo l'ala centralista-sudista della destra. Il Calderoli.3 può essere, quindi, soltanto l'ennesima pezzo di propaganda del Governo Berlusconi, in questo caso dato alla Lega per fare “la campagna di primavera” delle elezioni amministrative ed europee. Tuttavia, il Calderoli.3 diventa un testo pericoloso se, oltre alla propaganda elettorale, viene effettivamente utilizzato. È pericoloso per due ordini di ragioni. In primo luogo, proprio per la genericità del testo, perché le scelte decisive sono rinviate ai decreti delegati, provvedimenti, come noto, di competenza del Governo, sui quali il Parlamento può soltanto esprimere pareri. In secondo luogo, perché, quel poco che c’è, afferma un'interpretazione estremistica del principio di territorialità delle imposte, una visione di corporativismo di territorio finalizzato ad accentuare le già enormi differenze tra le aree del Paese.

Prima di passare in rassegna i principali punti di pericolo, è necessaria una premessa. Il federalismo, in Italia, è stato introdotto dal centrosinistra con la riforma del Titolo V della Costituzione nel 2001. Quando la destra, sospinta dalla Lega, ha tentato di formulare una “sua” riscrittura in chiave federalista-secessionista della Costituzione, è stata sonoramente sconfitta in un referendum nel Giugno 2006. Inoltre, tutti i punti sbandierati dalla Lega e dagli altri partiti della destra come straordinarie riforme per l’efficienza della spesa pubblica e per l’affermazione del principio di responsabilità politica degli amministratori sono tutti derivati dal Disegno di Legge sul federalismo fiscale approvato dal Governo Prodi lo scorso anno. Quanti tentano di rappresentare il centrosinistra ed il Pd come i difensori dello status quo, dello statalismo centralista inefficiente e corrotto, del clientelismo meridionale, dovrebbero sapere che era previsto nel Ddl del Governo Prodi il passaggio dal criterio della spesa storica al principio del costo standard quale vincolo per redistribuire risorse verso le aree più in difficoltà del Paese. Gli stessi dovrebbero anche sapere che il DDL Prodi coniugava in modo equilibrato entrambi i principi cardine del federalismo fiscale sancito dalla Costituzione: la competenza esclusiva dello Stato nella perequazione delle risorse finanziarie tra le Regioni per garantire i diritti civili e sociali fondamentali e, insieme, la territorialità delle imposte. Sulla base di tale interpretazione equilibrata, prevedeva un sistema ordinato e razionale di imposte per ciascun livello di Governo territoriale e la conseguente soppressione dei trasferimenti a carico del Bilancio dello Stato per funzioni diverse dalla perequazione.

Non sono questi i punti di pericolo per chi ha l’obiettivo di riformare l’Italia. Anzi, quelli appena evidenziati sono per i riformisti i cardini per la rivitalizzare la nostra malconcia democrazia. Sono le condizioni per arrivare, finalmente, ad una completa legittimazione sostanziale dello Stato agli occhi dei cittadini, una legittimazione ancora in difetto dopo quasi 150 di unità nazionale. I punti di pericolo sono altri. Sono punti apparentemente tecnici, quasi dettagli da azzeccagarbugli, ma decisivi per implicazioni politiche e effettuali.

Il primo ha a che vedere con il principio di territorialità. Il Calderoli.3, come le versioni precedenti, continua ad avere un’interpretazione estremistica del principio di territorialità delle imposte. Tra i criteri di delega è detto in modo chiaro e ripetutamente. In sostanza, vuol dire che tutte le imposte raccolte su un determinato territorio sono di proprietà esclusiva di quel territorio che decide sovranamente cosa farne. Il patto politico, implicitamente proposto dalla Lega e dal Governo alle Regioni beneficiarie dei trasferimenti è più o meno così: «i soldi sono nostri, per ora ve ne diamo un po’ a determinate condizioni. Per il resto, arrangiatevi». In base a tale impianto, le risorse che alimentano il fondo perequativo sono derivate da una compartecipazione delle Regioni al gettito Iva, non dalla fiscalità generale. Sono soldi di ciascuna Regione, non della comunità nazionale. Il secondo principale punto di pericolo riguarda le risorse per promuovere lo sviluppo economico nelle aree sottoutilizzate, quindi prevalentemente nel Mezzogiorno. In primo luogo perché, come abbiamo già segnalato, le risorse per lo sviluppo vengono utilizzate anche per evitare che i Comuni fuori ma a ridosso dei confini delle Regioni a Statuto Speciale del Nord decidano di farsi annettere da queste ultime. In secondo luogo perché, come ha scritto il prof. Viesti, si torna alla contrattazione politica annuale per la ripartizione territoriale della spesa in conto capitale, «un gravissimo passo indietro di molti anni», fonte di clientelismo ed inefficienza nel migliore dei casi. Infine, perché le risorse previste per interventi infrastrutturali, vengono destinate a forme di fiscalità di sviluppo, soluzione improbabile in base agli orientamenti comunitari e, comunque, profondamente sbagliata in quanto ritarda ulteriormente la costruzione di capitale fisico e sociale.

Infine, un punto di democrazia. Il Calderoli.3 continua a considerare il federalismo fiscale oggetto di rapporto esclusivo tra Governo e Regioni, Province e Comuni. Le opposizioni non sono coinvolte nella preparazioni dei decreti attuativi della delega. Ma, i decreti sono decisivi, in quanto determinano qualità ed obiettivi di servizio per le prestazioni essenziali e le funzioni fondamentali per scuola, sanità, assistenza, trasporto pubblico. Sono decreti delegati di rilevanza costituzionale, ma il Parlamento è di fatto bypassato, in linea con quanto avvenuto finora e preannunciato dal premier in forme ancora più acute per il futuro. In tale quadro, come condizione per cominciare a discutere il DDL, le opposizioni dovrebbero ottenere l'istituzione di una commissione bicamerale con forti poteri riconosciuti alle minoranze per la scrittura dei decreti delegati. La posta in gioco è troppo seria per affidarsi alla tattica dilatoria del Ministro dell'Economia, spaventato dagli effetti sui conti pubblici delle mille promesse del Calderoli.3 e, per tanto, irremovibile di fronte alla richiesta di Regioni, Province e Comuni di chiudere i decreti delegati in 12 anziché 24 mesi. Ventiquattro mesi sono tanti nella politica italiana, ma forse non troppi in quella dominata da Berlusconi.

www.stefanofassina.it

Pubblicato il: 04.10.08
Modificato il: 04.10.08 alle ore 12.35   
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